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IL CINQUECENTO
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LUDOVICO ARIOSTO
Nasce a
Reggio Emilia nel 1474 da nobile
famiglia bolognese. Il padre
svolgeva le mansioni di capitano
della rocca di Reggio, al
servizio degli Estensi. Ebbe
dalla moglie ben 10 figli, di
cui Ludovico era primogenito.
Nel 1484 il padre, dopo essere
stato prescelto ad amministrare
la città di Ferrara, vi si
trasferisce con tutta la
famiglia. Dall’89 al ’94
costringe Ludovico a studiare
giurisprudenza, al fine di
destinarlo alla vita di corte,
ma gli interessi di Ludovico per
la letteratura sono così
prevalenti che alla fine il
padre deve desistere.
Già l’Ariosto cominciava a
comporre carmi in latino e
poesie in volgare, quando nel
1500 gli muore il padre. Deve
immediatamente abbandonare gli
studi e pensare a mantenere la
madre, a provvedere
all’educazione dei fratelli (cui
andava insegnata una
professione) e ad assicurare una
dote alle ultime due sorelle
nubili, rimaste ancora in casa.
Inoltre deve sistemare il
patrimonio dissestato del padre.
Dal 1500 al 1503 svolge le
funzioni di capitano della rocca
di Canossa, sempre alla corte
degli Estensi. Poi passa al
servizio del card. Ippolito,
fratello del duca di Ferrara
Alfonso I. E’ costretto a
prendere gli ordini minori, che
era il minimo richiesto per
ottenere dei benefici
ecclesiastici. Il cardinale non
aveva molta stima per i lavori
poetici dell’Ariosto e preferiva
utilizzarlo nelle faccende più
varie, sia interne che esterne
alla corte. In pratica faceva le
funzioni del segretario
personale e del diplomatico. Il
cardinale lo portava con sé nei
suoi viaggi, sottoponendolo a
dure fatiche, facendogli
correre, a volte, spiacevoli
rischi. A quel tempo infatti gli
Estensi simpatizzavano per i
francesi, erano in guerra con
Venezia per questioni di confine
e il papato era intenzionato a
impadronirsi di Ferrara, ai
confini con lo Stato della
Chiesa. Il duca Alfonso venne
persino scomunicato. Due volte
l’Ariosto rischiò di morire dopo
essersi recato a Roma, presso il
papa Giulio II, in qualità di
ambasciatore. Ripetutamente
l’Ariosto chiedeva di svolgere
incarichi meno gravosi, ma il
card. Ippolito non ne voleva
sapere.
Nel 1513 si reca a Roma dal papa
Leone X, che, quand’era stato
cardinale aveva mostrato
d’essergli amico e ammiratore,
per chiedergli un ufficio più
tranquillo, che gli permettesse
di dedicarsi agli studi, ma non
ottiene nulla. Al ritorno,
facendo sosta a Firenze, conosce
e ama Alessandra Benucci, già
moglie di un ferrarese, che però
due anni dopo morirà. L’Ariosto
la sposerà segretamente solo nel
1527, perché la Benucci non
perdesse l’usufrutto del
patrimonio del primo marito, di
cui erano eredi i figli. Inoltre
l’Ariosto avrebbe perso alcune
rendite ecclesiastiche connesse
con gli ordini minori presi in
gioventù. I due non si
separeranno mai.
Nel 1516 pubblica a Ferrara
L’Orlando Furioso, che è il suo
capolavoro. Fu dedicato al
cardinale, il quale però, pur
pagando l’edizione, ne rimase
alquanto insoddisfatto. L’anno
dopo, allorché il cardinale
venne nominato vescovo di Buda
in Ungheria, l’Ariosto si
rifiutò di seguirlo, perdendo
alcuni benefici che aveva già
maturato.
Nel 1518, costretto da necessità
economiche, passa al servizio
del duca Alfonso, il quale,
evitando di affidargli missioni
al di fuori di Ferrara, gli
permette, in un primo momento,
di studiare e rivedere il suo
poema. Tuttavia, nel 1522,
avendogli il duca sospeso lo
stipendio a causa della guerra
contro il papato, è costretto ad
accettare il governatorato della
Garfagnana, sull’Appennino
tosco-emiliano, una regione
assai ribelle agli Estensi che
da poco l’avevano sottomessa.
