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DIVINA
COMMEDIA: PARAFRASI
PURGATORIO
CANTO III° |
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1 |
Avvegna che
la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga, |
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1 |
Sebbene l'improvvisa fuga sparpagliasse quelle anime per
la pianura, verso il monte dove la giustizia divina ci
tormenta (per purificarci), |
4 |
i' mi
ristrinsi a la fida compagna:
e come sare' io sanza lui corso?
chi m'avria tratto su per la montagna? |
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4 |
io mi accostai alla fedele
compagnia: e come avrei potuto allontanarmi senza di
lui? chi mi avrebbe guidato su per il monte? |
7 |
El mi parea
da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscïenza e netta,
come t'è picciol fallo amaro morso! |
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7 |
Egli mi sembrava
tormentato dalla sua stessa coscienza: o spirito retto e
puro, come un piccolo errore è per te causa di crudele
dolore! |
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Queste terzine, mentre costituiscono un elemento di
collegamento con il canto precedente (si nota spesso nel
Purgatorio la tendenza ad eliminare ogni soluzione di
continuità per evidenziare anche da un punto di vista
compositivo la compatta struttura spirituale del mondo
della purificazione), impostano il tema fondamentale del
nuovo canto, il cui svolgimento complesso ma graduale ci
porterà da questa apertura drammatica e ansiosa ai toni
elegiaci ed idillici della parte centrale, alle
distensioni intime e pensose di quella finale. Il
paesaggio silenzioso e grandioso della campagna in cui
le anime rimproverate da Catone si disperdono, isola
l'intenso turbamento di Dante e Virgilio, l'improvviso
stagliarsi del monte accentua il loro smarrimento,
denunciando la prima delle costanti tematiche che il
Caccia bene mette in rilievo: "l'accusa precisa dei
limiti della ragione umana, di quella ragione che
persino in un grande come Virgilio commette errori, o
perde la propria dignità nello smarrimento di un
istante", ma è anche la ragione stessa che "invita le
anime a correre verso il sacro monte: e solo il
momentaneo oblio al canto di Casella può averle distolte
dal loro cammino. Virgilio è da se stesso rimorso". |
10 |
Quando li
piedi suoi lasciar la fretta,
che l'onestade ad ogn' atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta, |
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10 |
Quando i passi di Virgilio
non procedettero più con la fretta. che toglie decoro ad
ogni azione, la mia mente, che prima era raccolta (in un
solo pensiero), |
13 |
lo 'ntento
rallargò, sì come vaga,
e diedi 'l viso mio incontr' al poggio
che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga. |
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13 |
allargò la sua attenzione, come desiderosa di altre
cose, e alzai gli occhi in direzione del monte che più
alto (di tutti gli altri) si erge dalle acque verso il
cielo. |
16 |
Lo sol, che
dietro fiammeggiava roggio,
rotto m'era dinanzi a la figura,
ch'avëa in me de' suoi raggi l'appoggio. |
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16 |
Il sole, che rosso ardeva
alle nostre spalle, era interrotto davanti al mio corpo,
che faceva da impedimento ai suoi raggi. |
19 |
Io mi volsi
dallato con paura
d'essere abbandonato, quand' io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura; |
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19 |
Mi girai di
fianco temendo d'essere abbandonato, quando scorsi che
la terra era scura solo davanti a me; |
22 |
e 'l mio
conforto: «Perché pur diffidi?»,
a dir mi cominciò tutto rivolto;
«non credi tu me teco e ch'io ti guidi? |
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22 |
e Virgilio: «Perché dubiti ancora?» prese a dirmi
volgendosi interamente verso di me: «non credi che io
sia, con te e che ti guidi? |
25 |
Vespero è
già colà dov' è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra;
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto. |
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25 |
E' già l'ora del vespro là dove è sepolto il mio corpo
col quale facevo ombra: si trova a Napoli, e fu
trasportato da Brindisi. |
