1 |
Quando il
settentrïon del primo cielo,
che né occaso mai seppe né orto
né d'altra nebbia che di colpa velo, |
|
1 |
Quando l'Orsa Maggiore (il settentrion: le sette stelle
dell'Orsa Maggiore indicano qui i sette candelabri)
dell'Empireo, che non conobbe mai né tramonto né aurora
né altra nebbia che la offuscasse se non il velo del
peccato, |
4 |
e che faceva
lì ciascuno accorto
di suo dover, come 'l più basso face
qual temon gira per venire a porto, |
|
4 |
e che lì nel paradiso
terrestre (guidando la processione) rendeva ciascuno
consapevole di ciò che doveva fare, come la sottostante
costellazione dell'Orsa Minore rende consapevole (della
rotta da seguire) ogni nocchiero che manovra il timone
della nave per giungere in porto, |
7 |
fermo
s'affisse: la gente verace,
venuta prima tra 'l grifone ed esso,
al carro volse sé come a sua pace; |
|
7 |
quando, dico, i sette
candelabri si fermarono, i ventiquattro seniori,
testimoni della verità, che si erano fatti avanti per
primi tra il grifone e i candelabri (esso: riferito a
settentrion), si rivolsero al carro come al principio e
fine dei loro desideri; |
|
I sette candelabri che aprono la processione sono
indicati attraverso una complessa immagine, ancora una
volta attinta al difficile campo dell'astronomia: essi
ricordano al Poeta la costellazione dell'Orsa Maggiore,
qui chiamata settentrion dal latino septem triones,
poiché le sue sette stelle sembrano formare la figura di
un carro con sette (septem) buoi (triones) aggiogati.
Infatti uguale è il loro numero e identica è la
funzione, perché i candelabri additano la strada al
corteo e l'Orsa Maggiore mostra la via ai naviganti, per
quanto i primi risplendano nel cielo dell'Empireo e la
seconda ruoti nel cielo ottavo (o cielo stellato), posto
sotto l'Empireo, passando attraverso i tramonti, le
albe, le nebbie, laddove i sette candelabri conoscono
solo il velo della colpa che nasconde all'uomo i doni
dello Spirito Santo, da essi simboleggiati. |
10 |
e un di
loro, quasi da ciel messo,
'Veni, sponsa, de Libano' cantando
gridò tre volte, e tutti li altri appresso. |
|
10 |
e uno di loro, come fosse ispirato dal
cielo, per tre volte gridò cantando «Vieni, o sposa, dal
Libano», e tutti gli altri ripeterono l'invocazione. |
|
Quello dei ventiquattro seniori che rappresenta il
Cantico dei Cantici canta un versetto del libro: "Veni
de Libano, sponsa mea" (IV, 8) . L'esegesi del Cantico
ha visto di volta in volta nella "sposa' la Sinagoga,
l'anima, la Chiesa e proprio quest'ultima compare in un
passo del Paradiso (Xl, 31-33) come sposa di Cristo. In
questo momento, tuttavia, l'invocazione è rivolta a
Beatrice, simbolo della scienza rivelata, cioè del
magistero dottrinale e morale della Chiesa. |
13 |
Quali i
beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando, |
|
13 |
Come all'ultimo appello del giudizio universale
risorgeranno i beati uscendo prontamente ognuno dalla
sua sepoltura, mentre saluteranno con un alleluia il
corpo risorto di cui tornano a rivestirsi,
|
16 |
cotali in su
la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messaggier di vita etterna. |
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16 |
allo stesso modo,
all'invito di così venerando vecchio, si levarono sul
carro divino moltissimi angeli, ministri e messaggeri di
vita eterna. |
|
I primi versi del canto ripropongono, in forma di
proposizione subordinata (quando il settentrion... fermo
s'affisse), la notazione con cui si era concluso il
canto precedente (fermandosi ivi con le prime insegne),
ma la introducono in un contesto assai più ricco e
contrastato, destinato a culminare nella drammatica
contrapposizione del penitente (Dante) al suo giudice
