1 |
Ora era onde 'l salir non volea storpio;
ché 'l sole avëa il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio: |
|
1 |
L'ora era così tarda che la salita non
comportava indugio, perché il sole aveva già lasciato il
meridiano di mezzogiorno presso la costellazione del
Toro e la notte presso quella dello Scorpione: |
|
Il sole aveva lasciato allo zenit (nel cerchio di
merigge: nel meridiano massimo della sfera celeste che
il sole tocca a mezzogiorno, cioè a merigge) la
costellazione del Toro ed era passato in quella
dell'Ariete, mentre la notte, che opposita a lui cerchia
(Purgatorio Il, 4), aveva lasciato al nadir la
costellazione dello Scorpione ed era passata in quella
della Libbra. Nel purgatorio sono circa le due
pomeridiane e a Gerusalemme circa le due antimeridiane. |
4 |
per che, come fa l'uom che non s'affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge, |
|
4 |
per la qual cosa, come fa
colui che non si ferma, ma s'affretta per la sua strada,
qualunque cosa gli appaia, se lo punge lo stimolo del
bisogno, |
7 |
così intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia. |
|
7 |
così noi entrammo nella
spaccatura della roccia, incamminandoci uno dopo l'altro
sulla scala, che per la sua strettezza costringe quelli
che salgono a mettersi in fila. |
10 |
E quale il cicognin che leva l'ala
per voglia di volare, e non s'attenta
d'abbandonar lo nido, e giù la cala; |
|
10 |
E come il cicognino che
alza l'ala per la voglia di volare, e non osa
abbandonare il nido, e quindi l'abbassa, |
13 |
tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l'atto
che fa colui ch'a dicer s'argomenta. |
|
13 |
così mi comportavo io per il desiderio di chiedere (una
spiegazione), desiderio acceso (dal bisogno di sapere) e
spento (dal timore di riuscire molesto), e giungevo fino
all'atto (di aprir la bocca) come fa chi tenta di
parlare. |
|
L'immagine del cicognin è concordemente giudicata dai
critici come una delle più immediate e felici fra le
tante che, nella Commedia, hanno per loro oggetto
aspetti del mondo della natura e, nel caso particolare,
di quello animale. Tutta la poesia che da essa
scaturisce risiede nella contraddizione che si pone alla
base degli atti successivi del cicognin non meno che
nella resa espressiva, delicatissima e attenta, di essa:
contraddizione che traduce in rappresentazione visiva di
estrema nettezza il senso implicito in questo diminutivo
affettuoso, la difficoltà di affrontare il vivere e che
è definita dal succedersi delle tre coordinate: leva
('ala... e non s'attenta... e giù la cala. In merito
alla funzione spettante a questa similitudine nel
processo di risoluzione dei dubbi intellettuali del
protagonista - risoluzione la quale caratterizza in
misura essenziale la poesia della seconda metà del
Purgatorio - scrive il Sapegno: "Proprio nel punto in
cui sta per esser risolto, sul piano razionale,
attraverso le dichiarazioni di Virgilio e di Stazio, il
dubbio intellettuale di Dante, più volte accennato nelle
pagine che precedono... riaffiora come stato d'animo e
motivo poetico, con tutto il suo peso di stupore, e di
trepidante attesa". |
16 |
Non lasciò, per l'andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto». |
|
16 |
Il mio dolce padre
Virgilio, per quanto il nostro procedere fosse rapido,
non tralasciò di parlare, ma disse: «Scocca l'arco del
dire, che hai teso fino al massimo (e parla pure
liberamente)». |
19 |
Allor sicuramente apri' la bocca
e cominciai: «Come si può far magro
là dove l'uopo di nodrir non tocca?». |
|
19 |
Allora aprii
la bocca senza esitazione e cominciai a dire: «Come
possono le ombre diventare magre mentre non sono
soggette al bisogno di nutrirsi?» |
22 |
«Se t'ammentassi come Meleagro
si consumò al consumar d'un stizzo,
non fora», disse, «a te questo sì agro; |
|
22 |
Mi rispose: «Se ti rammentassi come Meleagro si consumò
al consumarsi d'un tizzone ardente, questo problema non
ti sarebbe così difficile da risolvere; |
|
Alla nascita di Meleagro, figlio di Oeneo, re di
Caledonia, e di Altea, le Parche predissero che egli
sarebbe vissuto finché fosse durato un tizzone che stava
bruciando. Ma Altea spense e nascose il tizzone e così
il figlio visse e crebbe; tuttavia, quando Meleagro
nella contesa per il cinghiale caledonio uccise i
fratelli di lei, Plesippo e Tosseo, ella, per
vendicarsi, gettò il tizzone nel fuoco, e in breve
Meleagro mori (cfr. Ovidio - Metamorfosi VIII, 260-546). |
25 |
e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
ciò che par duro ti parrebbe vizzo. |
|
25 |
e se pensassi come, ad ogni vostro pur
rapido movimento, guizza la vostra immagine nello
specchio, quello che ora ti sembra arduo a comprendersi
ti riuscirebbe facile. |
|
Virgilio risponde alla domanda del suo discepolo in modo
indiretto, ricorrendo ad un ragionamento per analogia (cfr.
