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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO V
I due
pellegrini, procedendo sempre
nell'antipurgatorio, lasciano la
schiera delle anime negligenti,
una delle quali, mostrando
vivacemente la sua meraviglia
nell'accorgersi che Dante è
vivo, fa volgere il Poeta, che
rallenta il suo passo. Virgilio
lo invita a non perdere di vista
la propria meta, consacrando ad
essa tutte le energie. Intanto
lungo la costa del monte avanza,
cantando il salmo «Miserere», un
gruppo di anime, che notano
subito l'ombra proiettata dal
corpo di Dante: due di esse,
come messaggeri, si accostano ai
poeti per chiedere spiegazioni
intorno alla loro condizione e
infine tutta la schiera si
lancia verso di loro in una
corsa sanza freno. Sono coloro
che furono uccisi con la
violenza e che si pentirono solo
all'ultimo istante di vita: ora
chiedono preghiere per
affrettare la purificazione.
Nella seconda parte del canto
tre di queste anime narrano come
avvenne la loro morte: Jacopo
del Cassero fu ucciso dai sicari
di Azzo VIII d'Este, signore di
Ferrara, del quale era stato
fiero avversario; il ghibellino
Bonconte da Montefeltro
scomparve durante la battaglia
di Campaldino e le potenze
infernali, non avendo potuto
impadronirsi della sua anima, si
vendicarono sul suo corpo,
suscitandogli contro le forze
della natura, che trascinarono
il cadavere di Bonconte
nell'Arno, dove fu coperto dai
detriti del fiume; Pia dei
Tolomei fu fatta uccidere dal
marito.
INTRODUZIONE CRITICA
Vari sono i punti prospettici
dai quali la considerazione
critica del canto può prendere
avvio, puntualizzando
l'esortazione moraleggiante di
Virgilio (il cui richiamo alla
necessità di non indugiare nel
cammino amplia quello del canto
precedente, costituendo un nesso
di collegamento), il rapporto
psicologico fra Dante e la
schiera dei morti violentemente
che invocano preghiere (rapporto
di particolare intensità che si
prolunga nell'inizio del canto
sesto), il frangersi -di tale
incontro in tre figure, che
esemplificano - attraverso la
loro personale esperienza - la
passata vicenda terrena e la
presente disposizione spirituale
dei loro compagni di penitenza.
Ed è l'analisi del rapporto fra
il mondo del peccato e quello
della conversione, che per
queste anime, pentitesi in punto
di morte, si identifica con il
mondo del purgatorio, che
centralizza l'attenzione della
critica, della quale una parte
sottolinea il progressivo
perdersi - nella speranza
dell'ascesa definitiva - della
presenza della vita terrena, e
un'altra la persistenza di un
ricordo angoscioso di violenze:
concorre a mantenere questa
incertezza di giudizio il
linguaggio stesso, che, dopo il
primo concitato colloquiò fra
Dante e le anime, assume un
ritmo narrativo, in cui però il
tono sospeso e distaccato della
rievocazione si mescola alla
notazione realistica e cruda. La
soluzione è dà cercarsi stella
prospettiva particolare
dell'antipurgatorio, dove si
aggirano anime la cui vita
spirituale é ancora all'inizio,
il cui atteggiamento "é come
quello della creatura umana in
generale, spogliata dì una
vivida tradizione, o come quella
di ogni bambino o ragazzo che
non ha ancora trovato sé stesso
nel mondo" (Fergusson) : esse,
passando in un solo istante dal
male al bene (peccatori infina
all'ultima ora), non
esperimentarono neppure un breve
periodo di conversione, non
ricordano, nella loro esistenza,
nessuna tormentosa scelta di
fronte al peccato, nessun dolce
momento. trascorso nella
preghiera, né possiedono uno
spirito fortificatosi nella
drammatica visione del mondo
della dannazione. Per loro
esiste solo la sacralità della
morte, anche se essa è arrivata
dall'agguato dei sicari, dalla
violenza dei nemici, dalla
perfidia di un marito: la
storia, raccontata tre volte, è
sempre la stessa, resa
drammaticamente esplicita ed
esaltante la maestà della morte.