(Beatrice). Laddove, infatti, la descrizione del corteo
sacro è stata caratterizzata da una certa schematicità e
quasi fretta enunciativa, a partire dal momento in cui
il carro si ferma, la parola del Poeta esprime il senso
di una sacra aspettazione, l'attesa di un prodigio cui è
conferito il compito di dare un significato a tutto
l'itinerario del pellegrino. Al verso I, il termine
settentrion conferisce ampiezza di spazi e raccoglimento
meditativo al simbolo dei sette doni dello Spirìto
Santo. Tale simbolo nel canto precedente è apparso
circoscritto in forme rituali, cui l'affollarsi della
processione toglieva vastità di prospettive per dar
luogo a variazioni, in fondo ancora profane e
compiaciute, sul terna della luce. Qui i sette
candelabri si allontanano infinitamente dalle
proporzioni che l'uomo può definire, splendono come un
enigma non ancora svelato se non nella sua funzione di
guida, nel buio richiamano le stelle su cui Dante ha
fissato lo sguardo prima di addormentarsi, superata la
barriera di fuoco, sotto la vigilanza di Stazio e
Virgilio. Il Poeta mette chiaramente in luce la base
concettuale su cui tale metafora poggia attraverso la
specificazione del primo cielo, ma questa indicazione
non rimane astratta, caricandosi, nei due versi che
seguono, di tutto l'empito di commozione che è
nell'animo del pellegrino, ormai certo di poter
raggiungere questo primo cielo, la patria intemporale
dei beati. Di questa commozione è indice la struttura
dei versi 2 e 3, articolata su di una triplice
negazione, che induce ad un tono di trionfo, ad un senso
di liberazione raggiunta. La salda compagine
dell'esordio risulta attenuata nei versi 10-12. Qui,
quale protagonista, si sostituisce, all'insieme robusto
di questo presagio del cielo, una figura meno
emblematica e grave, tutta risolta in un atteggiamento
di grazia immediata. Il verso e un di loro, quasi da
ciel messo, riferito ad uno dei maestosi vecchi che
abbiamo veduto incedere nel canto precedente, ne riporta
l'età - attraverso l'evidente richiamo alla scena
evangelica dell'Annunciazione - a quella dell'angelo
apparso a Maria, immune dal peso degli anni,
determinando, in quelle che fin qui erano apparse fredde
allegorie, una partecipazione al dramma del rinnovato
incontro fra Dante - in veste di peccatore penitente - e
Beatrice - in veste di sacerdote - che incita alla
necessaria confessione dei peccati. Tale partecipazione
è ulteriormente rilevata dalla similitudine dei versi
13-15, la quale colloca anticipatamente il giudizio di
Beatrice nella prospettiva del giudizio universale. La
vicenda di Dante perde, in virtù di suggerimenti come
questo, qualsiasi residuo di ristretto autobiografismo,
per coincidere con quella dell'anima che si redime dal
peccato, oltre ogni determinazione storica o culturale.
Notiamo, in questa terzina, il forte potere evocativo
del termine caverna che "suscita tutto il senso delle
tenebrose profondità sotterranee" (Grabher), in
contrasto con la luce che si irradierà sui corpi dei
risorti, nonché, al verso 15, l'ampio respiro metafisico
che il Poeta infonde al quadro di questa integrale
ricostituzione dell'umano. Tale quadro è pervaso da un
sentimento di gaudio impetuoso ed è visto non nel
particolareggiarsi di questo o quell'atteggiamento
singolo, ma nella sua accezione più meditata e
definitiva. La risurrezione dei corpi ha in Dante il
significato di una riconciliazione, nella saldezza
dell'immortalità, tra ciò che è apparso perituro nel
tempo (il corpo) ed il principio che non ha mai cessato
di sussistere (l'anima). Tutto il creato appare qui
destinato a condividere la gloria del suo Creatore:
l'elemento corruttibile testimonierà anch'esso della
perfezione del suo artefice.
