1 |
Era lo loco
ov' a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v'er' anco,
tal, ch'ogne vista ne sarebbe schiva. |
|
1 |
Il luogo in cui giungemmo per scendere lungo il dirupo
era scosceso e, per di più a causa di ciò che in esso si
trovava (il Minotauro), tale, che ogni sguardo lo
avrebbe evitato. |
4 |
Qual è
quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l'Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco, |
|
4 |
Quale è la frana che a
valle di Trento colpì in una delle sue rive l’Adige, o a
causa di un terremoto o per l’erosione del terreno
sottostante, |
7 |
che da cima
del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch'alcuna via darebbe a chi sù fosse: |
|
7 |
in modo che il pendio
dalla vetta della montagna, dalla quale la frana si
staccò, alla pianura è così inclinato, da offrire una
via di discesa a chi si trovasse in alto, |
|
Dante precisa le forme del paesaggio infernale mediante
riferimenti a luoghi della terra. Questi riferimenti
sono, condotti a volte con uno scrupolo che può apparire
scientifico, come qui, dove è indicato non solo il
risultato, di un fenomeno (la particolare configurazione
del terreno: è sì la roccia discoscesa), ma il fenomeno
stesso (la ruina che percosse l'Adige) e le sue più
probabili cause (terremoto o erosione del terreno).
Come giUstamente osserva Montanari, occorreva vedere "in
queste insistenze descrittive più ancora che la
mentaIità realistica, esatta, scientifica di Dante,
l'impegno verso il suo tema sentito come cosa
assolutamente seria e più che poetica". Diversamente
infatti che nelle altre visioni medievali
dell'oltretomba, dove l'elemento immaginativo prevale
sempre su quello reale, nella Commedia, più la
situazione è irreale, fantastica, più appare convalidata
, dall'assoluta serietà con cui il Poeta la descrive. In
perfetto accordo con il pensiero cristiano, per Dante la
vera realtà è l'oltretomba; essa, appunto perché reale,
appare dotato di leggi proprie e intimamente coerente
con se stesso. Di qui la scientiflcità di cui spesso
l'elemento fantastico si colora in Dante.
La frana a sud di Trento, alla quale è paragonato il
dirupo che porta dal sesto al settimo cerchio, va
probabilmente identificata negli Slavini di Marco, dei
quali una esatta descrizione è in un passo del trattato
Sulle meteore di Alberto Magno. |
10 |
cotal di
quel burrato era la scesa;
e 'n su la punta de la rotta lacca
l'infamïa di Creti era distesa |
|
10 |
tale era la discesa di
quel burrone; e nella parte superiore della Costa
franata giaceva distesa la vergogna, dei Cretesi |
13 |
che fu
concetta ne la falsa vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,
sì come quei cui l'ira dentro fiacca. |
|
13 |
che fu concepita nella finta vacca; e quando ci vide,
morse se stesso, come colui che è sopraffatto
internamente dall’ira. |
|
Il Minotauro, che per gli antichi era un uomo con la
testa di toro, ma che Dante, equivocando forse
un'espressione di Ovidio ("uomo per metà bovino, bove
per metà umano"), immagina come toro con la testa di
uomo, è definito infamia in quanto rappresenta la
testimonianza vivente del degradarsi dell'umano nel
bestiale. Sua madre Pasifae, moglie del re di Creta
Minosse, presa d'amore per un toro, si fece rinchiudere
in una vacca dì legno. Nato che fu, il Minotauro venne
imprigionato in un luogo da cui era impossibile uscire:
il Labìrinto. Nel Minotauro dantesco i richiami
mitologici si fondono con il realismo della scena colta
dal vivo. Il simbolo (l'infamia) non resta confinato
nell'ambito del riferimento dotto (la leggenda di
Parsifae), ma acquista concretezza, esprime una vitalìtà
disperata nella descrizione del mostro che prima morde
se stesso, poi, quando l'ira è al culmine (versi 22-24),
saltella come il toro morente. |
16 |
Lo savio mio
inver' lui gridò: «Forse
tu credi che qui sia 'l duca d'Atene,
che sù nel mondo la morte ti porse? |
|
16 |
Il mio saggio maestro gli
si rivolse gridando: "Pensi forse di trovarti in
presenza del signore d’Atene, che sulla terra ti diede
la morte? |
19 |
Pàrtiti,
bestia, ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,
ma vassi per veder le vostre pene». |
|
19 |
Allontanati,
bestia: costui non giunge infatti guidato da tua
