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IL CINQUECENTO
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PROFILO DEL TASSO
La vita del Tasso (1544-1595),
tormentata ed errabonda, e la
sua sensibilità vigile e
inquieta, introspettiva e
malinconica, vennero mitizzate
in età romantica. Ma il Tasso fu
profondamente uomo del proprio
tempo, di cui rispecchiò le
crisi e le contraddizioni. Entrò
subito in contatto con le
principali istituzioni del tempo
(corte, chiesa, accademia) e
rappresentò esemplarmente il
modello dell'intellettuale
laico, cortigiano negli alti e
nei bassi, dall'acclamazione
alla segregazione. Esperienze
poi come la "pazzia" e le
peregrinazioni, se sono una spia
delle inquietudini profonde
dello scrittore, possono forse
anche rivelare,
nell'inquietudine, un'ansia di
libertà che nelle istituzioni
non trova spazio.
Come nella vita così nell'opera
il Tasso mostra di vivere tutto
l'arco della crisi della civiltà
rinascimentale. La sua
esperienza letteraria anzi pare
sovente oscillare tra il fascino
dei valori terreni e l'ansia di
adesione a quelli religiosi e
controriformistici, verso cui
decisamente inclina negli ultimi
e più cupi anni.
Se la critica ha sovente
rintracciato nel "lirismo" uno
dei fili conduttori di tutta
l'opera del Tasso, le liriche in
senso stretto - le Rime -
occupano un posto importante
nell'ambito della sua produzione
letteraria, non solo perché
composte per tutto l'arco della
vita in gran numero (oltre 2000
testi) e perché campo di
elaborazione sentimentale e
stilistica in vista dei
capolavori, ma anche e
soprattutto per i risultati
raggiunti, per il rinnovamento
linguistico-stilistico che fanno
del Tasso il maggiore dei lirici
del tardo Cinquecento. Divise in
encomiastiche, amorose e sacre
le Rime del Tasso - di cui si
segnalano il sensualismo, la
capacità di rappresentare una
gamma vastissima di sfumature
sentimentali, emozionali e
affettive e l'intensa e
ricercata musicalità -
costituirono un nuovo modello,
dopo il Petrarca, il Bembo e il
Casa, per le successive
generazioni di letterati.
Fra i generi frequentati dal
Tasso, scrittore versatile e
infaticabile, una particolare
importanza per i risultati
raggiunti hanno anche la favola
pastorale e la tragedia. Negli
anni di più felice creatività
egli mise mano pressoché
contemporaneamente all'Aminta e
al Galealto. La prima, opera di
straordinaria suggestività, è
uno dei capolavori del Tasso e
del Cinquecento italiano: è un
dramma interiore, più che
d'azione, che vive nel contrasto
tra l'amore disperato di Aminta
e la sdegnosa ritrosia di Silvia
e soprattutto del lento
maturarsi del sentimento d'amore
nella ninfa, colto e
rappresentato delicatamente nei
gesti, negli sguardi, nei
rossori e nei silenzi. Il
Galealto rimase invece
incompiuto, e solo molti anni
più tardi venne rielaborato e
portato a compimento col titolo
di Re Torrismondo, un'opera che
trasmette un senso di cupa e
desolata disperazione, consono
al genere, ma in parte
accentuato dalla personale
vicenda tassiana.
Ma è certo l'epica il genere
tassiano per eccellenza, sia per
la presenza della Gerusalemme
liberata sia per la continuità
di impegno con cui in sede
teorico-critica e pratica egli
vi si dedicò: a partire
dall'abbozzo del Gierusalemme e
del poco successivo Rinaldo (che
costituisce, rispetto alla
materia eroica già individuata
con l'abbozzo ora citato,
un'incursione nel campo del
romanzesco-cavalleresco)
attraverso le riflessioni
critiche dei Discorsi (nelle due
edizioni) e la Liberata sino al
tardo rifacimento di questa che
porta il titolo di Gerusalemme
conquistata. La Liberata è il
capolavoro anche se il Tasso non
considerò mai il testo che noi
leggiamo come definitivo: fra le
caratteristiche salienti sono la
scelta della materia della
crociata - scelta felicissima
nell'interpretare diffuse
esigenze della cultura e della
società del tempo - nonché la
capacità e la volontà di analisi
della vita psicologica e
sentimentale con ricchezza
straordinaria di sfumature e di
intuizioni, che danno ai
personaggi della Liberata una
profondità interiore sconosciuta
alla precedente tradizione. Se
per questi e altri aspetti la
Liberata è il poema eroico
cristiano cui aspirava l'età del
Tasso ed è un poema d'affetti
che rinnova in profondità il
genere epico, esso è anche il
poema della crisi del
Rinascimento per il conflitto di
valori culturali, morali,
estetici, ideologici che
nasconde (semplificando:
rinascimentali-controriformistici).
E se nella Liberata si attua un
felicissimo equilibrio tra le
opposte istanze, la sua
precarietà è testimoniata dalle
stesse vicende correttorie
editoriali dell'opera e dalla
direzione che prende la
definitiva rielaborazione del
Tasso.
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