|
|
|
DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
|
|
|
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
|
|
| |
| | |
DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
 |
 |
 |
 |
CANTO XXX
Alla fine
del canto XXIX un tuono
improvviso ha fatto fermare la
processione che avanzava
lentamente lungo il Letè. Mentre
tutti i personaggi del corteo si
volgono verso i carro, uno dei
ventiquattro seniori ripete per
tre volte, cantando, le parole
«Veni, sponsa de Libano», subito
seguito da tutti gli altri: è
invocata, in questo momento, la
presenza di Beatrice.
Immediatamente dopo compare sul
carro un gruppo di angeli, che
pronuncian le parole:
«Benedictus qui venis!» e
gettano ovunque fiori, dicendo:
«Manibus, oh, date lilia
plenis!» . All'improvviso, in
mezzo a questa nuvola di fiori,
vestita di rosso, coperta di un
manto verde, con il capo
circondato da un velo bianco,
che è sostenuto da una ghirlanda
di ulivo, appare Beatrice.
Davanti a lei, benché siano
passati dieci anni dalla sua
morte Dante sente, con la stessa
intensità di un tempo, la forza
dell'amore. Per rivelare questo
momento di smarrimento si volge
verso Virgilio, accorgendosi
solo ora che il maestro lo ha
lasciato: nessuna bellezza del
paradiso terrestre può allora
impedire al Poeta di dare libero
sfogo al suo dolore attraverso
il pianto. Ma Beatrice lo
richiama, lo esorta a conservare
le sue lagrime per una
sofferenza più profonda, che fra
poco egli proverà.
L'atteggiamento della donna è
fiero e regale, e le sue parole
severe provocano nel pellegrino
un penoso senso di vergogna e di
abbattimento, dal quale sembra
riscuotersi allorché gli angeli
intervengono in suo aiuto di
fronte a Beatrice. Ma ella
dichiara che il dolore del
pentimento deve essere pari alla
gravità delle pene commesse,
poiché - continua - Dante, pur
essendo dotato di ogni più
felice disposizione al bene, si
lasciò traviare nella sua
giovinezza, abbandonandosi al
peccato. Infatti, finché visse
Beatrice, la presenza della
donna amata gli fu guida
sufficiente sulla strada del
bene, ma dopo la sua morte egli
si incamminò per via non vera e
a nulla valsero i tentativi da
lei compiuti per ricondurlo sul
retto cammino. L'unico rimedio
efficace consisteva
nell'ispirargli orrore per il
peccato, mostrandogli tutte le
brutture e le sofferenze
dell'inferno: per questo
Beatrice stessa discese nel
limbo per chiedere l'aiuto di
Virgilio in questa impresa.
INTRODUZIONE CRITICA
La pagina che, strutturalmente,
appare la chiave di volta del
poema, in quanto punto di
convergenza più esplicito, nella
trama della narrazione,
dell'umano e del divino -
l'incontro di Beatrice con Dante
nel paradiso terrestre - è
introdotta da un ricco
svolgimento per metafore e
similitudini: quella che si
incentra su una nuova
considerazione del bello arnese,
analiticamente descritto nel
canto precedente, quella che
prospetta in una luce di gloria,
dalla quale ogni angoscia per la
sentenza divina è assente, la
risurrezione dei corpi, quella,
distesa in modulazioni di più
agevole pittura, nella quale è
riproposto il cromatismo
simbolico della processione
della Chiesa, e che istituisce
un parallelismo fra temperanza
di vapori e nuvola di fiori,
adombrante un analogo
parallelismo fra il sole e la
donna che sta per apparire.
L'incontro nell'Eden fra il
Poeta e la donna da lui amata in
gioventù ha la solennità di una
rivelazione con Beatrice,
infatti, un piano di significati
e mete superiori a quelli che la
ragione poteva comprendere o
anche soltanto intravedere, è
destinato a svelarsi all'anima
peregrinante. Per questo un
attento lettore di Dante e un
buon conoscitore della
letteratura religiosa del
Medioevo, il Singleton, non ha
esitato a considerare la discesa
di Beatrice nel paradiso
terrestre come una trasposizione
analogica, nei termini della
vicenda occorsa a Dante,
dell'avvento di Cristo. Ecco
quanto scrive un critico, il
Montano, che ha accolto la
suggestiva interpretazione del
Singleton, riassumendo le
conclusioni dello studioso
americano: "Noi sappiamo bene
che la visione di Cristo,
l'incontro con la luce può
effettuarsi in noi attraverso la
parola di qualcuno, l'azione
miracolosa di un santo, può
identificarsi con un qualunque
momento della nostra vita
terrena. Per Dante, nella vita
reale e ancora qui sulla vetta
del purgatorio, la luce di
Cristo si manifesta o in certo
senso si incarna in Beatrice, la
donna amata che - era già certo
per il Poeta fin dai tempi della
Vita Nova - era diventata
santa". Osserva il critico come
l'analogia sia suggerita
dall'invocazione, "con
l'aggettivo al maschile",
«Benedictus qui venis», nonché
dal modo in cui l'apparizione di
Beatrice è dal Poeta
configurata. E' noto, infatti,
che il sole è nell'opera di
Dante contrassegnato dal
costante riferimento simbolico
al principio di ogni essere, a
Dio. Aggiunge il Montano: " Più
decisamente che nella storia
finora seguita, qui Dante,
Virgilio, Beatrice sono le
figure di una cerimonia sacra.
