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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO II
L'aurora
sorge sull'orizzonte del
purgatorio mentre i due
pellegrini sostano, pensosi ed
incerti del cammino, lungo la
riva del mare. All'improvviso
appare lontano, sulle acque, una
luce rosseggiante che si
avvicina velocemente alla
spiaggia: Virgilio riconosce
l'angelo nocchiere del
purgatorio ed esorta il
discepolo ad inginocchiarsi in
segno di omaggio. L'uccel divino
giunge su una veloce navicella
ché trasporta più di cento
anime, le quali, ad una voce,
cantano il salmo "In exitu
Israel de Aegypto". Dopo averle
benedette con il segno di croce,
l'angelo riparte lasciando sulla
spiaggia le anime, le quali
chiedono consiglio a Dante e
Virgilio sul cammino da
intraprendere. Allorché si
accorgono che Dante è vivo,
grande è la loro meraviglia,
finché una di esse, che aveva
tentato di abbracciare il Poeta,
viene da questo riconosciuta: è
l'anima di Casella, un musico e
cantore amico di Dante. Dopo
avere spiegato ché le anime
destinate al purgatorio si
raccolgono alle foci del Tevere
in attesa dell'angelo nocchiere,
su preghiera dell'amico, che
ricorda quanto fosse per lui
rasserenante il suo canto,
Casella intona una canzone del
Convivio. Tutti ascoltano
intenti, ma Catone li scuote,
rimproverando questo indugio
nell'espiazione dei loro
peccati. Le anime e i due
pellegrini si dirigono correndo
verso il monte come colombi
spaventati da un rumore
improvviso.
INTRODUZIONE CRITICA
La lettura del canto secondo del
Purgatorio deve essere condotta
su un piano drammaturgico, il
quale però rimandi
costantemente, con la forza
propria d'una rappresentazione
morale, al piano spirituale di
cui è simbolo visivamente
esplicantesi. Le iniziali
precisazioni astronomiche,
preoccupate di rendere la
situazione della luce e
dell'ora; il lento avvicinarsi
sull'orizzonte visivo del lume
che prende via via forma fino ad
assumere la limpida suggestione
d'un primo piano; la presenza,
sin dalla prima apparizione
dell'angelo nocchiero, di un
rapporto tra l'azione
rappresentata e l'io del Poeta;
le risonanze bibliche e la
meditazione sulla condizione
pellegrinante del cristiano,
introdotte dall'inizio del salmo
"In exitu Israel de Aegypto" ;
l'intermezzo musicale che aduna
un pubblico ed un coro attorno
all'amico musico e cantore; il
sovrapporsi della meditazione
sull'amicizia alla meditazione
sul mistero della vita come
peregrinatio; l'intervento di
Catone che disperde la cerchia
animata dal canto per richiamare
la preminenza e sollecitudine
del fine supremo sulla
precarietà del terrestre; il
rompersi finale del pubblico e
lo sciogliersi dell'azione, la
cui resa visiva è affidata alla
similitudine dei colombi: di
drammaturgia si può parlare se
si pensa allo svolgimento
ritmico di questi quadri che si
muovono con logica rapidità,
rivelandola sapienza registica
del Poeta. Nella ricchezza di
movimento esteriore come
significazione di una realtà
spirituale il canto secondo è
intimamente legato al primo, ma
è soprattutto nella sua
dimensione liturgica che
costituisce il logico sviluppo
dei due riti di purificazione
officiati da Virgilio,
attraverso i quali Dante è
entrato nella "società delle
anime". L'insistenza con cui il
Poeta ritorna sul candore
dell'uccel divino (m'apparìo
un... bianco; i primi
bianchi...; più chiaro appariva)
non può non ricordarci che il
bianco è il colore che predomina
nella liturgia battesimale e in
quella pasquale del giorno di
Risurrezione, mentre il
sacerdotale segno di croce,
ieraticamente solenne,
dell'angelo, consacra il primo
momento corale di tutto il
Purgatorio e il primo incontro
di Dante con l'umanità
penitente. "Tutta la montagna
del purgatorio ci appare come
