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DIVINA
COMMEDIA: PARAFRASI
INFERNO
CANTO V° |
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1 |
Così discesi
del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio. |
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1 |
Scesi dunque dal primo nel
secondo cerchio, che contiene in sé meno spazio (essendo
la sua circonferenza più piccola), ma una pena tanto più
crudele, che spinge a lamentarsi. |
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L'inferno
dantesco ha la forma di un imbuto: i cerchi sono tanto
più stretti quanto più sono vicini al centro della
terra, occupato da Lucifero. A mano a mano che il loro
diametro decresce, aumenta la gravità dei peccati che in
essi vengono puniti. |
4 |
Stavvi Minòs
orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia. |
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4 |
Ivi si
trova Minosse in atteggiamento terrificante, e ringhia:
valuta, all’ingresso del cerchio, le colpe (dei
peccatori); li giudica e li destina (ai rispettivi
luoghi di punizione) a seconda del numero di volte che
attorciglia (la coda intorno al proprio corpo). |
7 |
Dico che
quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata |
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7 |
Voglio
dire che quando l’anima sciagurata si presenta al suo
cospetto, rivela tutto di sé; e quel giudice dei peccati |
10 |
vede qual
loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa. |
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10 |
comprende
quale parte dell’inferno si addice ad essa; si avvolge
con la coda tante volte per quanti cerchi infernali
vuole che venga precipitata in basso. |
13 |
Sempre
dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte. |
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13 |
Davanti a lui ve ne sono
sempre in gran numero: le une dopo le altre si
sottopongono ciascuna al suo giudizio; si confessano e
ascoltano (la sentenza), e poi vengono travolte
nell’abisso. |
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Minòs:
mitico re di Creta, che nel sesto libro dell'Eneide
(versi 432-433) giudica le anime dei trapassati. La
scena delle anime davanti a Minosse ha, nella sua
straordinaria concisione, una tragica grandiosità. Il
Momigliano ha visto, in questa figura di belva
giudicante, "una stupenda fusione di maestà e di
grottesco", rilevando, tra l'altro, nella
contaminazione, che si ritrova in tutti i guardiani
infernali, di elementi desunti dalla mitologia classica
con elementi cristiani, una solidità di figurazione che
"toglie ogni impressione anacronistica, come l'unità
della composizione impedisce di vedere una stonatura nei
vestiti o negli sfondi architettonici moderni dei quadri
sacri o classici del Rinascimento". Da notare, anche,
come l'incalzante rapidità del giudizio di Minosse si
concreti in una particolare struttura del verso ( il
verbo in posizione privilegiata: stavvi... giudica...
vede... cignesi... vanno... dicono). Ma tutte queste
osservazioni rischiano di essere inutili se non ci
aiutano a cogliere il significato più profondo di queste
terzine, che è quello di una brutale, spasmodica,
insensata messa in scena. Il vero giudizio è già
avvenuto in cielo. Qui non ne è possibile se non una
sorta di grottesca contraffazione. |
16 |
«O tu che
vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio, |
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16 |
"O tu che
giungi alla dimora del dolore", disse Minosse a me
quando si accorse della mia presenza, interrompendo
l’esercizio della sua così alta funzione, |
19 |
«guarda com'
entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride? |
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19 |
"considera attentamente il
modo in cui stai per entrare (se hai cioè i meriti
necessari per compiere incolume il viaggio nell’inferno)
e colui in cui riponi la tua fiducia (Virgilio non è
un’anima redenta): non lasciarti trarre in inganno dalla
larghezza dell’ingresso!" E Virgilio di rimando: "
Perché ti affatichi a gridare? |
22 |
Non impedir
lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare». |
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22 |
Non ostacolare il suo
viaggio predestinato: si vuole così là dove si può fare
tutto ciò che si vuole, e non chiedere altro". |
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Virgilio
ripete a Minosse la formula già usata nel canto III,
versi 95-96. |
25 |
Or
incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote. |
