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DIVINA
COMMEDIA: PARAFRASI
PURGATORIO
CANTO XXIX° |
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1 |
Cantando
come donna innamorata,
continüò col fin di sue parole:
'Beati quorum tecta sunt peccata!'. |
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1 |
Al termine del suo discorso Matelda proseguì, cantando
come donna innamorata: «Beati coloro ai quali sono
cancellati i peccati!» (cfr. Salmo XXXII, 1) |
4 |
E come ninfe
che si givan sole
per le salvatiche ombre, disïando
qual di veder, qual di fuggir lo sole, |
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4 |
E come le ninfe che se ne
andavano solitarie sotto l'ombra delle selve,
desiderando le une di vedere, le altre di evitare i
luoghi soleggiati, |
7 |
allor si
mosse contra 'l fiume, andando
su per la riva; e io pari di lei,
picciol passo con picciol seguitando. |
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7 |
la donna allora si mosse
in direzione contraria alla corrente del fiume,
camminando lungo la sponda; ed io procedetti alla pari
con lei (dall'altra parte), accordando i miei ai suoi
passi brevi. |
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Vengono ripresi, in questo esordio, i motivi e le forme
che hanno definito nel canto precedente l'apparire di
Matelda quale personificazione della natura non
corrotta. L'innocenza dell'Eden era stata espressa,
nella figura di Matelda, attraverso manifestazioni che
non richiedevano alcun dialogo, alcuna mediazione
razionale, alcun travaglio dell'intelletto o tendersi
della passione: essa risultava dallo stesso atteggiarsi
della donna, dal suo incedere a passo di danza, dalla
radiosa bellezza del suo sguardo verecondo. Su questa
figurazione pittorica si era inserita in un secondo
tempo una manifestazione di sapienza: la levità della
rappresentazione originaria si era composta, nel
discorso di Matelda sulla presenza del vento e
dell'acqua nel paradiso terrestre, in cadenze
consapevoli e raziocinanti, lontane dalle vibrazioni
liriche in cui si era concretata la sua apparizione. In
questa apertura di canto, scrive il Momigliano, la
figura di Matelda è riportata "a quell'immagine
affascinante che sembrava essere stata dimenticata
durante il corso ragionativo della sua parlata".
Analogamente a quanto avveniva per la sua presentazione
iniziale in termini di raffinata pittura, anche qui la
figura di Matelda risulta dall'inserimento di elementi
attinti alla tradizione « cortese » del Medioevo nel
mito pagano dell'età dell'oro, assunto a significare la
condizione dell'uomo prima del peccato. Ai motivi
stilnovistici e classici si affianca, nella forma di
citazioni dirette dal testo latino (nel canto precedente
il versetto « Delectasti » del Salmo XCII, qui l'inizio
del Salmo «Beati quorum... ») , quello della
interpretazione scritturale. II motivo « cortese » è
rappresentato in questo esordio dal primo verso, nel
quale Dante parafrasa un'espressione di Guido Cavalcanti
("cantando come fosse 'nnamorata") , quello classico
dalla evocazione delle ninfe, ove l'idea centrale della
concezione dantesca del paradiso terrestre - quella di
una - non contrastata realizzazione dei desideri, i
quali, come natura non intaccata da malizia, concorrono,
insieme a tutto il creato, alla glorificazione di Dio -
è sottolineata dall'opposizione istituita, al verso 6,
tra i modi in cui si afferma l'assoluta spontaneità
delle ninfe (qual di veder, qual di fuggir lo sole). Il
loro pieno appagamento è dato dalla partecipazione
immediata alla vita della natura. Di qui la loro
solitudine, presentata come una raggiunta felicità che
non ha bisogno di espandersi nella comunicazione, nel
rapporto sociale. Il solo rapporto concepibile nel
paradiso terrestre è infatti quello tra l'anima e Dio,
tramite le opere del creato. |
10 |
Non eran
cento tra ' suoi passi e ' miei,
quando le ripe igualmente dier volta,
per modo ch'a levante mi rendei. |
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10 |
In due non avevamo ancora
fatto cento passi, quando le sponde svoltarono formando
lo stesso angolo in modo che (seguendo la curva) di
nuovo mi volsi verso levante. |
13 |
Né ancor fu
così nostra via molta,
quando la donna tutta a me si torse,
dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta». |
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13 |
Non avevamo ancora percorso molta strada in quella
direzione, quando la donna si volse verso di me con
tutta la persona, dicendo: «Fratello mio, guarda e
ascolta». |
16 |
Ed ecco un
lustro sùbito trascorse
