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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XI
Nel primo
girone, dove si sconta il
peccato di superbia, i penitenti
recitano la preghiera del «Pater
Noster», invocando l'aiuto di
Dio per sé e per coloro che sono
rimasti sulla terra. A Virgilio,
che ha chiesto la strada più
breve per giungere al passaggio
che porta al secondo girone,
risponde una delle anime, che,
in un secondo tempo, rivela di
essere Omberto Aldobrandeschi,
appartenente ad una delle più
note famiglie nobili della
Toscana: l'orgoglio per
l'antichità della sua stirpe e
la grandezza delle azioni dei
suoi antenati gli fecero
dimenticare che la terra è la
madre comune di tutti,
spingendolo a disprezzare il suo
prossimo. Intanto un altro
penitente, girandosi con penosa
fatica sotto il masso che lo
opprime, riconosce Dante, che
ritrova così, nella prima
cornice, l'amico Oderisi da
Gubbio, famoso miniatore del
tempo, Dopo avere ricordato che
la sua fama è ora stata oscurata
da un altro artista, il
bolognese Franco, Oderisi
enuncia una legge alla quale
nessuno si può sottrarre: vana è
la gloria alla quale gli uomini
tendono con tutte le loro forze,
perché essa scompare subito se
non è seguita da un periodo di
decadenza. Così nella pittura
Giotto ha sostituito Cimabue, e
nella poesia Guido Cavalcanti è
ora più famoso di Guido
Guinizelli, ed è forse già nato
chi sovrapporrà la sua alla loro
voce. Un altro esempio storico
della brevità del mondan romore
è offerto dalla vicenda di
Provenzano Salvani, un tempo
signore di Siena e ora pressoché
dimenticato. Il canto si chiude
con il ricordo di una grande
azione di umiltà compiuta da
Provenzano per salvare la vita
di un amico.
INTRODUZIONE CRITICA
È facile - di fronte a canti
che, come l'undicesimo, portano
in primo piano la presenza di
amicizie, interessi e problemi
personali del Poeta - rilevare
lo sfondo autobiografico,
analizzare l'articolarsi
narrativo di una confessione
che, con forza irresistibile,
rivela l'antinomia fra il Dante
reale, proteso ancora nel mondo
contingente (nel desiderio della
gloria o nella dura critica
politica per il caso particolare
dell'XI) e il Dante ideale,
abbandonato ad un anelito
religioso che esige il
superamento di quel mondo.
Nonostante la vastità e
l'intensità di questa esperienza
umana, tuttavia, sarebbe sempre
un limite necessariamente
angusto e povero quello entro
cui verrebbe chiuso uno
svolgimento poetico, che trova
il suo lievito vitale
nell'esperienza vissuta e nella
sofferta partecipazione di
Dante, per trasfigurarle in quel
valore universale che all'arte
si richiede perché sia tale.
"Anche qui - afferma il Grabher
che ha dedicato un'acuta analisi
al canto XI - il particolare è
trasceso da una visione che
attinge la sua altezza da un
senso eterno e universale
dell'umana vita; senso a cui ha
dato alimento la personale
sofferenza del Poeta, uomo tra
gli uomini, peccatore tra i
peccatori; ma nella superiore,
distaccata rappresentazione
dell'arte, l'individuale
esperienza dell'uomo non lascia
altra traccia che quella di una
passione e di un patimento, che
danno lo stesso accento umano
alla rappresentazione di tutti
gli umani peccati". In altri
termini, accettando la
definizione del Montano, secondo
la quale è la vicenda dell'anima
l'essenza della poesia del
Purgatorio, nel canto XI ogni
incontro costituisce una nuova
apertura, un altro momento del
cammino per la conquista della
salvezza, durante il quale
l'anima ripassa attraverso
l'esperienza del male, ne
riconosce la natura e se ne
libera, osservando questo suo
processo come qualcosa di
passato, di staccato, che è
rimasto nella sua memoria e che
deve essere riprodotto come
qualcosa di reale. Infatti
"nella nostra mentalità moderna
un processo come questo è
riconosciuto e ritratto
attraverso una analisi
interiore, una ricerca più o
meno sottile nei vari confusi