Se paragoniamo questo scorcio dantesco alle
illustrazioni che della risurrezione dei corpi hanno
dato pittori come Luca Signorelli o Michelangelo,
possiamo renderci conto da un lato della saldezza del
mondo di Dante, per il quale nessuna manifestazione del
negativo può dar luogo ad una negazione dell'essere nel
suo complesso, e dall'altro della sfiducia, del dubbio -
che incrinano l'unità del reale - quali risultano agli
albori dell'evo moderno. Nei due pittori citati i corpi
riprendono a vivere senza gioia, esprimono la
stanchezza, il peso di una carne non riscattata dal
tempo. Il giudizio di Dio incombe sui risorti di Luca
Signorelli e di Michelangelo come una minaccia per lungo
tempo attesa ed improrogabile, laddove in Dante esso
riveste un significato positivo, rappresentando
anzitutto la cessazione di ogni conflitto - proprio
dell'imperfezione terrena - l'armonico integrarsi di
tutti gli aspetti del reale ed il loro orientarsi verso
la fonte da cui emanarono. |
19 |
Tutti dicean:
'Benedictus qui venis!',
e fior gittando e di sopra e dintorno,
'Manibus, oh, date lilïa plenis!'. |
|
19 |
Tutti dicevano: «Benedetto tu che
vieni!», e gettando fiori sopra e intorno (al carro)
soggiungevano: «Oh, datemi gigli a piene mani!» |
|
«Benedictus qui venit in nomine Domini» ("Benedetto
colui che viene nel nome del Signore") sono le parole di
saluto rivolte dalla folla a Gesù che entrava in
Gerusalemme (Matteo XXI, 9; cfr. anche Luca XIX, 38;
Marco XI, 9). Alcuni interpreti le ritengono rivolte a
Dante, altri al grifone, altri ancora, e più
giustamente, a Beatrice.
Il verso 21 ripete, con la sola aggiunta dell'oh,
l'espressione che Virgilio (Eneide VI, 883) fa
pronunciare nell'Ade ad Anchise, padre di Enea, per
celebrare le lodi di Marcello, nipote di Augusto e morto
prematuramente.
Nei versi 19-21 l'uso del latino ha lo scopo di rendere
più maestose le figure degli angeli, nonché il loro
canto, eseguito nella solenne lingua di Roma e della
Chiesa, le due grandi realtà che Dante vuole qui
accostare - attraverso una citazione dal Vangelo e una
dall'Eneide - nel momento in cui viene invocata la
venuta di Beatrice. |
22 |
Io vidi già
nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
e l'altro ciel di bel sereno addorno; |
|
22 |
Io vidi spesso al cominciare del giorno la parte
orientale del cielo tutta rosa, e le altre parti adorne
di un bel sereno; |
25 |
e la faccia
del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
l'occhio la sostenea lunga fïata: |
|
25 |
e vidi il disco del sole spuntare al mattino come velato
d'ombra, in modo che l'occhio lo poteva fissare per
lungo tempo, perché i vapori ne temperavano il fulgore: |
28 |
così dentro
una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori, |
|
28 |
così velata da una nuvola
di fiori che, lanciati dalle mani degli angeli, salivano
e ricadevano dentro e intorno al carro, |
31 |
sovra
candido vel cinta d'uliva
donna m'apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva. |
|
31 |
m'apparve una donna cinta
di fronde d'ulivo sopra il candido velo, vestita sotto
il manto verde di una veste del colore della fiamma
viva. |
|
Beatrice, simbolo della teologia, appare rivestita dei
tre colori rappresentanti la fede, la speranza e la
carità, cioè le virtù teologali, mentre la ghirlanda
d'ulivo simboleggia la pace, propria dell'anima che vive
nella fede, e, poiché l'ulivo è sacro alla dea della
sapienza, Minerva, tale corona indica anche la sapienza,
propria della dottrina teologica. Nel colore delle vesti
occorre rilevare un evidente richiamo alla Vita Nova:
infatti Beatrice appare a Dante la prima volta vestita
di rosso (II, 3), la seconda vestita di bianco (III, 1)
, avvolta poi in un manto sanguigno nella visione che il
Poeta ha dopo il secondo incontro (III, 4) , e con il
capo ricoperto da un velo bianco durante un sogno nel
quale Dante immagina di vederla già morta (XXIII, 8). |
34 |
E lo spirito
mio, che già cotanto
tempo era stato ch'a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto, |
|
34 |
E il mio animo, che già da
tanto tempo (sono trascorsi dieci anni dalla morte di
Beatrice al momento del viaggio di Dante
nell'oltretomba) non avvertiva, pieno di tremore, il
profondo turbamento che sentiva (sempre) alla sua
presenza, |
37 |
sanza de li
occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d'antico amor sentì la gran potenza. |
