1 |
La concubina
di Titone antico
già s'imbiancava al balco d'orïente,
fuor de le braccia del suo dolce amico; |
|
1 |
Già (sulla terra) l'Aurora, moglie
dell'invecchiato Titone, lontana dalle braccia del suo
dolce amico, stava sorgendo (al balco d'oriente: come se
fosse affacciata al balcone dell'oriente) facendosi
bella; |
|
L'Aurora rapì e sposò Titone (figlio di Laomedonte e
fratello di Priamo), ottenendo per lui da Giove
l'immortalità. ma non l'eterna giovinezza. |
4 |
di gemme la
sua fronte era lucente,
poste in figura del freddo animale
che con la coda percuote la gente; |
|
4 |
la sua fronte era lucente
per le stelle, disposte a formare la costellazione dello
Scorpione (freddo animale: secondo la zoologia medievale
era considerato di sangue freddo) che ferisce la gente
con la sua coda; |
7 |
e la notte,
de' passi con che sale,
fatti avea due nel loco ov' eravamo,
e 'l terzo già chinava in giuso l'ale; |
|
7 |
e in purgatorio, dove
eravamo, la notte aveva percorso due passi (erano
passate due ore) di quelli mediante i quali essa compie
il suo itinerario nel cielo, mentre il terzo passo (la
terza ora) stava terminando il suo volo, |
|
La notte è personificata nell'immagine di una donna che
cammina con passi alati, intendendo per passi le ore,
sei ascendenti fino a mezzanotte, e sei discendenti.
Avendo essa ormai compiuto quasi tre dei passi con che
sale, sono circa le ventuno nel purgatorio, mentre agli
antipodi, in Italia. sta sorgendo l'alba. Alla metafora
dei passi se ne aggiunge una seconda, ispirata
dall'immagine mitologica delle ore alate: 'l terzo già
chinava in giuso l'ale. |
10 |
quand' io,
che meco avea di quel d'Adamo,
vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
là 've già tutti e cinque sedavamo. |
|
10 |
quand'io, che sentivo il peso della mia
carne, vinto dal sonno, mi coricai sull'erba là dove
stavamo seduti già tutti e cinque (Dante, Virgilio, Nino
Visconti, Corrado Malaspina, Sordello). |
|
A la seconda aurora da Dante descritta nel Purgatorio.
La prima aveva tutto il colore delle cose immaginate, in
quel dolce color d'oriental zaffiro, questa, invece, è
più preziosa nella scelta degli elementi astronomici,
che ne rendono anche difficile l'interpretazione. Ma se
l'attenzione si rivolge all'immagine visiva e poetica,
subito le difficoltà spariscono, e si comprende che,
aprendo il canto con la figura di una giovane donna che
si fa bella, Dante ha voluto suggerire la gioia delle
nuove verità e bellezze di cui sta per godere: è quasi
un nuovo rinascere, in cui prevale il senso della
dolcezza, il sovrastare della giovinezza sulla
vecchiaia, la lucentezza splendente delle stelle che
sembrano gemme.
Dante ci prepara a guardare, al di là degli oggetti che
ci presenta (il canto si articola dapprima intorno alla
figura dell'aurora, poi a quella dell'aquila, infine
all'entrata nel purgatorio vero e proprio), a quella
verità che essi celano, al significato mistico della
loro presenza, che meglio sarà rilevato quando egli
chiamerà i particolari dei graditi e dell'angelo ad
indicare i momenti di un processo sacramentale, sotto le
vesti di una simbologia liturgica.
