|
|
|
DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
|
|
|
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
|
|
| |
| | |
DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
 |
 |
 |
 |
CANTO VI
Le anime
dei morti violentemente si
stringono, per chiedere
suffragi, intorno a Dante, che
ha ripreso il suo cammino e che
riconosce fra di loro molti noti
personaggi del suo tempo. La
richiesta di preghiere da parte
dei penitenti provoca un dubbio
nel Poeta, il quale ha presente
l'affermazione da Virgilio fatta
nell'Eneide circa l'inutilità
della preghiera per mutare un
decreto divino: ma, spiega il
maestro, vana è solo la supplica
non rivolta al vero Dio, mentre
nel mondo cristiano essa, con il
suo ardore; può muovere a
misericordia la volontà celeste.
Virgilio poi si accosta a
un'anima isolata dalle altre
perché venga loro indicata la
via migliore per salire: ma
quella risponde chiedendo
notizie della patria e della
vita dei due pellegrini. Non
appena Virgilio pronuncia il
nome di Mantova, l'ombra si
protende verso di lui,
rivelandosi: «lo sono Sordello e
sono della tua stessa terra» e
abbracciandolo. Dante di fronte
a questa manifestazione di amore
patrio inizia una violenta
invettiva contro l'Italia, i cui
cittadini hanno dimenticato ogni
virtù e ogni concordia,
combattendosi come nemici.
Invano Giustiniano ha
riorganizzato le leggi della
vita civile, se la Chiesa,
intervenendo in campo politico,
impedisce all'imperatore di
governare. Del resto gli ultimi
imperatori, presi dai problemi
della Germania, non si sono più
curati né dell'Italia né della
città imperiale per eccellenza,
Roma. L'apostrofe termina con la
visione di Firenze dilaniata
dalle lotte interne e incapace
di darsi uno stabile governo.
INTRODUZIONE CRITICA
L'impulso costante che sollecita
Dante a trasferire entro un arco
più vasto e in un'atmosfera
superiore, la rappresentazione
del reale, contrapponendo la
rivelazione del mondo eterno
allo scandaloso disordine della
realtà storica terrena, si
realizza compiutamente nella
drammaticità articolata e piena
dell'apostrofe all'Italia, dove
ancora una volta
l'autobiografismo del Poeta, che
inserisce nella narrazione del
viaggio d'oltretomba le passioni
e gli sfoghi della sua anima, si
fonde con la missione profetica
che egli si attribuisce per
legittimare la sua «visione »,
ponendosi, quale riformatore
morale e politico, al centro
della storia e del mondo. Perciò
la sua analisi storica assume
uno svolgimento per cerchi
concentrici, inquadrando il
problema particolare, la vicenda
biografica, il fatto isolato in
considerazioni più largamente
prospettiche. Dalle singole
apparizioni dei morti
violentemente - che sono stati
protagonisti di cronache locali,
concorrendo nella quasi totalità
a fomentare lotte familiari,
politiche e civili - attraverso
l'appassionato abbraccio di
Virgilio e Sordello, che
ricompone quel ricordo di
violenze in un'armonia dimentica
di differenze di tempo e di
civiltà, il Poeta attinge il
centro di articolazione di quel
disordine, l' Italia, non
intellettualisticamente studiata
per tradurne in freddi termini
analitici la situazione
politica, ma fervidamente persa
con lo sguardo dell'esule che
vede ripetersi in ogni città; in
ogni borgo, la storia dolorosa
della sua Firenze. Per questo
nell'ultima parte l'apostrofe
che si era allargata nella
considerazione dell'Impero, e
della Chiesa, e dei loro
complessi rapporti, s'incurva
improvvisamente (Fiorenza mia,
ben puoi esser contenta di
questa digression che non ti
tocca), denunciando, ché da un
motivo particolare,
autobiografico - il dramma del
Poeta esule e il dramma della
sua tormentata città - aveva
avuto origine quella vigorosa
accusa contro la società del
tempo. Il Malagoli osserva molto
giustamente che questo modo di
sentire la storia, mescolandovi
il proprio sentimento e il
proprio giudizio personale, "per
la sua ricchezza e intima
coerenza, è nuovo" e, si può
aggiungere, del tutto
rispondente allo spirito
profetico che anima la Commedia,
simboleggiando ogni profeta con
la propria vita anche la vita
del suo popolo, per cui nella
redenzione di Dante é l'immagine
prefiguratrice della redenzione
religiosa e politica di tutto il
mondo. Questa affermazione porta
necessariamente a sottolineare
la significazione biblica
dell'apostrofe, rilevabile non
per una vicinanza verbale, come
a volte può avvenire, ma per una
comunione di sentimenti: dalla
passione più biblica e insieme
più dantesca, l'ira, allo sdegno
che ne consegue, capace, con la
sua asprezza, di distruggere
ogni riguardo umano (O Alberto
tedesco... giusto giudicio dalle
stelle caggia sovra 'l tuo
sangue... vien, crudel, vieni...