nota ai versi 49-51) . Quest'ultimo risulta evidenziato
dalla struttura ipotetica dei due membri in cui appare
articolato (se t'ammeatassi... non fora...; se
pensassi... ti parrebbe), in virtù della quale le parole
del poeta latino si mantengono in una zona di cauti
suggerimenti, senza approdare al terreno di un discorso
asseverativo. La funzione di Virgilio è qui infatti
soltanto quella di risvegliare nel discepolo il pensiero
circa la possibilità che le leggi dell'oltretomba non
coincidano con quelle da noi sperimentate in terra,
schiudendo in tal modo l'intelletto di Dante
all'accoglimento della lezione complessa che verrà, a
partire dal verso 37, impartita da Stazio. Essa avrà per
oggetto l'intero dispiegarsi della vita dell'uomo, dal
momento del suo concepimento, al quale prendono parte
non meno la natura che un principio sovrannaturale, a
quello della sua sorte e della sua condizione
ultraterrene, indagate in termini che immettono di
continuo un elemento etico e religioso in un processo
naturalistico e quindi suscettibile di essere fatto
oggetto di una scienza meramente umana.
Notiamo, nelle due similitudini addotte da Virgilio, la
vigorosa animazione che ad esse deriva dall'impiego di
verbi (o di sostantivi denotanti azione) di particolare
pregnanza, quali il si consumò del verso 23, la cui eco
energicamente risalta nel consumar che ad esso fa
immediatamente seguito, esprimente un parallelismo
arcano e terribile tra due ordini di eventi naturali tra
i quali il nostro sguardo non riesce a scorgere nesso
alcuno. La stessa energia fantastica è testimoniata dal
guizzo del verso 25, ripreso in principio del verso
seguente dal guizza che definisce il moto, identico e
concomitante rispetto al modello umano riflesso nello
specchio, della sua proiezione in image. |
28 |
Ma perché dentro a tuo voler t'adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage». |
|
28 |
Ma perché t'acquieti nella
soddisfazione del tuo desiderio, ecco qui Stazio; ed io
mi appello a lui e lo prego di farsi ora risanatore
delle piaghe del tuo dubbio». |
|
Virgilio definisce piage il dubbio di Dante, in quanto
esso risulta suscettibile di porsi quale scaturigine di
un dubitare ininterrotto, di una pluralità di
lacerazioni dell'intelletto. L'energia di questo
traslato è anzitutto in consonanza con il carattere
stilistico generale del canto, nel quale una dottrina
tra le più ardue viene trattata in termini che accordano
un procedere serrato e severo ad un continuo, anche se
sobrio, insorgere della metafora. Ma c'è un altro motivo
- di ordine non poetico, ma comune ai problemi
dell'epoca di Dante - che ha indotto qui l'autore a
definire per bocca di Virgilio in modo così vigoroso,
insieme a questo particolare dubbio teoretico, la
sofferenza che esso ha causato in lui. Tale motivo è
sintetizzato dal Nardi come segue: "Il problema che qui
Dante si pone, se l'eran già posto alcuni padri della
Chiesa e i teologi prima di lui: come può l'anima,
separata dal corpo, patire pene corporali come quelle
del fuoco della gehenna, di cui parla il Vangelo? Poiché
non c'è dubbio, per essi, che quel fuoco non è
metaforico, ma reale. Il quesito nel secolo XIII veniva
discusso nelle scuole di teologia dai commentatori del
quarto (libro) delle Sentenze di Pietro Lombardo... e
tutti i grandi maestri della Scolastica han dato prova
in questa occasione di grande virtuosità e dottrina...