Tuttavia la nostra fantasia è più portata a seguire
l'immagine iniziale della giovane donna, di immediata
freschezza, quasi sensibile, mentre nei simboli
sacramentali annota un maggior descrittivismo
intellettuale nello sforzo di non tralasciare nessuno
dei molteplici significati che possono esserci
consegnati. |
13 |
Ne l'ora che
comincia i tristi lai
la rondinella presso a la mattina,
forse a memoria de' suo' primi guai, |
|
13 |
Nell'ora in cui vicino al mattino la
rondinella comincia i suoi dolrosi lamenti, forse
ricordando le sue antiche sventure, |
|
Dante, ispirandosi ad Ovidio (Metamorfosi VI, versi 412
sgg.), ricorda il mito di Filomela e di Progne, due
sorelle che gli dei trasformarono, rispettivamente, in
usignolo e in rondine (Dante tuttavia attribuisce a
Progne la metamorfosi di Filomela e viceversa, seguendo
un'altra versione della leggenda), in seguito al
banchetto imbandito da Progne al marito Tereo con la
carne dei figli, per vendicarsi del tradimento di lui
con Filomela. |
16 |
e che la
mente nostra, peregrina
più da la carne e men da' pensier presa,
a le sue visïon quasi è divina, |
|
16 |
quando la nostra mente, più libera dal
peso della carne e meno presa dalle preoccupazioni, è
quasi indovina del vero nei suoi sogni, |
|
Secondo la concezione medievale, quando la mente umana è
libera dalle preoccupazioni materiali ed è meno presa
dalla vita intellettiva, assecondando il cammino
stravagante del sogno, ha spesso modo di divinare il
futuro con una certa rispondenza alla verità. |
19 |
in sogno mi
parea veder sospesa
un'aguglia nel ciel con penne d'oro,
con l'ali aperte e a calare intesa; |
|
19 |
mi pareva in
sogno di vedere un'aquila con le penne dorate librata
nel cielo con le ali aperte e pronta a calarsi; |
22 |
ed esser mi
parea là dove fuoro
abbandonati i suoi da Ganimede,
quando fu ratto al sommo consistoro. |
|
22 |
e mi pareva di essere là (sul monte Ida) dove da
Ganimede furono abbandonati i suoi (compagni di caccia),
quando fu portato nel concilio degli dei. |
|
Ganimede, figlio di Troo, re di Troia, mentre si trovava
a caccia sul monte Ida nella Troade, fu rapito da Giove,
che si era trasformato in aquila, e fu portato in cielo
dove divenne coppiere nei banchetti degli dei (Ovidio -
Metamorfosi XI, verso 756).
Diverse sono le interpretazioni a proposito dell'aquila.
Alcuni critici la considerano rappresentazione
dell'Impero, richiamando il fatto che anche l'aquila di
Giustiniano muove il suo volo dai monti vicino a Troia
(Paradiso canto VI, verso 6), che l'aguglia discende
come fulmine allo stesso modo nel quale Dante la
raffigura nella Epistola ai principi e popoli d'Italia
perché accolgano Arrigo VII e in quella ai Fiorentini
che si oppongono allo stesso imperatore, e che
l'imperatore Traiano in paradiso si trova là dove le
anime si dispongono a formare la figura dell'aquila
(Paradiso canti XVII1-XX).
In questo caso l'aquila significherà, secondo il Porena,
che l'Impero è in certo modo strumento anch'esso della
divina grazia nella funzione di avviare Dante alla
rivelazione divina, e l'aver Dante finora parlato con
Sordello sulle lotte politiche, nonché l'essersi trovato
nella valletta dei principi pacificati tra loro e
fraternamente uniti, avvalora tale tesi. Ma ciò non
esclude che l'aquila sia una prefigurazione di Lucia,
sicché mentre l'uccello rapisce Dante verso la sfera del
fuoco, che sta tra la terra e il cielo della luna, la
donna lo porta di fatto alle soglie del purgatorio.
Il Mattalia osserva che le azioni dell'aquila e di Lucia
sono "sincrone e parallele, ma l'una in rapporto con
l'altra; identica la direzione (verso l'alto) : evidente
allegoria, ci pare, della funzione complementare dei due
magisteri: temporale (Impero) e spirituale (Chiesa) ".
