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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XII
In seguito
all'invito del maestro, Dante,
che finora aveva camminato al
fianco di Oderisi, lascia la
schiera dei superbi e procede
oltre, osservando sul pavimento
del primo girone numerosi
bassorilievi, che rappresentano
esempi di superbia punita e nei
quali gli episodi sono presi
alternativamente dal mondo
ebraico-cristiano e da quello
pagano: da Lucifero, che dopo il
suo atto di ribellione precipita
dal cielo, alla città di Troia,
che a causa dell'orgogliosa
superbia dei suoi cittadini fu
dagli dei punita con la
distruzione totale. Dopo aver
ammirato l'arte somma con la
quale le raffigurazioni sono
state eseguite, Dante rimprovera
con durezza la superbia degli
uomini, che impedisce loro di
vedere il male che compiono. I
due pellegrini continuano il
cammino, finché appare loro,
splendente di luce, l'angelo
dell'umiltà, che indica la scala
per accedere al secondo girone,
cancellando dalla fronte di
Dante il primo dei sette P
incisi dall'angelo guardiano
alla porta del purgatorio, e
intonando, mentre i poeti
salgono una ripida scala, la
prima delle beatitudini: "Beati
pauperes spiritu!" Poiché Dante
avverte meno fatica di prima,
chiede spiegazione di questo
fatto al maestro: man mano che
egli avanza nel regno della
penitenza, dice Virgilio, la
volontà di purificazione aumenta
e scompare ogni senso di
difficoltà e di pena; ma il
Poeta, per essere sicuro che il
primo P è scomparso, ha bisogno
di toccare la sua fronte, quasi
incredulo di tanto miracolo.
INTRODUZIONE CRITICA
Nel canto XII le situazioni di
pura fantasia e i rilievi di
sostanza morale non si
presentano come separate
orientazioni del racconto, ma
come complementari cadenze
costruttive, come due aspetti
tematici di un medesimo nucleo
narrativo, il quale continua a
riproporre, sia pure con
invenzioni spirituali e
stilistiche diverse, l'elogio
dell'umiltà già tessuto nei due
canti precedenti, con i quali il
XII ha in comune anche un
persistente stato d'animo di
amarezza e di malinconia, che la
luminosa apparizione della
creatura bella, bianco vestita
riuscirà solo in parte ad
attenuare. La problematica della
superbia, che si configura nella
dolorosa storia della follia
umana, quale sovvertitrice di
ogni ordine morale e politico,
porta il Poeta ad una ricerca
dottrinale, il cui impegno gli
preclude, in questo canto, ogni
contatto con le singole anime,
allargandosi il suo sguardo ad
un esame generale delle vicende
umane (la ricchezza e la varietà
degli esempi ne é chiara
testimonianza), per tradursi nei
termini risentiti e sarcastici
delle due apostrofi -
riflessioni (versi 70-72 e
95-96), che concludono, con
richiami precisi e con
espressioni ancora più ferme e
risolute, quelle del X e dell'XI
canto. La presenza dell'umano,
che aveva trovato una poetica
individuazione nei personaggi
del canto precedente, tende ora
a dissolversi in due esperienze
la cui sostanza non ha alcun
rapporto con il contingente, se
non nella misura in cui essa é
percepita da Dante: la visione
della volontà superiore di Dio,
che con il suo intervento
ristabilisce nel corso delle
cose un ordine che gli uomini
hanno tentato di distruggere e
la visione dell'angelo che di
quella volontà é, agli occhi del
pellegrino, la più vistosa
manifestazione. È dunque una
poesia che non si regge su
alcuna figura caratteristica, ma
che cerca il valore
rappresentativo ed emotivo su un
piano misterioso, su una realtà
di immutabile ed imperscrutabile
giudizio con la quale l'animo
del Poeta si pone in rapporto
per osservare, con precisa
attenzione (versi 7-9; 13-15;
70-72; 77-78; 94-96; 127-135),
le reazioni della sua vita
spirituale a contatto con il