|
37 |
senza averla quasi vista (sanza
delli occhi aver più conoscenza: senza ricevere dagli
occhi una più precisa conoscenza), per una misteriosa
virtù che da lei emanava, avvertì la grande potenza
dell'antico amore. |
40 |
Tosto che ne
la vista mi percosse
l'alta virtù che già m'avea trafitto
prima ch'io fuor di püerizia fosse, |
|
40 |
Non appena i miei occhi
furono colpiti dalla grande bellezza che già mi aveva
ferito prima di essere uscito dalla puerizia, |
43 |
volsimi a la
sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto, |
|
43 |
mi volsi verso sinistra
con la stessa affannosa incertezza con la quale il
bambino corre dalla mamma quando ha paura o quando prova
dolore, |
46 |
per dicere a
Virgilio: 'Men che dramma
di sangue m'è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l'antica fiamma'. |
|
46 |
per dire a Virgilio:
«Neppure una stilla di sangue (men che dramma: dramma,
di per sé, indica l' ottava parte dell'oncia, cioè poco
più di tre grammi) mi è rimasta che non tremi: conosco i
segni dell'antica fiamma»; |
|
Il Poeta ricorda che al tempo del suo primo incontro con
Beatrice e delle sue prime sofferenze d'amore, egli
aveva appena nove anni, non essendo ancora fuor di
puerizia (cfr. Vita Nova lI). E per sottolineare la gran
potenza dell'antico amor traduce letteralmente il famoso
verso virgiliano, nel quale Didone rivela alla sorella
Anna il suo amore per Enea "adgnosco veteris vestigia
flammae " (Eneide IV, 23). |
49 |
Ma Virgilio
n'avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die'mi; |
|
49 |
ma Virgilio aveva privato
della sua presenza me e Stazio, Virgilio, il dolcissimo
padre, Virgilio, al quale mi ero affidato perché mi
fosse guida verso la salvezza (per mia salute: cfr.
Inferno II, 140); |
52 |
né
quantunque perdeo l'antica matre,
valse a le guance nette di rugiada
che, lagrimando, non tornasser atre. |
|
52 |
né tutto ciò che Eva
(l'antica matre) perdette con il suo peccato (cioè il
paradiso terrestre e le sue gioie), poté impedire che le
mie guance, già lavate (di ogni bruttura) con la rugiada
(cfr. Purgatorio I, 127-129), ritornassero a macchiarsi
di lagrime. |
55 |
«Dante,
perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada». |
|
55 |
«Dante, non piangere
anche, per il fatto che Virgilio se ne è andato, non
piangere ancora; poiché sarai costretto a piangere per
ben altro dolore (per il rimprovero che fra poco
Beatrice gli rivolgerà a causa delle sue colpe.» |
|
Il nome proprio del Poeta viene pronunciato qui per la
prima ed ultima volta in tutta la Commedia. Dante si
preoccupa di sottolineare subito che esso viene
riportato solo per necessità (verso 63) : non per vana
ostentazione, ma per precisare a chi è rivolto il
richiamo, per sottolineare - attraverso l'uso del nome
proprio - il legame di affetto che unisce Beatrice a
lui, per rafforzare infine il rimprovero che la donna
subito dopo gli rivolge (versi 56-57) . |
58 |
Quasi
ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far l'incora; |
|
58 |
Simile ad un ammiraglio
che si sposta sulla poppa e sulla prora della sua nave
per controllare le ciurme che attendono al proprio
lavoro sulle navi minori della flotta, e le esorta a
compiere bene (il lavoro), |
61 |
in su la
sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessità qui si registra, |
|
61 |
sulla sponda sinistra del
carro, allorché mi volsi al suono del mio nome, che qui
devo trascrivere per necessità, |
64 |
vidi la
donna che pria m'appario
velata sotto l'angelica festa,
drizzar li occhi ver' me di qua dal rio. |
|
64 |
vidi la donna che prima mi
era apparsa coperta di un velo sotto la nuvola dei fiori
lanciati dagli angeli, volgere gli occhi verso di me al
di qua del Letè. |
67 |
Tutto che 'l
vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta, |
|
67 |
Sebbene il velo che le
scendeva dal capo, coronato da fronde di ulivo (pianta
sacra alla dea Minerva), non la lasciasse apparire
completamente visibile, |
70 |
regalmente
ne l'atto ancor proterva
continüò come colui che dice
e 'l più caldo parlar dietro reserva: |
|
70 |
sempre in un atteggiamento
di regale fierezza continuò come l'oratore che inizia a
parlare e riserva per ultimo le parole più accese: |
73 |
«Guardaci
ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d'accedere al monte?