da tutte parti per la gran foresta,
tal che di balenar mi mise in forse. |
|
16 |
Ed ecco una luce
improvvisa balenò da ogni parte nella grande foresta,
tale, che mi fece dubitare che fosse un lampo. |
19 |
Ma perché 'l
balenar, come vien, resta,
e quel, durando, più e più splendeva,
nel mio pensier dicea: 'Che cosa è questa?'. |
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19 |
Ma siccome il
baleno, appena giunto, cessa, e invece quello,
perdurando, splendeva sempre più, dentro di me dicevo:
«Che cosa è mai questo?» |
22 |
E una
melodia dolce correva
per l'aere luminoso; onde buon zelo
mi fé riprender l'ardimento d'Eva, |
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22 |
Intanto per l'aria luminosa si diffondeva una dolce
melodia; per la qual cosa un giusto sdegno mi indusse a
biasimare l'ardimento di Eva, |
25 |
che là dove
ubidia la terra e 'l cielo,
femmina, sola e pur testé formata,
non sofferse di star sotto alcun velo; |
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25 |
la quale proprio là (nel paradiso terrestre) dove la
terra e il cielo ubbidivano (alla volontà di Dio), donna
sola e creata soltanto allora, non sopportò di stare
sotto il velo (che limitava la sua conoscenza del bene e
del male); |
28 |
sotto 'l
qual se divota fosse stata,
avrei quelle ineffabili delizie
sentite prima e più lunga fïata. |
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28 |
se fosse stata sottomessa
a quel velo, io avrei gustato quelle ineffabili delizie
fin dalla nascita e per lunghissimo tempo (più lunga
fiata: per tutta la durata della vita). |
31 |
Mentr' io
m'andava tra tante primizie
de l'etterno piacer tutto sospeso,
e disïoso ancora a più letizie, |
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31 |
Mentre io procedevo
totalmente assorto in tante anticipazioni della
beatitudine celeste, e desideroso inoltre di maggiori
gioie, |
34 |
dinanzi a
noi, tal quale un foco acceso,
ci si fé l'aere sotto i verdi rami;
e 'l dolce suon per canti era già inteso. |
|
34 |
davanti a noi l'aria sotto
i verdi rami si fece rosseggiante, come viva fiamma; e
la dolce melodia già si distingueva composta di canti. |
37 |
O sacrosante
Vergini, se fami,
freddi o vigilie mai per voi soffersi,
cagion mi sprona ch'io mercé vi chiami. |
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37 |
O sacrosante Muse, se
talvolta per amor vostro ho sofferto fami, freddi o
veglie, un alto motivo mi spinge ad invocare il vostro
aiuto. |
40 |
Or convien
che Elicona per me versi,
e Uranìe m'aiuti col suo coro
forti cose a pensar mettere in versi. |
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40 |
Ora è necessario che il
monte Elicona (sede delle muse) effonda per me l'acqua
delle sue fonti (Aganippe e Ippocrene), e che la musa
Urania (simbolo della scienza delle cose sovrannaturali)
mi aiuti con le sue compagne a mettere in versi cose
difficili anche solo a pensarsi, |
43 |
Poco più
oltre, sette alberi d'oro
falsava nel parere il lungo tratto
del mezzo ch'era ancor tra noi e loro; |
|
43 |
Poco più avanti, il grande
tratto di aria che ancora correva tra noi e il punto
dove erano le apparizioni, faceva falsamente apparire
l'immagine dì sette alberi d'oro; |
46 |
ma quand' i'
fui sì presso di lor fatto,
che l'obietto comun, che 'l senso inganna,
non perdea per distanza alcun suo atto, |
|
46 |
ma quando mi fui
avvicinato ad essi tanto, che la loro figura, la quale
(come ogni corpo soggetto alla loro percezione) può
ingannare i sensi, per la distanza (abbreviata) non
nascondeva più nessuna sua caratteristica, |
49 |
la virtù
ch'a ragion discorso ammanna,
sì com' elli eran candelabri apprese,
e ne le voci del cantare 'Osanna'. |
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49 |
la facoltà percettiva che
prepara alla ragione la materia su cui può esplicare la
sua attività, vide chiaramente che essi erano
candelabri, e distinse nelle voci del canto la parola
«osanna». |
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Inizia la descrizione della mistica processione che si
svolge lungo la riva del Letè e che vuole presentare "in
sintesi la storia ideale della Chiesa, in quanto essa
coincide, secondo l'interpretazione patristica, con la
storia dell'umanità tutta e la illumina facendola
convergere nel suo complesso al momento culminante della
Rivelazione, preannunziata e preparata dal Vecchio
Testamento, attuata nell'avvento dell'Uomo-Dio,
perpetuata infine attraverso la predicazione apostolica
in un istituto depositario e interprete della dottrina e
amministratore dei doni della Grazia" (Sapegno).