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25 |
A questo punto cominciano
a farsi sentire le voci del dolore; ora sono arrivato là
dove molti pianti colpiscono il mio udito. |
28 |
Io venni in
loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto. |
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28 |
Giunsi in
un posto privo d’ogni chiarore, che rumoreggia come un
mare in tempesta, sotto la furia di venti contrari. |
31 |
La bufera
infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta. |
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31 |
La
tempesta di questo cerchio dell’inferno, destinata a non
avere mai tregua, trascina le anime con impeto
travolgente: le tormenta facendole vorticare (in tutti i
sensi) e facendole cozzare (fra loro ). |
34 |
Quando
giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina. |
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34 |
Quando
giungono davanti alla rupe franata, qui prorompono in
grida, in pianto unanime, in lamenti; bestemmiano qui la
potenza di Dio. |
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Quando
giungon davanti alla ruina:
il termine ruina indica lo scoscendimento attraverso il
quale le anime, dopo la sentenza di Minosse, cadono,
precipitando dall'alto, nel cerchio. |
37 |
Intesi ch'a
così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento. |
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37 |
Compresi
che a una siffatta pena sono condannati i lussuriosi,
che sottomettono la ragione alla passione. |
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Il Poeta
stesso ci avverte di aver intuito il significato che si
adombra nel contrappasso della bufera. Tale precisazione
non è affatto superflua a questo punto del canto, dal
momento che "il nodo drammatico che dà vita a tutto
l'episodio, ossia lo stretto legame che allaccia tra
loro indissolubilmente la passione carnale, il peccato e
l'eterno tormento della bufera, è messo in luce, per la
prima volta, proprio attraverso questa inequivocabile
denuncia, da parte del Poeta, della sostanza violenta e
sovvertitrice di quella passione, dell'arbitrio,
cristianamente inammissibile, che l'istinto esercita per
essa sull'intelletto" ( Caretti ).
Enno dannati i peeeator carnali:
San Gregorio Magno aveva considerato i peccati "carnali"
(lussuria, gola, avarizia, ira, accidia) meno gravi di
quelli "spirituali". San Tommaso aveva dato a questa
valutazione un fondamento teorico. Anche nell'inferno
dantesco i peccati "carnali", dovuti a semplice
incontinenza, precedono, in rapporto alla loro gravità e
al posto in cui sono puniti (i primi quattro cerchi dopo
il limbo), quelli "spirituali", dovuti a consapevole
malizia. |
40 |
E come li
stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali |
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40 |
E come le
ali portano nella stagione invernale gli stornelli, che
si dispongono in gruppi ora diradati ora compatti, così
da quel vento le anime perverse |
43 |
di qua, di
là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena. |
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43 |
sono
trascinate di qua, di là, in basso, in alto; mai nessuna
speranza, non solo di una cessazione temporanea, ma
nemmeno di un castigo alleviato, è loro di conforto. |
46 |
E come i gru
van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid' io venir, traendo guai, |
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46 |
E come le
gru sono solite intonare i loro lamenti, quando solcano
l’aria in lunghe file, così vidi avvicinarsi, emettendo
gemiti, |
49 |
ombre
portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?». |
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49 |
le anime
portate dal turbine sopra menzionato: per questo dissi:
"Chi sono mai, maestro, quegli spiriti che il vento buio
in tal modo punisce?" |
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La
similitudine degli stornelli e quella delle gru hanno
una singolare analogia d'impianto, pur differendo l'una
dall'altra per la funzione che esplicano. "Come nella
prima similitudine, infatti, l'elemento comune, che
avvicina, agli occhi del Poeta, gli stornai agli spiriti
mali, non è tanto l'andare, gli uni e gli altri, in
schiera larga e piena, quanto piuttosto il particolare
modo con cui improvvisamente s'impennano nel volo; così
nella seconda l'elemento che accomuna le gru alle ombre
non è tanto quel procedere nell'aria "faccenda di sì
lunga riga ", quanto piuttosto l'identico lamento, la