Nella Summa contra Gentiles (IV, 90), opera più volte
citata da Dante, San Tommaso afferma che le sostanze
incorporee possono patire l'ardore del fuoco corporeo
dell'inferno per modum alligationis cuiusdam [attraverso
un certo qual legame], in quanto son legate ad esso o
come l'anima è legata al corpo che avviva, oppure a quel
modo che i negromanti con le loro arti diaboliche legano
gli spiriti a certe immagini e cose. Quello che posson
fare i negromanti, può certo fare anche Dio". |
31 |
«Se la veduta etterna li dislego»,
rispuose Stazio, «là dove tu sie,
discolpi me non potert' io far nego». |
|
31 |
«Se gli spiego il
misterioso agire di Dio» rispose Stazio «mentre sei
presente tu (che potresti farlo meglio di me), mi valga
come scusa (per l'apparente irriverenza) il fatto che
non posso respingere il tuo invito.» |
34 |
Poi cominciò: «Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die. |
|
34 |
Poi incominciò: «Se la tua
mente, figlio, accoglierà e custodirà le mie parole,
esse ti chiariranno il dubbio (al come: verso 20) di cui
tu parli. |
37 |
Sangue perfetto, che poi non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve, |
|
37 |
La parte più purificata e
perfetta del sangue, che non è mai assorbita dalle vene
sempre assetate (perché devono continuamente alimentare
le membra del corpo), e rimane in sovrappiù come un cibo
che viene levato intatto dalla mensa, |
40 |
prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane. |
|
40 |
riceve nel cuore (dove
passa) il potere di formare e organizzare tutte le
membra del corpo, così come avviene per l'altro sangue
(come quello: è il sangue che nutre le membra) che va
per le vene a trasformarsi nelle membra. |
43 |
Ancor digesto, scende ov' è più bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr' altrui sangue in natural vasello. |
|
43 |
Dopo essersi ancora
modificato, scende negli organi genitali maschili (ov'è
più bello tacer che dire: che è più conveniente non
nominare): e di qui poi stilla sul sangue femminile
nella matrice. |
46 |
Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire, e l'altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme; |
|
46 |
Qui il sangue maschile e
quello femminile si congiungono, l'uno (il sangue della
donna) disposto a subire l'azione fecondatrice, e
l'altro (il seme maschile) ad operare grazie all'organo
perfetto (per lo perfetto loco: il cuore) dal quale esso
è spremuto (e dal quale riceve la capacità di agire): |
49 |
e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
ciò che per sua matera fé constare. |
|
49 |
e, dopo che lo sperma si è
congiunto al sangue femminile, comincia a svolgere la
sua azione formando dapprima un coagulo di entrambi, e
poi immette la vita in ciò che esso ha prodotto come
materia su cui poter operare. |
|
Dante ha chiesto (versi 20-21) che gli fosse spiegato in
che modo può verificarsi il dimagrimento nelle anime, le
quali non avvertono la necessità del cibo materiale.
Virgilio è ricorso a due analogie (una derivata dalla
mitologia e l'altra dalla fisica), dalle quali emerge,
in forma di suggerimento, che l'anima, pur potendo
esistere separata dalla materia, è creata per essere
unita al corpo. Con il primo esempio il poeta latino ha
in teso mostrare che l'uomo può consumarsi per una causa
esterna, che non dipende dalla mancanza di cibo; con il
secondo che le modificazioni dell'anima possono
rispecchiarsi anche all'esterno. Ma Virgilio ha
avvertito l'insufficienza della sua spiegazione,
lasciando a Stazio il compito di determinare la natura
dell'anima, considerata nella sua genesi e nella sua
formazione, e di chiarire il rapporto tra anima e corpo
aereo nell'al di là.
