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IL CINQUECENTO
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ARMIDA E RINALDO NEL GIARDINO
INCANTATO
Abbiamo osservato nel Profilo
come uno dei problemi
fondamentali del Tasso fosse la
creazione di uno stile epico
moderno, adatto al rinnovato
gusto del proprio tempo e alle
esigenze strutturali e
ideologiche della forma "poema
eroico". I modelli recenti (Boiardo,
Ariosto, Trissino e altri) gli
apparivano inadatti per svariati
motivi, ma soprattutto perché
condotti in uno stile mediocre,
più consono alla lirica che al
poema eroico. Lontano e
difficilmente riproponibile, per
motivi schiettamente
linguistici, era poi il modello
virgiliano; quello, comunque, a
cui egli cerca di ispirarsi con
più costanza. Non possiamo qui
soffermarci sui dettagli di
questa originale, e tormentata
ricerca che approderà infine
alla profonda revisione della
Conquistata, ma quel che è certo
è che il Tasso a lungo si
interroga sui rapporti tra
componenti liriche e componenti
epiche dello stile che va
forgiando, con incertezze,
oscillazioni, ripensamenti. In
particolare all'epoca della
revisione della Liberata egli
oscilla tra la convinzione di
aver ecceduto nell'uso di un
certo numero di stilemi che
giudica particolarmente
appropriati alla lirica, e la
convinzione che viceversa sia
una necessitá della lingua
italiana (incapace di riprodurre
molti degli stilemi epici del
latino virgiliano) utilizzare
quei medesimi stilemi anche nel
poema eroico.
Da rilevare, però, come a
spingerlo in quest'ultima
direzione siano due fattori di
grande importanza: da un lato il
fatto che, sul piano dei
contenuti, il suo poema
inclinava decisamente in
direzione di un'analisi degli
affetti, delle emozioni e dei
sentimenti che proprio la
tradizione lirica aveva portato
al massimo grado di
approfondimento; dall'altro, il
fatto che il modello stilistico
a lui e ai suoi contemporanei
più congeniale era quello di un
lirico, il Della Casa, e sia
pure di un lirico incline a
un'austera gravità. Ebbene, pur
nella volontà di distanziarsi
dal "mediocre" Ariosto,
l'apparente paradosso della
ricerca stilistica tassiana sta
nel mirare alla creazione di uno
stile epico originale, muovendo
sostanzialmente da modelli
lirici e nell'ambito di stilemi
propriamente lirici. II
risultato concreto - trascurando
qui gli esiti teorici - è
l'impasto sfumato e
originalissimo dello stile
manierato e magnifico della
Liberata.
Se ora consideriamo sotto questo
profilo l'episodio non faremo
fatica a rilevare - specie in
alcune zone del testo -
un'altissima frequenza di alcuni
di quegli stilemi e dl quelle
figure retoriche che il Tasso e
i contemporanei giudicavano
tipicamente "lirici" (ci
limitiamo ad un'esemplificazione
essenziale dalle prime ottave):
chiasmi (sino a tre occorrenze
contigue: «acque stagnanti,
mobili cristalli /, fior varie
varie piante, erbe diverse, /
apriche collinette» 9,3-5),
antitesi («tutto... nulla», 9,8;
«culto... negletto», 10,1;
«natura arte», 10,3; «novo...
antico», 11,4; «acerba... d'or»,
11,7), figure di ripetizione
(«vari... varie», 9,4;
«L'aura... l'aura», 10,5-6;
«eterni... eterno», 10,7; «
istesso... ,tessa», 11,1;
«fico... fico», 1 1,2;
«quando... quando», 12,5-6;
«mezzo... mezzo», 14,3; «ecco...
ecco», 14,5-6; «non par quella,
quella non par», 14,6-7;
«mille... mille», 14,8),
annominazioni o bisticci
(«imitatrice... imiti», 10,4;
«fioriti... fiori», 10,6-7;
«or... ora... òra», 12,7-8;
«trapassa... trapassar», 15,1;
«fiore... verde... rinfiora...
rinverde», 15,2-4; «amor...
amiamo... riamato amando»,
15,7-8) e si potrebbe continuare
annoverando parallelismi, coppie
e serie di termini coordinati, e
altre figure ancora.
Da notare è però anche il fatto
che, da un lato, il Tasso cerca
di attuare anche un certo numero
di figure, ammirate in Virgilio,
ché rendano più sostenuto e a
tratti anche complesso e
difficile (se non proprio
oscuro) il dettato: è il caso
degli iperbati e delle
anastrofi, assai frequenti, che
comportano un riordinamento
artificioso della struttura
sintattica della frase (dai casi
più chiari: «dolcissimi d'amor
sensi e sospiri», 16,8; «qui
d'or Nave / e di piropo e già di
nettar grave», 11,7-8; «le
scintilla un riso / negli umidi
occhi tremulo e lascivo»,
18,5-6; a quelli più complessi e
insidiosi: «com'egli è vago /
mirar tu almen potessi il
proprio volto», 22, 1-2; «e 'I
ferro, il ferro aver, non
ch'altro, mira / dal troppo
lusso effeminato a canto»,
30,5-6; «al piè tenero non sono
/ quel gelo intoppo e quella
alpina asprezza», 39,5-6). E
d'altro canto si osserverà pure
che molti dei procedimenti sopra
menzionati sono sottoposti a
trattamenti particolari che, in
vario modo, mirano ad introdurre
elementi di irregolarità, di
asimmetria, di asprezza che ne
attenuano gli effetti di
"piacevolezza lirica".
La ricerca stilistica del Tasso
poi non è quasi mai fine a se
stessa: il poeta cerca
costantemente di adeguare gli
artifici elocutivi che impiega
alla trama concettuale e
sentimentale che esprime, si
tratti della labirintica e
insidiosa realtà del giardino
incantato, della sua
fantasmagorica successione di
allettamenti, della sua
artificiosa naturalezza, o si
tratti di complesse emozioni
quali l'inappagabile desiderio
dell'amante di fondere il
proprio spirito con l'amata o
l'insaziabile contemplazione del
volto di chi si ama o ancora il
desiderio di esprimere quanto di
inesprimibile fa provare
l'amore. Casi tutti, questi, che
potrebbero essere addotti,
assieme ad altri, a motivare la
densità di certi stilemi e la
loro natura in questo testo.
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Mario
Fubini | |
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