non sapei tu che qui è l'uom felice?». |
|
73 |
«Guarda qui (guardaci: ci
è particella avverbiale) ben fisso! Sono io, sono
proprio Beatrice. Come ti sei considerato degno di
accedere al monte del purgatorio? Non sapevi tu che qui
l'uomo gode la felicità (che nasce dalla purificazione
del peccato)?» |
76 |
Li occhi mi
cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte. |
|
76 |
Gli occhi mi caddero sulla
limpida acqua del Letè; ma vedendo rispecchiata in essa
la mia confusione, li volsi sull'erba, tanto era il peso
della vergogna che mi fece abbassare la fronte. |
79 |
Così la
madre al figlio par superba,
com' ella parve a me; perché d'amaro
sente il sapor de la pietade acerba. |
|
79 |
Come la madre (mentre lo
rimprovera) sembra severa al figlio, così Beatrice
apparve a me, perché riesce amaro il sapore dell'affetto
materno quando (per il bene del figlio) si manifesta in
modo severo. |
82 |
Ella si
tacque; e li angeli cantaro
di sùbito 'In te, Domine, speravi';
ma oltre 'pedes meos' non passaro. |
|
82 |
Ella tacque; e gli angeli cantarono
immediatamente «In Te io confido, o Signore»; ma (nel
canto di questo salmo) si interruppero alle parole «i
miei passi». |
|
Gli angeli che erano apparsi sul carro trionfale dopo il
canto di «Veni, sponsa, de Libano» (versi 16-18)
chiedono a Beatrice di avere pietà delle colpe passate e
della vergogna attuale di Dante, intercedendo per lui
con i primi nove versetti del Salmo XXXI, che esprime un
fiducioso abbandono nella misericordia divina. Gli
angeli iniziano il loro canto dalle parole « In Te io
confido, o Signore » e lo terminano con l'espressione
del versetto 9 «ma i miei passi ponesti in sicurtà». |
85 |
Sì come neve
tra le vive travi
per lo dosso d'Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi, |
|
85 |
Come sui monti
dell'Appennino tra i rami degli alberi si congela la
neve, spinta e addensata dal soffio dei venti freddi
(venti schiavi: sono i venti della Schiavonia o Illiria,
provenienti quindi da nord-est), |
88 |
poi,
liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela; |
|
88 |
la quale poi,
sciogliendosi, gocciola dagli strati superiori della sua
superficie su quelli inferiori, non appena la regione
africana manda i suoi venti caldi, così che pare il
fuoco che consuma la candela, |
91 |
così fui
sanza lagrime e sospiri
anzi 'l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri; |
|
91 |
allo stesso modo (cioè
gelato come la neve sotto i venti freddi) rimasi
incapace di piangere e di sospirare prima che cantassero
gli angeli, i quali accordano sempre il loro canto alle
armonie dell'eterno ruotare dei cieli; |
|
L'espressione del verso 89 è stata spiegata dai
commentatori antichi con il fatto che nella regione
africana le ombre si raccorciano e quasi scompaiono
allorché il sole batte perpendicolarmente nelle ore
meridiane. Tuttavia la fonte di Dante è forse Isidoro,
che nelle sue Etimologie (IV, 50) riporta la credenza
secondo la quale nelle regioni calde per tre giorni
interi all'anno non esiste alcuna ombra. Anche Lucano (Farsaglia
IX, 528-531) ricorda che in Egitto le ombre proiettate
dalle cose sono molto ridotte. |
94 |
ma poi che 'ntesi
ne le dolci tempre
lor compatire a me, par che se detto
avesser: 'Donna, perché sì lo stempre?', |
|
94 |
ma dopo che nelle dolci
modulazioni del loro canto li udii mostrare compassione
verso di me, più che se avessero detto: "Donna, perché
lo mortifichi così duramente?", |
97 |
lo gel che
m'era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto. |
|
97 |
il gelo che
mi si era addensato intorno al cuore, si sciolse in
sospiri e in lagrime, e con dolore uscirono dal petto
attraverso la bocca e gli occhi. |