L’incarico era onorifico e
lucroso, ma difficile e molto
lontano dalla sensibilità e
dagli interessi del poeta. E
comunque l’Ariosto si dimostrò
all’altezza della situazione,
governando con molto senso
pratico e onestà (ad es.
intercedeva a favore dei sudditi
colpevoli di reati commessi per
ignoranza o per misere
condizioni di vita, anche se
chiedeva continue milizie per
reprimere i rivoltosi).
Dopo tre anni di governo torna a
Ferrara, dove, per amore di
tranquillità, rifiuta il posto
di ambasciatore presso la Santa
Sede, ed acquista coi propri
risparmi una casetta, sulla
facciata della quale fa incidere
un’iscrizione in latino, che
diceva: “Piccola ma adatta a me,
non soggetta ad alcuno, comprata
finalmente col mio denaro”.
Rimase lì sino alla morte,
avvenuta nel 1533, leggendo i
classici, coltivando l’orto e
correggendo per la terza volta
il Furioso. Si assentò solo nel
1532, per presentare il suo
poema all’imperatore Carlo V,
che si trovava in quel momento a
Mantova: nell’occasione gli
venne conferito il titolo di
poeta laureato.
Ideologia e poetica
Senso concreto e realistico
dell’esistenza: si piega alle
esigenze economiche dei suoi
familiari; cerca un compromesso
coi “potenti” (laici ed
ecclesiastici) per avere non
solo di che vivere, ma anche per
ottenere il riconoscimento del
suo valore artistico (che in
effetti si verificherà nei
circoli letterari borghesi). Non
infierisce sui vinti quand’era
governatore in Garfagnana, anche
se non lo si vede mai opporsi
alla volontà dei suoi superiori
(l’unico caso è quello in
occasione del trasferimento a
Buda del card. Ippolito).
Rapporto di amore-odio verso
la corte: di “amore” perché,
anch’egli, in quanto
intellettuale di origine
nobiliare, faceva parte di
quegli ambienti: poi perché
sperava di ottenere buoni
uffici, incarichi e
riconoscimenti letterari; di
“odio” perché si sentiva
strumentalizzato, non
valorizzato come intellettuale
ma solo come diplomatico;
inoltre non gli piacevano le
corti che si combattevano tra
loro, disposte persino ad
allearsi con lo straniero, senza
tener conto degli interessi
nazionali. Infine era
consapevole dei valori
superficiali delle corti, anche
se non riteneva di aver la forza
sufficiente per opporvisi: lui
stesso dirà d’aver scritto il
Furioso per il divertimento dei
Signori. L’Ariosto non pensò di
scrivere un poema che servisse a
una causa ideale o politica:
sapeva benissimo che i suoi
lettori non sarebbero stati
capaci di recepirla. Egli in un
certo senso dava per scontato
che la classe borghese, pur
ricca sul piano economico e
potente su quello politico, non
aveva molto da dire su quello
ideale.
Interesse per ogni aspetto
della vita degli uomini:
rispetta e comprende i
sentimenti dell’uomo, che mette
sempre al centro delle sue
preoccupazioni e della sua
produzione letteraria. Contesta
gli aspetti deteriori della sua
epoca: attivismo frenetico,
culto della ricchezza e amore
per il lusso, ambizioni sfrenate
e sete di potere, mercato delle
cariche e corruzione ad ogni
livello. Rifiuta gli
atteggiamenti da eroe e da
moralista: piuttosto guarda con
ironia e indulgenza i difetti
propri e altrui.
Orlando Furioso
La prima edizione è del 1516,
la terza del 1532. La differenza
sta nello stile e soprattutto
nella lingua, in quanto
nell’ultima sono state tolte le
espressioni emiliane e gli
elementi dialettali, sostituiti
con i modelli toscani, sulla
lezione del Bembo. Con
l’Ariosto, in pratica, la
toscanità comincia ad imporsi
anche nell’Italia
settentrionale.
E’ un poema cavalleresco, in
quanto la materia narrativa è
tratta dalla tradizione epico-cavalleresca (romanzo
cortese, cantàri, chanson de
geste...: tradizione questa
ripresa dal Boiardo con
l’Orlando innamorato). Le fonti
del poema vanno ricercate anche
nei poemi classici (Iliade,
Eneide, ecc.: ad es. la pazzia
d’Orlando ricorda l’ira di
Achille). I tre contenuti
fondamentali sono: epico (lotta
tra cristiani e musulmani),
erotico (la passione d’Orlando
per Angelica) ed encomiastico
(Ariosto fa discendere la casa
d’Este dall’amore di Bradamante
e Ruggero).