Ed è solo su questo piano che
l'atteggiamento di Beatrice, la
quale subito assale Dante con
aspra rampogna, con tono che
poco si addice a una donna
amata, a una santa che viene dai
cieli incontro a colui che le è
devoto e che lei stessa ha
salvato, è su questo piano che
le parole di Beatrice acquistano
un senso. Essa è infatti il
Cristo che giudica, la Chiesa
che deve assolvere, ma che
richiede che il peccatore si
renda contrito, dichiari la
propria indegnità". In quanto
prefigurazione del Cristo
giudice, in quanto ministra di
un rito, la figura di Beatrice,
quale ci appare nei canti del
paradiso terrestre, risulta
assai lontana da quella della
giovinetta idealizzata, al di
fuori di ogni preoccupazione
teologica, nella Vita Nova. Il
richiamo all'esperienza
giovanile, richiamo che diverrà
esplicito nelle parole di
Beatrice nel canto successivo, è
in questa sezione della
Commedia, preludio al magistero
di Beatrice nella terza cantica
- soltanto funzionale e
subordinato: gli anni giovanili
non sono oggetto di un
vagheggiamento nostalgico, ma
soltanto il termine cui la
condotta di Dante deve essere
commisurata, indicano una
vocazione al bene che si è
contaminata e che attende il
proprio riscatto. Lo stile del
Poeta si adegua a questa
situazione mutata, al rifiuto di
qualsiasi appagamento suggerito
da un Amore che non abbia per
suo termine la comprensione
degli esseri nel loro principio,
e comporta pertanto una serie di
risoluzioni. formali aspre e
sintatticamente recise, tali
cioè da suggerire il clima
ascetico della sua confessione.
Beatrice, la quale nella Vita
Nova sembrava dissolversi negli
stati d'animo dello scrivente,
rifiutando, quasi peso terrestre
che la inquinasse, ogni accenno
ad una individuazione oggettiva,
appare qui - dopo la
similitudine della nuvola di
fiori, la quale ancora risponde
ad un gusto di raffinata
stilizzazione gotica - come
figura le cui caratteristiche
principali sono la volontà, la
forza dell'argomentare, la
capacità di guida e di comando,
onde il Poeta non si fa scrupolo
di paragonarla ad un ammiraglio
che sovrintende alle manovre
della navigazione. Risulta
pertanto inefficace qualsiasi
raffronto tra la esperienza
stilnovistica del componimento
giovanile e il modo in cui è
presentato qui l'incontro con
Beatrice, allorché tale
raffronto miri a valorizzare il
raccoglimento del sogno
giovanile a scapito della
prepotente esteriorizzazione di
questa pagina del Purgatorio, la
quale traduce gli stati d'animo
del pellegrino in aspetti del
divenire della natura. Tale
esteriorizzazione si concreta
nella lunga similitudine che
accosta lo sgorgare del pianto
di Dante al " trapelare in sé" -
primo segno del risorgere della
vita e, sul piano di una
rispondenza analogica, primo
indizio di un risorgere a vita
autentica, nella luce del vero -
della neve costretta
all'immobilità nelle selve
desolate. Ricordiamo, in
proposito, il significato che ha
in Dante, fin dalla chiusa magia
delle Rime petrose, l'inverno:
quello di una desolazione che
simboleggia l'estremo
inaridimento dell'anima. Non a
caso, quindi, la pervicacia del
peccatore, restio ad accogliere
la Grazia, è suggerita da un
quadro naturale che ogni segno
di vita sembra aver abbandonato:
la punizione dei traditori nel
Cocito nasceva dall'esigenza di
tradurre un analogo dato
teologico in forme visibili.
|
|
|
| |
 |
 |
 |
 | |