Il corteo è aperto dall'apparizione dei sette
candelabri, le cui fiammelle lasciano dietro di sé sette
strisce luminose e lunghissime, sotto le quali
avanzeranno tutti i partecipanti alla processione. I
candelabri (la cui immagine Dante ha derivato dalla
visione iniziale dell'Apocalisse I, 12) rappresentano i
sette doni dello Spirito Santo o, secondo un'altra
interpretazione, i sette Sacramenti, oppure ancora le
sette Chiese dell'Asia, come nell'Apocalisse: tuttavia
la maggior parte dei critici antichi e moderni propende
per la prima spiegazione. |
52 |
Di sopra
fiammeggiava il bello arnese
più chiaro assai che luna per sereno
di mezza notte nel suo mezzo mese. |
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52 |
Nella parte superiore
l'insieme dei candelabri fiammeggiava assai più luminoso
della luna piena (quando splende) nell'aria limpida nel
cuore della notte a metà del mese lunare. |
55 |
Io mi
rivolsi d'ammirazion pieno
al buon Virgilio, ed esso mi rispuose
con vista carca di stupor non meno. |
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55 |
Io mi rivolsi pieno di
meraviglia al valente Virgilio, ed egli mi rispose con
uno sguardo non meno stupito del mio. |
58 |
Indi rendei
l'aspetto a l'alte cose
che si movieno incontr' a noi sì tardi,
che foran vinte da novelle spose. |
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58 |
Poi volsi di nuovo gli
occhi a quegli oggetti mirabili che si muovevano verso
di noi così lentamente, che sarebbero stati superati
anche dal lento passo delle spose novelle (nel corteo
nuziale, o quando la sposa lascia la casa paterna o
quando entra in chiesa). |
61 |
La donna mi
sgridò: «Perché pur ardi
sì ne l'affetto de le vive luci,
e ciò che vien di retro a lor non guardi?». |
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61 |
La donna mi rimproverò:
«Perché guardi con tanto ardore soltanto lo spettacolo
delle vive luci (dei candelabri), e non guardi quello
che viene dietro ad esse?». |
64 |
Genti vid'
io allor, come a lor duci,
venire appresso, vestite di bianco;
e tal candor di qua già mai non fuci. |
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64 |
Allora vidi figure
biancovestite seguire i candelabri, quasi questi fossero
le loro guide; e qui sulla terra non ci fu mai un
candore pari a quello delle loro vesti. |
67 |
L'acqua
imprendëa dal sinistro fianco,
e rendea me la mia sinistra costa,
s'io riguardava in lei, come specchio anco. |
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67 |
Al mio lato sinistro
l'acqua (del Letè) risplendeva (per la luce dei
candelabri), e se io mi volgevo a guardarla, mi
rimandava anche, come uno specchio, l'immagine della
parte sinistra del mio corpo. |
|
La compattezza di una natura che esprime il divino nei
modi della creazione, mostrandosi cioè come realtà
ignara del corrompersi fisico nella vecchiaia e nella
morte, e che ha trovato le sue trascrizioni simboliche
nella divina foresta e nella sua unica abitatrice, si
incrina, a partire dal verso 16, ad opera di una
manifestazione del divino che esorbita dal quadro della
natura medesima. Dopo la glorificazione di Dio nel suo
aspetto di Creatore, il Poeta si appresta, infatti, a
considerare l'opera di redenzione compiuta da Dio per
riscattare il peccato originale. Non più la natura sarà
quindi oggetto della meditazione del Poeta, ma la
storia, conseguenza del folle ardimento d'Eva, ed il
soccorso da Dio portato all'uomo condannato a conoscere
il tempo, la vecchiaia, la morte. Se la natura è stata
figurata, nella sua innocenza, dalla foresta della
primavera eterna, la storia - nel suo dispiegarsi verso
l'attuazione di un disegno inteso a riscattare dalla
condizione temporale la natura che il peccato ha
corrotto - apparirà a Dante nei simboli personificati di