trascendente. Ogni scena,
infatti, si deve disporre in
modo coerente e rigoroso a
delineare la compiuta
rappresentazione di un momento
particolare della storia morale
dell'uomo, quello in cui
scompare definitivamente il
primo peccato, per intervento
diretto della Grazia, preceduto
però, da parte della creatura,
da uno sforzo di consapevole e
razionale correzione (i
continui, pressanti inviti di
Virgilio, la ragione naturale,
sono volti, infatti, a questo
fine preciso). La vera
espressività del canto XII é
dunque di sostanza dottrinale,
alla quale conferiscono
ricchezza di rilievi, di
atteggiamenti e di toni le
immagini e il racconto della
varia vicenda, segnata, inoltre,
dalla ritmata presenza di versi
aspri o modulati o martellati o
vigorosi che quasi ne
sottolineano e ne scandiscono i
tratti essenziali. Dal verso
folgoreggiando scender da un
lato, il quale risolve in una
repentina movenza drammatica il
momento di mesta commozione
scaturita dalla puntura della
rimembranza (che pareva
costituire un incisivo, anche se
fugace accenno autobiografico),
a quello or superbite, e via col
viso altero, nel quale
trascorre, con una cadenza
popolaresca, la tonalità
polemica di tutta la
dimostrazione; dall'ammonimento
di Virgilio pensa che questo dì
mai non raggiorna!, nel quale
vengono sapientemente
amplificate tutte le precedenti
esortazioni, congiungendo la
concreta storicità della figura
umana di Dante con il valore
perenne ed universale dell'exemplum,
al contemplante indugio di
fronte all'angelo nel cui volto
par tremolando mattutina stella,
dove il lungo procedimento
narrativo degli esempi si
dissolve in una ineffabile
visione poetica, ricca di
richiami dolcestilnovistici, nel
modo prezioso e trasumanante in
cui il Poeta aveva un tempo
ornato l'immagine della donna
amata. Il XII si presenta perciò
come un canto di una notevole
complessità di sviluppo e di
stile, rilevabile nel prodigio
delle sculture, il cui sintetico
valore le rende più vive del
fatto stesso che illustrano,
nella esattezza minuziosa della
descrizione, nel fresco
abbandono all'estro della loro
invenzione, nella suggestione
figurativa-liturgica
dell'angelo, nella varietà
sottile dei passaggi, nella
sapienza degli spunti, nella
potenza, infine, del suo
significato spirituale, che é
oltre il velo di tutte quelle
scene e parole, scaturendo da
una visione sostanzialmente
negativa della storia umana (a
questo invito vegnon molto radi)
e della possibilità di
resistenza della creatura di
fronte al peccato (perché a poco
vento così cadi?). Questa pagina
dantesca, che pareva, a prima
vista, sostanziata solo dal
virtuosismo dell'arte, diventa
cos? un documento di come il
Poeta riesce a chiudere, nel
breve arco di un canto, il
motivo della meditazione
penitenziale, insistentemente
condotto - secondo la formula
medievale dell'insegnamento - su
esempi visivi, il gusto rituale
che percorre tutta la seconda
cantica, il passaggio da Dante
personaggio lirico, che soffre e
riflette con la stessa umiltà
delle anime penitenti, a Dante
personaggio drammatico, che,
proprio in nome di quella umiltà
che potrebbe ristabilire la pace
nel mondo tormentato dalla
tracotanza, con l'asprezza e la
epicità del profeta giudica e
condanna gli uomini (versi 70-72
e 94-96), il rapporto continuo,
dialetticamente vivissimo, e non
marginale ed estrinseco, fra
maestro e discepolo. Tale
rapporto chiarifica,
ravvivandoli con l'affetto del
dialogo, i diversi momenti
spirituali del canto fino al
dolce sorriso finale di
Virgilio, che sembra
riacquistare solo nel XII una
più decisa funzione di guida,
dopo l'indecisione
dell'antipurgatorio e lo
smarrimento nell'accostare le
prime realtà del purgatorio.
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