IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

DIVINA COMMEDIA

 
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 DIVINA COMMEDIA: PARAFRASI INFERNO CANTO XVIII°

1 Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge.
  1

Vi è nell’inferno un luogo chiamato Malebolge, fatto interamente di una pietra del colore del ferro, come la parete rocciosa che tutt’intorno lo circonda.

  Il canto inizia con la descrizione della topografia dell’ottavo cerchio, nel quale sono puniti i fraudolenti contro chi non si fida. Il cerchio è diviso in dieci bolge (borse, sacche: cioè fossati, avvallamenti) concentriche. Il verso di apertura, così solenne e sobrío, segna un netto distacco dalla fine del canto precedente, tutto dominato dalla presenza del sovrannaturale e culminante nella miracolosa sparizione di Gerione. Esso, se da un lato rimanda, per la sua struttura, ad altri inizi di discorsi o di narrazioni dell’Inferno, come, ad ‘esempio, all’endecasillabo, così delicatamente atteggiato, siede la terra dove nata fui del canto di Francesca, e a quello che apre la leggenda del Veglio di Creta, in mezzo mar siede un paese guasto, da questi si distacca per la scansione severa, che nulla concede al patetico o al fiabesco.
4 Nel dritto mezzo del campo maligno
vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
di cui suo loco dicerò l'ordigno.
  4

Proprio nel centro di questo piano malvagio si apre un pozzo molto largo e profondo, del quale descriverò la struttura quando sarà il momento.

