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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO IV
Più di tre
ore sono trascorse
dall'apparizione dell'angelo
nocchiero quando Dante e
Virgilio, in seguito
all'indicazione delle anime
degli scomunicati, iniziano la
salita lungo uno stretto
sentiero, la cui ripidità è tale
che solo il grande desiderio di
purificazione può aiutare a
percorrerlo. Durante l'ascesa
Dante può rendersi conto, meglio
che non quando si trovava ancora
lungo la spiaggia, dell'altezza
e dell'asperità del monte del
purgatorio: ha un momento di
scoraggiamento, dal quale il
maestro lo scuote esortandolo a
raggiungere un ripiano sul quale
potranno riposare. Qui giunti,
Virgilio spiega al discepolo
perché i raggi del sole nel
purgatorio provengono da
sinistra, mentre nell'emisfero
artico chi guarda verso levante
vede il sole salire nel cielo
alla sua destra. Ma Dante teme
l'altezza del monte e Virgilio
lo rassicura: l'ascesa è
difficile solo all'inizio,
quando si è ancora sotto il peso
del peccato, poi si presenterà
man mano sempre più facile ed
agevole. Non appena il poeta
latino termina di parlare, si
leva improvvisamente una voce
verso la quale i due pellegrini
si dirigono, finché si trovano
davanti a una grande roccia alla
cui ombra giacciono le anime dei
negligenti, che, per pigrizia,
si pentirono solo all'estremo
della vita e che, per questo,
devono restare
nell'antipurgatorio tanto tempo
quanto vissero. Chi ha parlato è
il fiorentino Belacqua, che
Dante conobbe e con il quale il
Poeta stabilisce un affettuoso
colloquio finché Virgilio gli
ingiunge di proseguire il
cammino.
INTRODUZIONE CRITICA
Le distinzioni psicologiche che
aprono il canto, le successive
designazioni astronomiche, il
senso di fatica dell'ascesa,
l'ironia familiare che circola
nell'incontro con Belacqua,
essendo momenti sovrapposti in
ritmi e tempi diversi,
parrebbero negare la possibilità
d'una lettura unitaria del
canto, limitando l'interesse
alle singole parti. Invece esso
si dispone nella linea di quei
canti la cui validità è da
cercarsi nel rapporto dei
momenti informativi e dottrinali
con gli episodi umani e più
chiaramente poetici, e
nell'analisi dei precisi scopi
che attraverso questo canto
Dante si propone di raggiungere.
Anzitutto la figura del Poeta si
impone come protagonista,
spostando il polo di interesse
dalla pensosa immagine di
Virgilio e dalla regale
apparizione di Manfredi, che
occupano tutto il canto IlI, su
se stesso: parla più che
ascoltare, interroga più che
tacere, agisce più che
smarrirsi, nella raggiunta
certezza della purificazione,
laddove nell'Inferno essa gli
pareva quasi impedita dalla
continua visione del peccato
nelle sue forme più aberranti.
Pur faticosamente, in lui si fa
luce uno stato d'animo nuovo,
quello dell'uomo che si prepara
a godere della sua conquista
spirituale, che riprende
coraggio nei suoi mezzi umani,
che riaccosta con fiducia i
misteri dell'anima e del mondo.
Il dottrinalismo che occupa
tanta parte del canto, ben lungi
dall'opporsi alla poesia, nasce
dalla stessa radice, cioè dal
bisogno di accostarsi al
sovrannaturale,
contemporaneamente studiando e
sistemando il cosmo nel quale il
sovrannaturale vive e si
esprime: il canto IV, nel quale
è diffusa quest'ansia di
conoscere e questa ricerca di
saggezza e di virtù nel cerchio
della redenzione, costituisce
l'esplicita risposta del mondo
cristiano-medievale di Dante
all'ammonimento del pagano
Virgilio, state contenti, umana
gente, al quia, e all'amara
conclusione finale, disiar
vedeste sanza frutto. Il
Fergusson, commentando i canti
dell'antipurgatorio, afferma che
essi costituiscono il prologo al
dramma della crescita spirituale
che inizia a questo punto e
culminerà alla fine del terzo
giorno nella visione di Dio,
prologo nel quale Dante desidera
che il lettore senta la forza di
un'aspirazione che non si può
ancora realizzare, presentando
anime che, fuori del vero mondo
del purgatorio, devono tuttora
scoprire come cominciare la loro
crescita spirituale. Tuttavia il
critico americano non sembra
rilevare l'importanza di questo
canto posto proprio al centro
degli otto dedicati
all'antipurgatorio, poiché il
Poeta, resosi conto
dell'orgoglio che si era
insinuato nella sua scienza e
nella sua baldanza, trova nella
calma lentezza di Belacqua un
"provvido invito all'umiltà per
il pellegrino mortale, ansioso
quasi di anticipare all'anima
sua le gioie di un processo
purificatore stabilito
dall'eterno consiglio, e dal
quale consiglio l'anima non può
che accettare rassegnatamente e
perciò serenamente, il ritmo
esterno, il rituale della
purificazione" (Romagnoli).