stessa eco lacrimosa che uccelli e spiriti lasciano
dietro di sé, nella loro scia."(Caretti) |
52 |
«La prima di
color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle. |
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52 |
"La prima
di quelle anime di cui tu mi chiedi notizia" mi rispose
allora Virgilio, "regnò su molti popoli di lingua
diversa. |
55 |
A vizio di
lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta. |
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55 |
Fu a tal
punto dedita alla lussuria, che dichiarò, sotto le sue
leggi, permesso ciò che a ciascuno piacesse, per
cancellare la riprovazione in cui era incorsa. |
58 |
Ell' è
Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge. |
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58 |
E’
Semiramide, di cui le storie narrano che fu sposa di
Nino, cui succedette (sul trono): fu sovrana della
regione che attualmente il sultano governa, |
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Semiramide,
regina degli Assiri nel XIV o Xlll secolo a. C., è
citata da tutti gli storiografi medievali come esempio
di assoluta immoralità. Il Sultano era, ai tempi di
Dante, sovrano dell'Egitto. Il Poeta scambia qui
probabilmente la Babilonia assira con quella egiziana
(l'attuale il Cairo). |
61 |
L'altra è
colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa. |
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61 |
L’altra è Didone, che si tolse la vita,
per amore, e non rimase fedele al marito morto, Sicheo,
e c’e anche la lussuriosa Cleopatra. |
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Narra Virgilio nei quarto libro
dell'Eneide che Didone, innamoratasi di Enea, infranse
il giuramento di fedeltà fatto sulla tomba del marito, e
che, in seguito all'abbandono da parte dell'eroe
troiano, si uccise.
Cleopatra, regina d'Egitto, riuscì a fare innamorare di
se Giulio Cesare e, dopo la morte di questi, il tribuno
Marco Antonio. |
64 |
Elena vedi,
per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo. |
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64 |
Guarda
Elena, a causa della quale trascorsero tanti anni
luttuosi, e guarda il famoso Achille, che alla fine ebbe
per avversario amore. |
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Per Elena,
moglie di Menelao, fuggita a Troia con Paride, si
scatenò la guerra, durata dieci anni, tra Greci e
Troiani. Secondo una leggenda, ella sarebbe stata uccisa
da una donna, che, in tal modo, avrebbe inteso vendicare
la morte del marito avvenuta in battaglia. Un'altra
leggenda narra che Achille, preso da amore per
Polissena, figlia di Priamo, re dei Troiani, e recatosi
a celebrare le nozze con lei, fu ucciso in un'imboscata
da Paride. |
67 |
Vedi Parìs,
Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille. |
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67 |
Guarda
Paride, Tristano"; e mi indicò più di mille anime,
facendo i nomi di persone che amore strappò alla vita. |
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Vedi
Paris, Tristano:
il rapitore di Elena morì per mano di Filottete, un
guerriero greco; Tristano, cavaliere della Tavola
Rotonda, innamoratosi di Isotta, moglie di suo zio
Marco, re di Cornovaglia, fu da costui ucciso. La
rassegna degli eroi morti per amore non rappresenta una
digressione rispetto a quello che sarà il tema dominante
dell'ultima parte del canto, anzi lo prepara e gli dà un
naturalissimo avvio. |
70 |
Poscia ch'io
ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. |
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70 |
Dopo aver ascoltato il mio
maestro in quella lunga rassegna di donne ed eroi
dell’antichità, fui colto da compassione, e fui sul
punto di perdere i sensi. |
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Pietà mi
giunse:
sul valore da attribuire a pietà (una delle due
"parole-tema" dell'episodio che sta per cominciare;
l'altra è amore) hanno scritto a lungo i critici. Per il
Foscolo e il De Sanctis il termine sarebbe qui usato
nella sua accezione più consueta. Esso designerebbe la
"compassione" di Dante per i peccatori e quindi anche,
implicitamente, la sua "comprensione" per le ragioni che
li hanno indotti a peccare. Il Sapegno, in ciò più
attento alla ispirazione etico-religiosa del poema,
interpreta la pietà di Dante come "turbamento, che nasce
dalla considerazione delle terribili conseguenze del
peccato"; esso "non importa comunque mai da parte di
Dante un atteggiamento di adesione e di
compartecipazione e non attenua in nessun modo la recisa
condanna morale".