  Il pozzo che si apre nel centro di Malebolge porta dall’ottavo al nono cerchio, nel quale sono puniti i fraudolenti contro chi si fida, cioè i traditori. In questa descrizione preliminare della parte più bassa dell’inferno la natura è "contemplata con distacco, nella sua definizione architettonica" (Sanguineti) : di qui l’uso del termine pozzo per designare l’ultimo precipizio della voragine infernale. La rigorosa geometria dell’ottavo cerchio è la manifestazione visibile "della mente ordinatrice che ad ogni colpa ha assegnato il suo luogo di punizione" (Gallardo).
7 Quel cinghio che rimane adunque è tondo
tra 'l pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura,
e ha distinto in dieci valli il fondo.
  7 Quella fascia che resta tra il pozzo e la base dell’alta parete rocciosa è pertanto circolare, e ha la superficie suddivisa in dieci avvallamenti.
10 Quale, dove per guardia de le mura
più e più fossi cingon li castelli,
la parte dove son rende figura,
  10 Quale aspetto presenta, dove numerosi fossati circondano i castelli, per proteggerne le mura, il luogo in cui questi si trovano,
13 tale imagine quivi facean quelli;
e come a tai fortezze da' lor sogli
a la ripa di fuor son ponticelli,
  13 tale figura offrivano lì quegli avvallamenti e come tali fortezze hanno dalle loro soglie fino alla riva esterna dell’ultimo fossato dei piccoli ponti,
16 così da imo de la roccia scogli
movien che ricidien li argini e ' fossi
infino al pozzo che i tronca e raccogli.
  16 così dalla base della parete partivano ponti di pietra che attraversavano gli argini e i fossati fino al pozzo che li interrompe e nel quale convergono.
  Opportunamente il Grana rileva che in questa descrizione "la grandiosa topografia del basso inferno è come rimpicciolita in un plastico, semplificata e spoglia di particolari, ridotta a forme e dimensioni rigorosamente geometriche. Nel corso della discesa, Malebolge rivelerà un cumulo di forme sconvolte, informi, con tutti gli orrori che la giustizia divina vi ha racchiusi; ma ora, nella sua conformazione generale, offre una visione gelida, e impressionante di armonia, una forma orrida ma mirabile per precisione e simmetria: orma dell’Eterno Fattore impressa anche nell’inferno, come in tutto il creato, secondo il disposto d’una " alta Provvedenza ", visibile nella natura del luogo di pena, come nei tormenti inflitti ai dannati". Eppure anche in una descrizione così volutamente distaccata e impersonale, il linguaggio prepotentemente dinamico e drammatico del Poeta sa ricondurre la vita. Movìen, ricidìen, tronca e racco’gli sono immagini che rendono la natura geometrica di questo cerchio "quasi partecipe dell’atto di giustizia che l’ha plasmata" (Grana).
19 In questo luogo, de la schiena scossi
di Gerïon, trovammoci; e 'l poeta
tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
  19 In questo luogo ci venimmo a trovare, scesi dal dorso di Gerione; e Virgilio si diresse verso sinistra, e io mi avviai dietro di lui.
22 A la man destra vidi nova pieta,
novo tormento e novi frustatori,
di che la prima bolgia era repleta.
  22 Vidi verso destra nuovo dolore, pene mai prima vedute e fustigatori di nuovo genere, di cui il primo avvallamento era pieno.
25 Nel fondo erano ignudi i peccatori;
dal mezzo in qua ci venien verso 'l volto,
di là con noi, ma con passi maggiori,
  25 I dannati stavano nudi nel fondo: dalla metà della bolgia verso l’esterno procedevano in direzione contraria alla nostra, dall’altra parte camminavano nella nostra stessa direzione, ma più velocemente,
28 come i Roman per l'essercito molto,
l'anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo colto,
  28 come i Romani a causa della grande folla, nell’anno del giubileo, hanno trovato un espediente per far transitare la moltitudine sul ponte (di Castel Sant’Angelo),
31 che da l'un lato tutti hanno la fronte
verso 'l castello e vanno a Santo Pietro,
da l'altra sponda vanno verso 'l monte.
  31 in modo che da un lato del ponte tutti avevano la fronte rivolta al Castello e si dirigevano verso San Pietro; dall’altro lato andavano verso il monte (Giordano: collina sta alla sinistra del Tevere).
