IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

ARGOMENTI

Questione della lingua
Ludovico Ariosto
Niccolò Machiavelli
Francesco Guicciardini
Rapporto Guicciardini - Machiavelli
Torquato Tasso
 
AGGIORNAMENTI
 

HOME PAGE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


IL CINQUECENTO

TASSO: MADRIGALI AMOROSI

 

Il primo madrigale è una lievissima rappresentazione di elementi naturali colti in rapida, fugace successione. E qui si concentra la capacità emozionale del poeta, più che sugli ultimi versi che segnano la comparsa in scena della donna (Laura Peperara, evocata mediante il senhal petrarchesco de «l'aura», e implicata in un gioco di rime interne e di rispondenze foniche: «Aurora, aura, aura, ristaura», oltre che concettuale: l'Aurora è annunciata dall'aura mattutina e a sua volta annuncia Laura...). Il poeta trascorre rapido sugli elementi naturali che rappresenta, senza soffermarsi su alcuno; ma tutti si fondono in quadro unitario e coerente. Funzionali a questo esito complessivo appaiono la struttura sintattica (un periodo, diviso in due membri introdotti da «ecco» e costituiti ciascuno da una serie di frasi coordinate, con uso dell'infinito che produce rime interne - mormorar, tremolar, cantar, rider - nel primo membro e con uso dell'indicativo nel secondo), la struttura metrica a rima baciate (con rime a eco ai vv. 1-2 e 13-14), la presenza di chiasmi (ad es. «tremolar / fronde/a l'aura / sovra i rami / augelli / cantar», «alba / appare / specchia / rasserena / imperla / gelo» ma anche «rasserena il cielo / e le campagne imperla»), di parallelismi e di rime interne.

Il secondo madrigale, Amatemi, ben mio, assai più modesto poeticamente, si risolve invece in un diffuso gioco concettuale e verbale, fondato com'è per tutta la sua lunghezza sulla figura della paronomasia (o bisticcio), applicata al motivo dell'amore e dell'amare (e derivati), a sua volta legato in antitesi a quello del morire. Questo madrigale può ben rappresentare uno degli esiti estremi raggiunti dal Tasso in direzione della artificiosità espressiva: e come tale lo abbiamo proposto.

Il terzo madrigale, Non sono in queste rive, è stato definito dal Di Benedetto un «piccolo cosmo di sensazioni - visive, uditive, termiche, olfattive - soffuso di dolce erotismo e tradotto in agile musica». E possiamo aggiungere che il sensualismo, in tutte le sue accezioni, che diffusamente percorre questa sezione della lirica tassiana, accanto al vivo e intenso musicalismo, costituisce uno degli apporti alla lirica cinquecentesca che sarà più apprezzato e imitato dai poeti barocchi.

Atmosfera paesaggistica e sentimentale assai diversa è espressa dal quarto madrigale, Qual rugiada o qual pianto, delicato notturno soffuso d'una struggente malinconia per la partenza dell'amata. Ma se l'atmosfera è diversa, la musicalità e la capacità di legare natura e sentimenti in un unicum che arricchisce di sfumature emozionali entrambe le componimenti è la medesima dei componimenti precedenti (il I e il III) e forse anche maggiore. Si notino le predicazioni antropomorfiche a proposito di elementi naturali («lagrime», «volto», « dolendo» ), la ripetizione delle interrogative che non poco contribuisce a determinare la linea melodica del testo e infine l'insieme dei procedimenti (assonanze, rime interne, allitterazioni, ecc.) che, con la metrica, .costituiscono la trama di rispondenze sonore e musicali di base del testo.

Il quinto madrigale è una giocosa fantasia che mescola erotismo e crudeltà, amore e morte in suggestiva condensazione metaforica. Il poeta vorrebbe tramutarsi in ape e, giocando sull'equivalenza tradizionale donna / fiore, vorrebbe suggere il «mele» dall'amata. Ma ecco che la fantasia si complica: dal suggere il polline si passa al trafiggere, al pungere, ché la donna è amata sì ma «crudele» e il poeta vuol quindi al tempo stesso appagare il suo desiderio (suggere) e vendicarsi della sua indifferenza (pungere). Pungere il cuore evoca poi le tradizionali immagini di Cupido che fa innamorare trafiggendo il cuore deglì uomini coi suoi strali: il poeta-ape non può trafiggere il cuore dell'amata, facendola innamorare; si accontenta allora di trafiggerle il seno («dolce ferita»). Con questo atto compie la vendetta, appaga il desiderio, e può morire felice (giacché l'ape quando punge muore). Può esser utile a proposito di questo madrigale citare alcuni versi dell'Aminta (IV, 1, vv. 1615-19) che svolgono un motivo analogo. I versi si riferiscono ad Aminta, creduto morto, proprio nel momento in cui Silvia mostra pietà per la sua sorte e inclina all'amore:

 

  Tu in guisa d'ape che ferendo muore
e ne le piaghe altrui lascia la vita,
con la tua morte hai pur trafitto al fine
quel duro cor che non potesti mai
punger vivendo.
 

 

Mario Fubini

© 2009 - Luigi De Bellis