una processione, i quali riempiranno della loro presenza
allusiva gli spazi deserti della foresta. Questo corteo
di figurazioni è preceduto dal dilagare improvviso di
una luce folgorante, che segna il momento a partire dal
quale la realtà ancora "terrestre" dell'Eden comincia ad
integrarsi in un ordine di significati che avranno la
loro piena conferma nella terza cantica. Scrive in
proposito il Di Pino: "Con la luce naturale ed
indeterminatamente metafisica [quella di cui è stata
fatta menzione in tutto il poema fino a questo punto e
che, nel Purgatorio, ha dato luogo ad una tematica varia
e densa di riferimenti alla vicenda dell'anima] si fonde
già, per lo splendore del bell'arnese, una luce di
operazioni celesti... Nel giro di canti che descrivono
il paradiso terrestre, il XXIX ha il suo significato
specifico nella resa di questo misterioso trapasso da un
«senso» all'altro della luce". Dopo aver premesso che,
in realtà, "fin dal canto precedente stiamo assistendo
all'aggiustarsi del linguaggio dantesco nella direzione
delle esigenze stilistiche della terza cantica", il
critico esemplifica la sua tesi con alcuni riferimenti
diretti al testo, osservando ad esempio che, nel
complesso costituito dai canti XXVIII-XXIX, si passa da
un luminismo corposo (la gran variazion di freschi mai,
la via pinta di fiori... ) "a trasparenze pure, quali
sono quelle degli ostendali che - come tratti pennelli -
lasciano dipinto l'aere di quei colori onde fa l'arco il
sole e Delia il cinto". Tutta la prima parte del canto
XXIX - dopo la ripresa del tema della donna felice che
manifesta col canto e col ballo la propria adorazione di
Dio, a lei visibile nello splendore della creazione - è
occupata da una serie di variazioni sul motivo della
luce. Nella seconda parte su tale motivo prevarrà invece
uno derivato da esso, quello dei contrasti cromatici,
per cui il bianco, simbolo della purezza della fede,
sarà accostato al verde, simbolo della speranza, e al
rosso, simbolo della carità. |
70 |
Quand' io da
la mia riva ebbi tal posta,
che solo il fiume mi facea distante,
per veder meglio ai passi diedi sosta, |
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70 |
Quando dalla riva dove mi
trovavo arrivai a una posizione tale, che solo il fiume
mi separava dal corteo, fermai i miei passi per poter
osservare meglio, |
73 |
e vidi le
fiammelle andar davante,
lasciando dietro a sé l'aere dipinto,
e di tratti pennelli avean sembiante; |
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73 |
e vidi che le fiamme dei
candelabri procedevano in testa (alla processione),
lasciandosi dietro l'aria colorata, e sembravano strisce
tracciate da pennelli mossi (sopra una tela); |
76 |
sì che lì
sopra rimanea distinto
di sette liste, tutte in quei colori
onde fa l'arco il Sole e Delia il cinto. |
|
76 |
sicché l'aria sovrastante
rimaneva segnata da sette liste, tutte formate da quei
colori con i quali il sole crea l'arcobaleno e la luna
(Delia: così viene chiamata Diana, la luna, essendo nata
nell'isola di Delo) il suo alone. |
79 |
Questi
ostendali in dietro eran maggiori
che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
diece passi distavan quei di fori. |
|
79 |
Questi stendardi (formati
dalle strisce luminose) si stendevano indietro oltre
quanto poteva giungere la mia vista; e, a mio avviso, i
due stendardi esterni distavano l'uno dall'altro dieci
passi. |
82 |
Sotto così
bel ciel com' io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due,
coronati venien di fiordaliso. |
|
82 |
Sotto un cielo cosi bello
come io lo descrivo, procedevano ventiquattro seniori, a
due a due, coronati di gigli. |
|
I ventiquattro seniori sono simbolo dei ventiquattro
libri dell'Antico Testamento. La fonte di Dante è ancora