I dannati del secondo cerchio sono tutti, per usare
un'espressione dello stesso Dante, gente di molto
valore, anime nobili. E' questo un particolare che può
aiutarci ad intendere, nella loro origine
contraddittoria e sfumata, i motivi dello "smarrimento"
del Poeta. |
73 |
I'
cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri». |
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73 |
Presi a
dire: "Poeta, desidererei parlare con quei due che
procedono uniti, e che sembrano opporre così debole
resistenza al vento". |
|
Quei due
che 'nsieme vanno:
sono Francesca, figlia di Guido da Polenta, signore di
Ravenna, e Paolo Malatesta. Poco dopo il 1275 Francesca
sposò, con un matrimonio dettato da ragioni soltanto
politiche, Gianciotto Malatesta, signore di Rimini e
uomo rozzo e deforme. Si innamorò poi del giovane e
avvenente Paolo, fratello del marito, e ne fu
ricambiata. Allorché Gianciotto li sorprese, li uccise
entrambi. L'eco della tragedia, avvenuta fra il 1283 e
il 1285, doveva essere ancora viva quando Dante fu
generosamente accolto a Ravenna, negli ultimi anni della
sua vita, da Guido Novello, nipote di Guido il Vecchio
da Polenta.
E paion sì al vento esser leggieri:
sul significato da attribuire alla minor resistenza che
Paolo e Francesca oppongono alla bufera infernale, i
pareri sono discordi. Alcuni vedono in questo
particolare un alleggerimento della pena, altri un
aggravamento di essa, perché i due sarebbero con più
violenza trascinati dal turbine. Il quesito è di quelli
che rischiano di rimanere insoluti. Ma se, anziché
considerare in astratto il castigo dei due cognati,
volgiamo la nostra attenzione ai modi in cui il Poeta ce
lo rappresenta, a quella "leggerezza di toni e poi di
sentimenti, un poco stilizzata com'è della poesia
giovanile di Dante e del suo stilnovismo" (Gallardo),
allora le interpretazioni "romantiche" (alleggerimento
della pena) sembrano più legittime di quelle
strettamente "dottrinali". |
76 |
Ed elli a
me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno». |
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76 |
E
Virgilio: "Farai attenzione al momento in cui ci saranno
più vicini; e tu allora pregali in nome di quell’amore
che li conduce, ed essi verranno". |
79 |
Sì tosto
come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!». |
|
79 |
Non appena
il vento li volse verso di noi, dissi: "O anime
tormentate, venite a parlarci, se qualcuno (Dio) non lo
vieta!" |
82 |
Quali
colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate; |
|
82 |
Come le
colombe, ubbidendo all’impulso amoroso, si dirigono nel
cielo verso l’amato nido, planando con le ali spiegate e
immobili, portate dal desiderio, |
85 |
cotali uscir
de la schiera ov' è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettüoso grido. |
|
85 |
così esse
uscirono dalla schiera delle anime di cui fa parte anche
Didone, venendo verso noi attraverso l’aria infernale,
tanto efficace era stata la mia ardente preghiera. |
|
Quali
colombe, dal disio chiamate:
la similitudine ne ricorda due di Virgilio (Eneide canto
V, versi 213-217; canto VI, versi 190-192), ma mentre
nel poeta latino le colombe non sono che "graziose
colombe", qui esse paiono invece "animate da una volontà
quasi umana"(Parodi). |
88 |
«O animal
grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, |
|
88 |
"O uomo
cortese e benevolo che attraverso l’aria buia vieni a
trovare noi che (morendo) macchiammo il mondo col nostro
sangue. |
91 |
se fosse
amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso. |
|
91 |
se il re
del creato ci fosse amico, noi lo pregheremmo di darti
serenità, dal momento che provi compassione per il
nostro atroce tormento. |
|
Sulle
prime parole di Francesca, cosi gentili e accorate,
scrive il Momigliano, " pesa stancamente tutto il dolore
di quella tragedia" e aggiunge che il verso 90 "solleva
questo che fu, a quei tempi, un fatto di cronaca,
all'altezza d'un esemplare eterno di sciagura".
