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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XVIII
Virgilio,
sempre rimanendo nel quarto
girone, continua la trattazione
del tema dell'amore per chiarire
al suo discepolo in che modo
questa affezione possa essere
inizio di ogni bene e di ogni
male. L'animo per natura è
disposto all'amore, e ogni volta
che la facoltà conoscitiva gli
presenta una cosa piacevole, si
dirige verso di essa: questa
inclinazione è amore. Nasce
tuttavia, in Dante un dubbio
intorno alla libertà dell'uomo,
guidato da impulsi che vengono
dall'esterno e spinto da forze
naturali; non soggette alla sua
volontà. Ma Virgilio afferma che
nella creatura umana agisce
anche la ragione, che ha il
compito di studiare, scegliere e
guidare le tendenze naturali.
Intanto la luna è già comparsa
nel cielo e Dante, preso da
improvvisa sonnolenza, viene
riscosso dal sopraggiungere di
una turba di anime che avanzano
in corsa affannosa: sono gli
accidiosi, che per contrappasso
devono ora mostrare lo zelo che
non ebbero in vita. Gli esempi
di sollecitudine, che ricordano
la visita della Vergine ad
Elisabetta e la fulminea
rapidità delle imprese militari
di Cesare; sono gridati da due
anime, come quellî di accidia
punita, anch'essi ispirati dal
mondo ebraico-cristiano e da
quello romano. Dante in questo
girone presenta un solo
penitente: l'abate del monastero
veronese di San Zeno, che
rimprovera ad Alberto della
Scala di aver ora concesso
quella carica ad un figlio
degenere.
INTRODUZIONE CRITICA
Nel canto precedente Virgilio ha
chiarito l'ordinamento morale
del purgatorio, fondando il suo
argomentare sul principio
dell'amore, da lui inteso,
razionalisticamente, nel suo
mero proporsi naturale - quale,
fin dai primordi della
speculazione greca, era apparso
-: tendenza estesa ad ogni
ordine di esseri,. impulso denso
di un proprio gravame di
ineliminabile fisicità, qualità
oggettiva del mondo, di per sé
suscettibile di tradursi in
esiti moralmente non meno
positivi che negativi. La
definizione dell'essenza di
amore (che mi dimostri
amore...), svolta dal poeta
latino nella prima parte del
canto XVIII (versi 16-39 e
49-75), lascia insoddisfatto il
suo discepolo: configurato in
tali termini amore sembra
infatti negare ogni sussistenza
al problema delle responsabilità
umane, ogni considerazione di
ciò che é bene e di ciò che è
male (versi 43-45). Il punto che
Dante chiede al suo maestro di
determinare è quello focale
fondante il regno dei fini e dei
valori - in cui, nella
ineluttabilità della legge
naturale, si inserisce la scelta
dell'uomo, la libera elezione
che rende quest'ultimo, pur
partecipe della realtà naturale
- in quanto unione indissolubile
di anima e corpo (forma
sustanzial, che setta è da
matera ed è con lei unita) - un
essere spirituale, schiuso a
traguardi che la natura, in
quanto creata, contiene in sé
impliciti, ma ignora. Virgilio
chiarisce la possibilità di
controllare il volgersi d'amore
verso l'oggetto da esso, secondo
la terminologia scolastica,
«intenzionato», ricordando la
necessità di un freno da parte
della ragione (virtù che
consiglia, e dell'assenso de'
tener la soglia). Ma, una volta
posto amore come principio
ineluttabile, legge operante con
la cecità di una forza della
natura, quali sono le
possibilità reali che ha la
ragione di controllarlo e
dirigerlo? Soltanto se
svincolato dal determinismo che
esprime il succedersi degli
eventi naturali, soltanto se
concepito nel suo aspetto
sorgivo, spirituale - in quanto
origine e giustificazione
luminosa del mondo stesso -
l'amore può assurgere a
principio di spiegazione di ogni
aspetto del reale, conferendo in
tal modo la positività che ad
esso compete anche all'amore
naturale, teorizzato dai Greci
come indiscriminata attrazione
che lega e separa gli esseri
secondo gli arbitri del caso.