L'equilibrio raggiunto -
difficile ma non precario - non
frena il "volo" del pellegrino,
ma lo inserisce in quella zona
di attesa propria di tutte le
anime penitenti, aiutandolo
nello stesso tempo ad
allontanare man mano le vicende
e i ricordi della vita in una
penombra che vela l'asprezza
delle forme ma non la chiarezza
dei contorni. Secondo il
Fergusson Dante si trova ora
nella condizione psicologica di
un bambino: le sue conoscenze
letterarie, filosofiche,
storiche, teologiche dopo la
visione del mondo dannato
servono a ben poco; egli deve
ricominciare e "nel suo candore,
nell'obbedienza all'impressione
immediata, nella libertà del
sentimento è come un bambino...
Ciò che il pellegrino vede,
guardando fuori di sé, è il
mondo naturale come l'occhio
dell'innocenza lo percepisce".
In realtà questa interpretazione
appare troppo semplice, o
meglio, si oppone ad un'attenta
lettura del canto IV, perché se
Dante scopre con gioia,
attraverso le parole di
Virgilio, la legge del corso del
sole nel purgatorio, non si
limita ad accettare, come è
sempre avvenuto finora, la
verità propostagli, ma vuole
completare egli stesso e
concludere la spiegazione del
maestro (versi 76-84): non
l'accoglimento passivo, ma la
fattiva penetrazione sostenuta
da una profonda saldezza
intellettuale - per spiegare la
quale è insufficiente l'immagine
del fanciullo. Se il canto è
impegnativo da un punto di vista
dottrinale e si presenta
estremamente importante dal
punto di vista psicologico, da
alcuni critici è stato però
considerato privo di quel
movimento drammatico che, dopo
aver contraddistinto il canto di
Manfredi, ritorna con la stessa
intensa commozione nel quinto:
una pausa narrativa che culmina
nel gioco scherzoso di battute
dell'episodio di Belacqua. Il
giudizio è esatto solo in parte,
potendosi definire pausa il
fatto che Dante sembra
raccogliersi in se stesso dopo
il primo lungo incontro con
un'anima del purgatorio, quasi
volesse esaminare le proprie
reazioni, e studiare la sua
nuova dimensione spirituale dopo
l'affannoso susseguirsi di fatti
in sul lito diserto. Ma tale
esame non avviene attraverso una
lenta e distesa esposizione,
bensì attraverso l'angustia e
l'asprezza di una salita che
impegna all'estremo i due
pellegrini in una
rappresentazione che ha tutto il
vigore della realtà, vigore che
non si disperde nello scherzo di
due battute finali, ma da esse
prende forza nuova. Perché,
infatti, il valore dell'episodio
di Belacqua è sì nel richiamo
all'umiltà e all'ubbidienza
paziente delle leggi del
purgatorio e nella funzione di
antitesi, affinché dall'immagine
della pigrizia meglio venga
esaltato lo sforzo morale del
Poeta, ma anche nella tonalità
indulgente, nella bonarietà
affettuosa del dialogo, nella
voce del ricordo associata a
luoghi e tempi passati. Occorre
perciò non vedere l'episodio
solo in una visuale allegorica,
ma cogliere in esso un altro
momento autobiografico di Dante,
dopo quello di Casella, fatto di
consuetudine di affetti e di
conversazioni.
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