La "preghiera condizionata" (De Sanctis) dei versi
91-93, in cui alla delicatezza dell'espressione
Francesca indissolubilmente unisce la consapevolezza di
essere esclusa da ogni forma di speranza (Dio, rifugio e
sostegno per chi soffre, non dà ascolto ai reprobi), ha
ispirato una delle più belle pagine del saggio dedicato
a questo episodio dal Parodi: "Francesca, laggiù
nell'inferno, dove la preghiera è vana e si tramuta in
bestemmia, ad un tratto, alla voce di questo vivo che ha
compassione del suo affanno, ripensa alle preghiere di
quando era buona e pia, e si duole di non potergli con
esse impetrare da Dio, - che cosa? - quello che a lei è
negato per sempre e che implora con disperato lamento,
la pace! Ma che sa ella se Dante abbia bisogno di pace?
Eppure, mentre l'anima di lei è sconvolta da una bufera
più violenta di quella che le rugge d'intorno, come
potrebbero gli uomini tutti e le fiere e tutta intera la
natura non struggersi della medesima angoscia?" |
94 |
Di quel che
udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace. |
|
94 |
Ascolteremo e vi diremo quelle cose che vorrete dire e
ascoltare, per tutto il tempo che la bufera, come fa
(adesso), attenuerà la sua violenza, |
97 |
Siede la
terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui. |
|
97 |
La città dove nacqui si
stende sul litorale verso il quale discende il Po per
trovare, coi suoi affluenti, quiete. |
|
Nota il De
Sanctis, a proposito del modo in cui Francesca sa
animare della sua rassegnata e dolente femminilità anche
i particolari di minor rilievo (come potrebbe essere, se
la volgessimo nel linguaggio utilitario da noi usato
quotidianamente, la precisazione topografica di questi
versi), che ella "anche dicendo cose indifferenti, ci
mette non so che [di] molle e soave, che rivela animo
nobile e delicato". Il Parodi precisa il senso
dell'immagine: "Anche il Po, che discende alla marina di
Ravenna, e i "suoi seguaci", i fiumi che vanno con lui,
pare a Francesca che anelino al momento d'aver pace, di
scomparire, di dimenticarsi nel mare". |
100 |
Amor, ch'al
cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. |
|
100 |
Amore, che rapidamente fa
presa su un cuore nobile, si impadronì di Paolo per la
mia bellezza fisica, bellezza di cui fui privata (quando
venni uccisa); e l’intensità di questo amore fu tale,
che ancora ne sono sopraffatta. |
103 |
Amor, ch'a
nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona. |
|
103 |
Amore, che
non permette che chi è amato non ami a sua volta, mi
sospinse con tanta forza a innamorarmi della bellezza di
Paolo, che, come ben puoi vedere (dal fatto che siamo
uniti), ancora mi lega a lui. |
106 |
Amor
condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte |
|
106 |
Amore ci
portò a morire insieme: colui che ci ha tolto la vita è
atteso nel cerchio dei traditori (la Caina è la zona del
nono cerchio destinata ai traditori dei parenti)."
Queste parole ci vennero rivolte da loro |
|
Nella
prima parte del discorso di Francesca a Dante non c'è
neppure un accenno alla sua personale vicenda:
protagonisti del dramma non furono due fragili esseri in
preda alla passione, ma questa passione stessa, che li
soggiogò fino al punto di privarli di ogni difesa, di
ogni capacità di reagire. Osserva il Sapegno che
Francesca si sforza di spiegare e giustificare la sua
colpa, "sottraendo l'impulso primo del peccato ad una
precisa responsabilità individuale, per trasferirlo sul
piano di una forza trascendente e irresistibile: Amore".