La dimostrazione di Stazio intorno all'origine
dell'anima umana presenta la dottrina di Aristotile
nell'interpretazione ad essa data da Alberto Magno,
mentre mostra alcune discordanze con quella offerta da
San Tommaso. |
52 |
Anima fatta la virtute attiva
qual d'una pianta, in tanto differente,
che questa è in via e quella è già a riva, |
|
52 |
La virtù attiva del seme
maschile, diventata (nel feto) anima vegetativa quale è
quella di una pianta, con la sola differenza rispetto a
quest'ultima, che l'anima vegetativa del feto è ancora
in svolgimento (è in via: e quindi è suscettibile di
modificazioni, non essendo ancora pervenuta alla sua
perfezione) e quella della pianta è già completa, |
55 |
tanto ovra poi, che già si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond' è semente. |
|
55 |
continua poi ad operare,
tanto che diventa già capace di moto e di sensibilità
(che già si move e sente: diventa così anima sensitiva),
ma ancora incompleta come un organismo animale inferiore
(come fungo marino: probabilmente Dante intende alludere
a una medusa, che si pensava sprovvista di organi
differenziati); e in un secondo momento incomincia a
sviluppare gli organi delle facoltà sensitive alle quali
ha dato origine. |
58 |
Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtù ch'è dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende. |
|
58 |
A questo punto, figliolo, la virtù
attiva (organizzatrice di tutte le membra) che deriva
dal cuore del padre si dilata, a questo punto fluisce
nel feto dove la natura (che ha come suo strumento la «
virtù attiva») lavora al totale compimento di tutte le
membra necessarie alla vita dell'organismo. |
|
Termina la prima delle quattro parti nelle quali il
Casini-Barbi divide il discorso di Stazio: è stata
discussa la teoria della generazione umana e il
progressivo sviluppo dell'anima vegetativa e di quella
sensitiva dalla virtute informativa che è presente nel
sangue dell'uomo. |
61 |
Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest' è tal punto,
che più savio di te fé già errante, |
|
61 |
Ma tu non vedi ancora come
un essere finora solo animale possa diventare un uomo
(fante: essere parlante, e quindi dotato di ragione) :
questo punto del problema è così complesso, che già
indusse in errore un pensatore più dotto di te, |
64 |
sì che per sua dottrina fé disgiunto
da l'anima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto. |
|
64 |
cosicché secondo la sua
dottrina considerò separato dall'anima individuale
dell'uomo l'intelletto possibile, perché non vide nessun
organo materiale assunto dall'intelletto possibile per
esplicare la propria attività (come invece è l'orecchio
per l'udito, il naso per l'odorato ecc.). |
|
Il savio del quale Stazio confuta qui la dottrina è
Averroè, il famoso medico e filosofo arabo (morto nel
1189) , che fu traduttore e commentatore dell'opera di
Aristotile e che Dante ha posto nel castello degli
spiriti magni (cfr. Interno IV, 144) . Il pensiero
scolastico, sulla base di Aristotile, faceva distinzione
fra intelletto "possibile" (o passivo) - che è la
facoltà razionale nella sua essenza, in quanto contiene
in sé potenzialmente i cosiddetti "universali" che
risultano dal processo di astrazione - e intelletto
"agente" (o attivo), che mette in opera il processo di
astrazione medesimo, elaborando i dati forniti dai
sensi. Ora Averroè sostiene che l'intelletto possibile è
eterno, ed unico per tutti: è distinto e separato
dall'anima e ad essa sopravvive. L'anima individuale -
ridotta ad essere solo anima vegetativa e anima
sensitiva - partecipa dell'intelletto possibile fino al
momento della morte, la quale scinde questa unione
temporanea: all'anima umana veniva così tolto il suo
attributo principale: l'immortalità. La dottrina
averroistica fu aspramente combattuta dai teologi (e in
particolare da San Tommaso), in quanto essi identificano
l'intelletto possibile con l'anima razionale infusa
direttamente da Dio nel feto, quando in questo il
cervello ha raggiunto la sua perfetta struttura (cfr.
