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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO IX
Al termine
del primo giorno di viaggio nel
secondo regno, Dante si
addormenta nella "valletta" dei
principi. Poco prima dell'alba,
quando i sogni, secondo una
credenza medievale, sono più
veritieri, al Poeta appare la
visione di un'aquila dalle penne
d'oro che scende improvvisa su
di lui, trasportandolo nella
sfera del fuoco, posta tra la
sfera dell'aria e il cielo della
luna, dove entrambi bruciano in
un unico, grande fuoco.
Destatosi pieno di paura, viene
rassicurato da Virgilio, il
quale gli rivela che durante il
sonno era sopraggiunta una
donna, Lucia, che aveva
trasportato Dante dalla
"valletta", dove erano rimaste
tutte le altre anime, alla porta
del purgatorio propriamente
detto. I due pellegrini
scorgono, sull'ultimo dei tre
gradini che portano
all'ingresso, un angelo
splendente, armato di una spada,
il quale rivolge loro la parola
per chiedere che cosa vogliono e
quale è stata la loro guida.
Poiché (uguale fu la risposta a
Catone) è stata una donna del
ciel a condurli, l'angelo li
invita a salire i tre gradini,
dei quali il primo è bianco, il
secondo quasi nero, il terzo
rosso, ad indicare i successivi
momenti del sacramento della
confessione. A Dante, che si era
inginocchiato, l'angelo incide
sulla fronte sette P, come
simbolo dei sette peccati
capitali che dovrà espiare in
ciascuna delle sette cornici del
purgatorio. Dopo aver loro
spiegato la funzione delle due
chiavi, una gialla e una bianca,
che ha ricevuto da San Pietro,
apre la porta: si ode dapprima
un suono cupo, che si trasforma
poi nel canto dell'inno «Te Deum
laudamus».
INTRODUZIONE CRITICA
Pochi canti come il nono si
presentano secondo i canoni
medievali di una poesia
risolutamente tesa a vivere
tutte le risorse della sua
fantasia in un quadro teologico.
liturgico e in una struttura
allegorica. A questi il lettore
si accosta con una certa
difficoltà dopo essere passato
attraverso la semplice linea
costruttiva dei canti
dell'antipurgatorio. L'impegno
del Poeta di fronte al mistero
del sovrannaturale che si
schiude all'anima - non solo
libera dal peccato, ma sciolta
da quella incertezza che l'aveva
fatta vagare nell'antipurgatorio
alla ricerca di se stessa, in
quel momento di smarrimento che
prende dopo la conversione dal
peccato (segnata dai due riti
comandati da Catone) e prima del
voluto adeguamento alla volontà
divina - è totale e trova
testimonianza nell'incisione dei
sette segni: "la cerimonia
conferma quanto già sappiamo,
[che è] dovere del pellegrino
compiere il nuovo viaggio, non
come semplice spettatore, non
ponendo in gioco il suo
intelletto solamente, ma
l'intera sua umanità, tutto il
suo sentire e il suo volere" (Vossler).
Tale impegno si afferma nel
canto nono attraverso un
discorso grave e solenne,
fortemente allusivo, il quale
vuole tradurre la suggestione di
un'emozione intensa che nasce
dalla stupita contemplazione di
un mondo ancora sconosciuto, e
che è capace di manifestarsi
solo emblematicamente, senza
peraltro intorbidare la
rappresentazione poetica, ma
comunicandole anzi una più ampia
luce. La figura della Notte, che
copre con le sue ali e
attraversa con il suo silenzio
metà dell'universo, non è meno
grandiosa e magica di quella
dell'Aurora che si dispiega
attraverso un incrociarsi di
richiami mitologici e
astronomici, che ne accrescono
la misteriosità: non sono più
una «notte» e una «aurora»
comuni, perché, pare avvertire
il Poeta (versi 70-72), tutto
ciò che è a contatto con
l'Assoluto, dilata i suoi
confini secondo una misura non
più umana. Infatti tutti i
momenti iniziali del canto, che
è il primo contatto con
l'Assoluto, saranno comunicati
dopo essere stati messi in
relazione con eventi
straordinari (versi 13-15;
22-24; 34-39), cosicché il
racconto, iniziatosi con
immagini così vaste e
musicalmente così profonde e
lontane, crea un senso sacrale
di aspettazione. Esso non verrà
certo deluso né dalla visione
dell'aguglia - la cui imperiosa
apparizione si distende fra la
malinconica figura della
rondinella e la commossa
evocazione di Lucia, che
temperano la violenza di quel
volo terribil come folgor in
un'alternanza di toni, ora
forti, ora attenuati attraverso
e per mezzo dei quali si viene
schiudendo il primo, trepido
incontro dell'umano con il
divino - né dalla celebrazione
liturgica che chiude il canto,
ricca di minuziose allegorie non
sempre individuabili con
assoluta certezza, "ma appunto
nell'essere questi simboli un
mistero, che può venire
unicamente presagito (in ultima
analisi è il mistero di Dio),
sta la loro efficacia poetica.