E' strano che il Momigliano abbia tacciato queste parole
di eccessiva enfasi, mentre il Vossler si è, al
contrario, meravigliato che una donna possa esprimere la
propria passione in cadenze così nette e decise, oltre
che in accenni di indubbia crudezza. In realtà questa
prima parte del discorso di Francesca ha una funzione
essenziale nell'episodio: sia perché in essa le
illusioni del tempo felice, in cui la vita pareva
destinata a scorrere come "letteratura", non meno
raffinata che ignara delle esigenze del dovere, sono
messe continuamente a raffronto con la realtà che da
esse è scaturita, sia perché è proprio questa apologia
di Amore che pone Dante di fronte alla necessità di
valutare, sul piano delle loro conseguenze, le teorie di
cui si era fatto in gioventù il propugnatore. |
109 |
Quand' io
intesi quell' anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense». |
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109 |
Udite
quelle anime travagliate, abbassai io sguardo, e lo
tenni abbassato tanto a lungo, che alla fine Virgilio mi
chiese: "A cosa pensi?" |
112 |
Quando
rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!». |
|
112 |
Quando
risposi, cominciai: "Ohimè, quanti teneri pensieri,
quanto reciproco desiderio condusse costoro a peccare
(al doloroso passo)!" |
|
Al
doloroso passo:
"al passo dall'amore onesto al disonesto, e dalla fama
all'infamia, e dalla vita alla morte" (Buti). La
risposta di Dante è come il proseguimento della sua
assorta meditazione e sembra essere rivolta non tanto a
Virgilio quanto a se stesso. "Gli occupa l'anima uno
sgomento attonito per il mistero della vita morale degli
uomini, liberi di giudizio e di volontà, eppur destinati
nell'arcano consiglio della Provvidenza, altri alle
vittorie della volontà buona, altri alle disfatte della
ragione consigliera impotente, altri alla redenzione del
pentimento e altri alle cadute irreparabili. Il senso
del mistero tanto più acuto e tormentoso si accoglie nel
poeta credente, quanto più viva e la pietà per ciò che
al corto vedere umano sembra ineluttabile. " (Rossi-Frascino)
Nel canto quinto Dante entra, per cosi dire, in uno
stato di crisi, di perplessità, di lotta con se stesso.
Completo, incontrastato era stato il suo disprezzo per
gli ignavi, altrettanto netta la sua simpatia per i
grandi spiriti del limbo. Ma la colpa dei due cognati
non era di quelle che ripugnavano al suo senso dei
valori. Tutta una lunga tradizione (la Cavalleria, i
trovatori, la poesia dotta siciliana fiorita alla corte
di Palermo sotto gli Svevi) aveva idealizzato l'amore.
Dante medesimo aveva fatto parte della scuola poetica
del dolce stil novo, per la quale la donna amata era un
riflesso in terra della perfezione divina e un mezzo per
ascendere al Bene Supremo, a Dio. Le tre terzine in cui
Francesca proclama la ineluttabile forza di Amore,
riecheggiano, nel pensiero e nello stile, i principii di
questa scuola poetica. Ma qui, nell'episodio di Paolo e
Francesca, il cor gentil e la donna angelicata da
strumenti di elevazione si convertono in strumenti di
peccato. Scrive il Croce: "I due non sono aiutati a
resistere, ma anzi preparati a cedere, dal cor gentile,
dai dolci pensieri, dai dolci sospiri, dalle sentenze
della dottrina d'amore, ch'a nullo amato amar perdona;
da tutto l'idealizzamento che dell'amore avevano fatto
la poesia occitanica e quella dello stil novo, e dai
ricordi e dall'esempio degli appassionati e nobili eroi
ed eroine dei romanzi. E' questa l'insidia che li porta
all'orto del baratro e ve li spinge dentro". |
115 |
Poi mi
rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. |
|
115 |
Poi,
rivolto a loro, parlai, e dissi: "Francesca, le tue
sofferenze mi rendono triste e pietoso fino alle
lagrime. |
118 |
Ma dimmi: al
tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?». |
|
118 |
Però
dimmi: quando la vostra passione si manifestava soltanto
attraverso dolci sospiri, con quale indizio e in che
modo Amore permise che l’uno conoscesse i sentimenti
dell’altra, fino allora incerti d’essere corrisposti?" |
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Non è
oziosa curiosità quella che ha spinto Dante a formulare
questa domanda. Egli vuole chiarire, a sé e agli altri,
il rapporto che corre tra nobiltà d'animo, delicatezza