versi 67 sgg.). |
67 |
Apri a la verità che viene il petto;
e sappi che, sì tosto come al feto
l'articular del cerebro è perfetto, |
|
67 |
Apri il tuo animo alla
verità che sto per affermare: e sappi che, non appena
nel feto è compiuta la formazione del cervello, |
70 |
lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant' arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto, |
|
70 |
Dio, colui che imprime il
movimento a tutte le cose si rivolge al feto
compiacendosi di questa mirabile opera della natura, e
vi infonde (spira: con un diretto atto creativo) uno
spirito nuovo (l'anima razionale), dotato di virtù, |
73 |
che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira. |
|
73 |
il quale assimila alla sua
stessa sostanza ciò che trova attivo nel feto (ciò che
trova attivo quivi: cioè l'anima vegetativa e quella
sensitiva), e fa una sola anima (di sé e delle altre
due), e questa vive (come la pianta), sente (come
l'animale) e riflette su se stessa prendendo coscienza
di sé. |
76 |
E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sol che si fa vino,
giunto a l'omor che de la vite cola. |
|
76 |
E affinché tu non debba
stupirti troppo delle mie parole (perché esse hanno
affermato che l'anima razionale infusa da Dio si è unita
con elementi naturali, quali l'anima vegetativa e quella
sensitiva), pensa al calore del sole che si fa vino,
quando è congiunto alla linfa che scende dalla vite. |
|
La seconda parte della dimostrazione di Stazio (versi
61-78) ha preso in esame l'infusione dell'anima
razionale nel corpo, cioè il momento in cui il feto,
finora soltanto animal (verso 61), diventa una creatura
ragionevole, dotata della capacità di parlare (fante:
dal latino fari: parlare), che lo distingue da tutti gli
altri esseri. Dante segue la dottrina tomistica nella
considerazione dell'anima umana come sostanza
spirituale, infusa direttamente da Dio e non causata
dall'atto generativo. Tuttavia si discosta da San
Tommaso per far propria una tesi sostenuta da Alberto
Magno (e confutata dall'Aquinate), secondo la quale,
nelle successive fasi del processo di organizzazione del
feto, le tre anime sussistono per fondersi alla fine in
un'alma sola, laddove, secondo San Tommaso, l'anima
sensitiva succede al corrompersi e alla scomparsa di
quella vegetativa, per essere a sua volta interamente
sostituita da quella razionale. |
79 |
Quando Làchesis non ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino: |
|
79 |
Quando Lachesi (la Parca
che fila lo stame della vita umana) non ha più lino da
filare (quando cioè l'individuo muore), l'anima si
scioglie dalla carne, e (a causa del legame con il corpo
e della fusione con i due elementi naturali, vegetativo
e sensitivo) porta con sé potenzialmente (in virtute:
cioè con possibilità di esplicarle) la parte vegetativa
e sensitiva (l'umano: che ha trovato nel corpo) e quella
intellettiva ('l divino: quella infusa direttamente da
Dio) |
82 |
l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute. |
|
82 |
le facoltà inerenti
all'anima vegetativa e sensitiva restano tutte quante
inerti (essendo state private, con la morte, degli
organi corporei attraverso i quali agivano); invece in
attività e molto più vive di prima sono le facoltà
spirituali, memoria, intelligenza e volontà (essendo ora
sciolte dall'impaccio del corpo). |
85 |
Sanza restarsi, per sé stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade. |
|
85 |
Immediatamente, per un mirabile impulso
interiore (per se stessa... mirabilmente: è l'impulso
che viene dalla coscienza dei meriti o delle colpe
suscitata in lei dalla giustizia divina) l'anima cade ad
una delle due rive: qui per la prima volta viene a
sapere il suo futuro destino. |
|
Dopo la morte l'anima si dirige verso la riva
dell'Acheronte, se è destinata alla dannazione (cfr.