sorella, ma si reca a vedere i vostri tormenti". |
|
Osserva giustamente il Sapegno come le parole che
Virgilio rivolge al Minotauro, mentre sembrano volerlo
rassicurare, in realtà, richiamandogli alla memoria la
sua cruenta uccisione e il tradimento della sorellastra
Arianna, figlia di Minosse, ne accrescono l'ira e "la
portano a sfogarsi in gesti dissennati e bestiali, sui
quali facilmente. anche questa volta, avrà il
sopravvento l'astuta ragione dell'uomo"
Secondo una leggenda, Arianna aìutò Teseo a raggiungere
il Minotauro perché lo uccidesse; e, affinché l'eroe non
si smarrisse nell'intrico del Labirinto, gli diede un
gomitolo da dipanare lungo il suo cammino. |
22 |
Qual è quel
toro che si slaccia in quella
c'ha ricevuto già 'l colpo mortale,
che gir non sa, ma qua e là saltella, |
|
22 |
Come fa il toro che si scioglie dai nodi che lo legano
nell’istante in cui, mortalmente colpito, non è più
capace di camminare, ma barcolla qua e là, |
25 |
vid' io lo
Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: «Corri al varco;
mentre ch'e' 'nfuria, è buon che tu ti cale». |
|
25 |
tale io vidi diventare il Minotauro; e il sagace
Virgilio gridò: " Corri al punto di discesa; è bene che
tu scenda, mentre è infuriato ". |
|
L'immagine del toro colpito a morte è già in Seneca e
Virgilio. Questi autori, nel descrivere l'uccisione
dell'animale in occasione di un sacriflcìo agli dei,
sanno infondere a tutta la scena un senso di nobile
pietà. In Dante il quadro sembra ritrarre piuttosto la
scena di un macello, e si concretizza in una
accentuazione dei tratti più crudi e realistici. Come
Cerbero, il Minotauro è anch'esso animalità allo stato
puro, forza cieca che l'umana ragione non può non
disprezzare e deridere. |
28 |
Così
prendemmo via giù per lo scarco
di quelle pietre, che spesso moviensi
sotto i miei piedi per lo novo carco. |
|
28 |
Così ci avviammo attraverso l’ammasso
di quelle pietre, che si muovevano spesso sotto i miei
piedi per l’insolito peso. |
|
Dante ravviva sovente la narrazìone del suo viaggio
nell'al di là con osservazioni, come questa, solo in
apparenza insignificanti; in realtà esse hanno tutte la
funzione di insistere sulla singolarità della sua
esperienza nel mondo dei morti. Egli è il vivo, dotato
di consistenza e peso, nel regno degli spettri, egli ha
il potere, come osserverà in questo stesso canto il
centauro Chirone, di muovere ciò che tocca. Questo
motivo si ripresenterà diverse volte nel corso del poema
e darà luogo, soprattutto nella seconda cantica, a
momenti di delicata poesia. |
31 |
Io gia
pensando; e quei disse: «Tu pensi
forse a questa ruina, ch'è guardata
da quell' ira bestial ch'i' ora spensi. |
|
31 |
Procedevo meditabondo; e
Virgilio disse: "Tu pensi forse a questa frana custodita
da quella belva irosa che ora ho reso inoffensiva. |
34 |
Or vo' che
sappi che l'altra fïata
ch'i' discesi qua giù nel basso inferno,
questa roccia non era ancor cascata. |
|
34 |
Voglio dunque che tu
sappia che la volta precedente, allorché scesi nella
parte inferiore dell’inferno, questo pendio non era
ancora franato. |
37 |
Ma certo
poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
levò a Dite del cerchio superno, |
|
37 |
Ma, se non mi inganno,
senza dubbio poco prima della venuta di colui che tolse
a Satana il glorioso bottino del limbo, |
40 |
da tutte
parti l'alta valle feda
tremò sì, ch'i' pensai che l'universo
sentisse amor, per lo qual è chi creda |
|
40 |
il profondo abisso immondo
tremò in ogni sua parte tanto, che io credetti che
l’universo fosse preso da quell’amore, a causa del quale
alcuni ritengono |
43 |
più volte il
mondo in caòsso converso;
e in quel punto questa vecchia roccia,
qui e altrove, tal fece riverso. |
|
43 |
che più di una volta il
mondo sia ritornato nel caos; e allora questa antica
rupe subì, in questo luogo e altrove (nella bolgia degli
ipocriti; Inferno XXI, 106-108), tale franamento. |
|
Virgilio spiega al discepolo come il terremoto che
determinò la frana tra il sesto,e il settimo cerchio
abbia preannunciato la discesa di Cristo nel limbo, e la
liberazione delle anime, in esso racchiuse, dei
Patriarchi dell'Antico Testamento. Tutto l'inferno
tremò; il poeta latino credette per un istante che
l'universo stesse per tornare nel caos primigenio.