un passo dell'Apocalisse (IV, 4) , nel quale San
Giovanni racconta di aver visto, intorno al trono di
Dio, ventiquattro vecchi vestiti di bianco, con il capo
coperto da una corona d'oro. L'interpretazione che Dante
dà a queste figure è presa da San Gerolamo, il quale nel
Prologus galeatus alla sua traduzione della Bibbia
afferma che i libri dell'Antico Testamento sono
ventiquattro e sono simboleggiati dai ventiquattro
seniori dell'Apocalisse. Il bianco dell'abito e dei
gigli ricorda la purezza della fede nel Messia venturo,
che sostenne i personaggi dell'Antico Testamento. |
85 |
Tutti
cantavan: «Benedicta tue
ne le figlie d'Adamo, e benedette
sieno in etterno le bellezze tue!». |
|
85 |
Tutti cantavano: «Benedetta tu tra le
figlie di Adamo, e benedette siano in eterno le tue
bellezze!». |
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L'inno cantato dai seniori ripete le parole rivolte a
Maria dall'angelo dell'Annunciazione (Luca I, 28) e da
Elisabetta (Luca I, 42), unendole ad espressioni
profetiche bibliche che si riferivano alla Vergine
(Giuditta XIII, 18; Cantico dei Cantici IV, 7). |
88 |
Poscia che i
fiori e l'altre fresche erbette
a rimpetto di me da l'altra sponda
libere fuor da quelle genti elette, |
|
88 |
Dopo che lo spazio fiorito
e pieno di tenere erbette sull'altra sponda di fronte a
me fu lasciato libero da quelle elette persone (che
erano andate innanzi), |
91 |
sì come luce
luce in ciel seconda,
vennero appresso lor quattro animali,
coronati ciascun di verde fronda. |
|
91 |
così come nella rotazione
celeste una costellazione segue un'altra, dietro di loro
sopraggiunsero quattro animali, ciascuno dei quali era
coronato di verdi fronde. |
94 |
Ognuno era
pennuto di sei ali;
le penne piene d'occhi; e li occhi d'Argo,
se fosser vivi, sarebber cotali. |
|
94 |
Ognuno era fornito di sei
ali; le penne erano cosparse di occhi; e gli occhi di
Argo, se fossero ancora vivi, sarebbero altrettanto
penetranti. |
97 |
A descriver
lor forme più non spargo
rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne,
tanto ch'a questa non posso esser largo; |
|
97 |
Non sprecherò
più versi, lettore, per descrivere il loro aspetto,
perché mi incalza la necessità di spendere parole per un
altro argomento, cosicché non posso indugiare in questo; |
100 |
ma leggi
Ezechïel, che li dipigne
come li vide da la fredda parte
venir con vento e con nube e con igne; |
|
100 |
ma leggi
Ezechiele che li descrive come li vide venire da
settentrione con vento e con nubi e con fuoco; |
103 |
e quali i
troverai ne le sue carte,
tali eran quivi, salvo ch'a le penne
Giovanni è meco e da lui si diparte. |
|
103 |
e come li troverai nei
passi del suo libro, tali erano qui, tranne che riguardo
al numero delle ali Giovanni concorda con me e dissente
da Ezechiele. |
|
Nella descrizione dei quattro animali Dante si ispira ad
Ezechiele (I, 4-14) , e, in alcuni elementi (per
esempio, le sei ali invece di quattro), all'Apocalisse
di Giovanni (IV, 6-8) . Gli interpreti riconoscono
unanimemente nei quattro animali il simbolo dei quattro
Vangeli. La verde fronda rappresenta, secondo alcuni, la
forza eterna della dottrina evangelica, secondo altri,
invece, indica la speranza della salvezza che si apre
all'uomo con la buona novella del Vangelo. Le sei ali,
attributo particolare dei Serafini, sarebbero, secondo
Pietro di Dante, le sei leggi (naturale, mosaica,
profetica, evangelica, apostolica, canonica), oppure
vorrebbero spiegare la rapidità con cui si diffuse la
parola evangelica. Quanto alle penne piene d'occhi, San
Gerolamo, commentando Ezechiele, afferma che esse
indicano la conoscenza del passato e del futuro, e Dante
sottolinea la penetrazione di quegli sguardi ricorrendo
all'esempio mitologico di Argo, il custode dai cento