La veste solenne crea qui la
poesia. Onde l'intero canto ha
uno stile di ambiguità sublime
e, oscuro nel profondo, riesce
alla superficie per virtù di
lingua e d'immagini, splendido
di evidenza" (Vossler). Tutto il
discorso fluisce, logico e
serrato, senza nulla concedere
agli indugi contemplativi,
essendo, come abbiamo detto, le
immagini caricate in modo
singolare di significato
analogico e ricondotte tutte al
motivo dell'anima che entra
nella Grazia, attraverso il rito
finale della confessione.
Questo, di nuovo, con fermissima
coerenza stilistica, si richiama
ad elementi figurativi, ad un
linguaggio ricco dì valori
tattili, ad un gusto vivo di
osservazioni e, quasi, di
sensazioni, dove i gesti
dell'angelo e di Dante o i
colori diversi dei tre gradini,
sono immagini "fisiche e
corpulente non già soltanto per
un espediente retorico di
evidenza espressiva, per
tradurre in metafora
un'umbratile esperienza, ma
proprio per adeguare la parola
all'intensità dell'esperienza"
(Getto). Dante nel canto nono
spiega cosi i criteri in base ai
quali istituisce uno spontaneo,
perpetuo richiamo metaforico fra
il mondo sovrannaturale, in cui
sta entrando, e il mondo della
natura (non a caso l'importanza
del canto è sottolineata, e
proprio a metà del suo
svolgimento, dall'avvertimento
del Poeta al lettore), perché si
può realizzare lo sforzo di
rendere intuitivo il graduale,
congeniale e funzionale consenso
con la rivelazione divina,
martellandolo nel ritmo limpido
e coerente dei versi, come lo
sbalzo di un disegno geometrico.
Se già il lettore ha accostato
nel Purgatorio alcune zone
liturgiche, dove la fantasia del
Poeta si è accinta al rischioso
compito di chiudere in un gesto
e in poche terzine una
tradizione secolare, diventata
prezioso possesso della vita
ufficiale della Chiesa, è però
del tutto nuovo l'incontro con
la « visione » (versi 19-33),
perché quando al Poeta vengono a
mancare i dati e i pesi
materiali, cui abbiamo accennato
e sui quali la sua fantasia può
agire per rappresentare il
movimento ascensionale
dell'anima, interviene l'uso
frequente di questa forma
poetica prettamente medievale.
Il Fallani, riassumendo
osservazioni di altri critici,
nota che "il Poeta, più di ogni
altro scrittore del tempo, fu
affascinato dalla tematica sacra
risolta in forma di visione: il
linguaggio bizantino dell'arte
apriva sempre sullo sfondo un
riquadro di cielo e l'atto umano
si rivestiva di un non so che di
trascendente... Il Giotto di
Assisi e di Padova si affiancava
alla grande tradizione musiva,
con l'esperienza di quei
contatti semplici e popolari
degli affreschi, e liberamente
il racconto si articolava di
figure, di alberi, di cieli, di
angeli, di demoni, di
apparizioni. Dante colse dalle
arti l'avvertimento, che lo
aveva già sollecitato nelle
visioni della Vita Nova... e
pose nel suo Purgatorio le
visioni per chiarire la presenza
misteriosa di Dio, per un
bisogno di esternare la
meditazione e il suo frutto
religioso, e per predisporre il
lettore all'ultima ascesa".
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