Secondo la teoria del filosofo greco Empedocle,
riportata e discussa da Aristotile nella Metafisica, il
mondo esiste infatti in virtù dell'odio reciproco tra
gli elementi costitutivi della materia; qualora a
quest'odio dovesse sostituirsi l'amore, essi si
confonderebbero l'uno nell'altro, dando origine al caos. |
46 |
Ma ficca li
occhi a valle, ché s'approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
qual che per vïolenza in altrui noccia». |
|
46 |
Ma guarda attentamente in
basso, poiché si avvicina il fiume di sangue bollente in
cui è immerso chiunque rechi danno ad altri con la
violenza". |
49 |
Oh cieca
cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
e ne l'etterna poi sì mal c'immolle! |
|
49 |
O irragionevole avidità e
ira sconsiderata, che a tal punto ci stimoli nella breve
vita terrena, e poi in tanto dolore ci immergi in quella
eterna! |
52 |
Io vidi
un'ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto 'l piano abbraccia,
secondo ch'avea detto la mia scorta; |
|
52 |
Vidi un largo fossato
circolare, in quanto cinge tutto il piano (del settimo
cerchio), secondo quello che aveva detto il mio
accompagnatore; |
55 |
e tra 'l piè
de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
come solien nel mondo andare a caccia. |
|
55 |
e tra la base del dirupo e
questo fossato, dei centauri correvano raccolti in
gruppo, armati di frecce, come solevano fare sulla terra
quando andavano a caccia. |
|
I centauri, cavalli fino al busto e uomini dal busto in
su, sono protagonisti, nelle leggende dell'antica
mìtologia, di episodi di violenza (alle nozze di Piritoo
la loro impulsività provoca uno scontro armato coi
Lapiti; Nesso rapisce Deianira, ecc.), ma anche di
episodi che ne mettono in rilievo i tratti umani e la
saggezza (Chirone istruisce Achille). Secondo l'opinione
di antichi commentatori, come il Boccaccio e Benvenuto
da Imola, essi rappresenterebbero, per la legge del
contrappasso, gli armigeri di cui i tiranni, qui immersi
nel sangue bollente, si sono serviti in vita per
opprimere i loro sudditi. Ora, nell'al di là, l'oggetto
delle violenze di questi esecutori d'ordini sono i
tiranni stessi. E' indubbio che nei loro atteggiamenti,
nel loro andare in gruppo, nella pronta obbedienza agli
ordini di un capo, nella semplicità imperiosa del loro
linguaggio c'è qualcosa di militaresco, ma si tratta di
un elemento interamente calato in una raffigurazione
concreta, la quale non ha bisogno dell'aggiunta di
interpretazioni allegoriche per riuscire persuasiva.