Alla salvazione finale l'uomo arriva aiutato -
attraverso le leggi - dal magistero dell'autorità
imperiale: perciò il Poeta accosta l'aquila a Lucia per
significare che Chiesa e Impero debbono agire
concomitanti, anche se poi sotto, linea che il suggello
finale non può che venire dalla Chiesa: infatti se
l'aquila e Lucia compiono lo stesso gesto, la prima
anticipa soltanto in sogno quello che la donna attua poi
nella realtà, portando Dante all'entrata del purgatorio. |
25 |
Fra me
pensava: 'Forse questa fiede
pur qui per uso, e forse d'altro loco
disdegna di portarne suso in piede'. |
|
25 |
Pensavo dentro di me: «Forse l'aquila si cala a ferire
sempre in questo luogo per abitudine, e forse non si
degna di portar su la preda con gli artigli da nessun
altro luogo». |
28 |
Poi mi parea
che, poi rotata un poco,
terribil come folgor discendesse,
e me rapisse suso infino al foco. |
|
28 |
Poi mi sembrava che,
compiuti ampi giri nel cielo, si calasse giù terribile
come un fulmine, e mi rapisse in alto fino alla sfera
del fuoco. |
31 |
Ivi parea
che ella e io ardesse;
e sì lo 'ncendio imaginato cosse,
che convenne che 'l sonno si rompesse. |
|
31 |
Giunti qui sembrava che ci
incendiassimo; e a tal punto l'incendio, che pur era
solo un sogno, mi bruciò, che fu necessario interrompere
il sonno. |
34 |
Non
altrimenti Achille si riscosse,
li occhi svegliati rivolgendo in giro
e non sappiendo là dove si fosse, |
|
34 |
Non diversamente Achille
si risvegliò, volgendo in giro gli occhi ormai aperti
senza sapere dove si trovasse, |
37 |
quando la
madre da Chirón a Schiro
trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
là onde poi li Greci il dipartiro; |
|
37 |
quando la madre (Teti) lo
portò via di nascosto tra le sue braccia, mentre egli
dormiva, sottraendolo a Chirone e portandolo a Sciro, da
dove i Greci poi lo allontanarono (per Troia), |
|
Secondo quanto narra Stazio (Achilleide I, versi 104 sgg.),
Teti, sapendo che il figlio Achille sarebbe morto alla
guerra di Troia, mentre dormiva lo trasportò dalla
Tessaglia. dove era affidato al centauro Chirone,
nell'isola di Sciro. Qui Achille visse travestito da
donna fra le figlie del re Licomede, finché con
un'astuzia Ulisse e Diomede non lo costrinsero a
partecipare alla guerra di Troia. |
40 |
che mi
scoss' io, sì come da la faccia
mi fuggì 'l sonno, e diventa' ismorto,
come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia. |
|
40 |
da come mi rìsvegliai io, alIorché il
sonno si allontanò dal mio volto, e impallidii, come fa
un uomo quando, per uno spavento, si sente rabbrividire. |
|
Dante sembra sottolineare soprattutto lo stupore
dell'eroe greco, onde mettere in evidenza la propria
meraviglia, e suggerire così l'immagine di sé come di un
nuovo Achille, di un eroe moderno e cristiano (secondo
il Momigliano mai prima d'ora Dante è stato tanto
grande) disposto all'eroismo di gravi e tormentose
prove. Dove però le imprese di Achille furono compiute
con le armi materiali, egli opererà invece con quelle
spirituali, e soprattutto con l'umiltà; tuttavia è
necessario ricordare che il Poeta è trasportato in alto,
come prima Ganimede da parte di Giove, da un messo
celeste, cioè, come annota il Lesca, in ambedue i casi è
la stessa divinità che innalza gli animi degli uomini
alla contemplazione di sé. Così il mito di Ganimede e
l'eroismo di Achille servono di preannuncio al
trasumanare del nuovo eroe, Dante, che però rivendica
anzitutto a Dio la gratuità della vocazione a tale più
alta chiamata. Il fuoco del sogno, mirabilmente fuso con
l'idea della Grazia che purifica, richiama la stessa
immagine di un salire al cielo e di un consumarsi nel
fuoco (ugualmente accaduto in sogno) che è all'inizio
dell'opera giovanile di Dante, nella quale egli esalta
il suo amore per Beatrice, la Vita Nova (III): essa è
dunque qui esplicitamente richiamata, poiché anche in
questo caso s'intende iniziare l'esperimentazione di una
nuova realtà interiore, quella dell'azione della Grazia
in noi, come una volta lo era stata quella dell'amore
umano. |
43 |
Dallato
m'era solo il mio conforto,
e 'l sole er' alto già più che due ore,