L’Ariosto riprende il poema
del Boiardo laddove questi
l’aveva lasciato, quando Carlo
Magno, preoccupato delle
rivalità che Angelica accende
tra i cavalieri cristiani,
sottraendoli così alla difesa di
Parigi assediata dai musulmani,
la affida al duca Namo di
Baviera, perché la custodisca,
promettendola a chi (fra Orlando
e Rinaldo) si fosse distinto di
più nella battaglia imminente.
Ma Angelica, approfittando della
confusione che segue alla
sconfitta dei cristiani, fugge,
sicché i cavalieri ricominciano
a cercarla, imbattendosi in
varie avventure.
Nell’Orlando Furioso le
avventure sono più complicate ed
è difficile riassumerle. I
filoni narrativi principali sono
tre: 1) la battaglia intorno a
Parigi, che poi si sposta in
Africa e si conclude con la
vittoria dei cristiani (l’eroe è
Orlando); 2) la storia di
Angelica, che fuggita dal duca Namo, viene inseguita dai
cavalieri cristiani e saraceni,
invaghiti di lei. Angelica però
sceglierà di sposare un giovane
soldato saraceno (Medoro) ferito
in battaglia e da lei curato.
Orlando, accortosi del fatto,
impazzisce dal dolore e
distrugge, percorrendo Francia e
Spagna, tutto ciò che gli si
para davanti; finché il
cavaliere cristiano Astolfo,
salito con l’Ippogrifo (cavallo
alato) sulla Luna -dove erano
raccolte tutte le cose che gli
uomini avevano perso sulla
Terra-, vi prende il senno di
Orlando racchiuso in un’ampolla
che farà poi annusare ad
Orlando, restituendogli la
ragione. Così Orlando può
tornare a combattere contro i
saraceni determinando la loro
definitiva sconfitta. 3) La
storia di Orlando viene spesso
interrotta dal poeta con
l’inserimento del terzo filone
narrativo: l’amore di Bradamante,
sorella del cavaliere cristiano
Rinaldo, per l’eroe saraceno
Ruggero. Bradamante, dopo una
serie di fantastiche avventure,
riesce a sposare Ruggero, che
intanto si era fatto cristiano.
Il poema infatti si chiude con
la vittoria in duello di Ruggero
contro il saraceno Rodomonte. Da
questa coppia sia il Boiardo che
l’Ariosto fanno discendere gli
Estensi.
Caratteristiche del poema
Stilisticamente è raffinato,
cioè senza dialettismi ma anche
senza enfasi drammatica, senza
ricerca del sublime. La varietà
delle vicende è notevole. Gli
eventi sono intrecciati in
maniera magistrale: nessun
personaggio viene sacrificato a
vantaggio di altri, nessuna
situazione resta incompiuta. Le
vicende danno l’impressione di
poter continuare all’infinito.
Si alternano continuamente, per
evitare che un tema narrativo
prenda il sopravvento, il tono
drammatico con l’idillico e il
comico, l’amoroso con
l’avventuroso, il realistico col
fantastico, le scene di forza
con quelle di tenerezza. Non
esiste un luogo fisso: l’azione
è sempre dinamica e mutevole.
Vi è un quadro estremamente
vario della psicologia umana:
passioni e sentimenti si
avvicendano di continuo, senza
che mai uno prevalga sull’altro
(amore, eroismo guerriero, gusto
dell’avventura si armonizzando
perfettamente). Tuttavia, nessun
personaggio presenta un
complesso sviluppo psicologico
individuale, cioè un contrasto
interiore di bene e male (ad es. Bradamante impersona la fedeltà
e solo questa), benché l’Ariosto
eviti con cura la figura
dell’eroe invincibile,
sovrumano. La stessa donna non è
più un angelo o un demone (come
nel Medioevo), ma un essere
umano. Tuttavia i personaggi
restano individualistici,
generalmente incuranti
dell’interesse generale.
Non esiste un riferimento
ideale particolare: l’Ariosto
esclude dalle vicende terrene
ogni intervento provvidenziale o
divino. La religione non è mai
vista come fonte di dissidio
interiore né come guida
dell’agire umano. Essa è
piuttosto una condizione che
influisce esteriormente su
alcune situazioni (ad es.