Opportunamente osserva in proposito il Sapegno: "Ia
ragione morale non sopravviene in Dante a limitare e
impoverire la pienezza dell'immaginazione, sempre
attenta alla ricchezza e alla complessità del dato
fantastico. Egli può pertanto darci delle belle fiere
una rappresentazione attenta e vivacissima, tutta
rivolta a far campeggiare quelle immagini di agilità e
di potenza fisica, di cui ricavava lo spunto da qualche
verso di Virgilio, di Ovidio e di Stazio; con
un'intensità di rilievo plastico, che è il segno del suo
robusto realismo, alieno da ogni compiacimento meramente
estetistico e decorativo e sempre contenuto, e come
trasportato, nel ritmo incalzante e grave del racconto". |
58 |
Veggendoci
calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
con archi e asticciuole prima elette; |
|
58 |
Vedendoci scendere,
ciascuno si fermò, e tre di loro si separarono dalla
schiera con archi e frecce scelte in precedenza; |
61 |
e l'un gridò
da lungi: «A qual martiro
venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l'arco tiro». |
|
61 |
e uno gridò da lontano:
"Verso quale pena vi dirigete voi che scendete il pendio
? Ditelo dal punto in cui vi trovate; altrimenti tendo
l’arco". |
|
La minaccia di questo centauro, così diversa dalle
incomposte manifestazioni di sdegno e rabbia bestiale
degli altri guardiani infernali, esprime un'intelligenza
pronta e decisa. I centauri non hanno nulla di abbietto
nella raffigurazione che ne fa il Poeta. Sono i ministri
della giustizia divina, non i tormentatori (come
Cerbero) dei dannati. Il loro compito è quello di far
rispettare le leggi imposte da Dio all'oltretomba, non
di infliggere il dolore per il gusto perverso di fare
del male. Tra i custodi dell'inferno sono inoltre gli
unici che si dimostrano in grado di sostenere un dialogo
con Virgilio. |
64 |
Lo mio
maestro disse: «La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
mal fu la voglia tua sempre sì tosta». |
|
64 |
Virgilio disse:
"Risponderemo a Chirone quando vi saremo vicini: con tuo
danno la tua volontà fu sempre così impulsiva". |
67 |
Poi mi
tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira,
e fé di sé la vendetta elli stesso. |
|
67 |
Poi mi toccò, e disse:
"Quello è Nesso, che perdette la vita per amore della
bella Deianira e vendicò da sé la propria morte. |
|
Il centauro Nesso, preso da amore per Deianira, moglie
di Ercole, aveva tentato di rapirla; colpito a morte
dall'eroe, con una freccia avvelenata, aveva fatto dono
a Deianira di una camicia intrisa del suo sangue,
facendole credere che aveva la virtù di far innamorare
chi la indossasse. Deianira, volendo riacquistare
l'amore di Ercole, che si era invaghito di Iole, ne fece
dono al marito. Ma, non appena l'ebbe indossata, l'eroe
fu preso da spasimi atroci e dopo poco morì. In tal modo
Nesso fu il vendicatore della propria morte. |
70 |
E quel di
mezzo, ch'al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
quell' altro è Folo, che fu sì pien d'ira. |
|
70 |
E quello che sta in mezzo, e tiene lo
sguardo abbassato, è il grande Chirone, che educò
Achille; l’altro è Folo, che fu così iroso. |
|
Chirone è qui ritratto in un atteggiamento meditativo
che concorda con quanto la leggenda ha tramandato di lui
(fu maestro di Achille). Folo, secondo quanto narra
Ovidio nelle Metamorfosi (XII, 219 sgg.), invitato con
altri centauri al banchetto per le nozze tra Piritoo e
Ippodamia, tentò di rapire la sposa e le donne degli
altri Lapiti. |
73 |
Dintorno al
fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille». |
|
73 |
Girano a migliaia intorno
al fossato, colpendo con frecce qualsiasi dannato si
trae fuori dal sangue più di quanto il suo peccato gli
diede in sorte". |
76 |
Noi ci
appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirón prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro a le mascelle. |
|
76 |
Ci avvicinammo a quegli
animali veloci: Chirone prese una freccia, e con la
cocca trasse indietro la barba sulle mascelle. |
|
Il gesto di Chirone che, prima di parlare, si serve
della freccia per allontanare la barba dalla bocca, ha
in sé dell'umano e del ferino, ma resta un gesto nobile,
che sottolinea la maestà di questa figura. Tutta la
raffigurazione, dei centauri si ispira ad un senso
vivissimo dei decoro esteriore. |
79 |
Quando
s'ebbe scoperta la gran bocca,
disse a' compagni: «Siete voi accorti
che quel di retro move ciò ch'el tocca? |
|
79 |
Quando la grande bocca fu
completamente libera disse ai compagni: "Vi siete
accorti che colui che sta di dietro è un essere vivente? |
82 |
Così non
soglion far li piè d'i morti».