e 'l viso m'era a la marina torto. |
|
43 |
Di fianco stava solo
Virgilio, ed il sole era da più di due ore già alto
sull'orizzonte (erano cioè passate le otto), e il mio
sguardo era rivolto verso il mare. |
46 |
«Non aver
tema», disse il mio segnore;
«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
non stringer, ma rallarga ogne vigore. |
|
46 |
La mia guida disse: «Non aver paura, sta sicuro, perché
noi siamo giunti ad un buon punto del nostro viaggio:
non devi indebolire, ma rinvigorire le tue forze. |
49 |
Tu se' omai
al purgatorio giunto:
vedi là il balzo che 'l chiude dintorno;
vedi l'entrata là 've par digiunto. |
|
49 |
Tu sei ormai giunto al
purgatorio: vedi là il pendio praticabile che lo
circonda tutto attorno; osserva l'entrata dove il pendio
sembra quasi interrotto. |
52 |
Dianzi, ne
l'alba che procede al giorno,
quando l'anima tua dentro dormia,
sovra li fiori ond' è là giù addorno |
|
52 |
Poco fa, durante l'alba
che viene prima del giorno, quando la tua anima era
insensibile alla realtà del mondo, sopra i fiori di cui
quella valletta è tutta ornata, |
55 |
venne una
donna, e disse: "I' son Lucia;
lasciatemi pigliar costui che dorme;
sì l'agevolerò per la sua via". |
|
55 |
venne una donna, e disse:
"Io sono Lucia: lasciatemi prendere questo uomo che
dorme, così lo aiuterò nel suo cammino". |
|
E' la seconda volta che Santa Lucia interviene a favore
di Dante (cfr. Interno canto Il, versi 100 sgg.), sempre
quale simbolo della grazia illuminante. |
58 |
Sordel
rimase e l'altre genti forme;
ella ti tolse, e come 'l dì fu chiaro,
sen venne suso; e io per le sue orme. |
|
58 |
Rimasero lì Sordello e le
altre nobili anime; Lucia ti prese, e quando si fece
giorno, íncominciò a salire; e io seguii i suoi passi. |
61 |
Qui ti posò,
ma pria mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata aperta;
poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro». |
|
61 |
Ti posò in questo luogo,
ma prima i suoi begli occhi mi indicarono la fessura
aperta nella roccia; poi Lucia se ne andò via assieme al
tuo sonno». |
64 |
A guisa d'uom
che 'n dubbio si raccerta
e che muta in conforto sua paura,
poi che la verità li è discoperta, |
|
64 |
Allo stesso modo in cui un
uomo, prima dubbioso, si rassicura, e cambia la sua
paura in fiduciosa attesa, una volta che gli è stata
mostrata la verità (su ciò di cui dubitava), |
67 |
mi cambia'
io; e come sanza cura
vide me 'l duca mio, su per lo balzo
si mosse, e io di rietro inver' l'altura. |
|
67 |
così io mi mutai; e quando
il mio maestro vide che io ero senza alcuna
preoccupazione, si mosse su per il pendio, ed io lo
seguii verso l'alto. |
|
Analizzando la resa poetica della prima parte del canto,
si nota dapprima la prevalenza di un tono forte - in una
visione solenne, che ben rende lo stupore, e più
l'entusiasmo, di Dante di fronte alla grandiosità di
quanto sta per accadere - di un senso di sacralità
magica che si distende nella figura dell'aquila protesa
nell'ampiezza dei cieli. Con l'apparizione di Lucia il
tono si fa più persuasivo, più delicato, in una gioia
interiore che nasce dal grato ricordo dell'istante di
quell'avvenimento solenne, ricordo che si tramuta in
dolcezza di parole, in freschezza di immagini: è
l'aprirsi di un auroraIe mondo in quell'anima che dentro
dormìa. Per Dante sono infatti molte le ragioni della
meraviglia allorché, svegliandosi, ha vicino ormai solo
Virgilio, mentre il sole è già alto nel cielo ed il suo
sguardo è rivolto verso il mare, sicché lo stesso
paesaggio, come annota il Mattalia, ha veramente una
"vastità di visuale in forte contrasto con la
ristrettezza della valletta in cui si era addormentato". |
70 |
Lettor, tu
vedi ben com' io innalzo
la mia matera, e però con più arte
non ti maravigliar s'io la rincalzo. |
|
70 |
Lettore, tu t'accorgi che io tratto ora
un argomento più solenne, e perciò non meravigliarti se
io lo avvaloro con procedimenti artistici più raffinati. |
|
"Avvisa il lettore... dicendogli ch'egli innalza la
materia sua... a trattare di cose autorevoli. e poi la
rincalza, cioè l'addorna e vela con belle finzioni
poetiche," (Anonimo Fiorentino) Questi inviti di Dante (cfr.