Interro III, 122-126) o, se è promessa alla beatitudine,
verso la foce del Tevere, da dove l'angelo nocchiero la
trasporterà sulla spiaggia del purgatorio (cfr.
Purgatorio II, 100-105).
Nella terza parte della disquisizione Stazio ha
affrontato il problema dell'esistenza dell'anima dopo la
morte del corpo (versi 79-87), preparandosi ora ad
accostare quello che più direttamente riguarda la
richiesta del pellegrino (versi 20-21) : la genesi e la
condizione delle ombre. Anche in questo caso Dante
dissente da San Tommaso, il quale afferma che l'anima
separata dal suo corpo non può unirsi ad altri corpi,
sostenendo che solo gli angeli o i demoni possono
assumere un corpo d'aria, aria che essi riescono a fare
condensare per una virtù divina o diabolica. La fonte
filosofica di questa posizione di Dante può essere Sant'Agostino,
per il quale l'anima, separata dal corpo, può averne un
altro che, tuttavia, è solo apparentemente simile a
quello fisico. |
88 |
Tosto che loco lì la circunscrive,
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive. |
|
88 |
(Dopo che l'anima è giunta
al luogo assegnato) non appena lì uno spazio aereo
l'accoglie e la circoscrive, la virtù informativa (cfr.
verso 41; quella stessa che nel feto aveva determinato
l'anima vegetativa e quella sensitiva e che poi era
stata assimilata dall'anima razionale) incomincia ad
operare nell'aria circostante, nello stesso modo e nella
stessa misura in cui aveva operato a formare le membra
del feto: |
91 |
E come l'aere, quand' è ben pïorno,
per l'altrui raggio che 'n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno; |
|
91 |
e come l'aria, quando è
pregna di umidità, per effetto dei raggi solari che si
riflettono in lei, si adorna dei colori dell'iride, |
94 |
così l'aere vicin quivi si mette
e in quella forma ch'è in lui suggella
virtüalmente l'alma che ristette; |
|
94 |
così l'aria che circonda
l'anima qui assume quella forma che in essa imprime
l'anima che vi si è fermata dopo la caduta grazie alla
sua virtù informativa diffusa intorno; |
97 |
e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco là 'vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella. |
|
97 |
e poi come la
fiamma (che è la forma aerea del fuoco) segue il fuoco
dovunque esso si sposta, così il nuovo corpo aereo segue
lo spirito (che lo ha prodotto). |
100 |
Però che quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta. |
|
100 |
Poiché da
questo corpo aereo l'anima acquista poi la sua parvenza
esteriore, questo corpo aereo si chiama ombra; e da
questo corpo aereo poi l'anima forma gli organi di
ciascun senso fino a quello della vista (veduta: cioè
fino al senso più complesso e perfetto). |
103 |
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ' sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi. |
|
103 |
Per mezzo di questo corpo
parliamo e ridiamo; per mezzo di questo corpo piangiamo
e sospiriamo come puoi aver udito su per il monte. |
106 |
Secondo che ci affliggono i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest' è la cagion di che tu miri». |
|
106 |
Secondo che ci stimolano i
desideri e gli altri moti dell'animo, l'ombra prende
l'atteggiamento corrispondente a quei sentimenti; e
questo è il motivo per cui tu ti meravigli del nostro
dimagrimento». |
|
La tonalità della trattazione teorica di Stazio è svolta
secondo gli schemi rigorosi del metodo deduttivo che fu
proprio del pensiero medievale, in virtù del quale un
fatto particolare (in questo caso il problema
dell'apparenza corporea delle anime nell'al di là, e
quindi della loro capacità di soffrire o godere) viene
ricondotto alle sue premesse generali (Stazio, per
rispondere al quesito specifico postogli da Dante,
prende l'avvio dal concepimento), ed è di continuo resa
viva e vibrante da un forte senso del concreto e da un
vigoroso dinamismo. Basti por mente, a titolo di
esempio, ad una espressione quale l'assetate vene del
verso 38, in cui è resa "l'impressione della vita che in
virtù del sangue circola nel corpo" (Momigliano) e quasi
il senso febbrile e tragico che caratterizza l'essere
nel suo stato meramente fisiologico. oppure alla serie
dei verbi che definiscono - collocandole in una cornice