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Virgilio morì a Brindisi nel 19 a. C. e il suo corpo,
per ordine di Augusto, fu trasportato a Napoli e sepolto
sulla via di Pozzuoli. Poiché il sole è da poco sorto
nel purgatorio, e quindi è da poco tramontato a
Gerusalemme, a Napoli (secondo i calcoli di Dante
l'Italia meridionale è a 45 gradi di longitudine da
Gerusalemme) è l'ora del vespro. In questo momento la
vita del personaggio Virgilio viene approfondita al di
là di ogni altra sua precedente individuazione e
condotta al centro più intimo del suo significato umano,
storico, religioso (tutto il canto è ricco di echi
virgiliani: nella poesia della terra, nella
contemplazione del cielo, nel tema dei sepolcri e in
quello dei corpi insepolti), mentre "si sviluppa il
primo movimento elegiaco: nella indicazione del corpo
lontano, e quindi della assenza dell'ombra di Virgilio,
vibra più intimamente il compianto della sepoltura
terrena e lontana e tutte le determinazioni geografiche
e storiche... sensibilizzano il motivo poetico della
separazione, della lontananza, della nostalgia e vespro
ed ombra inducono indirettamente la coerente suggestione
di una luce attenuata e malinconica, come le indicazioni
sepolcrali... la lentezza pensosa del ritmo collaborano
ad una musica funebre ed elegiaca, alla creazione di un
epicedio affettuoso e dolente che anticipa quello più
scoperto e diretto di Manfredi".(Binni) |
28 |
Ora, se
innanzi a me nulla s'aombra,
non ti maravigliar più che d'i cieli
che l'uno a l'altro raggio non ingombra. |
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28 |
Adesso, se davanti a me
non si forma alcuna ombra, ciò non deve stupirti più del
fatto che i cieli non impediscono che i raggi passino
dall'uno all'altro. |
31 |
A sofferir
tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtù dispone
che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli. |
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31 |
Per sopportare pene, caldo
e freddo, Dio onnipotente crea tali corpi, ma come
faccia ciò, non vuole che sia rivelato agli uomini. |
34 |
Matto è chi
spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone. |
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34 |
Stolto è colui il quale
spera che la ragione umana possa percorrere la via
infinita che Dio, uno nella sostanza e trino nelle
persone, segue. |
37 |
State
contenti, umana gente, al quia;
ché, se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria; |
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37 |
Limitatevi a considerare,
o uomini, le cose come sono: giacché se aveste potuto
capire tutte le cose, non sarebbe stato necessario che
Maria partorisse; |
40 |
e disïar
vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch'etternalmente è dato lor per lutto: |
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40 |
e vedeste bramare invano
uomini siffatti che (meglio di altri) avrebbero potuto
soddisfare (se fosse stato possibile con la sola ragione
umana) la loro ansia di conoscenza, mentre invece (tale
desiderio) è motivo per loro di pena etema: |
43 |
io dico
d'Aristotile e di Plato
e di molt' altri»; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato. |
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43 |
parlo di Aristotile e di
Platone e di molti altri». E qui chinò il capo, e non
aggiunse parola, e ristette turbato. |
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Una lettura che si fermi solo al valore didascalico dei
versi 34-39, considerandoli come la parte centrale del
discorso di Virgilio, corre il pericolo di non
comprendere la profonda poesia che, attraverso le ombre
ancora legate alla materia (versi 21-26), si libera
nella trasparenza dei corpi dei trapassati (verso 28),
si identifica con la luce rassicurante dei cieli (versi
29-30), si adagia infine nella Virtù che tutto dispone,
enunciando le imperscrutabili disposizioni divine. Le
affermazioni della filosofia scolastica che sostengono
qui il pensiero di Dante si arricchiscono di vibrazioni
liriche proprio perché sono pronunciate da chi, non
avendo mai avuto esperienza della fede e del Dio
cristiano, vede ora questa esperienza tramutarsi in
nostalgia per un bene perduto, in eterna esclusione da
un mondo ora intensamente desiderato, in condanna per sé
e per la civiltà alla quale appartenne (versi 40-44).