anche il canto VIII, versi 19-21) segnano come le tappe
di un suo crescere poetico, sicché egli annota con
orgoglio questa ulteriore scelta di una tematica più
ardimentosa, secondo un procedimento che avvalora il
proprio linguaggio attraverso l'uso di scene figurative,
di invenzioni allegoriche, di suggerimenti dottrinali,
di reminiscenze scritturali, per esprimere le sue
progressive conquiste spirituali. |
73 |
Noi ci
appressammo, ed eravamo in parte
che là dove pareami prima rotto,
pur come un fesso che muro diparte, |
|
73 |
Noi ci avvicinammo (alla
fessura), ed eravamo già ad un punto, per cui là dove
prima mi appariva solo una fessura, proprio come un
varco che divide le parti di un unico muro, |
76 |
vidi una
porta, e tre gradi di sotto
per gire ad essa, di color diversi,
e un portier ch'ancor non facea motto. |
|
76 |
mi fu possibile vedere una
porta, e salire fino ad essa per tre gradini sotto,
diversi tra loro quanto al colore, e un custode (un
angelo) che ancora non parlava. |
|
L'angelo portinaio non parla, sia perché la sua missione
non è umana, sia perché attende che sia il peccatore, di
propria spontanea volontà, ad avvicinarsi. Egli sta sul
più alto dei gradini perché subito risulti evidente
l'autorità di cui è investito da Dio, ed il suo volto è
chiaro come devono esserlo il suo animo e la sapienza da
lui posseduta. |
79 |
E come
l'occhio più e più v'apersi,
vidil seder sovra 'l grado sovrano,
tal ne la faccia ch'io non lo soffersi; |
|
79 |
E quando il mio occhio si
fissò sempre più attento su di lui, vidi che sedeva sul
gradino più alto, e che era talmente splendente nel
volto che io non sopportai tanta luce; |
82 |
e una spada
nuda avëa in mano,
che reflettëa i raggi sì ver' noi,
ch'io dirizzava spesso il viso in vano. |
|
82 |
e aveva in mano una spada
snudata, che rifletteva verso di noi i raggi del sole,
così che io spesso indirizzavo invano i miei occhi verso
di lui. |
|
La spada, simbolo solitamente del potere, qui
rappresenta la giustizia, che deve essere nuda, cioè
schietta, senza dubbi, e lucente, perché deve
risplendere come la verità. Per questo Dante, che non vi
è ancora abituato, ha difficoltà nel rivolgere gli occhi
alla verità divina, che dalla spada traluce, e dalla
quale egli resta abbagliato. |
85 |
«Dite
costinci: che volete voi?»,
cominciò elli a dire, «ov' è la scorta?
