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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PARADISO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PARADISO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XX
Dopo che
l’aquila ha concluso il suo
discorso sulla predestinazione,
le anime dei giusti riprendono i
loro canti finché dal collo
dell’uccel di Dio sale un
mormorio che diventa ben presto
voce. L’aquila indica a Dante
gli spiriti che formano il suo
occhio e che godono il più alto
grado di beatitudine nel cielo
di Giove. Il primo è Davide,
l’autore dei Salmi; il secondo è
Traiano, che conobbe, come sarà
spiegato più avanti, anche il
mondo della dannazione eterna;
terzo appare il re ebraico
Ezechia che, giunto in punto di
morte, ottenne da Dio di poter
vivere per altri quindici anni;
il quarto spirito indicato è
Costantino, che trasferì la
capitale dell’impero romano da
Roma a Bisanzio; nella parte
bassa dell’arco sopracciliare
dell’aquila si trova Guglielmo
II, re di Sicilia e di Puglia;
l’ultimo è il guerriero troiano
Rifeo. A Dante, che ha
manifestato il suo profondo
stupore nel vedere due pagani,
come Traiano e Rifeo, partecipi
della beatitudine celeste,
l’aquila spiega che il primo fu
salvato per le preghiere di San
Gregorio Magno e il secondo
perché, amantissimo della
giustizia, ricevette da Dio il
dono di conoscere la futura
redenzione. Occorre dunque che
gli uomini siano cauti nel
giudicare quelli che sono
dannati e quelli che sono salvi,
perché neppure i locati
conoscono ancora tutti gli
eletti.
INTRODUZIONE CRITICA
Nella lettura del canto XX si è
tentati di isolare le pause
lirico-descrittive dell’esordio
e delle similitudini
(singolarmente numerose),
dissociandole dalla trama
teologica del canto: se il Poeta
si è concesso una pausa,
analizziamo, dunque, questi
momenti senza preoccupazioni di
struttura e di dottrina. Il
risultato potrebbe essere
interessante al fine di meglio
determinare certi aspetti della
poesia intima, raccolta,
musicale del Paradiso, poesia
che ha sua base l’esperienza
psicologica e stilistica del
periodo dolcestilnovistico, ma
impedirebbe di identificare gli
specifici attributi poetici, la
particolare verità, i
caratteristici toni del canto
XX. In esso ogni punta polemica
si dissolve (anche il rimprovero
rivolto agli incauti, che come
donna Berta e ser Martino
pretendono di conoscere il
destino ultraterreno del loro
prossimo, ha un tono fraterno),
poiché la giustizia che ora il
Poeta contempla non è più quella
terrena, che i sovrani d’Europa
sono incapaci di realizzare, ma
quella divina che apre le porte
del cielo anche ai pagani. Si
conclude, nel canto XX, la
ricerca, lungamente perseguita
da Dante (si vedano le belle
pagine ad essa dedicate da J.
Batard nella sua opera Dante,
Minerale et Apollon, pubblicata
a Parigi nel 1952), di un
accordo fra la libera volontà
umana e la Grazia che preordina
alla salvezza, fra le virtù
naturali e le virtù
sovrannaturali, cioè fra il
mondo classico, che conobbe solo
le prime, e il mondo cristiano
che a queste conferì una vita
trascendente unendole alla fede,
alla speranza,alla carità La
presenza di Traiano e di Rifeo
nella rassegna degli spiriti
giusti garantisce che la
giustizia divina, avvolta nel
mistero di una sapienza
trascendente (secondo
l’affermazione del canto XIX),
opera con una misericordia che,
per vie inaccessibili, modera ed
equilibra il suo stesso rigore.
Quel dramma che sconvolgeva la
storia dell’umanità, opponendo
un abisso incolmabile fra l’uomo
rigenerato dal sangue di Cristo
e l’uomo ingannato dagli dei
falsi e bugiardi, si compone
nella certezza di un amore, che
ristabilisce l’ordine nel mondo.