Quella che poteva essere una breve digressione per
colpire la follia di chi pone ogni speranza nella sola
ragione, diventa motivo teologico centrale di tutto il
canto, che è quello, secondo la specificazione del
Binni, della esclusione e della comunione delle anime:
esclusione perpetua di chi disiar vedeste sanza frutto e
ritrovata comunione "degli scomunicati redenti dal loro
pentimento in punto di morte e vivi nell'esperienza
letificante della ritrovata comunione, e nel ricordo
dolente dell'esclusione passata". |
46 |
Noi
divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che 'ndarno vi sarien le gambe pronte. |
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46 |
Giungemmo frattanto alla
base del monte: qui trovammo la roccia talmente ripida,
che invano le gambe lì sarebbero volonterose di salire. |
49 |
Tra Lerice e
Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta. |
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49 |
Tra Lerici (un castello
sulla riviera ligure, alla foce del fiume Magra) e
Turbia (un borgo nizzardo) la roccia più inaccessibile e
impraticabile è, al confronto di quella, una scala
comoda e ampia. |
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Il paesaggio dei primi due canti del Purgatorio viveva
in un prorompere continuo di luce, si profilava come una
immensità oceanica davanti ai due pellegrini, fino
allora costretti nella voragine infernale: ora gli occhi
di Dante e Virgilio si sono abituati alla luce, e nel
paesaggio prima senza forme possono ora, distinguere
meglio il poggio che 'nverso il cíel più alto si dislaga,
le ombre si precisano, le pareti appaiono rocciose,
erte, le notazioni si fanno realistiche, attente, e
Dante, che prima aveva fatto riferimento alle
costellazioni, al corso del sole, ai movimenti dei
cieli, ritorna con animo quasi angosciato al mondo che
conosce, alla terra, per trovare in essa qualche termine
di paragone. Sarà lo stesso paesaggio che con una muta
sgomenta elegia, ritmata quasi sul tono di una funebre
marcia, fa da sfondo alla cupa avventura del cadavere di
Manfredi".(Caccia) |
52 |
«Or chi sa
da qual man la costa cala»,
disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
«sì che possa salir chi va sanz' ala?». |
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52 |
«Adesso chissà da quale
parte la costa è meno ripida» disse, il mio maestro
arrestandosi, «in modo da consentire la salita anche a
chi non ha ali?» |
55 |
E mentre
ch'e' tenendo 'l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso, |
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55 |
E mentre egli, con gli
occhi rivolti a terra, rifletteva sul cammino da tenere,
e io guardavo in alto tutt’intorno alla roccia, |
58 |
da man
sinistra m'apparì una gente
d'anime, che movieno i piè ver' noi,
e non pareva, sì venïan lente. |
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58 |
da sinistra vidi comparire
una schiera di anime, che procedevano verso dì noi, e
quasi non sembrava che ciò avvenisse, tanto lentamente
si avvicinavano. |
61 |
«Leva»,
diss' io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi». |
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61 |
«Alza, o maestro», dissi,
«il tuo sguardo: ecco da questa parte chi ci darà
consiglio, se tu non riesci a trovarlo in te stesso.» |
64 |
Guardò
allora, e con libero piglio
rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio». |
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64 |
Allora guardò, e con viso
rasserenato, rispose: «Avviciniamoci a loro, poiché essi
avanzano lentamente; e tu, figlio caro, rafforza la tua
speranza». |
67 |
Ancora era
quel popol di lontano,
i' dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano, |
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67 |
Quella schiera era ancora
così lontana, dico dopo aver noi fatto un migliaio di
passi, quanta può essere la distanza cui un buon
lanciatore scaglierebbe una pietra, |
70 |
quando si
strinser tutti ai duri massi
de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
com' a guardar, chi va dubbiando, stassi. |
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70 |
quando tutti si
addossarono alle dure rocce dell'alta costa, e stettero
fermi e raccolti come, chi va, si ferma a guardare
quando è colto da un dubbio. |
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La critica è concorde nel considerare il canto III uno
dei più rappresentativi deIl'atmosfera corale del
Purgatorio, "dove tutto è folla e gruppo, unici e
monocordi" (Mattalia).
