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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PARADISO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PARADISO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XXVI
Dante, in
uno stato di momentanea cecità
perché la sua vista è rimasta
abbagliata dalla luce di San
Giovanni, viene interrogato
dall’Apostolo intorno alla
carità. Principio e fine del suo
amore - risponde il Poeta - è
Dio. Infatti l’uomo è portato,
naturalmente, ad amare ciò che è
buono e il suo amore è tanto più
grande quanto più è perfetto il
bene verso il quale è diretto.
Dio è il bene supremo: dunque a
Lui è dovuto ogni amore. Queste
continua Dante - sono le
conclusioni alle quali è
arrivata la filosofia di
Aristotile e questo è il
comandamento impartito dalla
Bibbia. Rispondendo ad un’altra
domanda dell’Apostolo, il Poeta
dichiara che la sua carità trova
alimento anche da altre fonti:
dall’esistenza del mondo e delle
creature, dal sacrificio di
Cristo per riscattare gli uomini
dal peccato, dalla speranza
della beatitudine eterna. Legato
all’amore verso Dio - conclude
il pellegrino - è l’amore verso
le creature. Mentre tutti i
beati intonano un inno di lode a
Dio, Dante riacquista la vista e
si accorge che accanto a San
Pietro, San Giacomo e San
Giovanni è comparso un quarto
personaggio. Beatrice rivela al
suo discepolo che questo beato è
Adamo. Il padre antico, per
soddisfare una preghiera di
Dante, risponde a questi quattro
quesiti; quanto tempo è
trascorso dalla creazione
dell’uomo, per quanto tempo egli
è rimasto nel paradiso
terrestre, quale è stata la
natura del peccato d’origine,
quale la lingua creata e usata
dal primo uomo.
INTRODUZIONE CRITICA
Il XXVI non è uno di quei canti
che si impongono immediatamente
all’attenzione del lettore per
unità di motivi ispiratori, per
simmetrica vicenda d’immagini,
per taglio sapiente di
proporzioni. E’ il canto della
carità o quello di Adamo ? E’
l’epica celebrazione dell’ordine
dell’universo che, derivato da
Dio, a Dio ritorna, oppure il
canto nel quale il Poeta si
limita a sfoggiare, nelle
risposte di Adamo, la sua
erudizione, preoccupato di
correggere alcune affermazioni
del Convivio (a proposito del
problema delle lingue) ? E’ il
canto caratterizzato dalla
corpulenza di immagini come
quella delle fronde onde s’infronda
tutto l’orto dell’ortolano
etterno o quella dell’animal che
coperto Broglia o è il canto
caratterizzato dalle suggestive
figurazioni psicologiche dei
versi 14-15 70-78, 82-84, 85-90?
Tuttavia anche se in esso non si
determina una compiuta unità
lirica, si realizza una
fondamentale sintesi
contenutistica, grazie alla
quale appare pienamente
giustificata, di contro alla
perplessità di alcuni critici,
l’apparizione di Adamo e il
ruolo assegnato al progenitore
nel cielo delle stelle fisse.
Salendo attraverso le sfere
sottostanti, Dante ha analizzato
e classificato, secondo un
criterio etico, l’umanità, così
che il Parodi può giustamente
definire il paradiso delle sfere
"una gerarchia e una didattica
delle virtù"; ma in paradiso non
si può pensare nessuna umana
virtù se non già trasformata in
virtù cristiana (volta, cioè, al
raggiungimento di un fine
sovrannaturale) e consacrata
dall’apporto delle tre virtù
teologali, le quali, infatti,
dominano, dall’alto dell’ottavo
cielo, tutte le altre. Giunto in
questa sfera, Dante ha ormai
ricostruito la natura umana
nella sua perfezione originaria,
quale era uscita dalle mani di
Dio. Questa reintegrazione nell’
"innocenza" primitiva è resa
possibile solo mediante
l’intervento delle tre virtù
teologali, (simboleggiato dal
triplice esame sostenuto e
superato da Dante, dal quale,
non si dimentichi, sono
rivissuti tutti i singoli
momenti del ritorno dell’anima a
Dio), che innalzano di nuovo
l’uomo alla dignità di figlio di
Dio dopo lo smarrimento nella
selva oscura. Si impone, a
questo punto, un rilievo
necessario. Dopo la rivoluzione
scientifica del XVII secolo, la
natura umana viene comunemente
considerata una materia sulla
quale si esercita assiduamente
lo studio e il progresso della
scienza e dell’industria, e
anche per i credenti la umanità
è impegnata ad attuare uno
sviluppo, a realizzare un
complesso di possibilità prima
solo implicite. Invece "lo
schema culturale soggiacente
all’operare della fantasia di
Dante è... ancora quello della
cultura antica, pre-cristiana:
c’è una natura originale
perfetta (l’età dell’oro,
interpretata nel senso del
paradiso terrestre), e tutta
l’impresa umana consiste nel
recuperare tale originaria
perfezione" (Montanari). In
Dante e in molti pensatori a lui
contemporanei il fulcro della
meditazione filosofico-teologica
è la visione della natura umana
del paradiso terrestre,
splendida e perfetta in ogni sua
azione, ornata dai doni
preternaturali di integrità?
