IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL CINQUECENTO

TASSO: RIME

 

Sono duemila circa, tra sonetti, canzoni, madrigali e liriche d'altro metro, e non costituiscono come il Canzoniere del Petrarca un'opera in sé conchiusa, essendo frutto di un'attività marginale di Torquato Tasso, il quale le compose con signorile prodigalità dall'adolescenza agli ultimi suoi anni, né mai pensò di raccogliere le migliori in una scelta, che del resto non avrebbe potuto avere, per la disparata materia e i differenti spiriti, una qualsiasi unità. Si distinguono in "Rime per Lucrezia Bendidio", "Rime per Laura Peperara", "Rime amorose e stravaganti" "Rime d'occasione e d'encomio", "Rime religiose" e rispecchiano gli aspetti e i momenti della vita varia e travagliata del poeta: il giovane innamorato; il cortigiano perfetto, abilissimo a ben tornire per il diletto delle dame e dei cavalieri un elogio, un complimento o uno scherzo, e sempre pronto a cantare nozze, nascite, morti principesche; il letterato sensibilissimo a tutti i suggerimenti della sua vasta cultura letteraria e desideroso di tentare le immagini, i metri, i costrutti più diversi; il dolente prigioniero di Sant'Anna, non mai stanco di indirizzare a personaggi grandi e minori dell'età sua suppliche per la propria liberazione, intessendo preghiere ed elogi; il grande infelice infine, che cerca nella poesia religiosa conforto ed edificazione. Non molte sono quelle che ci rivelano la vita intima del poeta, e di queste nessuna appartiene ai due canzonieri amorosi, composti piuttosto per vaghezza letteraria che per passione profonda: Lucrezia, Laura e le altre donne della lirica tassesca sono figure evanescenti, e il Tasso grande poeta d'amore è da cercare nella Gerusalemme liberata, negli episodi di Tancredi, di Erminia, di Armida. Ma in tutte è sempre un artefice impeccabile e non mai privo di note originali, e in moltissime appare uno spirito singolarmente sensibile che sa trovare anche in componimenti d'occasione un inatteso motivo di canto. Felicissimi, per questo rispetto, non pochi madrigali, composti per essere musicati e già musica essi stessi nel libero alternarsi dei settenari e degli endecasillabi, nel gioco delle rime e delle assonanze: delicate fantasie di bellezze femminili e di una natura tutta penetrata di sensi umani; belli, fra gli altri, quelli celebranti Bianca Capello, granduchessa di Toscana, e la villa medicea di Poggio a Caiano. Ai madrigali si apparentano per l'ispirazione altri componimenti, tra i migliori del poeta, quali la cosiddetta "Corona", celebrazione vaghissima della bellezza della giovane Laura sopra uno sfondo di cieli, di acque, di verde in una serie di stanze artificiosamente congiunte ("Vaghe Ninfe del Po, Ninfe sorelle"); il sonetto "Negli anni acerbi", celebrante la bellezza matura di Lucrezia d'Este; la canzone "Alla montagna di Ferrara", bella fantasia mitologica e cortigiana; l'elegantissima e maliziosa canzone "Alla bruna", la cameriera della corteggiata contessa di San Vitale; l'epitalamio per Marfisa d'Este, arditamente sensuale; la canzone a Maria di Savoia; la canzone e la sestina a Porzia Mari, tutta immagini preziose. Altra poesia è quella ispirata dalla disgrazia e dalla reclusione in Sant'Anna: indimenticabili le due canzoni "Alle principesse Estensi" e "Ad Alfonso d'Este", nostalgica rievocazione dei beni perduti la prima, e tragica rappresentazione dello stato presente la seconda, e alcuni sonetti nei quali il poeta riesce a fissare l'orrore della propria tragedia ("Signor, nel precipizio ove mi spinse - Fortuna ognor più caggio inver gli abissi... Or dal profondo oscuro a te mi volgo - E grido "A me, nel mio gran caso indegno, - Dammi, che puoi, la destra e mi solleva!""). Fra tutti quei componimenti si distingue il frammento della canzone "Al Metauro", indirizzata al duca d'Urbino, nella quale il poeta ha tentato di abbracciare con uno sguardo superiore tutta la propria vita dominata da un avverso destino. Meno originali le liriche religiose, pagine di paludata eloquenza o atti di devozione: tra le migliori per accenti più personali è la canzone "Alla Clemenza".


Simile all'usignolo, il Tasso riempie l'aria e il bosco dei lamenti armoniosi d'un cuore che trabocca d'amore. (Goethe).

Mentre professava di trattar l'amore alla maniera del Petrarca, egli lo sentiva come Ovidio, ed esprimevalo talvolta come Anacreonte, ma sempre più delicatamente dell'uno e dell'altro... Del linguaggio che adopera è sempre creatore egli stesso: linguaggio nuovo, eppur corretto, pieno di dolcezza e maestà, di sublimità e d'evidenza. (Foscolo). Delle sue Rime sopravvive qualche sonetto e qualche canzone, effusione di anima tenera e idillica. Invano vi cerco i vestigi di qualche seria passione. Repertorio vecchio di concetti e di forme, con i soliti raffinamenti. (De Sanctis).

A parte le liriche d'intera e armonica compiutezza, splendori di vivida poesia illuminano grandi distese d'ogni componimento. Non è lecito confondere il Tasso con la schiera dei rimatori cinquecenteschi... Iperboli, sforzature retoriche, concettini e giochi di parole ed antitesi: tutto ciò che si chiamerà secentismo si trova nelle rime del Tasso, ma fa spiegatamente, candidamente, la sua parte caduca: di là dalla quale si sente il Tasso melodioso, di quella dolente melodia che è nella voce ciò che sulla luce degli occhi vivi è il primo e fuggitivo palpitare del pianto. (F. Flora)

 

Mario Fubini

© 2009 - Luigi De Bellis