di commossa solennità - le successive fasi per cui la
vita ascende a completezza nel suo primo prender forma
nel grembo della donna che concepisce e, prima, nelle
premesse dello stesso concepimento (versi 37-45). |
109 |
E già venuto a l'ultima tortura
s'era per noi, e vòlto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura. |
|
109 |
E già eravamo giunti in
vista del tormento dell'ultimo girone, e avevamo voltato
a destra, ed eravamo assorti in un altro interesse. |
112 |
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra; |
|
112 |
In questo girone la costa
del monte sprigiona in fuori con violenza delle fiamme,
mentre dall'orlo esterno della cornice spira verso
l'alto un vento che le fa ripiegare indietro e le
allontana da questo lembo estremo; |
115 |
ond' ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temëa 'l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso. |
|
115 |
per questo dovevamo
camminare uno dopo l' altro dal lato senza riparo; ed io
alla mia sinistra temevo il fuoco, e alla mia destra
temevo di precipitare nel vuoto. |
118 |
Lo duca mio dicea: «Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
però ch'errar potrebbesi per poco». |
|
118 |
La mia guida diceva: «Per
questo sentiero si devono tenere a freno gli occhi,
perché potrebbe bastare un piccolo errore per
precipitare». |
121 |
'Summae Deus clementïae' nel seno
al grande ardore allora udi' cantando,
che di volger mi fé caler non meno; |
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121 |
Allora udii spiriti che
cantavano in mezzo al grande fuoco «Dio di somma
clemenza», la qual cosa mi rese desideroso di volgermi
(verso la fiamma) non meno di quanto fossi desideroso di
badare a non mettere il piede in fallo; |
124 |
e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch'io guardava a loro e a' miei passi,
compartendo la vista a quando a quando. |
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124 |
e vidi spiriti che
camminavano in mezzo alle fiamme; e per questo io
guardavo alternando di volta in volta gli sguardi ora a
loro e ora ai miei passi. |
127 |
Appresso il fine ch'a quell' inno fassi,
gridavano alto: 'Virum non cognosco';
indi ricominciavan l'inno bassi. |
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127 |
Dopo aver cantato le
parole finali di quell'inno, gridavano a voce alta: «Non
conosco uomo»; poi ricominciavano l'inno con voce più
bassa. |
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Le parole del primo esempio di castità sono quelle
pronunciate dalla Vergine dopo che l'arcangelo Gabriele
le aveva annunciato la nascita di Cristo: "Come potrà
avvenir questo, se io non conosco uomo?" (Luca 1, 34). |
130 |
Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tòsco». |
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130 |
Finito nuovamente l'inno, gridavano:
«Diana (per serbarsi casta) visse nei boschi, e ne
cacciò Elice che aveva assaporato il veleno di Venere». |
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La dea Diana viveva nei boschi assieme alle ninfe, sue
compagne, vincolate al voto della castità. Una di esse,
Calisto, chiamata anche Elice, si lasciò sedurre da
Giove, per cui fu scacciata da Diana e fu poi
trasformata in orsa da Giunone, insieme con il figlio
Arcade e collocata in cielo a costituire la
costellazione dell'Orsa maggiore (cfr. Ovidio -
Metamorfosi Il, 401-530; Paradiso XXXI, 32-33). |
133 |
Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne. |
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133 |
Poi tornavano a cantare
l'inno; quindi gridavano i nomi di mogli e mariti che
furono casti come impone di essere la virtù della
temperanza e il sacro vincolo del matrimonio. |
136 |
E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti |
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136 |
E credo che per loro
questo modo di espiazione duri per tutto il tempo che il
fuoco li brucia: con la cura del fuoco e con tale
nutrimento spirituale degli esempi e del canto bisogna |
139 |
che la piaga
da sezzo si ricuscia. |
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139 |
che alla fine si rimargini
la piaga (della lussuria). |