immortalità, inerranza. In
questa prospettiva non può più
essere giudicato strano
l’eccezionale rilievo conferito
da Dante ad Adamo in questo
canto, perché " alla nostra
mentalità quantitativa - secondo
l’affermazione del Montanari
Adamo appare un primo
prevalentemente numerico: alla
mente di Dante Adamo appare come
un archetipo che contiene in sé
tutta l’umanità come natura. E
perciò la liturgia di
venerazione con cui Dante
saluta, stupendo, Adamo è così
solenne (come la fronda che
flette la cima...)". In Adamo
Dante onora la natura umana
perfetta, contempla la sua
insuperabile magnificenza, gode
del suo destino di gloria. Il
sentimento del peccato
originale, vivissimo in tutto il
Medioevo, che guardava alla
colpa di Adamo come ad un
doloroso fardello che gravava
sull’umanità soffocandola, non
lascia tracce profonde nella
poesia di Dante, il quale,
invece, preferisce insistere
sulla grandezza e sulla dignità
della natura umana destinata ad
essere divinizzata: questo è il
significato dell’apoteosi di
luce con la quale viene
celebrato Adamo e della
glorificazione di Eva, quella
ch’è tanto bella, ai piedi della
Vergine (Paradiso XXXII, 5).
Così, al termine della sua
ascesa, prima della visione
dell’Empireo, il Poeta vagheggia
la creatura perfetta, quello che
l’uomo fu, nel paradiso
terrestre, per poco più di sei
ore (versi 139-142) e quello che
può ridiventare dopo la
sofferta, combattuta esperienza
religiosa, alla quale Dante ha
dato un volto e una voce nella
sua Commedia. L’apparizione di
Adamo, dunque, non è che la
logica conseguenza del triplice
esame di Dante e, in modo
particolare, di quello dedicato
alla carità (si opera, in tal
modo, una fusione fra la prima e
la seconda parte del canto
XXVI). Infatti l’amore del quale
parla Dante, in risposta alle
domande di San Giovanni, è
l’ordine-forma dell’universo, il
quale è stato creato da Dio per
un atto di amore e verso Dio
converge con tutte le sue
creature. Questo mondo creato
dall’Essere infinito, lungi
dall’impaludarsi nel basso, si
agita, si sforza di risalire e
giunge di nuovo là da dove era
venuto; ogni creatura arriva al
posto assegnatole in virtù del
proprio istinto, ma questo
nell’uomo non si manifesta come
aspirazione sorda o desiderio
cieco, bensì come volontà chiara
del proprio fine, che è quello
di realizzare in sé la
somiglianza con Dio: il modello
di questa restaurazione è,
appunto, Adamo. Dante, dopo aver
assistito al trionfo di Cristo,
ha superato l’esame sul valore
dottrinale e vitale delle tre
virtù sante, e, vivendo ormai
tutto di esse e con esse,
incorporato in Cristo,
finalmente e naturalmente
incontra il primo parente,
redento: è un trionfo che
congiunge la creazione con la
redenzione, il passato con il
presente, l’uomo antico col
nuovo, che è Dante, cui è
affidata dalla Provvidenza
un’alta missione per la salvezza
del mondo; questo trionfo avrà
la sua consacrazione nell’inno
di ineffabile allegrezza e di
solenne lode con il quale si
apre il canto seguente.
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