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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PARADISO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PARADISO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO VIII
Dante e
Beatrice ascendono al terzo
cielo, quello di Venere, dove
appaiono le anime di coloro che
in vita sentirono con
particolare intensità l’impulso
amoroso, dal quale si lasciarono
trascinare al male, finché
seppero volgere questa loro
inclinazione naturale a nobili
azioni. La prima anima che si fa
avanti è quella del figlio di
Carlo II d’Angiò, Carlo
Martello, il quale in vita fu
legato a Dante da affettuosa
amicizia. Il giovane principe
parla delle terre di cui sarebbe
diventato sovrano se la morte
non lo avesse rapito anzitempo,
la Provenza e la regione
napoletana. Ricorda che anche la
bella Sicilia avrebbe potuto
essere uno dei suoi dominii se
la casata angioina avesse saputo
ben governarla e non avesse
provocato con la sua mala
segnoria la rivolta dei Vespri
Siciliani. Accenna infine al
rapace governo esercitato nel
regno di Napoli dal fratello
Roberto. A questo punto Dante
chiede all’amico di sciogliere
un suo dubbio: come è possibile
che i figli siano di indole
diversa da quella dei padri? I
cicli - spiega Carlo Martello -
agiscono sulla terra con i loro
influssi secondo fini
preordinati da Dio, tuttavia
diffondono la loro virtù, la
loro forza plasmatrice, a caso,
senza distinguere l’un
dall’altro ostello. Se così non
fosse, non esisterebbe tra gli
uomini una differenziazione
nelle attitudini naturali, nelle
indoli di ciascuno. Tale
differenziazione è
indispensabile perché, essendo
l’uomo creato per vivere in un
organismo sociale, dove le
attività e i compiti da svolgere
sono molteplici, occorre che
ciascuno sia in grado di
ricoprire il suo ufficio. Il
discorso di Carlo Martello
termina con un amaro rimprovero
al mondo, che non rispetta le
attitudini naturali dei singoli
uomini.
INTRODUZIONE CRITICA
A partire dal Tommaseo un largo
filone critico ha voluto vedere
nell’incontro di Dante con Carlo
Martello una esaltazione dei
valori dell’amicizia,
sottolineando la ispirazione
lirica dell’episodio. Mentre a
questa posizione critica si
contrappone il severo giudizio
del Momigliano (Carlo Martello è
una figura "sbiadita"), molti
interpreti recenti tendono a
leggere il canto ottavo solo in
chiave politica, come ideale
continuazione del discorso di
Giustiniano: in uno Dante ha
affrontato il problema
dell’Impero e della sua
missione, nell’altro tratteggia
la figura del sovrano ideale. È
sufficiente una breve analisi di
queste conclusioni esegetiche
per dimostrare che, al solito,
la poesia dei canti della
Commedia, e soprattutto di
quelli del Paradiso, non può
essere irrigidita in una formula
parziale, che rischia
frequentemente di distruggerne
la sostanziale ricchezza
poetica. Nel Paradiso tutti i
valori umani e tutte le care
memorie terrene sono trascesi in
una visione superiore, per cui
essi appaiono non come elementi
a sé stanti, ma come momenti che
hanno aiutato e aiutano l’ascesa
verso Dio. Per questo l’amicizia
tra Carlo Martello e Dante si
arricchisce del fervore di
carità proprio delle anime beate
(tutti sempresti al tuo
piacer... per piacerti, non fa
men dolce...) e, con uno di quei
rapidi passaggi ai quali il
poeta della Commedia ci ha
abituati, si trasforma in severo
magistero filosofico-politico,
lasciando al breve e dolce
episodio di Casella o di Ugolino
Visconti tutta la tenerezza e la
familiarità dell’incontro fra
due amici. Tuttavia, almeno
nella prima parte, l’episodio
non rinuncia ad una coloritura
lirica, perché il personaggio di
Carlo Martello appare ben
individuato nella sua specifica
interiorità, la quale rivela
"una malinconia grave e virile,
che scaturisce tutta da cose
concrete, vive e palpitanti " (Pézard),
perché dietro la figura del
giovane principe c’è la
personalità " potente e
appassionata, di una vittima