Guardate che 'l venir sù non vi nòi». |
|
85 |
Egli cominciò a dire: «Dal luogo dove
siete dite: che cosa volete? e dov'è colui che vi
accompagna? badate che il vostro salire non vi torni a
danno». |
|
L'angelo, come sacerdote, deve accertarsi che il
peccatore affidi la propria redenzione non solo alla sua
buona volontà, ma anche alla componente divina di ogni
sacramento, in questo caso rappresentata da Lucia come
donna del ciel. |
88 |
«Donna del
ciel, di queste cose accorta»,
rispuose 'l mio maestro a lui, «pur dianzi
ne disse: "Andate là: quivi è la porta"». |
|
88 |
Il mio maestro gli
rispose: «Una donna del cielo (Lucia), esperta di queste
cose, or non è molto ci disse: "Recatevi (andate) là:
ivi è la porta"». |
91 |
«Ed ella i
passi vostri in bene avanzi»,
ricominciò il cortese portinaio:
«Venite dunque a' nostri gradi innanzi». |
|
91 |
L'angelo cortese
ricominciò a parlare: «Ed ella vi faccia progredire nel
cammino del bene: venite dunque fino a questi gradini». |
94 |
Là ne
venimmo; e lo scaglion primaio
bianco marmo era sì pulito e terso,
ch'io mi specchiai in esso qual io paio. |
|
94 |
Li raggiungemmo; ed il
primo gradino era fatto di marmo bianco, così pulito e
lucente, che io potei specchiarmi in esso proprio come
appaio. |
97 |
Era il
secondo tinto più che perso,
d'una petrina ruvida e arsiccia,
crepata per lo lungo e per traverso. |
|
97 |
Il secondo
era più che scuro, addirittura nero, composto di una
pietra non levigata ed arida, attraversata da fessure
nella sua lunghezza e larghezza. |
100 |
Lo terzo,
che di sopra s'ammassiccia,
porfido mi parea, sì fiammeggiante
come sangue che fuor di vena spiccia. |
|
100 |
Il terzo
gradino, che si sovrappone con la massa del suo peso
agli altri, mi sembrava di porfido dal color rosso
fuoco, come fosse stato sangue sgorgante da una vena. |
|
Il primo gradino indica il primo momento della
confessione, l'esame di coscienza, attraverso il quale
l'anima si guarda come in uno specchio ed appare com'è
in realtà.
Il secondo rappresenta la confessione verbale, durante
la quale il penitente riconosce i suoi peccati nella
loro gravità; ma quelle fessure, che formano una croce,
indicano che tale bruttura dell'anima può essere
spezzata dalla croce, cioè dai meriti di Cristo.
Il terzo gradino spiega il terzo momento, che segue gli
altri perché è l'atto più solenne della confessione: è
la soddisfazione, che consiste in un movimento d'amore,
da parte del peccatore, verso Dio, e nell'applicazione
dei meriti del sangue, cioè del sacrificio di Cristo,
che completa il gesto d'amore, sempre limitato, del
peccatore pentito.
Altri commentatori invece, pur essendo d'accordo nel
considerare rappresentati in questi versi i tre momenti
del rito della confessione, vedono simboleggiata nel
primo gradino la confessione orale e nel secondo la
contrizione.
|
103 |
Sovra questo
tenëa ambo le piante
l'angel di Dio sedendo in su la soglia
che mi sembiava pietra di diamante. |
|
103 |
Sopra quest'ultimo gradino stava
saldamente appoggiato l'angelo di Dio, sedendo sulla
soglia, che mi sembrava di diamante. |
|
L'angelo, simbolo dell'autorità della Chiesa che
sanziona l'atto dei penitente, tiene i piedi sull'ultimo
gradino, cioè sulla soddisfazione data dal peccatore, e
ad un tempo sta seduto sopra la soglia di diamante,
simbolo della costanza nell'uso dell'autorità da parte
del sacerdote, che deve svolgere il proprio ministero
con rigida giustizia, senza lasciarsi fuorviare da
simpatia, da violenza, da speranza di ricompensa. A sua
volta, il diamante, nella sua purezza, è simbolo del
solido fondamento su cui è basata la Chiesa,
dispensatrice dell'assoluzione dei peccati. |
106 |
Per li tre
gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
umilemente che 'l serrame scioglia». |
|
106 |
La mia guida accompagnò
me, ben disposto in questo, su per i tre gradini,