un'immensa basilica affollata di
riti e risuonante dei canti e
delle preghiere dei fedeli. In
exitu Israel de Egipto è come l'introibo
nel mondo dell'esaltazione della
penitenza; è come l'antifona di
un lungo ufficio divino, di cui
gli angeli sono in certo senso
gli officianti. "(Marti) In
questa prospettiva liturgica,
allorché termina il canto non
può che iniziare un colloquio
corale (se voi sapete,
mostratene la via... voi credete
forse che siamo esperti...), in
cui si svela anche uno stato
d'animo comunitario di umiltà e
di smarrimento - di fronte al
monte che nessuno ancora
conosce. Le letture critiche di
questo canto si sono accentrate
o attorno alla ricerca d'una
musicalità presente in tutto il
canto ed espressa da Casella,
oppure attorno alla meditazione
sulla condizione di pellegrino
del cristiano, significata dalle
anime del vasello snelletto e
leggiero e dal burbero
intervento del veglio onesto. Il
Ferrero e l'Albini seguirono
ambedue la linea della ricerca
musicale (la notazione del
Boccaccio su un Dante che
"sommamente si dilettò in suoni
e canti nella sua giovinezza" e
il famoso passo del Convivio
[II, XIII, 24] nel quale si
descrivono gli effetti della
musica su un animo nobile,
"musica trae a sé li spiriti
umani... si che quasi cessano da
ogni operazione" offrono
l'occasione, se non altro, per
un confronto fra l'ars nova
della musica medievale e il
contemporaneo stil novo),
rilevando che la musicalità dei
versi è, in questo canto,
scandita dalla pittoricità delle
apparizioni e dall'evanescenza
un po' trasognata delle immagini
e delle similitudini.
Continuando su questa strada la
Batard tenta addirittura una
lettura delle immagini sul
contrappunto di movenze
musicali, affermando che anche
l'effetto della sorpresa di
Catone, che interviene a rompere
la zona d'abbandono all'arte, è
musicale: "l'intervento di
Catone è anzitutto un elemento
poetico: Catone fa il censore,
ma, richiamando la similitudine
dei colombi, fornisce il tema
musicale del canto
dell'amicizia". L'episodio di
Casella, attraverso il motivo
della solenne glorificazione
dell'arte - nel rapimento della
musica come mediatrice di
spiritualità, costituisce un
brano di autobiografia dantesca,
secondo il Marti, nel quale il
Poeta evoca nostalgicamente i
miti culturali della lontana
giovinezza, e lo sforzo amoroso
e tenace con cui volle
realizzarli in sé "all'epoca
delle grandi speranze e delle
grandi illusioni", in una
Firenze "tanto politicamente
vischiosa, quanto culturalmente
aperta e luminosa". È questo un
momento in cui chiara si avverte
la dialettica fra Dante poeta e
Dante personaggio, fra l'io
poetico "che deve trascendere le
limitazioni dell'individualità
per conseguire un'esperienza di
universale esperienza" e l'io
empirico che è l'"occhio
individuale necessario per
percepire e fissare la materia
d'esperienza"(Spitzer) :
l'intervento di Catone
restituisce a Dante la
consapevolezza di sé, ché come
uomo è in cammino verso la
salvezza e come poeta agli altri
si offre maestro di vita.
Occorre perciò "correre al monte
a spogliare lo scoglio". Del
resto già prima di questo
oblivioso abbandono la
condizione di pellegrini era
stata subito dichiarata dal
Poeta: ma noi siam peregrin come
voi siete. Se questa è la
condizione umana, bisogna
conservarsi come gente che pensa
a suo cammino, e non sostare,
adagiandosi nella contemplazione
della realtà terrestre e nella
meditazione dei valori umani.
Per questo l'intervento di
Catone è giustificato:
"l'intransigenza - nota
l'Apollonio - fa parte di ogni
dignitoso e coerente esercizio
ascetico, anche se contraddice
quella aspirazione umanistica,
cui Dante allude, della
purificazione attraverso
l'arte...".
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