  Nel 1300, anno del giubileo indetto Bonifacio VIII, Roma fu visitata da un gran numero di pellegrini. Scrive in proposito il Villani (Cronaca VIII, 36): "al continuo in tutto l’anno durante avea in Roma, oltre al popolo romano, duecentomila pellegrini, sanza quegli ch’erano per gli cammini andando e tornando". Per regolarne il transito sul ponte di Castel Sant’Angelo, esso fu diviso con un tramezzo, in modo che tutti quelli che camminavano nella medesima direzione si trovassero dalla stessa parte.La prima bolgia è idealmente divisa in due zone concentriche. In quella esterna camminano, sferzati dai diavoli, i seduttori per conto altrui (ruffiani), nella seconda, sottoposti ad analogo tormento, i seduttori per conto proprio. L’ordine rigoroso messo in luce nella descrizione della topografia del cerchio è presente anche in questa veduta d’insieme della bolgia. "Senza posa, per l’eternità, con una simmetria, che piace a quell’architetto che è Dante (come piaceva ai suoi contemporanei educati alla logica della scolastica) conservare anche nello inferno, circolano così i frodatori dell’onore e della verginità femminile."(Gallarati-Scotti)
34 Di qua, di là, su per lo sasso tetro
vidi demon cornuti con gran ferze,
che li battien crudelmente di retro.
  34 Da tutte le parti, sulla buia pietra vidi diavoli cornuti con grandi fruste, che Ii percuotevano spietatamente sulla schiena.
37 Ahi come facean lor levar le berze
a le prime percosse! già nessuno
le seconde aspettava né le terze.
  37 Ahi come facevano loro alzare le calcagna fin dai primi colpi! nessuno certo aspettava i secondi e i terzi.
  Il linguaggio astratto e solenne delle prime terzine è qui dei tutto dimenticato. Ancora nel presentare la visione della bolgia (versi 22-24) il Poeta si era servito di termini estremamente generici (pièta, tormento, frustatori nel senso di tormentatori) o letterari (il latinismo repleta). Qui la stessa scena, veduta nella sua concretezza, dopo il paragone con l’essercito molto, che mirava a cogliere in essa un significato di portata universale - l’ordine che si riflette, in quanto manifestazione della mente di Dio, anche nell’inferno - si rivela comica e volgare. "I frustatori sono adesso ritrascritti come i demon cornuti, il tormento, così astrattamente posto all’ínizio, si traduce ora in aperta visione: li battien crudelmente; la nova pieta trova alfine una esauriente illustrazione." (Sanguineti)
40 Mentr' io andava, li occhi miei in uno
furo scontrati; e io sì tosto dissi:
«Già di veder costui non son digiuno».
  40 Mentre camminavo, il mio sguardo s’imbatté in uno di loro; e immediatamente dissi: "Non è la prima volta che vedo costui";
43 Per ch'ïo a figurarlo i piedi affissi;
e 'l dolce duca meco si ristette,
e assentio ch'alquanto in dietro gissi.
  43 perciò per poterlo osservare meglio mi fermai: e la mia cara guida si fermò con me, e acconsentì che tornassi un po’ indietro.
  Dante non solo rinuncia a darci un ritratto di questo personaggio, ma, quasi a sottolinearne l’abiezione, il nessun conto in cui deve essere tenuto, lo indica attraverso un pronome indefinito: uno. Questa designazione anonima acquista tuttavia il suo intero significato soltanto se messa in rapporto con l’episodio che qui ha inizio e nel quale Dante costringerà il dannato a confessare la sua colpa, facendogli capire di averlo riconosciuto e chiamandolo per nome.
46 E quel frustato celar si credette
bassando 'l viso; ma poco li valse,
ch'io dissi: «O tu che l'occhio a terra gette,
  46 E quel frustato credette di nascondersi abbassando il viso; ma a poco gli servì, poiché io gli dissi: "O tu che volgi lo sguardo a terra,
49 se le fazion che porti non son false,
Venedico se' tu Caccianemico.
Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
  49 se le tue fattezze non sono ingannevoli, tu sei Venedico Caccianemico: ma quale peccato ti conduce a così brucianti supplizi".
  Il bolognese Venedico Caccianemico (c. 1228-1302) fu a capo del partito guelfo nella sua città e ricoprì la carica di podestà in diversi comuni dell’Italia centrale e settentrionale. Favorì la politica degli Estensi, che miravano ad estendere la loro influenza su Bologna, e, secondo la diceria alla quale Dante mostra di dar credito, indusse sua sorella Ghisolabella, già sposata, a concedersi a uno di loro (Obizzo II o Azzo VIII). Le parole che Dante rivolge a questo dannato sono, "sotto l’apparenza della corretta educazione" (Caretti), crudeli e sarcastiche. Il frustato ha cercato di non farsi riconoscere: non vuole che nel mondo dei vivi si sappia che egli è nell’inferno per una colpa così abietta. Il Poeta, per mostrare di averlo riconosciuto, ne pronuncia il nome, ma, per maggiore derisione, finge di non essere del tutto certo del suo riconoscimento (se le fazion che porti non son false). Infine, per far ben capire a Venedico di averlo identificato, si serve del termine salse, che, se in un’accezione immediata è soltanto una metafora per " supplizi ", rappresenta anche il nome di una valle nei pressi di Bologna, dove venivano gettatí i cadaveri dei giustiziati, dei suicidi e degli scomunicati.