dello stato di cose deplorato da
Carlo, delI’exul immeritus Dante
Alighieri". Su questa storia
personale si può allora
innestare la ispirazione
politica del canto ottavo e
concordare con quanto afferma il
Vallone: "Carlo Martello diviene
un ideale momento della vita
cortese quale Dante intensamente
voleva che fosse, l’unico modo
sognato ma irrealizzabile con
cui l’umanità, per vivere in
pace, meta degli imperatori,
doveva comportarsi e
reggersi..." Il Poeta ha, cioè,
modellato sulla figura
dell’amico di un tempo un’ideale
figura di sovrano, amorosamente
sollecito della felicità di
tutti (la preoccupazione del
bene altrui, anzi, è il motivo
costante del colloquio): la
metafisica disquisizione intorno
all’organico ordine
dell’universo sostenuto
dall’amore creatore di Dio non
intende essere un inno
all’armonia del cosmo, ma ha uno
scopo pratico: quello di
alleviare i molti mali che
affliggono il mondo incapace di
comprendere le leggi della
natura. La capacità di amare che
ha bruciato un tempo l’anima di
Carlo Martello dietro il folle
amore della bella Ciprigna, si è
trasformata nell’amore del
sovrano verso i suoi sudditi:
"di tutti i rapporti umani che
l’amore non folle illumina e
riscalda, il più alto è quello
tra principe e sudditi che forma
la sicura base del consorzio
civile; fondato sull’amore,
cementato dall’amore,
perseguente, nell’amore, il fine
della felicità terrena di tutti
i consociati" (Vaturi). La
figura di Carlo Martello è,
dunque, pervasa di motivi
inerenti alla natura del cielo
di Venere, il quale appare
perfettamente individuato
attraverso un capovolgimento di
posizioni terrene: l’amore
sensuale di un tempo è diventato
ora fulgore di carità, ardente
legame delle anime tra di loro e
con Dio; privato delle
perversioni della ragione e
dell’appetito di concupiscenza
esso è diventato una delle vie
della santificazione. Dante pare
insistere, attraverso i discorsi
(si vedano anche quelli di
Cunizza e di Folco da Marsiglia
nel canto seguente) e la
rappresentazione di questi
beati, sul paradosso dell’amore
cristiano, che ha portato alla
beatitudine queste anime proprio
in virtù di una loro inespressa
o invincibile capacità di amare,
rilevando il misterioso legame
esistente fra l’amore terreno e
la beatitudine. Per questo le
anime del terzo cielo non sono
più ombre evanescenti o umane
figure luminose, ma spiriti
fasciati dalla loro stessa luce,
essi che sulla terra arsero del
fuoco d’amore; sono splendori
ardenti che nel corpo
fiammeggiante del pianeta si
distinguono per la maggiore
intensità e mobilità della luce
come le faville spiccano per il
loro scintillio nel fuoco vivo.
Esse interrompono il loro
celeste tripudio allorché si
accorgono del pellegrino che
sale attraverso i cieli e
desiderose, nel loro ardente
affetto, di compiacere Dante, si
affrettano verso di lui più
veloci di lampi (ritorna
l’immagine del fuoco) o di
venti. Giova osservare che anche
nel terzo cielo, come nel
secondo cerchio dell’inferno, il
tema amoroso è ambientato nel
mondo cortese e cavalleresco
(Carlo Martello, Cunizza, Folco
da Marsiglia: un dotto principe,
una nobildonna, un trovatore).
Il Montanari sintetizza
chiaramente il significato di
questo canto: "Nel cielo di
Venere sono le anime che molto
sono state soggette agli
influssi d’amore: e che dopo
aver seguiti questi influssi nel
campo degli amori terreni in una
sfera di più o meno idealità
cavalleresche giunsero al più
profondo e completo amore,
quello di Dio: è, in qualche
modo, anche l’itinerario di
Dante; dall’amore cortese della
Vita Nova alla Donna Gentile
Filosofia, alla nuova Beatrice
teologica della Commedia. Ed è
il riscontro al canto quinto
dell’Inferno: là dall’amore
cortese e cavalleresco alla
tragedia del peccato per il
prevalere della passione sulla
ragione; qua dall’amore cortese
alla scoperta del superiore
amore di carità, amore di Dio".
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