occhi, che Giove destinò come guardiano della ninfa Io,
e che fu ucciso da Mercurio (Ovidio - Metamorfosi 1, 625
sgg.). |
106 |
Lo spazio
dentro a lor quattro contenne
un carro, in su due rote, trïunfale,
ch'al collo d'un grifon tirato venne. |
|
106 |
Lo spazio che restò tra i
quattro animali accolse un carro trionfale, a due ruote,
il quale veniva trascinato legato al collo di un
grifone. |
109 |
Esso tendeva
in sù l'una e l'altra ale
tra la mezzana e le tre e tre liste,
sì ch'a nulla, fendendo, facea male. |
|
109 |
Esso protendeva verso
l'alto entrambe le ali, le quali passavano tra la lista
mediana e i due gruppi delle tre liste laterali,
cosicché, fendendo (l'aria), non ne toccava nessuna. |
112 |
Tanto
salivan che non eran viste;
le membra d'oro avea quant' era uccello,
e bianche l'altre, di vermiglio miste. |
|
112 |
Salivano così in alto che
non era possibile seguirle con gli occhi; le membra di
quella parte del corpo che aveva l'aspetto dell'aquila
d'oro, e le altre erano bianche, soffuse di colore
vermiglio. |
|
Ancora Ezechiele offre a Dante lo spunto di questa
visione (cfr. 1, 15-24) , anche se il Poeta stesso
avverte che il motivo ispiratore è attinto dal mondo
classico più che da quello biblico (versi 115-120). Il
carro ...triunfale è simbolo della Chiesa: le due rote
sono, secondo Pietro di Dante, il Vecchio e il Nuovo
Testamento, secondo altri, la sapienza e la carità,
oppure la pietà e la giustizia, o l'amore di Dio e
quello del prossimo o, secondo alcuni interpreti
antichi, la vita attiva e quella contemplativa.
Il grifon - nel suo duplice aspetto di aquila nella
testa e nelle ali e di leone nel resto del corpo -
rappresenta Cristo, nel quale si congiunsero la natura
umana e quella divina.
Luna e l'altra ale del grifone si protendono verso
l'alto senza toccare le sette strisce luminose che
solcano il cielo, e lasciandone tre per parte: viene
così richiamato il concetto di Dio uno e trino e
contemporaneamente l'assoluto accordo tra l'azione di
Cristo (il grifone) e la sapienza dello Spirito Santo
(le sette strisce luminose lasciate dai sette
candelabri). Tuttavia nessuno sguardo umano può
penetrare il mistero dell'Uomo-Dio e per questo le ali
sembrano innalzarsi all'infinito.
Nel grifone inoltre la parte aquilina è d'oro per
indicare, attraverso il metallo più prezioso, la natura
divina di Cristo, mentre il resto del corpo appare di
colore bianco per simboleggiare, secondo Benvenuto da
Imola, la carne umana nella sua purezza, ma è soffuso di
vermiglio per ricordare la passione di Cristo. |
115 |
Non che Roma
di carro così bello
rallegrasse Affricano, o vero Augusto,
ma quel del Sol saria pover con ello; |
|
115 |
Non solo Roma non onorò
con un carro così sontuoso l'Africano, o Augusto, ma
perfino il carro del sole apparirebbe povero in
confronto a questo: |
118 |
quel del Sol
che, svïando, fu combusto
per l'orazion de la Terra devota,
quando fu Giove arcanamente giusto. |
|
118 |
il carro del sole che,
essendo uscito dalla sua strada, fu incendiato in
seguito alle fervide preghiere della Terra, quando Giove
mostrò la sua imperscrutabile giustizia. |
|
Il carro del grifone supera per maestosità e bellezza
non solo quelli usati a Roma per celebrare i grandi
trionfi militari di Scipione l'Africano o di Ottaviano
Augusto, ma anche lo stesso carro del sole, risplendente
d'oro, d'argento e di gemme, secondo la descrizione di
Ovidio (Metamorfosi II, 107-110). Quest'ultimo ricordo
mitologico richiama alla mente di Dante l'episodio di
Fetonte, al quale il padre Apollo aveva affidato il
carro del sole: ma il giovane se ne lasciò sfuggire di
mano la guida e il carro, avvicinatosi troppo alla
terra, provocò incendi e distruzioni. Giove, impietosito
dalle preghiere degli uomini, fulminò Fetonte (cfr.
