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IL CINQUECENTO
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ORLANDO FURIOSO: INTRODUZIONE
ALLA LETTURA
Il primo canto non solo è tra i
più felici del poema, ma ne
costituisce quasi il preludio
musicale, la sinfonia in cui
tutti i motivi dell'opera
appaiono mirabilmente accennati,
in cui fughe, incontri,
combattimenti, casi incredibili,
malinconie, tenerezze amorose,
si susseguono con una trama
rapida e leggera.
Al di sopra di ogni motivo,
elemento unificatore di tutto il
canto, la figura di Angelica, la
sua fuga.
Angelica non ha un'anima sua,
non ha un suo carattere: è la
giovinezza, la bellezza medesima
che appare e trascorre dinanzi
agli occhi dei cavalieri, sempre
desiderata e mai raggiunta.
Quasi un simbolo nella gran tela
del poema.
Ora, occorre fin dall'inizio
educarsi alla poesia del
Furioso. V'è certamente, nel
poema, un complesso di
sentimenti umani e caldi: l'
amore, la gentilezza, la
generosità, l'amicizia, l'ira,
la fedeltà, il tradimento, la
virtù guerriera ecc. Ma di
fronte a tutti questi sentimenti
il poeta, anche quando li rivive
in sé, rappresentandoli con
cordiale partecipazione,
mantiene un certo distacco.
[Abbiamo già notato, infatti,
come l'A., fin dal proemio, sa
ricondurci al quotidiano e al
reale di botto, e rompere così
l'incantesimo di "era 'l
tempo...", per raggiungere un
equilibrio delicato e difficile
tra fantasia e realtà e abbiamo
altresì visto - anche nelle
Satire - che spesso l'A. si
accosta ai casi della sua vita,
e ai personaggi incontrati,
armato di un lieve sorriso di
simpatia, di ironia e di
indulgenza.]
Ora, nel poema, circola un lieve
e aereo sorriso: a volte è lo
strumento che consente al poeta
di "prendere le distanze" ("Ecco
il giudicio uman come spesso
erra..."; "O gran bontà..."),
ora è la manifestazione del suo
entusiasmo per il rinnovarsi
della vicenda, per l'alternarsi
e succedersi di eventi e
sentimenti ed è quindi godimento
dello spettacolo sempre nuovo e
vario della vita.
E di fronte a questo spettacolo
l'A. non parteggia, non sceglie,
non giudica e non predilige,
perché "degli uomini son varî
gli appetiti" e perché solo per
la sua ricchezza multiforme la
grande giostra della vita gira.
E lui, piccolo sorridente dio
creatore, la contempla tutta, la
vita, e lascia nei lettori
l'impressione ultima di quell'"armonia"
che è il riflesso del suo animo,
serenamente aperto a tutta la
vita umana, ma che è anche la
suprema aspirazione estetica del
secolo del Rinascimento, dalla
cupola di S. Maria del Fiore al
David di Michelangelo.
ANALISI TESTUALE
1. IL MOVIMENTO NARRATIVO
La protagonista del canto è
Angelica, anzi protagonista è la
sua fuga. In realtà la donna non
è "attiva" (nel senso che non
prende iniziative che muovano
l'azione) ma muove l'azione in
quanto - fatta oggetto di
desiderio - subisce l'iniziativa
(ricerca) degli altri. Fin
dall'inizio appare chiaramente
come il personaggio ariostesco
viva soprattutto per un'intensa
vita di relazione con gli altri,
non ha un'identità fissa e
immutabile. Perciò non spiccano
individualità nette nel poema ma
complicate trame di relazioni.
2. LE TRASFORMAZIONI
E' un'altra legge interna
all'opera, che si delinea chiara
fin dall'inizio:
** muta la protagonista, che non
ha, come s'è detto, un suo
profilo inequivocabile, ma
"diventa" secondo le
circostanze, ora "donzella
spaventata", tenera e fragile,
ora astuta e calcolatrice; ora
dea della natura, bellissima,
serena e placida.
** mutano gli oggetti della
ricerca. Rinaldo il cavallo,
Ferraù l'elmo. Poi tutti e due
la donna. Poi di nuovo cavallo
ed elmo. Diversità, dunque, e
calcolate simmetrie.
Quello che appare disordine - e
lo era nell'Innamorato del
Boiardo - qui è ordine nascosto,
equilibrio, armonia.
** muta la scenografia. La
foresta è orrida e selvaggia
prima, poi è oasi di pace.
Vengono qui riutilizzati due
"luoghi" (=tropi) classici della
tradizione letteraria: il locus
amoenus (idillico) e la selva
orrida (dantesca). La donna che
fa tutt'uno con la natura è
luogo letterario molto ripetuto,
dagli stilnovisti in poi. E' un
esempio del dissimulato (però
intensissimo) classicismo del
Furioso.
** mutano le convinzioni, i
comportamenti dei personaggi.
Esempio lampante è Sacripante:
ora delicato cantore della
verginità femminile, ora
spregiudicato seduttore. Un
altro esempio è Angelica stessa:
inorridita e senza fiato, astuta
e fredda, ipocrita e civetta,
bella placida e serena.