E 'l mio buon duca, che già li er' al petto,
dove le due nature son consorti, |
|
82 |
E Virgilio, che già gli
era di fronte, e arrivava all’altezza del suo petto, là
dove le due nature (di uomo e di cavallo) si uniscono, |
85 |
rispuose:
«Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;
necessità 'l ci 'nduce, e non diletto. |
|
85 |
rispose: "E’ veramente
vivo, e a lui, a lui solo, devo mostrare l’inferno: ci
spinge a ciò la necessità, non il piacere. |
88 |
Tal si partì
da cantare alleluia
che mi commise quest' officio novo:
non è ladron, né io anima fuia. |
|
88 |
Dal cielo si mosse
qualcuno che mi affidò questo straordinario incarico:
non è un ladrone, né io sono l’anima di un ladro. |
91 |
Ma per
quella virtù per cu' io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,
danne un de' tuoi, a cui noi siamo a provo, |
|
91 |
Ma in nome di quel potere
divino, ad opera del quale percorro un cammino cosi
impervio, dacci uno dei tuoi, a cui possiamo stare
vicini, |
94 |
e che ne
mostri là dove si guada,
e che porti costui in su la groppa,
ché non è spirto che per l'aere vada». |
|
94 |
e che ci indichi il punto
dove il fiume può essere attraversato e trasporti costui
sulla sua groppa, poiché egli non è uno spirito che
possa volare". |
|
Il tono di questa risposta di Virgilio a Chirone si
differenzia nettamente da quello delle risposte date ai
guardiani dei cerchi superiori. Questi sono stati
trattati finora, se non sempre con aperto disprezzo
(come Cerbero, Pluto e il Minotauro), con un'impazienza
che non ammetteva repliche (nel caso di Caronte,
Minosse, Flegiàs). Qui, per la prima volta, Virgilio non
si accontenta della solita formula, breve, solenne ed
enigmatica, per rivelare ad un ministro dell'inferno la
volontà di Dio. Egli tenta di convincete Chirone della
fondatezza delle sue ragioni, non di imporgliele
dall'alto della sua superiorità intellettuale. Questo
perché in Chirone si esprime un'intelligenza forse
"elementare ed aliena da sottigliezze" (Sapegno ), quale
è quella che meglio si addice alla sua indole
militaresca ed autoritaria, ma pronta ed acuta. Virgilio
crede quindi doveroso ricordare a Chirone gli antefatti
della discesa di Dante nel regno dei morti (l'incarico
affidatogli da Beatrice), protesta l'innocenza propria e
del suo compagno (non è ladron, né io anima fuia) e
motiva (ché non è spirto che per l'acre vada) la sua
richiesta di una guida che indichi il punto di più
facile guado del fiume. |
97 |
Chirón si
volse in su la destra poppa,
e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida,
e fa cansar s'altra schiera v'intoppa». |
|
97 |
Chirone si
volse a destra, e parlò a Nesso: "Volgiti indietro, e fa
loro da guida, e fa scansare qualunque altra schiera
s’imbatta in voi". |
100 |
Or ci
movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio,
dove i bolliti facieno alte strida. |
|
100 |
Ci avviammo
dunque insieme col sicuro accompagnatore lungo la sponda
del sangue bollente, nel quale i dannati emettevano
grida laceranti. |
103 |
Io vidi
gente sotto infino al ciglio;
e 'l gran centauro disse: «E' son tiranni
che dier nel sangue e ne l'aver di piglio. |
|
103 |
Vidi una moltitudine
immersa fino agli occhi; e Nesso spiegò: "Essi sono
tiranni che uccisero e depredarono. |
106 |
Quivi si
piangon li spietati danni;
quivi è Alessandro, e Dïonisio fero
che fé Cicilia aver dolorosi anni. |
|
106 |
Qui si sconta il male
arrecato agli altri senza pietà; qui si trovano
Alessandro, e il crudele Dionisio, che fu causa alla
Sicilia di anni dolorosi. |
|
Alessandro potrebbe essere il tiranno di Fere, in
Tessaglia, della cui crudeltà parla fra gli altri
Cicerone, oppure il re dei Macedoni, che alcuni autori
latini hanno descritto come un tiranno sanguinario
(Seneca lo chiama "ladro e distruttore di popoli",
Lucano lo definisce fortunato predone"), ma che Dante
elogia tanto nel Convivio quanto nella Monarchia. Questo
peraltro non sarebbe motivo sufficiente per farci
ritenere impossibile la sua destinazione all'inferno;
molti tra i personaggi della storia che il Poeta ammira
maggiormente sono infatti, nella Commedia, fra i
reprobi, essendo i criteri della giustizia divina
necessariamente superiori a quelli del giudizio degli
uomini. |
109 |
E quella
fronte c'ha 'l pel così nero,
è Azzolino; e quell' altro ch'è biondo,
è Opizzo da Esti, il qual per vero |
|
109 |
E quella fronte coperta di
così neri capelli, è (la fronte) di Ezzelino; quello
biondo è invece Obizzo d’Este, il quale davvero |
112 |
fu spento
dal figliastro sù nel mondo».