100 |
Ella, pur
ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia: |
|
100 |
Ella, sempre
rimanendo ferma sulla sponda sopra nominata (cioè la
sinistra: cfr. verso 61) del carro, rivolse le sue
parole agli angeli (sustanze: essi, infatti, sono
sostanze separate dalla materia) che si erano mostrati
pietosi verso di me, parlando in questo modo: |
103 |
«Voi
vigilate ne l'etterno die,
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie; |
|
103 |
«Voi vegliate sempre nella
eterna luce di Dio, cosicché né la tenebra
(dell'ignoranza) né il sonno (che può essere indizio di
pigrizia e che comunque impedisce momentaneamente di
vedere) vi sottraggono la conoscenza di ogni passo (cioè
di ogni pensiero o azione) che l'umanità compie sulla
sua strada; |
106 |
onde la mia
risposta è con più cura
che m'intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d'una misura. |
|
106 |
per la qual cosa la mia
risposta (al vostro canto pietoso) mira soprattutto a
farsi intendere da colui che piange al di là del Letè,
affinché il suo dolore sia commisurato alla colpa
commessa. |
109 |
Non pur per
ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne, |
|
109 |
Non solo per l'influsso
dei cieli, che indirizzano ogni essere fin dal momento
del suo concepimento verso un fine preciso, secondo le
caratteristiche delle stelle che sono in congiunzione
(con quei cieli al momento del concepimento), |
112 |
ma per
larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine, |
|
112 |
ma anche per l'abbondanza
delle doti spirituali, la cui pioggia si forma da vapori
(cioè: dalla volontà di Dio) così misteriosi, che
l'intelletto umano non può neppure giungervi vicino, |
115 |
questi fu
tal ne la sua vita nova
virtüalmente, ch'ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova. |
|
115 |
questi (Dante) nella sua
giovinezza (vita nova) fu dotato di tali possibilità,
che ogni buona disposizione avrebbe potuto produrre in
lui prove mirabili (qualora egli avesse assecondato
queste sue attitudini naturali). |
|
I versi 109-114 riecheggiano da vicino ciò che Marco
Lombardo ha affermato (Purgatorio XVI, 73 sgg.) riguardo
all'influsso dei cieli nella formazione della persona
umana e all'intervento delle grazie divine, anticipando
quanto ritroveremo in alcuni passi del Paradiso (1,
109-129; VIII, 97-111; XVII, 7678; XXII, 112-123). I
cieli, che prendono il nome dai singoli pianeti che in
essi si trovano, influenzano, attraverso le
costellazioni, la formazione dell'uomo al momento del
concepimento, secondo il principio concordemente
sostenuto da tutto il pensiero medievale; e poiché la
loro attività è voluta da Dio, il fine che essi
propongono all'uomo non può che essere un fine razionale
e giusto. Dante era nato sotto la costellazione dei
Gemelli (cfr. Inferno XV, 55-60; Paradiso XXII,
112-123), che predisponeva allo studio e alle lettere. |
118 |
Ma tanto più
maligno e più silvestro
si fa 'l terren col mal seme e non cólto,
quant' elli ha più di buon vigor terrestro. |
|
118 |
Ma un terreno, quanto più
è dotato di forza produttrice, tanto più diventa arido e
selvatico quando vi si getta un seme cattivo oppure
quando viene lasciato incolto. |
121 |
Alcun tempo
il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto. |
|
121 |
Per qualche tempo lo
guidai con la mia presenza: mostrandogli il mio sguardo
adolescente, lo conducevo con me rivolto verso la strada
del bene. |
124 |
Sì tosto
come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui. |
|
124 |
Non appena giunsi alla
soglia della giovinezza e passai dalla vita terrena a
quella eterna, egli si allontanò da me, e si affidò ad
un'altra. |
|
