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IL CINQUECENTO
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TASSO: RIME
Sono duemila circa, tra sonetti,
canzoni, madrigali e liriche
d'altro metro, e non
costituiscono come il Canzoniere
del Petrarca un'opera in sé
conchiusa, essendo frutto di
un'attività marginale di
Torquato Tasso, il quale le
compose con signorile
prodigalità dall'adolescenza
agli ultimi suoi anni, né mai
pensò di raccogliere le migliori
in una scelta, che del resto non
avrebbe potuto avere, per la
disparata materia e i differenti
spiriti, una qualsiasi unità. Si
distinguono in "Rime per
Lucrezia Bendidio", "Rime per
Laura Peperara", "Rime amorose e
stravaganti" "Rime d'occasione e
d'encomio", "Rime religiose" e
rispecchiano gli aspetti e i
momenti della vita varia e
travagliata del poeta: il
giovane innamorato; il
cortigiano perfetto, abilissimo
a ben tornire per il diletto
delle dame e dei cavalieri un
elogio, un complimento o uno
scherzo, e sempre pronto a
cantare nozze, nascite, morti
principesche; il letterato
sensibilissimo a tutti i
suggerimenti della sua vasta
cultura letteraria e desideroso
di tentare le immagini, i metri,
i costrutti più diversi; il
dolente prigioniero di Sant'Anna,
non mai stanco di indirizzare a
personaggi grandi e minori
dell'età sua suppliche per la
propria liberazione, intessendo
preghiere ed elogi; il grande
infelice infine, che cerca nella
poesia religiosa conforto ed
edificazione. Non molte sono
quelle che ci rivelano la vita
intima del poeta, e di queste
nessuna appartiene ai due
canzonieri amorosi, composti
piuttosto per vaghezza
letteraria che per passione
profonda: Lucrezia, Laura e le
altre donne della lirica
tassesca sono figure
evanescenti, e il Tasso grande
poeta d'amore è da cercare nella
Gerusalemme liberata, negli
episodi di Tancredi, di Erminia,
di Armida. Ma in tutte è sempre
un artefice impeccabile e non
mai privo di note originali, e
in moltissime appare uno spirito
singolarmente sensibile che sa
trovare anche in componimenti
d'occasione un inatteso motivo
di canto. Felicissimi, per
questo rispetto, non pochi
madrigali, composti per essere
musicati e già musica essi
stessi nel libero alternarsi dei
settenari e degli endecasillabi,
nel gioco delle rime e delle
assonanze: delicate fantasie di
bellezze femminili e di una
natura tutta penetrata di sensi
umani; belli, fra gli altri,
quelli celebranti Bianca
Capello, granduchessa di
Toscana, e la villa medicea di
Poggio a Caiano. Ai madrigali si
apparentano per l'ispirazione
altri componimenti, tra i
migliori del poeta, quali la
cosiddetta "Corona",
celebrazione vaghissima della
bellezza della giovane Laura
sopra uno sfondo di cieli, di
acque, di verde in una serie di
stanze artificiosamente
congiunte ("Vaghe Ninfe del Po,
Ninfe sorelle"); il sonetto
"Negli anni acerbi", celebrante
la bellezza matura di Lucrezia
d'Este; la canzone "Alla
montagna di Ferrara", bella
fantasia mitologica e
cortigiana; l'elegantissima e
maliziosa canzone "Alla bruna",
la cameriera della corteggiata
contessa di San Vitale;
l'epitalamio per Marfisa d'Este,
arditamente sensuale; la canzone
a Maria di Savoia; la canzone e
la sestina a Porzia Mari, tutta
immagini preziose. Altra poesia
è quella ispirata dalla
disgrazia e dalla reclusione in
Sant'Anna: indimenticabili le
due canzoni "Alle principesse
Estensi" e "Ad Alfonso d'Este",
nostalgica rievocazione dei beni
perduti la prima, e tragica
rappresentazione dello stato
presente la seconda, e alcuni
sonetti nei quali il poeta
riesce a fissare l'orrore della
propria tragedia ("Signor, nel
precipizio ove mi spinse -
Fortuna ognor più caggio inver
gli abissi... Or dal profondo
oscuro a te mi volgo - E grido
"A me, nel mio gran caso
indegno, - Dammi, che puoi, la
destra e mi solleva!""). Fra
tutti quei componimenti si
distingue il frammento della
canzone "Al Metauro",
indirizzata al duca d'Urbino,
nella quale il poeta ha tentato
di abbracciare con uno sguardo
superiore tutta la propria vita
dominata da un avverso destino.
Meno originali le liriche
religiose, pagine di paludata
eloquenza o atti di devozione:
tra le migliori per accenti più
personali è la canzone "Alla
Clemenza".
Simile all'usignolo, il Tasso
riempie l'aria e il bosco dei
lamenti armoniosi d'un cuore che
trabocca d'amore. (Goethe).
Mentre professava di trattar
l'amore alla maniera del
Petrarca, egli lo sentiva come
Ovidio, ed esprimevalo talvolta
come Anacreonte, ma sempre più
delicatamente dell'uno e
dell'altro... Del linguaggio che
adopera è sempre creatore egli
stesso: linguaggio nuovo, eppur
corretto, pieno di dolcezza e
maestà, di sublimità e
d'evidenza. (Foscolo). Delle sue
Rime sopravvive qualche sonetto
e qualche canzone, effusione di
anima tenera e idillica. Invano
vi cerco i vestigi di qualche
seria passione. Repertorio
vecchio di concetti e di forme,
con i soliti raffinamenti. (De
Sanctis).
A parte le liriche d'intera e
armonica compiutezza, splendori
di vivida poesia illuminano
grandi distese d'ogni
componimento. Non è lecito
confondere il Tasso con la
schiera dei rimatori
cinquecenteschi... Iperboli,
sforzature retoriche, concettini
e giochi di parole ed antitesi:
tutto ciò che si chiamerà
secentismo si trova nelle rime
del Tasso, ma fa spiegatamente,
candidamente, la sua parte
caduca: di là dalla quale si
sente il Tasso melodioso, di
quella dolente melodia che è
nella voce ciò che sulla luce
degli occhi vivi è il primo e
fuggitivo palpitare del pianto.
(F. Flora)
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Mario
Fubini | |
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