di sentimenti e peccato. L'uomo nuovo, da poco
ridestatosi in lui, si erge a giudice dei giovanili
entusiasmi che lo avevano portato ad identificare
bellezza e bontà, finezza di animo e di modi e vita
morale. |
121 |
E quella a
me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. |
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121 |
E
Francesca "Nulla addolora maggiormente che ripensare ai
momenti di gioia quando si è nel dolore; e di ciò è
consapevole il tuo maestro. |
124 |
Ma s'a
conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice. |
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124 |
Ma se un
così affettuoso interesse ti spinge a interrogarmi sul
modo in cui si manifestò per la prima volta il nostro
amore, farò come chi parla tra le lagrime. |
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Tu hai
cotanto affetto:
il De Sanctis rileva come qui la parola affetto non
possa essere interpretata soltanto come sinonimo di
"desiderio", secondo una spiegazione scolasticamente
insensibile ai valori della poesia: "Quando Francesca,
sforzando la grammatica, dice affetto, non è già il
desiderio che Dante abbia di conoscere la sua storia che
le si presenta immediatamente innanzi, ma l'affetto col
quale esprime il suo desiderio... " |
127 |
Noi
leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. |
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127 |
Noi
leggevamo un giorno, per svago, la storia di Lancillotto
e dell’amore che s’impadronì di lui: eravamo soli e non
avevamo nulla da temere. |
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Lancillotto del Lago è l'eroe di uno dei più celebri
romanzi francesi del ciclo brettone, che Dante ben
conosceva. Nel romanzo si raccontano non solo le imprese
militari di Lancillotto, ma anche il suo amore per
Ginevra, moglie di re Artù.
Soli eravamo e sanza alcun sospetto:
osserva il De Sanctis: "Chi mai fa quest'osservazione se
non l'amore colpevole? Leggono una storia d'amore e non
osano di guardarsi e temono che i loro sguardi
tradiscano quello che l'uno sa dell'altro e l'uno
nasconde all'altro; e quando in alcuni punti della
lettura veggono un'allusione al loro stato... gli occhi
immemori s'incontrano, né già osano di sostenerli e li
riabbassano, e la coscienza di essersi traditi e il
fremito della carne si rivela nel volto che si scolara". |
130 |
Per più
fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. |
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130 |
Più volte
quella lettura fece incontrare i nostri sguardi, e ci
fece impallidire; ma solo un passo ebbe ragione di ogni
nostra resistenza. |
133 |
Quando
leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, |
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133 |
Quando
leggemmo come la bocca desiderata (di Ginevra) fu
baciata da un così nobile innamorato, Paolo, che mai
sarà separato da me, |
136 |
la bocca mi
basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante». |
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136 |
mi baciò,
trepidante, la bocca. Galeotto fu il libro e chi lo
scrisse: quel giorno non proseguimmo oltre nella sua
lettura". |
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Nel
romanzo brettone il siniscalco Galehaut esorta i due
innamorati a rivelarsi il loro amore, spingendo Ginevra
a baciare Lancillotto. Il libro, dunque, svolge per
Paolo e Francesca il ruolo che nella vicenda narrata è
assegnato a Galehaut.
Che mai da me non fia diviso:
sempre il De Sanctis ha saputo stupendamente cogliere il
senso disperato di questo inciso in tutta la sua tragica
bellezza: "tra l'amante e il peccato si gitta in mezzo
l'inferno, e il tempo felice si congiunge con la
miseria, e quel momento d'oblio,` il peccato, non si
cancella più, diviene l'eternità". |
139 |
Mentre che
l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com' io morisse. |
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139 |
Mentre una
delle due anime diceva queste cose, l’altra (Paolo)
piangeva, così che per la compassione perdetti i sensi
non altrimenti che per morte: |
142 |
E caddi come
corpo morto cade. |
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142 |
e caddi
come cade un corpo inanimato. |
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