moti della coscienza. Nel
Medioevo le fasi e le forze del
dramma personale apparivano e
potevano essere obiettivate in
figure e conflitti reali"
(Montano). Perciò le figure di
Omberto, Oderisi e Provenzano
hanno una loro vita autonoma,
un'interiore coerenza drammatica
secondo le manifestazioni della
propria indole, configurandosi
in gesti, parole, reazioni, che
appartengono a loro soltanto,
che si presentano come note
peculiari della loro
personalità, indipendentemente
da quella del Poeta, anche se a
questa - per il rapporto fra
creatore e creatura -
strettamente unite. Nell'ambito
di questa trama interpretativa è
cosi possibile seguire
l'alternarsi - con una funzione
dialetticamente drammatica dei
momenti di rappresentazione
vasta e corale con quelli in cui
la visione si restringe al
particolare e al concreto,
cosicché il continuo passaggio
dalla legge all'esempio e
dall'esempio alla legge si
dispone in modo che il
particolare conferisce maggiore
concretezza all'universale e la
legge universale arricchisce di
valore e senso eterno il
particolare. Al tono generale
della preghiera del "Pater
Noster" segue l'immagine delle
anime disparmente angosciate,
all'esortazione perché i vivi
preghino per i penitenti succede
la richiesta da parte di
Virgilio del varco... che men
erto cala, al motivo della
gloria passeggera degli uomini,
la dimostrazione storica. Nelle
parole di Omberto si profila, al
di là della casata degli
Aldobrandeschi, il mondo feudale
con il suo orgoglio di stirpe,
contrapposto alla grande
immagine della terra, madre
comune, mentre il senso
dell'effimero e dell'eterno si
dispiega a sorreggere il grave
discorso di Oderisi e la figura
di Provenzano, nella quale al di
sopra di Siena, di Firenze,
delle lotte del mondo, appare la
visione della giustizia divina,
che, dopo essersi mostrata
attraverso la pena dei superbi
nel suo aspetto più severo,
trapassa in quello della bontà
infinita, salvatrice, dopo
Manfredi, Bonconte e tanti altri
spiriti, anche di Provenzano in
virtù di un gesto di carità.
Infine il canto termina con una
umanissima digressione, nella
quale il Poeta si ferma
decisamente alla sua storia, al
suo particolare dramma. Queste
situazioni illustrano,
esemplificandola, la distesa
tematica della superbia al
limite estremo in cui tale
motivo si viene convertendo in
quello della vanità della
gloria, con una cadenza
estremamente funzionale e di
fortissimo rilievo
nell'economia, non solo del
canto XI, ma di tutto il
Purgatorio: nel procedimento
antitetico e nella densità
epigrammatica del discorso di
Oderisi, che costituisce il
centro prospettico del canto, si
svolge una costruzione
concettuale che nulla perde
della sua logica serrata per il
fatto di essere, da un lato, un
problema drammaticamente attuale
nell'animo di Dante e di subire,
dall'altro, un travestimento
riccamente immaginoso. Il Poeta
sviluppa l'affermazione dell'Ecclesiaste
- fatta propria dal pensiero
medievale a partire da Boezio
che "il tutto è vanità e inutile
affanno" (I, 14) di fronte
all'eterno, apparentemente
opponendosi a quanto aveva
dichiarato nell'Inferno (canto
XXIV, versi 47-51), dove il
perseguimento della fama era una
delle più nobili mete da
raggiungere. Tuttavia là essa
era additata, in contrapposto
all'ignavia di chi si abbandona
ad una vita senza ideali
seggendo in piuma o sotto
coltre, come testimonianza e
misura dell'altezza a cui l'uomo
può giungere grazie alla sua
azione, mentre nella
dimostrazione di Oderisi la
gloria terrena è contemplata e
negata come valore assoluto ed
eterno, senza nulla togliere, in
validità, all'opera di chi si
sforza, proponendosi una meta,
di meglio realizzare le proprie
capacità, ma mostrando
l'inutilità di tale sforzo
allorché la ricerca affannosa
del mondan romore sostituisce o
nasconde la visione eterna di
Dio.
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