Cessate le violente apparizioni dell'inferno, le anime
avanzano a schiera, cantando in un accordo profondo di
atteggiamenti e di gesti, "come processioni di penitenti
tutti raccolti interiormente e gravati da un ignoto peso
dell'anima" (Grabber).
In Dante e Virgilio ogni residuo del turbamento iniziale
si dissolve davanti a questa gente d'anime, a questo
popol "il cui procedere lentissimo, agevola e
sottolinea... il prevalere di un ritmo costante e
distensivo che prepara il nuovo culmine poetico di un
altissimo idillio, di una «pastorale» purissima ai cui
margini pur vibra, in forme sempre più attenuate di
stupore e di trepidazione, l'eco di quel movimento di
incertezza... e che qui mai si dissocia completamente
dal fondamentale sentimento letificante di concordia e
di salvezza in comune delle anime degli scomunicati
pentiti e avviati alla loro totale liberazione" (Binni).
L'avanzare deciso dei due pellegrini (con libero piglio)
contrasta con quello lentissimo delle anime che, di
fronte a un'apparizione così lontana ormai dal loro
mondo, arretrano e si addossano al monte "con un
risultato figurativo di mobile bassorilievo" (Binni),
che, accostato alla similitudine successiva delle
pecorelle sembra richiamare i bassorilievi
paleocristiani, o certi mosaici ravennati o alcuni
affreschi romanici. |
73 |
«O ben
finiti, o già spiriti eletti»,
Virgilio incominciò, «per quella pace
ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti, |
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73 |
«O voi che siete morti in
grazia di Dio, o spiriti già destinati alla salvezza
eterna», prese a dire Virgilio, «in nome di quella pace
che io credo sia attesa da voi tutti, |
76 |
ditene dove
la montagna giace,
sì che possibil sia l'andare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace». |
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76 |
diteci in qual punto la
montagna è più agevole, sì da poterla salire, perché
perder tempo dispiace a chi ne conosce il valore.» |
79 |
Come le
pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso; |
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79 |
Come le pecore escono dal
recinto da sole, o a gruppi di due e di tre, e le altre
sostano timide abbassando il muso e lo sguardo, |
82 |
e ciò che fa
la prima, e l'altre fanno,
addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
semplici e quete, e lo 'mperché non sanno; |
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82 |
e quello che fa la prima,
fanno anche le altre, raggruppandosi dietro a lei, se si
ferma, obbedienti e mansuete, senza conoscerne il
motivo, |
85 |
sì vid' io
muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l'andare onesta. |
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85 |
così io vidi allora
avvicinarsi le prime anime di quella felice moltitudine,
umile nei volti e dignitosa nel procedere, |
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Questa similitudine di mirabile evidenza, le cui
componenti, semplicità e mansuetudine, richiamano quella
dei colombi (canto Il, versi 124-129), è la sintesi
visiva di tutti gli elementi elegiaci del canto: l'animo
del Poeta sembra abbandonarsi al nuovo sentimento di
pace che avverte in sé e attorno a sé, alla comunione
con le anime purganti, vuole vivere di quella umiltà
alla quale è stato consacrato sulla spiaggia del
purgatorio. Anche se la tradizione letteraria bucolica,
di Virgilio in particolare, il ricordo evangelico (le
anime presentate attraverso l'immagine degli agnelli e
delle pecorelle) e un passo del Convivio (I, XI, 9-10)
lo sorreggono, questo quadro - pur essendo "uno dei più
nitidi studi dal vero di tutto il poema, uno di quelli
in cui Dante ha trovato più genialmente la parola
pittrice" (Momigliano) - non è che l'estremo sviluppo
del tema centrale dell'umiltà delle anime che si
abbandonano alla volontà divina, che sono contente del
quia. Infatti l'osservazione dei movimento lento ma
sicuro (a una, a due, a tre), dell'atteggiamento
(atterrando l'occhio e 'l muso), della concordia (e ciò
che la la prima, e l'altre fanno), l'uso dei diminutivi
(pecorelle, timidette), la scelta degli aggettivi
(semplici, quete), preparano le ultime parole della
similitudine: e lo 'mperché non sanno. Se il turbamento
genera incertezza - nota il Caccia - "incertezza genera
umiltà, e tutto il canto si ispira a questo motivo della
umiltà, che è poi la virtù opposta all'antica colpa".