Nel canto XIX, con
l’accettazione del mistero,
l’ansia religiosa di Dante si
era placata, ma quella serena
disposizione interiore trova ora
- di fronte alla misericordiosa
giustizia di Dio, che viene
incontro ad ogni umana speranza
- le cadenze di un inno, che
emergono nel trionfale preludio,
nella mobile festosità delle
luci, nell’osannare dei canti,
nella ricchezza contemplativa
delle similitudini, proprio in
quegli elementi, cioè, che si
vorrebbero isolare dal contesto
del canto e che invece ne
lievitano la calda e perorante
intonazione. In questo canto,
dunque, più ancora che nei due
precedenti, Dante "dà rilievo
all’esigenza duplice dell’anima
medievale, la ricerca della
giustizia da un lato e
l’affidarsi alla fede
dall’altro. Questa duplicità
dello spirito dantesco è
attratta in un’orbita superiore;
non ha più il senso drammatico
che ha il dissidio tra verità e
fede nel canto di Ulisse, e in
cospetto del divino si compone
in scoperto equilibrio" (Malagoli).
La stessa tecnica retorica
applicata alla presentazione dei
sei spiriti giusti - per ognuno
due terzine e ogni blocco
ternario perfettamente
bilanciato rispetto agli altri,
tanto puntuale nei dettagli e
nella costruzione paratattica
quanto variato nella
presentazione
biografico-spirituale risponde a
questo fervido slancio unitaria,
il quale spiega anche la scelta
delle figure storiche chiamate a
simboleggiare la sintesi fra
giustizia umana e giustizia
divina. Vogliamo qui ricordare
il capitolo che il Renaudet, nel
suo ponderoso studio sulle
componenti dell’umanesimo
dantesco, ha dedicato ai criteri
di tale scelta, come esempio di
certe esagerazioni alle quali
può giungere una ricerca critica
fondata unicamente sull’assunto
simbolico. Premesso che l’aquila
è l’emblema del " diritto
eterno, fondato in Dio, servito
e realizzato dai giusti" e che
tale diritto "nasce dalla legge
divina che subordina il governo
degli uomini al rispetto di un
principio rivelato", il Renaudet
osserva che il posto d’onore
nell’occhio dell’aquila è
occupato da un rappresentante
del mondo ebraico perché "al
solo Israele fu rivelata fin
dalle origini la legge di Dio".
Traiano, che rappresenta "la
saggezza della Roma imperiale...
saggezza rischiarata dalla sola
ragione e capace delle virtù
umane", concede giustizia :alla
vedovella "non per carità, virtù
che ancora Roma disprezza, ma
per il sentimento romano del
dovere e secondo la regola della
moderazione e della giustizia
definita razionalmente nelle
scuole filosofiche"; solo la
Rivelazione aggiungerà a questo
diritto la legge dell’amore. Con
Ezechia compare il terzo
elemento che- entra nella
composizione del diritto eterno,
"la coscienza della debolezza di
ogni opera umana, l’umiltà che
occorre alla giustizia degli
uomini per esortarla a non
ritenere infallibili i suoi
decreti": perché la decisione
ultima spetta solo a Dio. La
storia dell’umanità raggiunge il
suo momento centrale, la sua
data fatidica, con Costantino,
I’imperatore che con l’editto di
Milano "ha fondato un accordo
nuovo fra l’Impero e il
Cristianesimo il diritto
razionale di Roma e la
rivelazione giudeo-cristiana,
l’autorità romana e la carità ".
Tale accordo è stato
perfezionato nel Medioevo dal
diritto feudale: nel suo
rappresentante, Guglielmo II -
simbolo di quel mondo
aristocratico e conservatore al
quale Dante è restato fedele (cfr.
la trilogia di Cacciaguida) -
"la nobiltà umana... era quella
del sovrano, cosciente dei suoi
doveri verso i vassalli".
L’ultima anima della rassegna,
Rifeo, rappresenta l’umanità
eroica cantata da Omero e da
Virgilio, la quale gettò le basi
del diritto, prima ancora dei
progressi del mondo greco e
della fondazione di quello
romano, con l’acquisizione Dei
più importanti principi etici e
con la percezione di alcune
fondamentali verità religiose.
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