Nei versi 121-123, Beatrice ricorda il benefico effetto
che la sua presenza ebbe su Dante nel periodo che
intercorse, secondo quanto ci dice il Poeta stesso nella
Vita Nova, fra il maggio 1274 e il giugno 1290, cioè fra
il primo incontro e la morte della donna. Egli infatti
afferma che "quando ella apparia da parte alcuna, per la
speranza de la mirabile salute [saluto] nullo nemico mi
rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la
quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso"
(Vita Nova XI, 1) . Beatrice muore alla soglia della
giovinezza, che sottentra all'adolescenza dopo i
venticinque anni, secondo la divisione della vita umana
fatta nel Convivio (IV, XXIV, 1 sgg.), e Dante si volge
ad altri interessi (diessi altrui).
Un antico commentatore, il Buti, spiega così questa
espressione: "ad altri studii e amori". Quasi tutti gli
interpreti moderni ritengono che qui Dante alluda alla
"donna gentile" della Vita Nova (XXXV-XXXVIII) da lui
amate dopo la morte di Beatrice e più tardi, nel
Convivio, interpretata allegoricamente, come simbolo
della filosofia e degli studi filosofici ai quali si
dedicò per cercare un conforto dopo la scomparsa di
Beatrice (II, XII, 5 sgg.). L'allusione resta tuttavia
indeterminata, perché tale Dante ha voluto restasse: "Il
discorso di Beatrice è sostanziosamente generico e
comprensivo e non va, nell'interpretazione,
eccessivamente particolarizzato" (Mattalia). |
127 |
Quando di
carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m'era,
fu' io a lui men cara e men gradita; |
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127 |
Dopo che da creatura
corporea divenni puro spirito, e la mia bellezza e le
mie virtù aumentarono, io gli divenni meno cara e meno
gradita; |
130 |
e volse i
passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera. |
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130 |
e si incamminò per una
strada sbagliata, seguendo le ingannevoli immagini dei
beni terreni, che non mantengono mai interamente nessuna
promessa (ingannando gli uomini con il promettere loro
una felicità che non potranno mai raggiungere). |
133 |
Né
l'impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: sì poco a lui ne calse! |
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133 |
Né (per ricondurlo al
bene) mi valse ottenergli da Dio buone ispirazioni, con
le quali e per mezzo di visioni e con altri interventi
tentai di richiamarlo (dalla strada del male); così poco
si curò di tutto questo! |
136 |
Tanto giù
cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti. |
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136 |
Cadde in uno stato di tale
traviamento, che tutti i rimedi per salvarlo erano ormai
insufficienti, eccetto quello di mostrargli la
condizione dei dannati (affinché, ispirando gli orrore
per il peccato, più facilmente egli potesse
allontanarsene). |
139 |
Per questo
visitai l'uscio d'i morti,
e a colui che l'ha qua sù condotto,
li preghi miei, piangendo, furon porti. |
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139 |
Per questo discesi nel
limbo, la porta d'ingresso dell'inferno, e pregai,
piangendo, colui (Virgilio) che lo ha guidato fin
quassù. |
142 |
Alto fato di
Dio sarebbe rotto,
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto |
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142 |
Un sommo decreto di Dio
sarebbe violato, se si oltrepassasse il Letè (che fa
dimenticare ogni peccato) e si gustasse la dolcezza
delle sue acque senza pagarne il prezzo |
145 |
di
pentimento che lagrime spanda». |
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145 |
con un pentimento così
profondo da far spargere lagrime». |