Così è umile Virgilio, che esorta ad accontentarsi della
realtà contingente e riconosce di aver bisogno egli
stesso di consiglio, umili sono queste anime, umiIe sarà
Dante di fronte a Manfredi, ma umile sarà soprattutto lo
stesso Manfredi la cui alta personalità si china alle
universali leggi divine e che, pur conservando ancora
per istinto e per abitudine tutta la sua aristocraticità
regale, si fa riconoscere non per una corona ma per due
ferite". Il primo incontro di Dante con le anime del
purgatorio avviene con coloro che più sono lontani dalla
salvezza, cioè con gli scomunicati, "coloro la cui
ribellione alla legge divina non fu solo individuale ma
sociale, coloro che rifiutarono obbedienza alla Chiesa".
Secondo la legge del contrappasso essi che in vita
furono superbi, orgogliosi, ribelli. dovranno ora essere
umili, mansueti, docili al destino e all'altrui volontà:
"anzi, sono fra le anime più timide del purgatorio, non
solo perché la loro personalità ribelle ebbe esemplare
annullamento nel disonore della scomunica... ma perché
fra tutte le anime... queste hanno pur tutta
l'incertezza e il tremore di chi si trova ancora assai
prossimo alla piaggia cui si giunge affannati e
smarriti".(Caccia) |
88 |
Come color
dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l'ombra era da me a la grotta, |
|
88 |
Non appena quelle anime
videro in terra, alla mia destra, la luce interrotta,
poiché la mia ombra stava fra me e la roccia, |
91 |
restaro, e
trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto. |
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91 |
si arrestarono, e
indietreggiarono un poco, e tutte le altre che venivano
dietro, pur non conoscendone il motivo, fecero
altrettanto. |
94 |
«Sanza
vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che 'l lume del sole in terra è fesso. |
|
94 |
«Senza attendere che voi
me lo domandiate, vi dichiaro che questo che voi vedete
è un corpo umano, per questo la luce del sole è, in
terra, interrotta. |
97 |
Non vi
maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete». |
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97 |
Non
stupitevi; ma credete che non è senza l'aiuto del cielo
che io cerco di superare questa roccia.» |
100 |
Così 'l
maestro; e quella gente degna
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
coi dossi de le man faccendo insegna. |
|
100 |
Così parlò
Virgilio; e quegli spiriti eletti. «Tornate indietro e
camminate dunque davanti a noi», dissero, facendoci
segno col dorso delle mani. |
103 |
E un di loro
incominciò: «Chiunque
tu se', così andando, volgi 'l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque». |
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103 |
E uno di loro prese a
dire: «Chiunque tu sia, mentre cammini volgi gli occhi:
cerca di ricordare se in terra tu mi abbia mai veduto». |
|
Parla Manfredi, figlio naturale di Federico II che
appena diciottenne, nel 1250, alla morte del padre,
governò il regno di Napoli e Sicilia per il fratello
Corrado IV, dopo la morte del quale si fece incoronare
re a Palermo (1258). Guidò il partito ghibellino in
Italia, lottando duramente contro la Chiesa che lo
scomunicò, finché il pontefice Clemente IV chiamò in
Italia Carlo I d'Angiò, che sconfisse a Benevento nel
1266 Manfredi, il quale morì in battaglia. I cronisti
del tempo lo giudicarono in modo opposto: quelli
ghibellini lo esaltarono entusiastìcamente, quelli
guelfi lo accusarono di ogni nefandezza. Tuttavia il
Villani (Cronaca VI, 46), benché guelfo, afferma: "Fu
bello del corpo e, come il padre e più, dissoluto in
ogni lussuria; sonatore e cantatore era;... molto fu
largo e cortese e di buon aire, sicché egli era molto
amato e grazioso; ma tutta sua vita fu epicuria, non
curando quasi né Iddìo né Santi". Dante in un passo del
De Vulgari Eloquentia (I, XII, 4), tesse grandi lodi per