Ovidio - Metamorfosi II, 150-332; Inferno XVII,
107-108). È probabile che il Poeta, attraverso questo
episodio, intenda alludere alla Chiesa male guidata,
sulla quale si abbatterà la giustizia divina con le sue
"arcane" decisioni (cfr. l'espressione del verso 120):
Dante usa qui quasi le stesse espressioni dell'Epistola
XI ai cardinali italiani. |
121 |
Tre donne in
giro da la destra rota
venian danzando; l'una tanto rossa
ch'a pena fora dentro al foco nota; |
|
121 |
Accanto alla ruota destra
tre donne procedevano danzando in tondo: la prima
appariva tanto rossa che a stento sarebbe stata visibile
nel fuoco; |
124 |
l'altr' era
come se le carni e l'ossa
fossero state di smeraldo fatte;
la terza parea neve testé mossa; |
|
124 |
la seconda era di un
colore verde, come se le sue carni e le sue ossa fossero
state fatte di smeraldo; la terza appariva bianca come
neve appena caduta; |
127 |
e or parëan
da la bianca tratte,
or da la rossa; e dal canto di questa
l'altre toglien l'andare e tarde e ratte. |
|
127 |
ed ora sembravano guidate
nella danza da quella bianca, ora da quella rossa; ma
solo dal canto di quest'ultima le altre regolavano il
ritmo ora lento e ora veloce. |
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A destra del carro, nella parte quindi più nobile e più
importante, procedono, manifestando la loro gioia
attraverso la danza, le tre virtù teologali: la Carità
(ricoperta di rosso, simbolo dell'amore), la Speranza
(il cui colore simbolico è il verde), la Fede (ricoperta
di bianco, simbolo della purezza). Dante si preoccupa di
indicare la gerarchia secondo la quale agiscono le tre
virtù: la danza è guidata ora dalla Fede e ora dalla
Carità, in quanto la Speranza deriva dalle prime due, ma
il ritmo è segnato solo dalla Carità, che, secondo le
parole di San Paolo, è "la più eccellente di tutte" (I
Epistola ai Corinti XIII, 13). |
130 |
Da la
sinistra quattro facean festa,
in porpore vestite, dietro al modo
d'una di lor ch'avea tre occhi in testa. |
|
130 |
Intorno alla ruota sinistra facevano
festa (danzando) quattro donne, vestite di un abito del
colore della porpora, regolando il ritmo sotto la guida
di una di loro che aveva tre occhi nella testa. |
|
Nella parte sinistra del carro appaiono le quattro virtù
cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza.
Esse sono vestite di porpora, il colore della Carità,
perché, secondo San Tommaso, " le virtù morali... non
possono esistere senza la carità" (I, Il, 65, 2) . Nella
mistica processione esse sono guidate dalla Prudenza,
perché. d'accordo con San Tommaso, Dante afferma che
essa è "conduttrice de le morali virtù" (Convivio IV,
XVII, 8). I tre occhi in testa sono spiegati da un passo
del Convivio XIV, XXVII, 5), che traduce una espressione
di Cicerone (De inventione II, 53): per "essere
prudente, cioè savio... si richiede buona memoria de le
vedute cose, buona conoscenza de le presenti e buona
provedenza de le future". |
133 |
Appresso
tutto il pertrattato nodo
vidi due vecchi in abito dispari,
ma pari in atto e onesto e sodo. |
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133 |
Dopo tutto il gruppo ora
descritto scorsi due vecchi diversi nell'abito, ma
simili nell'atteggiamento dignitoso e grave. |
136 |
L'un si
mostrava alcun de' famigliari
di quel sommo Ipocràte che natura
a li animali fé ch'ell' ha più cari; |
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136 |
Il primo rivelava
(nell'abito) di essere uno dei seguaci di quel sommo
Ippocrate che la natura creò per gli uomini, gli esseri
viventi che essa ha più cari; |
139 |
mostrava
l'altro la contraria cura
con una spada lucida e aguta,
tal che di qua dal rio mi fé paura. |
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139 |
il secondo, portando in
mano una spada lucente e aguzza, mostrava di esercitare
un'attività contraria a quella del medico, ed era tale,