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
«Questi ti sia or primo, e io secondo». |
|
112 |
fu ucciso in terra dal
figlio snaturato". Allora mi rivolsi a Virgilio, ed egli
disse: "Nesso sia ora la tua guida, io verrò secondo". |
|
Ezzelino III da Romano, capo ghibellino e signore della
Marca Trevigiana, morto nel 1259, è definito da uno
storico di parte guelfa, il Villani, il più crudele
tiranno della cristianità (Cronaca VI, 72).
Obizzo II d'Este, marchese di Ferrara, fu, secondo una
leggenda che qui Dante sembra voler confermare, ucciso
dal figlio Azio VIII nel 1293. |
115 |
Poco più
oltre il centauro s'affisse
sovr' una gente che 'nfino a la gola
parea che di quel bulicame uscisse. |
|
115 |
Poco più oltre il Centauro
si arrestò presso una moltitudine che appariva immersa
in quel bollore fino alla gola. |
118 |
Mostrocci
un'ombra da l'un canto sola,
dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio
lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola». |
|
118 |
Ci indicò un’ombra isolata
in un angolo e disse: "Quel dannato trafisse in chiesa
il cuore che è ancora venerato a Londra". |
|
Guido, conte di Montfort, vicario in Toscana di Carlo I
d'Angiò, pugnalò nel 1272, in una chiesa di Viterbo,
Arrigo, cugino del re d'Inghilterra Edoardo I, che gli
aveva ucciso il padre. Sulla tomba di Arrigo, posta sul
ponte del Tamigi a Londra, una statua dorata, secondo
quanto riferisce un antico commentatore, Benvenuto da
Imola, reggeva un calice contenente il suo cuore
imbalsamato. |
121 |
Poi vidi
gente che di fuor del rio
tenean la testa e ancor tutto 'l casso;
e di costoro assai riconobb' io. |
|
121 |
Vidi in seguito una
moltitudine che teneva fuori del fiume il capo ed anche
tutto il petto; e riconobbi parecchi di costoro. |
124 |
Così a più a
più si facea basso
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
e quindi fu del fosso il nostro passo. |
|
124 |
A questo modo il livello
del sangue andava sempre più diminuendo, fino a bruciare
soltanto i piedi; qui guadammo il fossato. |
127 |
«Sì come tu
da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema»,
disse 'l centauro, «voglio che tu credi |
|
127 |
"Così come vedi che il
liquido bollente si abbassa progressivamente da questa
parte" disse il Centauro, "voglio che tu sappia |
130 |
che da
quest' altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch'el si raggiunge
ove la tirannia convien che gema. |
|
130 |
che dalla parte opposta il
suo alveo diventa sempre più profondo, finché si
ricongiunge al punto dove è giusto che i tiranni espiino. |
133 |
La divina
giustizia di qua punge
quell' Attila che fu flagello in terra,
e Pirro e Sesto; e in etterno munge |
|
133 |
Da quest’altra parte la
giustizia di Dio punisce Attila che sulla terra fu
strumento di dolore e Pirro e Sesto; e per l’eternità
spreme |
136 |
le lagrime,
che col bollor diserra,
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
che fecero a le strade tanta guerra». |
|
136 |
le lagrime, che fa
sgorgare con il supplizio del sangue bollente, a Rinieri
da Corneto, a Rinieri dei Pazzi, che resero così
pericolose le strade." |
|
Attila, re degli Unni dal 433 al 453, fu soprannominato,
per la sua crudetà, il " flagello di Dio".
Pirro è qui, probabilmente, non il re dell'Epiro che
mosse guerra ai Romani, ma Neottolemo, il sanguinario
figlio di Achille, uccisore, secondo quanto narra
Virgilio nel secondo libro dell'Eneide (versi 526-558),
del giovane Polite, figlio di Priamo, e poi di Priamo
stesso.
Sesto è probabilmente il figlio di Pompeo, datosi alla
pirateria dopo la morte del padre.
Rinieri da Corneto fu un brigante ai tempi del Poeta,
terrorizzò tutta la Maremma.
Rinieri dei Pazzi di Valdarno, anch'egli un famoso
ladrone di quei tempi, fu scomunicato da papa Clemente
IV e dichiarato ribelle dal comune di Firenze. |
139 |
Poi si
rivolse e ripassossi 'l guazzo. |
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139 |
Poi si voltò indietro, e riattraversò
il pantano. |