l'opera politica e culturale di Federico Il e di
Manfredi, tralasciando ogni giudizio morale. E, se pone
Federico Il fra gli epicurei nell'inferno, salva
Manfredi in virtù di un pentimento poco prima della
morte. |
106 |
Io mi volsi
ver' lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. |
|
106 |
Io mi girai verso di lui e
lo guardai attentamente: era biondo, bello e di nobile
aspetto, ma aveva un sopracciglio diviso in due da una
ferita. |
109 |
Quand' io mi
fui umilmente disdetto
d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto. |
|
109 |
Quand'ebbi con cortesia
negato d'averlo mai conosciuto, egli dìsse: «Adesso
guarda»; e mi mostrò una ferita vicino al cuore. |
112 |
Poi
sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond' io ti priego che, quando tu riedi, |
|
112 |
Poi aggiunse sorridendo:
«Sono Manfredi, nipote dell'imperatrice Costanza; perciò
ti prego, quando ritornerai in terra, |
115 |
vadi a mia
bella figlia, genitrice
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice. |
|
115 |
di andare dalla mia bella
figlia, madre di coloro che sono i sovrani di Sicilia e
d'Aragona, per dirle la verità su di me, se si
raccontano altre cose. |
|
Costanza imperadrice è Costanza d'Altavilla, sposa
dell'imperatore Arrigo VI e madre di Federico II.
La figlia di Manfredi è Costanza che sposò Pietro III
d'Aragona ed ebbe come figli Federico II, re di Sicilia,
e Giacomo Il, re d'Aragona. |
118 |
Poscia ch'io
ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona. |
|
118 |
Quand'ebbi il corpo
trafitto da due colpi mortali, io mi rivolsi, piangendo
(per il pentimento dei peccati), a Colui che è sempre
pronto a concedere il suo perdono. |
121 |
Orribil
furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei. |
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121 |
I miei peccati furono
orribili; ma la infinita misericordia ha braccia tanto
ampie da accogliere tutti coloro che a Lei si rivolgono. |
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Se il Purgatorio è la cantica delle idealità e degli
affetti, l'animo di Dante è pur sempre impegnato con la
cronaca e con la storia, con il dramma e la tragedia dei
suoi tempi; il Poeta muta solo il tono, osserva in
lontananza, acquista un senso di distacco. "Manfredi
prende tutto il suo rilievo non solo sullo sfondo di
quel paesaggio e di quelle anime scorate che lo
accompagnano, ma anche sullo sfondo di quei profondi
ideali, di quella epica lotta, di quelle sue stesse
amare vicende innalzate alla pietà che vince l'orrore,
alla sofferenza che redime, alla bontà che perdona."
(Caccia) Solo rilevando con forza il netto contrasto fra
gli orribil... peccati miei e la bontà infinita,
l'episodio acquista valore e funzione di exemplum, di
"lezione profonda di umiltà" (Sapegno) .
Nella figura del re svevo si attua appieno il processo
di spiritualizzazione proprio di tutta la seconda
cantica: il sorriso con cui si rivolge a Dante quasi per
attenuare l'orrore delle ferite, segna il distacco fra
la tragedia della sua vita terrena e la raggiunta
serenità, che ha liberato Manfredi dei suoi peccati, ma
gli mantiene la regalità di un tempo, trasumanandola
anzi in santa regalità, dopo averla liberata da ogni
superbia. pon mente se di là mi vedesti unque... io son
Manfredi... ond'io ti priego.
Infatti alto e distaccato è il tono delle sue parole,
quasi solenne l'accenno a Costanza ímperadrice, alla
figlia genitrice dell'onor di Cicilia e d'Aragona, Il
regale è il suo discorrere ampio e la sua sintassi
latineggiante (ondio ti priego che quando tu riedi ...
); regale è quel suo ricordare, di tanto odio, solo quel
suo cadavere gettato oltre i confini del regno: persino
l'immagine stessa della bontà divina (la bontà divina ha
sì gran braccia) acquista in lui una latitudine
regale... Quel sorriso, come quel suo volto bello e
gentile, sono ora le sue vere insegne di re" (Caccia).
