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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XIII
Nel
secondo girone, dove sono punite
le anime degli invidiosi, i due
pellegrini odono gridare, da
voci misteriose che attraversano
l'aria, tre esempi di carità: il
miracolo di Cristo alle nozze di
Cana, l'amicizia profonda che
legava due famosi eroi greci.
Oreste e Pilade, il comando
evangelico all'amore fraterno. I
penitenti, addossati a una nuda
parete e coperti da ruvidi
manti, si sorreggono gli uni
alle spalle degli altri: i loro
occhi appaiono chiusi, cuciti da
un filo di ferro che impedisce
loro di scorgere la luce del
ciel. Dante, che teme di
mostrarsi scortese passando
dinanzi alle anime senza
rivelare la sua presenza, chiede
se in mezzo a loro c'è qualche
italiano: ma, risponde una voce,
ogni uomo ha una sola patria,
che è quella celeste. Dante
avanza verso l'ombra che ha
parlato per conoscerne il nome o
il luogo di nascita; appare così
la figura della nobildonna
senese Sapia, la quale confessa
il suo peccato di invidia, che
la portò a gioire più del male
altrui che del proprio bene
personale, spingendola a
chiedere a Dio anche la rovina
della sua patria. Alla fine
della vita si convertì, ma solo
le preghiere di un umile
venditore di pettini della sua
città le evitarono una lunga
sosta nell'antipurgatorio.
Durante il colloquio con Sapia,
che non rinuncia a colpire,
anche nell'al di là, con dura
ironia i suoi concittadini, il
Poeta riconosce che il suo animo
è occupato non tanto dal peccato
di invidia, quanto da quello
della superbia, che egli
sconterà sotto il peso dei
macigni del primo girone.
INTRODUZIONE CRITICA
I due canti dedicati agli
invidiosi si configurano in
strutture esteriormente
differenti - presentandosi il
XIII diviso nella parte dedicata
alla descrizione della pena e in
quella dominata dalla singolare
figura di Sapia e il XIV
accentrato intorno al
personaggio di Guido del Duca,
impegnato nella dura
requisitoria contro la
degenerazione morale del tempo -
ma sostanzialmente dipendenti:
nell'ambientazione esteriore,
dove la natura povera ed opaca
sembra vivificata dal misterioso
trasvolare delle voci e la
smarrita desolazione che
percorre il gruppo dei penitenti
ciechi crea, tranne che
nell'episodio di Sapia, un
penoso disorientamento
nell'animo di Dante, e nella
forte motivazione
politico-morale, che colpisce
nel peccato dell'invidia una
delle cause fondamentali della
corruzione civile. Tuttavia il
XIII non è costruito con lo
stretto nesso logico e l'intensa
concatenazione degli stati
spirituali che caratterizzeranno
il canto seguente, essendo
avvertibile, nonostante il
parere contrario del Momigliano,
una certa frattura fra il tono
tenue e malinconico dei versi 1
- 93, che nulla perde del suo
pacato distendersi per
l'intervento di forti punte
realistiche (versi 37-39 e
70-72), e quello sbalzato con
linee decise e rilevanti per
dare volto al personaggio di
Sapia, come se la moltitudine
delle anime espianti le facesse
da bassorilievo. Si opera un
brusco stacco, senza che il
lettore sia preparato, fra il
pietoso protendersi di Dante
verso le anime così duramente
punite e il linguaggio aspro e
tagliente che apre e chiude il
discorso di Sapia, cosicché di
fronte all'evidenza di questa
figura di donna non ancora
domata nel suo peccato di
invidia e nel suo carattere
bilioso, non solo passa in
secondo piano il gruppo di
coloro ai quali un fil di ferro
i cigli fora e cuce, ma si
spegne anche quel sentimento di
pietà al quale il Poeta aveva
fatto appello (versi 52-54). "Se
ci ricordiamo di un altro canto,
il V del Purgatorio, non
possiamo non rilevare che colà
la pietà che comincia a sentirsi
per quelle anime di uccisi -