Il tema della morte é l'elemento
« terreno » presente nel canto
ed esprime una conquista che ha
a suo fondamento un dono della
Grazia, ma un dono che non
diventa efficiente se non per
un'accettazione attiva della
creatura umana. II Poeta ha
voluto fermare in loro per
sempre il momento in cui la
creatura si apre alla Grazia,
arrestando ogni ricordo del
passato all'istante in cui
rifluisce in essa, con lo
scorrere di nuovi sentimenti, la
vita spirituale, in cui inizia
la riscoperta di se stessa al di
sopra di ogni odio, laddove le
anime dei dannati - per sempre
immobilizzate nella loro
tragedia terrena - vedevano la
propria storia irrigidita
nell'atto del peccato,
trasformata in cosa, non in
principio vitale, per cui la
dimensione umana, ancora
presente in Jacopo, Bonconte,
Pia, serve ad intensificare il
desiderio della espiazione.
L'innestarsi del sovrannaturale
non provoca in loro uno
smemorante abbandono, ma li
aiuta a determinare con suprema
limpidezza lo svolgersi della
loro esistenza, che ha trovato
il suo motivo di essere solo
nell'attimo in cui è stata
stroncata: Manfredi si preoccupa
ancora di far sapere al mondo la
verità intorno alla sua morte (vadi
a mia bella figlia... e dichi il
vero a lei, s'altro si dice),
mentre l'atteggiamento di queste
tre anime rappresenta, rispetto
a quello, un più fiducioso
abbandono al tempo - al tempo
della Provvidenza - che farà
durare lungo tutte le balze del
monte del purgatorio l'istante
in cui hanno avvertito,
attraverso la violenza subita,
la presenza del sovrannaturale:
esse non fuggono «dall'incubo e
dallo strazio della loro fine»,
come afferma l'Apollonio,
essendo quell'incubo e quello
strazio indissolubilmente legati
alla loro salvezza. Ma l'attenta
psicologia di Dante, che
presuppone tutta l'esperienza
del dolce stil novo nelle sue
direttrici fondamentali - lo
studio approfondito dei moti
dell'animo umano e la capacità
di spiritualizzare quanto é
fatto oggetto dì quell'analisi -
non nasconde in una indistinta
sospensione l'umanissimo reagire
di queste creature di fronte
all'innaturale, distruzione del
legame anima-corpo, rivelando
anzi, in un mesto, triplice
decrescendo, la loro lotta, il
loro affanno, il loro abbandono,
in un bisogno di dare sfogo ad
un ricordo, sotto certi aspetti,
ancora doloroso. Con molta
chiarezza il Sacchetto afferma
che "mentre nell'Inferno
l'umanità tende all'imbestiamento,
e nel Paradiso alla
trasfigurazione, nel Purgatorio
essa vive nella compresenza del
peccato e insieme del riscatto.
Solo nel Purgatorio le anime,
come sulla terra, soffrono e
godono, alternano turbamenti e
nostalgie a speranze ed
elevazioni; espiano e pregano,
nell'attesa trepida della
liberazione. Solo nel Purgatorio
il loro dramma - che è il dramma
della colpa - non si esaspera,
come nell'Inferno, nella
tragedia della dannazione; non
si dissolve, come nel Paradiso,
nella quiete immutabile della
beatitudine; ma si consuma,
pateticamente, in un'ombra di
pianto, attraverso di cui si
compie il processo consolatore
della purificazione". Ancora una
volta Dante riesce ad innalzare
sul piano della poesia i fatti
di cronaca del suo tempo,
fissando in una ricchissima
gamma di accenti, in cui il tono
dominante è quello
singolarissimo della malinconia,
i due momenti essenziali
dell'anima cristiana, il peccato
e la redenzione, e "perciò, più
che nel realismo dell'Inferno o
nella metafisica del Paradiso,
il tono più segreto ed autentico
della poesia di Dante è, forse,
nel Purgatorio, dove la
particolare situazione delle
anime che patiscono il castigo
nella luce della salvezza dà una
naturale tensione all'arco del
canto» (Sacchetto).
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