Opportunamente osserva il
Montano che, per la saggezza
"aristotelica" di Virgilio "il
problema è quello soltanto della
virtù che consiglia e
dell'assenso de' tener la
soglia. Virgilio non può sapere
che questa scelta può valere
assai poco se non c'è un'altra
libertà, quella dal male. Il
mondo cristiano può aver
accettato il libero arbitrio
classico come ha accettato la
moralità che ne è derivata (però
moralità lasciaro al mondo dice
con giusto orgoglio Virgilio).
Ma la moralità antica - aveva
detto fra gli altri,
splendidamente, Ugo di San
Vittore - è costituita di
"membra della virtù staccate dal
corpo della bontà; ma le membra
della virtù non possono essere
vive senza il corpo della carità
di Dio»". Con riferimento alla
risoluzione del discorso di
Virgilio nel silenzio e nel buio
signoreggiato dalla incombente,
onnipresente luce lunare (versi
76-87), il Montano aggiunge:
"Quando Virgilio avrà parlato,
Dante ritroverà sotto la sua
penna un'altra delle immagini
splendide... così cariche di
senso simbolico... : la luna,
quasi a mezza notte tarda... È
come un grido che si leva
dall'anima del pellegrino che
ascolta ed è qui giunto - alla
metà giusta del cammino - alla
più alta conquista della
ragione. Ma è anche vero che
Virgilio, pure qui, al culmine
delle umane possibilità
razionali, è soltanto al livello
di una limitata, parvente luce
riflessa. La sua ragione vince
col lume tutte le altre stelle;
ma la notte è intorno". In altre
parole, amore non può essere
assunto a principio legittimante
la totalità del reale se non
viene rapportato ai temi della
Grazia e del peccato, della
creazione e della redenzione,
nel punto folgorante in cui
l'eternità vivifica il tempo, là
dove l'uomo, dopo la caduta
dallo stato di innocenza, si
trova nella necessità di
scegliere tra il bene e il male,
di trascendere, proprio per
giungere alla salvezza, l'amore
naturale, il principio
limitatore del piacere (ad ogni
cosa è mobile che piace). II
discorso di Virgilio - che il
vincolo di una comune
aspirazione a superare ogni
singola certezza acquisita per
un più vasto orizzonte di
certezze, nonché una costante,
trepida sollecitudine legano al
suo discepolo - offre aspetti di
notevole interesse sia in ordine
alla definizione di un tema
(quello dell'amore) dal Poeta in
prima persona vissuto e
liricamente trasfigurato fin dai
tempi della Vita Nova, sia per
le risoluzioni formali cui dà
luogo e nelle quali culmina quel
pathos dell'intelligenza come
incessante ricerca della verità,
che aveva anticipato l'ampia
gamma dei suoi motivi fin dal
canto XV. Le definizioni, pur se
ineccepibili dal punto di vista
della terminologia filosofica
dell'epoca, sono permeate
ovunque di un fervore lirico
prima che raziocinante. Un
semplice aggettivo, un giro
sintattico che nulla in
apparenza sembrerebbe dover
allontanare dalle cadenze della
prosa sono sufficienti a
sollevare a poesia temi ed
argomentazioni che nella
trattatistica medievale e negli
stessi scritti teorici di Dante
restavano involuti e
pedantescamente astratti. Basti
ricordare, a titolo di esempio,
un verso come l'animo, ch'è
creato ad amar presto, nel quale
il concetto della innata
mobilità dell'anima umana si
alleggerisce del peso di ogni
dottrina nell'aggettivo che
quasi festosamente lo suggella;
in questo verso, al tempo
stesso, la presenza
nell'orizzonte mondano di amore
nella sua forma irriflessa è
limpidamente ricondotta alla sua
scaturigine sacra, riallacciata
senza termini interposti al dono
della creazione. Di formulazioni
analoghe, dense di una
interiore, compatta pregnanza di
echi concettuali risolti in
musica, è intessuto l'intero
dialogare dei due poeti sui temi
dell'amore e del libero arbitrio.
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