Ruggero deve convertirsi al
cristianesimo per sposare Bradamante). I personaggi si
muovono sulla base dei loro
istintivi impulsi vitali. I
caratteri sono naturali, a volte
volubili (ad es. Angelica da
fredda e altera diventa dolce
con Medoro; l’eroe forte e
avveduto Orlando diventa pazzo
d’amore).
Vi sono anche alcuni temi
pessimistici: l’amore non
apprezzato e non corrisposto, i
desideri perseguiti con
affannosa tensione e mai
appagati, l’inutile correre
degli uomini dietro le proprie
illusioni (vedi ad es. il
castello di Atlante, ove viene
rinchiuso Ruggero per impedirgli
di sposare Bradamante. Qui i
cavalieri vengono attratti dalla
falsa immagine -suscitata dal
mago- di un bene a lungo
cercato, come ad es. una persona
amata, ma una volta entrati nel
castello l’immagine subito
scompare, per ricomparire appena
essi ne escono). La pazzia, la
vanità, le illusioni dimorano
stabilmente sulla Terra, mentre
la ragione è sulla Luna. Infine
il prevalere della “fortuna”
(caso) sulla capacità dell’uomo
di dominare il proprio destino.
L’Ariosto guarda con ironia,
cioè con distaccata superiorità
le assurde vicende degli uomini,
vittime delle loro illusioni e
delle loro passioni: però è
un’ironia comprensiva non
sprezzante.
Vi sono anche elementi di
critica politica: contro il
malgoverno e la follia dei
principi italiani che, lottando
tra di loro, facevano entrare
gli stranieri in patria: cosa
peraltro che impediva di
combattere i turchi, che allora
erano molto potenti.
L’umanesimo dell’Ariosto
Chi scrive un grande poema deve
per forza essere un “grande
personaggio” (come ad es. Dante
con la sua Commedia)? Alcuni
storici della letteratura
rischiano, in tal senso, di
lasciarsi sedurre dal culto
della personalità.
In fondo che significa “grande
personaggio”: un uomo impegnato
in politica? L’Ariosto non lo
era e molti di quelli che, ai
suoi tempi, lo erano,
difficilmente potrebbero essere
definiti dei “grandi personaggi”
sul piano umano. La politica,
allora (come oggi d’altronde),
era solo un mezzo per far
carriera o quattrini, per
aumentare prestigio e potere
personale.
Forse perché l’Ariosto ha
rifiutato -seppur moderatamente-
questo tipo di politica, noi non
possiamo accettare ch’egli abbia
potuto fare un “grande” poema?
Perché alcuni critici si
lamentano che la sua vita non è
stata niente di particolare?
Se vogliamo, l’Ariosto, sul
piano umano, è stato un “grande
personaggio”, poiché è riuscito
a conservare la propria dignità
umana (come meglio ha potuto) in
mezzo agli intrighi delle corti,
alle lotte tra le signorie, alla
corruzione del papato e della
borghesia. E’ vero, ha accettato
molti compromessi, ma chi li
accetta non può forse scrivere
grandi capolavori?
Da un uomo che ha rischiato di
morire ucciso più di una volta,
che è stato usato come
diplomatico e ambasciatore per
tante difficili missioni, che ha
svolto addirittura funzioni
politiche, amministrative e
militari, come quando fu
capitano della rocca di Canossa
e governatore della Garfagnana,
si vuole forse pretendere
l’impossibile?
In fondo l’Ariosto è vissuto in
un periodo di decadenza, in cui
la borghesia non credeva più
nella possibilità di
nazionalizzare i propri ideali
di libertà e autonomia, di
laicità e razionalismo, di
umanesimo e naturalismo, di
scientificità e tecnologia (per
non citare il problema
dell’unificazione linguistica).
La borghesia portava avanti
questi ideali restando divisa
fra le molte e rivali signorie.
Per un intellettuale umanista
doveva essere molto difficile
sopportare la contraddizione tra
l’affermazione teorica dei
valori rinascimentali e la loro
ambigua realizzazione pratica.
Tutto sommato, l’Ariosto se la
cavò egregiamente: avendo scelto
una vita “borghese”, poteva
andargli peggio.
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