52 Ed elli a me: «Mal volontier lo dico;
ma sforzami la tua chiara favella,
che mi fa sovvenir del mondo antico.
  52 Ed egli: "Lo dico controvoglia; ma mi costringono le tue precise parole, che richiamano alla mia memoria la vita terrena.
55 I' fui colui che la Ghisolabella
condussi a far la voglia del marchese,
come che suoni la sconcia novella.
  55 Io fui colui che indusse Ghisolabella a cedere alle brame del Marchese, comunque venga narrata questa turpe storia.
58 E non pur io qui piango bolognese;
anzi n'è questo loco tanto pieno,
che tante lingue non son ora apprese
  58 Ma non sono il solo bolognese che qui dolorosamente sconta la sua colpa; al contrario, questo luogo è così pieno di Bolognesi, che attualmente non vi sono tante lingue avvezze
61 a dicer 'sipa' tra Sàvena e Reno;
e se di ciò vuoi fede o testimonio,
rècati a mente il nostro avaro seno».
  61 a dire "sia" tra i fiumi Sàvena e Reno; e se di questo fatto vuoi una prova sicura, ricordati del nostro animo avido".
  "Sipa": è forma dell’antico dialetto bolognese per la terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo essere. La risposta di Venedico - osserva il Caretti - "non fa che perfezionare il tono di cinica commedia, già reperibile nell’allusiva interrogazione... Costretto a ricordare il mondo antico, Venedico non sa infatti far altro che sciorinare impudicamente il poco onorevole catalogo delle proprie benemerenze ....."
64 Così parlando il percosse un demonio
de la sua scurïada, e disse: «Via,
ruffian! qui non son femmine da conio».
  64 Mentre così parlava un diavolo lo colpì con la sua frusta, e disse: "Vattene, ruffiano! qui non ci sono donne da prostituire".
67 I' mi raggiunsi con la scorta mia;
poscia con pochi passi divenimmo
là 'v' uno scoglio de la ripa uscia.
  67 Io mi riaccostai alla mia guida; poi, percorsi pochi passi, arrivammo in un punto dove dalla parete rocciosa si staccava un ponte di pietra.
70 Assai leggeramente quel salimmo;
e vòlti a destra su per la sua scheggia,
da quelle cerchie etterne ci partimmo.
  70 Salimmo su di esso con molta facilità; e, diretti verso destra, su per la sua superficie scheggiata, ci allontanammo da quell’eterno girare.
73 Quando noi fummo là dov' el vaneggia
di sotto per dar passo a li sferzati,
lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
  73 Quando fummo nel punto in cui (il ponte) è vuoto sotto di sé per consentire ai frustati di passare, Virgilio disse: "Fermati, e fa in modo che cada
76 lo viso in te di quest' altri mal nati,
ai quali ancor non vedesti la faccia
però che son con noi insieme andati».
  76 su di te lo sguardo di questi altri sciagurati, dei quali ancora non hai veduto il volto poiché hanno camminato nella nostra stessa direzione".
79 Del vecchio ponte guardavam la traccia
che venìa verso noi da l'altra banda,
e che la ferza similmente scaccia.
  79 Dal ponte antico osservavamo la fila che avanzava nella nostra direzione percorrendo l’altra parte della bolgia, e che la frusta sospingeva così come faceva con i ruffiani.
82 E 'l buon maestro, sanza mia dimanda,
mi disse: «Guarda quel grande che vene,
e per dolor non par lagrime spanda:
  82 E Virgilio, senza che io facessi domande, mi disse: "Guarda quel grande che si avvicina, e che non sembra versare lagrime per il dolore.
85 quanto aspetto reale ancor ritene!
Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
li Colchi del monton privati féne.
  85 Quale portamento regale ancora conserva! Quello è Giasone, che con il coraggio e la saggezza privò i Colchi del montone.
  Giasone è un personaggio della mitologia del quale Dante ebbe notizia probabilmente attraverso la Tebaide di Stazio (V, 404-485). Figlio di Esone re della Tessaglia, questo eroe guidò la spedizione degli Argonauti nella Colchide per conquistare il vello d’oro. La figura di Giasone si isola nella folla grottesca dei dannati di questa bolgia. Egli non alza le berze per fuggire, ma incede dignitosamente, come si addice ad un sovrano: vene. Non diversamente da Capaneo, egli è additato come quel grande, non diversamente da Capaneo anche Giasone sa dominare il proprio dolore. La presentazione di questa figura ad opera di Virgilio richiama anche il modo in cui lo stesso Virgilio indica Omero al suo discepolo, nel quarto canto (versi 86-88).Come nota il Fubini, a Virgilio è affidato, nella grottesca commedia dell’ottavo cerchio, "il compito di ricordare gli eroi e i miti della poesia antica, e per le sue parole si dischiude nella greve atmosfera di Malebolge un’apertura verso un mondo diverso, quello che già commosse l’animo suo e degli altri antichi poeti e che commuove tuttora l’animo di Dante".