Avvertiamo la nobiltà del suo animo proprio nell'umile
confessione della sua miseria umana (io mi rendei,
piangendo), nel riconoscimento di un potere superiore
che si manifesta come amore (la bontà infinita), verso
il quale la sua anima vibra e si slancia stanca delle
lotte della vita. |
124 |
Se 'l pastor
di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia, |
|
124 |
Se il vescovo di Cosenza,
che da papa Clemente fu indotto allora a perseguitarmi,
avesse potuto penetrare questo aspetto di Dio, |
127 |
l'ossa del
corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora. |
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127 |
le mie ossa sarebbero
ancora in capo a un ponte vicìno a Benevento, custodite
da un mucchio di pietre. |
130 |
Or le bagna
la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
dov' e' le trasmutò a lume spento. |
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130 |
Adesso la pioggia le bagna
e il vento le agita; fuori del regno (di Napoli e di
Sicilia), quasi sul Garigliano, dove egli le trasportò a
ceri spenti (come si usava per i cadaveri degli
scomunicati e degli eretici). |
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Il pastor di Cosenza è l'arcivescovo Bartolomeo
Pignatelli; che rappresentava Clemente IV presso Carlo
d'Angiò. Il Villani (Cronaca, VII, 9) narra che il
cadavere di Manfredi, ritrovato sul campo di battaglia
dopo tre giorni, fu sepolto dagli stessi nemici sotto
una "grande mora di sassi" e che invece secondo altri il
vescovo di Cosenza fece dissotterrare il corpo e
trasportarlo fuori del regno dì Napoli, "ch'era terra di
Chiesa", per abbandonarlo lungo le rive del Garigliano,
che segnava il confine fra il regno meridionale e lo
stato della Chiesa.
Nelle parole di Manfredi tutto diventa rappresentazione
ed immagine: l'ostilità dei pastor di Cosenza si
trasforma in.movimento di caccia selvaggia e le feroce,
le fasi della battaglia si riassumono nel pesante tumulo
di sassi che la pietà dei nemici ha eretto sopra il suo
corpo, l'odio dei suoi persecutori appare nel
trascinarsi di quelle povere ossa battute dalla pioggia
e dal vento: eppure non c'è dura polemica contro alcuno,
ma solo, l'amara constatazione, di vedere altri uomini
peccare come tante volte ha peccato lui stesso. |
133 |
Per lor
maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l'etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde. |
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133 |
In seguito alle loro
scomuniche (maladizion: la scomunica infatti non
comporta di necessità la dannazione spirituale) la
grazia di Dio non si perde a tal punto che non si possa
recuperare, finché la speranza non è del tutto
inaridita. |
136 |
Vero è che
quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore, |
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136 |
Tuttavia chi muore
scomunicato, anche se si pente in punto di morte, deve
restare fuori di questo monte, |
139 |
per ognun
tempo ch'elli è stato, trenta,
in sua presunzïon, se tal decreto
più corto per buon prieghi non diventa.
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139 |
per un periodo di tempo
trenta volte più lungo di quello che da vivo ha nella
sua ostinazione orgogliosa, a meno che tale decreto non
venga abbreviato dalle preghiere dei buoni. |
142 |
Vedi oggimai
se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m'hai visto, e anco esto divieto; |
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142 |
Vedi dunque se puoi farmi
contento, rivelando, alla mia buona Costanza dove e in
che modo mi hai visto, e anche questo divieto, |
145 |
ché qui per
quei di là molto s'avanza».
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145 |
poiché noi molto
progrediamo nella purificazione grazie, ai suffragi dei
vivi». |
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L'elegia che aveva raggiunto, il suo tono più cupo nei
versi 130-132 e si era tramutata.in uno slancio di fede
e di speranza (versi 134-135). si conclude ristabilendo
"quell'armonia tra il mondo dei vivi e il mondo dei
morti che il drammatico racconto sembrerebbe aver
spezzato" e chiude l'episodío proprio in questo tono di
umiltà familiare, nel sigillo di quello spirito
comunitario che... anima il corale respiro lirico del
canto".(Caccia) |
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