a vergognar ti vien della tua
fama; ahi gente che dovresti
esser devota), al disprezzo che
trova le voci più mordenti e
allusive e il gusto più
realistico (non donna di
provincie, ma bordello), al
sarcasmo tanto più lampeggiante
quanto più l'anima è irritata
dinanzi ai sottili e perversi
accorgimenti della mente umana
(tu ricca, tu con pace, e tu con
senno), in una gamma spirituale
ricchissima, che trova la sua
interna unità nel ritmo spezzato
e variato dello stile per
seguire più rapidamente il corso
dei moti interni. "L'apostrofe
Ahi serva Italia è tutta
travolta da succedenti flutti di
passioni; e per la pressura dei
motivi la famosa pagina ci tocca
più nel particolare che
nell'intero svolgimento. Pagina
oratoria, che in quelle
circostanze val più di una
raccolta armonia, non idonea ad
accogliere la voce immediata del
cuore, cioè la protesta del
cittadino contro la forsennata
politica del suo paese. Satira,
ironia, sarcasmo guizzano e
fremono per tutta l'apostrofe."
In essa "gli elementi storici
sono offerti da personaggi e
avvenimenti contemporanei,
collocati sul quadro della
regione Italica che, nella
fervida immaginazione, si
rimpicciolisce per poter tutta
dispiegarsi allo sguardo del
Poeta, dall'una all'altra proda,
dall'interno alle marine, sicché
nulla sfugga al suo spirito
indagatore e persecutore. Per
questa capacità di sintesi
storica e topografica..: .e per
la luce apocalittica che scende
dall'alto a percuotere i potenti
e i responsabili e si protrae
minacciosa nel futuro,
l'apostrofe ha pur essa una
suggestione biblica; poiché
anche nella Bibbia c'è questa
semplicità e ampiezza di
visione: un occhio che guarda
acuto; e una mente che giudica
spietata" (Marzot). L'apostrofe,
la cui violenza trova riscontro
solo in quella rivolta alla
simonia della Chiesa nel canto
XIX dell'Inferno, non è un
semplice artificio stilistico,
assunto per convenienza o per
necessità didascalica. Essa
trova la sua origine in una
dimensione psicologica e
fantastica, che l'anima di Dante
acquista quando avverte più
violento dentro di sé lo spirito
di ribellione al suo tempo,
quando l'orrore e il disgusto
del presente sono cosi forti da
"scuotere le sue fibre di uomo,
di credente e di cittadino" (Marzot),
dissolvendo ogni linguaggio
piano e composto - perché
insufficiente a restaurare
l'ordine morale e politico a cui
egli mira - in uno stile epico
ricco, secondo l'osservazione
del Marzot, del tremore e della
agitazione di chi è posseduto
dalla sua materia e vi si
dibatte, e nello sforzo
vittorioso la domina e la
esprime. Il passaggio dal
termine proprio Italia a quello
figurato fiera e giardin dello 'mperio,
(da Roma all'immagine della
donna vedova e sola) avviene
senza soluzione e senza sforzo,
perché le "cose" sono investite
di un nuovo significato e su di
esse fantasticamente si muovono,
i pensieri e le passioni del
Poeta: regioni e città diventano
persone vive, bersagli animati
della sua polemica in un
discorso scorciato e vibrante,
nel quale tuttavia resta la
chiarezza di delineazione degli
avvenimenti e dei problemi
storici, dovendo gli uni e gli
altri essere capiti e
interpretati per potersi
costituire come motivi di
insegnamento.
|
|
|
| |
 |
 |
 |
 | |