che mi fece paura, pur trovandomi al di qua del fiume. |
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I due vecchi in abito dispari, ma di pari dignità,
simboleggiano rispettivamente gli Atti degli Apostoli e
le Epistole di San Paolo. Il primo mostra nell'aspetto
di essere un "famigliare" di Ippocrate, famoso medico
greco (da Dante posto nel limbo) che scrisse gli
Aforismi, l'opera basilare della scienza medica nel
Medioevo: è San Luca, autore degli Atti, il quale fu
medico, secondo quanto rivela San Paolo (Epistola ai
Colossesi IV, 14). II secondo vecchio è San Paolo,
autore delle Epistole: viene rappresentato,
nell'iconografia tradizionale, con la spada in mano, sia
perché prima della conversione fu persecutore dei
cristiani, sia perché la sua azione, per la diffusione
della fede, fu condotta con la forza e l'asprezza di una
battaglia. Per questo la sua cura è contraria a quella
del medico che risana i corpi, laddove la parola di San
Paolo penetra nell'anima. |
142 |
Poi vidi
quattro in umile paruta;
e di retro da tutti un vecchio solo
venir, dormendo, con la faccia arguta. |
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142 |
Poi vidi quattro personaggi in
atteggiamento di umiltà; e dietro a tutti avanzava un
vecchio solo, con gli occhi chiusi, e un viso pieno di
penetrante espressività. |
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Le quattro figure in umile paruta rappresentano i
quattro autori delle sette Epistole Cattoliche (San
Giacomo, San Pietro, San Giovanni, San Giuda); la umiltà
dell'atteggiamento si spiega con il fatto che queste
Epistole sono opere di minore importanza rispetto agli
altri libri del Nuovo Testamento, Un'altra
interpretazione vede in esse í quattro grandi dottori
della Chiesa (Agostino, Gerolamo, Ambrogio, Gregorio
Magno), oppure i maggiori profeti (Isaia, Geremia,
Ezechiele, Daniele).
Il vecchio solo simboleggia l'Apocalisse di San
Giovanni: l'autore ha l'aspetto di un dormiente perché
l'opera è presentata sotto forma di visione e la
visione, nel Medioevo, è sempre collegata al sonno e al
sogno. |
145 |
E questi
sette col primaio stuolo
erano abitüati, ma di gigli
dintorno al capo non facëan brolo, |
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145 |
E questi ultimi sette
personaggi erano vestiti di bianco come quelli della
prima schiera (col primaio stuolo: i ventiquattro
seniori), ma intorno al capo non avevano una ghirlanda
(brolo: significa propriamente "orto". "giardino") di
gigli, |
148 |
anzi di rose
e d'altri fior vermigli;
giurato avria poco lontano aspetto
che tutti ardesser di sopra da' cigli. |
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148 |
bensì di rose e di altri
fiori vermigli: un occhio che li avesse osservati ad una
certa distanza avrebbe giurato che essi ardessero al di
sopra dei cigli. |
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I sette personaggi (rappresentanti tutti i libri del
Nuovo Testamento) che chiudono il corteo hanno lo stesso
abito bianco dei ventiquattro seniori, per indicare la
concordanza fra Antico e Nuovo Testamento: la loro
corona, tuttavia, non è fatta di gigli, ma di rose e di
fiori rossi: infatti negli scrittori dell'Antico
Testamento fu essenziale la fede in Cristo venturo, in
quelli del Nuovo la carità insegnata da Cristo agli
uomini. |
151 |
E quando il
carro a me fu a rimpetto,
un tuon s'udì, e quelle genti degne
parvero aver l'andar più interdetto, |
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151 |
E quando il carro (sempre
rimanendo sull'altra sponda) fu giunto davanti a me, si
udì un tuono, e fu chiaro che a quelle sante figure era
vietato procedere oltre, |
154 |
fermandosi
ivi con le prime insegne. |
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154 |
poiché si fermarono qui
insieme ai sette candelabri. |
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