Jacopo del Cassero, Bonconte da
Montefeltro continua a sentirsi,
e più profonda, per Pia dei
Tolomei, così triste e
rassegnata, così soave e
riserbata : anch'essa senese, ma
quanto diversa da Sapia! Mentre
di quella, alla fine del canto,
ci resta ancora l'eco di quella
voce soave e dolente, in cui
sembra esalare la pietà di tutto
quel canto ch'è la dolorosa
rassegna di tante vite
miseramente uccise, di
quest'altra senese, Sapìa, ci
resta invece l'eco stridula di
un carattere riottoso e
invidioso, che non ci tien desto
quel senso di pietà che avevamo
provato per quella folla di
ciechi prima descritta: anzi lo
distrugge e lo cancella. " (Biondolillo)
La critica ha accentuato questa
mancanza di unità rigorosa,
preferendo prendere in esame,
del canto XIII, la figura di
Sapia, in omaggio al criterio
esegetico che accentra
l'interesse sul personaggio
protagonista del canto,
scarsamente lumeggiando quello
che, ad una prima lettura,
potrebbe apparire come elemento
di sfondo, o, tutt'al più, come
valido accompagnamento della
vicenda principale. Invece, in
questo caso, è interessante
sottolineare il meditato
procedimento narrativo,
attraverso il quale è più
facilmente percepibile la
compiuta capacità di delineare
la complessa psicologia di
Sapia, la quale con l'impeto ed
il rilievo crescenti delle sue
parole rompe l'uniformità
spirituale dei suoi compagni di
pena, vela per un istante il
livido grigiore del secondo
girone per riportarci
all'animata vita senese del
tempo, dimentica l'orrore della
pena per riprendere il
peccaminoso atteggiamento di un
passato non ancora lontano,
scuote da sé le lagrime che per
l'orribile costura premevan sì,
che bagnavan le gote, ritornando
all'antico carattere, scontroso,
invidioso, sarcastico,
combattivo, in quel voluto gioco
- sul quale poggia la varietà
poetica e strutturale di tanta
parte del Purgatorio - che
accosta stati d'animo diversi,
gli uni ancora legati
all'esperienza umana del
penitente, gli altri solo ora
suggeriti dal vitale
accostamento alle realtà
sovrannaturali. Mai una vita è
stata così nettamente delineata
e lucidamente rivissuta, quasi
la cecità alla quale Sapia è
costretta avesse concentrato
ogni sua forza spirituale in una
tensione interiore che le
permetta di ripercorrere l'arco
dei suoi anni con la stessa
precisione assoluta con la quale
lo sguardo del Poeta si è prima
disteso sulla lunga fila delle
ombre con manti al color della
pietra non diversi... di vil
ciliccio... coperti, dove l'un
sofferìa l'altro con la spalla,
con la stessa tragica lentezza
con la quale egli ha osservato
il fil di ferro che i cigli fora
e cuce e l'orribile costura. La
veemenza del carattere di Sapia
è poeticamente realizzata e
rilevata dall'opposizione con
l'anonima schiera compenetrata
alla roccia, dove ogni persona
fisica appare annullata. La voce
di Sapia, la prima e la più
pronta a rispondere alla
richiesta di Dante, rivela, pur
nel rifiuto di applicare al
mondo della penitenza le
categorie puramente umane, una
forza repressa che aspetta solo
un'occasione propizia per
manifestarsi, per riprendere,
con una mordacità dettata non
solo dal suo temperamento, ma
anche da una superiore visione
degli uomini, da una coscienza
più elevata, acquistata dopo la
salvezza, un'analisi che dentro
di sé non ha mai interrotta,
perché - ed è uno dei motivi che
rendono singolarmente
indimenticabile quell'ombra che
lo mento a guisa d'orbo in su
levava - lo spirito di Sapia si
mostra curioso indagatore di
ogni moto della sua anima,
attento giudice di ogni suo
atteggiamento, capace di
un'autocondanna che rischia di
annullare la sua personalità nel
satirico accostamento alla
figura del merlo.
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