88 Ello passò per l'isola di Lenno
poi che l'ardite femmine spietate
tutti li maschi loro a morte dienno.
  88 Egli passò per l’isola di Lemno, dono che le audaci donne senza pietà avevano ucciso tutti i loro uomini.
91 Ivi con segni e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta
che prima avea tutte l'altre ingannate.
  91 Qui con gesti e con parole lusinghiere ingannò Isifile, la giovane che prima aveva ingannato tutte le altre donne.
94 Lasciolla quivi, gravida, soletta;
tal colpa a tal martiro lui condanna;
e anche di Medea si fa vendetta.
  94 La abbandonò lì, incinta, sola; questo peccato lo rende meritevole di tale supplizio; e si rende giustizia anche per il male da lui fatto a Medea.
97 Con lui sen va chi da tal parte inganna;
e questo basti de la prima valle
sapere e di color che 'n sé assanna».
  97 Con lui va chi usa l’inganno in tal modo: e basti questa conoscenza della prima bolgia e di coloro che essa strazia".
100 Già eravam là 've lo stretto calle
con l'argine secondo s'incrocicchia,
e fa di quello ad un altr' arco spalle.
  100 Ci trovavamo già nel punto dove l’angusto sentiero s’incrocia con il secondo argine, e di questo fa sostegno per un altro arco di ponte.
103 Quindi sentimmo gente che si nicchia
ne l'altra bolgia e che col muso scuffa,
e sé medesma con le palme picchia.
  103 Di qui udimmo gente che emetteva lamenti soffocati nell’altra bolgia e soffiava rumorosamente, e percuoteva se stessa con le palme aperte.
106 Le ripe eran grommate d'una muffa,
per l'alito di giù che vi s'appasta,
che con li occhi e col naso facea zuffa.
  106 Le sponde erano incrostate di muffa, a causa delle esalazioni che, provenendo dal basso vi si solidificavano formando come una pasta, la quale irritava la vista e l’olfatto.
109 Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
loco a veder sanza montare al dosso
de l'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
  109 Il fondo è così profondo, che non vi è luogo adatto per vedere in esso, a meno di salire sulla sommità dell’arco, là dove il ponticello di píetra è più alto.
112 Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso.
  112 Arrivammo in quel punto; e di là vidi in basso nella bolgia una moltitudine immersa in uno sterco che sembrava provenire dalle latrine umane.
115 E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parëa s'era laico o cherco.
  115 E mentre io percorrevo con lo sguardo il fondo della bolgia, scorsi uno con la testa, così imbrattata di sterco, che non si distingueva se avesse o no la tonsura.
118 Quei mi sgridò: «Perché se' tu sì gordo
di riguardar più me che li altri brutti?».
E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
  118 Quello mi apostrofò "Perché sei così avido di fermare il tuo sguardo su di me più che sugli altri insozzati?" E io: "Perché, se ricordo bene,
121 già t'ho veduto coi capelli asciutti,
e se' Alessio Interminei da Lucca:
però t'adocchio più che li altri tutti».
  121 io ti ho già veduto quando i tuoi capelli erano puliti, e sei Alessio Interminelli di Lucca: per questo ti osservo più di tutti gli altri".
124 Ed elli allor, battendosi la zucca:
«Qua giù m'hanno sommerso le lusinghe
ond' io non ebbi mai la lingua stucca».
  124 Ed egli allora, picchiandosi il capo: "Mi hanno fatto affondare in questo luogo le adulazioni delle quali non ebbi mai sazia la lingua".
127 Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
mi disse, «il viso un poco più avante,
sì che la faccia ben con l'occhio attinghe
  127 Poi Virgilio mi disse: "Fa in modo di spingere lo sguardo un po’ più avanti, in modo da raggiungere con gli occhi la faccia
130 di quella sozza e scapigliata fante
che là si graffia con l'unghie merdose,
e or s'accoscia e ora è in piedi stante.
  130 di quella sudicia e scarmigliata donnaccia che si graffia laggiù con le unghie lorde, e ora si siede in terra, e ora è dritta in piedi.
133 Taïde è, la puttana che rispuose
al drudo suo quando disse "Ho io grazie
grandi apo te?": "Anzi maravigliose!".
  133 E’ Taide, la meretrice che al suo amante, quando costui le chiese "Ho io per te grandi meriti?" rispose: "Più che grandi, straordinari."
136 E quinci sian le nostre viste sazie».   136 E di questo spettacolo i nostri occhi siano sazi".

 

© 2009 - Luigi De Bellis