3. L'ATTESA DELUSA
Il meccanismo che governa il
mutamento non è, però, casuale,
ma risponde ad un principio,
quello dell'attesa delusa. Le
cose cambiano sì, ma nel modo
meno aspettato, deludono le
attese, le speranze e i progetti
e le intenzioni sortiscono
effetti contrari a quelli
voluti. Infatti i cavalieri non
trovano quello che cercano e
trovano quello che non hanno
cercato.
Ma questo meccanismo apre,
svela, un tema cruciale: i
parziali e isolati smacchi
preludono all'attesa delusa
centrale e dominante, da cui
scaturisce la follia di Orlando
e, a livello non tragico,
alludono alla magia del castello
di Atlante, luogo delle vanità
come la Luna indagata da
Astolfo.
4. LA FIGURA RETORICA DOMINANTE
Naturalmente questa trama
ideologica e questo sentimento
della vita incidono sullo stile:
domina nel canto un segno
retorico che, in senso lato, può
dirsi OSSIMORO. Cominciando dal
titolo, proseguendo nella
seconda ottava (furore/matto -
saggio). Tutto il poema sembra
fondarsi sull'ironica,
sorridente, giustapposizione di
episodi e personaggi fra loro
contrastanti, sull'allineamento
di situazioni che si smentiscono
a vicenda. E' però anche vero
che l'ossimoro non distrugge con
il suo pluralismo l'autonomia
dei singoli elementi. Cioè
Angelica "è" l'agnello incalzato
dai lupi, ma "è" - anche -
utilitaristica femmina che
sfrutta la passione di
Sacripante ecc.
5. L'INTERVENTO IRONICO
Proprio nel mezzo di questi
"ossimori" scatta più incisiva
la reazione personale, il
commento del poeta alla vicenda
narrata, sempre improntato a
ironico distacco, a
contemplazione saggia, divertita
e amara di quello che è la vita,
ma tuttavia, come standosene un
po' "al di fuori".
** Ecco il giudicio uman come
spesso erra…: ed entra in campo
la lunga metafora dell'errare,
verbo tipico dei luoghi cruciali
del poema, verbo della follia
d'amore e della ricerca della
felicità, sempre però delusa.
** Oh gran bontà dei cavallieri...:
ed è qui liquidata, senza
clamori, la contrapposizione
medievale in nome della fede.
Qui vige il codice cavalleresco
dell'onore, del rispetto che,
umanisticamente, scarta ogni
"razzismo" ideologico.
** Forse era ver, ma non però
credibile...: qui Ariosto
s'insinua per gettare un seme di
dubbio e per dirci che, in
fondo, Angelica è donna, non dea
sovrumana (e la riconduce,
perciò, all'umanità e spezza col
realismo il pericoloso incanto
della favola). Ma c'è di più:
"l'azione distruttiva di questo
commento si proietta oltre: essa
vuole creare fin dall'inizio i
presupposti concreti della
visione molteplice del poema, un
controcanto realistico e
demistificante "rispetto
all'idealismo un po' medievale
di Orlando."
INSOMMA REALISMO E
VEROSIMIGLIANZA COME RELATIVISMO
UMANISTICO
BORSELLINO
Il segreto vitale dell'esistenza
è proprio la ricchezza di
desideri, la ricerca di
felicità. Angelica appagata da
Medoro è cancellata... persino
derisa... La condizione
dominante dei personaggi del
Furioso è quella di essere
erranti intellettualmente e
fisicamente, di agire e sentire
entro un mondo illusorio...
Ariosto sa (p.109) con Erasmo
che "eum errorem tollere, est
fabulam omnem per turbare " (Encomium
Moriae XXIX), "significa
interrompere lo spettacolo della
vita". Anche il Furioso è un
elogio della pazzia... La pazzia
che Erasmo esalta è il "iucundus
quidam mentis error" che libera
l'animo dalle ansiose
preoccupazioni e lo colma di
vario piacere, quella stessa
pazzia o errore (parola
tematica) che, come dice
Ariosto, fa vedere a occhi
chiusi il bene e a occhi aperti
il male. Questo piacevole errore
non va curato...
[Nell'episodio di Astolfo] è
evidente la concordanza con le
proposte antidogmatiche del
razionalismo erasmiano, volto a
un recupero integralmente
umanistico del mondo, anche
negli aspetti irrazionali.
[Astolfo dalla luna non porta -
diversamente da Dante - alcun
messaggio]. La vita sarà quello
che sarà e lo spettacolo del
mondo non sarà interrotto. Ma
come ogni spettacolo, anche
questo del mondo ha bisogno di
una regìa, che sappia
distribuire le parti e
armonizzarle. Solo i poeti sanno
organizzarlo, il mondo; perciò
S. Giovanni pronuncia
un'orazione in difesa della
poesia: la poesia non è verità
[anzi è favola, invenzione e
ribaltamento del vero. E' così
sconsacrata l'antica
identificazione di poesia e
verità e sapienza e celebrato
umanisticamente il poeta come
creatore d'un macrocosmo
alternativo a quello reale.]
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