dicendomi: «Con umiltà chiedi che si apra la serratura». |
109 |
Divoto mi
gittai a' santi piedi;
misericordia chiesi e ch'el m'aprisse,
ma tre volte nel petto pria mi diedi. |
|
109 |
Mi gettai devotamente ai
santi piedi dell'angelo: gli chiesi la grazia che mi
aprisse, ma prima mi battei tre volte il petto. |
|
Tutta la confessione deve essere manifestazione di una
volontà ben precisa e di un'umiltà convinta. Per questo
Dante deve chiedere che l'angelo apra, deve cioè volerlo
lui, e poi battersi il petto in segno di umiltà: "la
prima volta è per li peccati commessi nel pensiero, la
seconda per li peccati prodotti con la lingua, la terza
per li peccati conseguiti con le operazioni"(Ottimo). |
112 |
Sette P ne
la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e «Fa che lavi,
quando se' dentro, queste piaghe» disse. |
|
112 |
L'angelo mi disegnò cor la punta della
spada sulla fronte sette P, e aggiunse: «Quando sarai
dentro (il vero purgatorio), cerca di cancellare questi
segni». |
|
Rimessi i peccati ed ottenuta la salvezza dalla
dannazione eterna, rimane nell'animo la disposizione al
male, ed il debito da soddisfare nei confronti di Dio,
salvezza e debito qui rappresentati dai sette P,
corrispondenti a ciascuno dei sette peccati capitali
puniti nei sette gironi in cui si articola il
purgatorio. L'incisione dei P si rifà a passi biblici e
ad usanze dei tempi di Dante. Se il Sarolli ricorda
infatti che gli angeli dell'Apocalisse portano i sette
segni e che secondo Ezechiele (IX, 3-6) i giusti di
Gerusalemme, per potere uscire salvi dalla città,
dovettero avere sulla fronte una Thau (T greca), nei
documenti fiorentini raccolti dal D'Ovidio e dal Medin,
è detto che i ladri erano costretti a portare una mitria
cartacea con l'iniziale di furto, cioè P. |
115 |
Cenere, o
terra che secca si cavi,
d'un color fora col suo vestimento;
e di sotto da quel trasse due chiavi. |
|
115 |
La cenere o la terra secca
che sia stata appena estratta dalla cava sarebbe dello
stesso colore della veste dell'angelo; e da sotto di
questa egli trasse fuori due chiavi. |
118 |
L'una era
d'oro e l'altra era d'argento;
pria con la bianca e poscia con la gialla
fece a la porta sì, ch'i' fu' contento. |
|
118 |
Una era d'oro e l'altra
d'argento: prima con la chiave d'argento e poi con
quella d'oro l'angelo fece sì, che io rimanessi contento
(al veder aperta la porta). |
|
Il colore della veste dell'angelo è simbolo del
ministero della penitenza da lui esercitato, oppure,
secondo altri, dell'umiltà necessaria per esercitarlo.
La chiave d'oro indica l'autorità di Dio, senza la quale
l'assoluzione è nulla, e quella d'argento la conoscenza
della teologia morale e l'intuizione psicologica, cioè
la sapienza umana necessaria al confessore per capire e
giudicare il peccatore. |
121 |
«Quandunque
l'una d'este chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa»,
diss' elli a noi, «non s'apre questa calla. |
|
121 |
Egli ci disse: «Ogni volta
che una di queste chiavi fallisce nel suo compito, così
da non poter girare nella serratura, questa porta non si
apre. |
124 |
Più cara è
l'una; ma l'altra vuol troppa
d'arte e d'ingegno avanti che diserri,
perch' ella è quella che 'l nodo digroppa. |
|
124 |
L'una è più preziosa
(cara: cioè quella dell'autorità divina); ma l'altra
(quella d'argento) esige molta sapienza ed intuizione
prima di riuscire ad aprire, perché essa (la chiave
argentea) è proprio quella che scioglie il nodo del
peccato. |
127 |
Da Pier le
tegno; e dissemi ch'i' erri
anzi ad aprir ch'a tenerla serrata,
pur che la gente a' piedi mi s'atterri». |
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127 |
Io le ho ricevute in
consegna da San Pietro; ed egli mi disse di sbagliare
nell'aprire (con indulgenza) piuttosto che nel tener
chiusa la porta (per eccesso di rigore), alla condizione
che la gente si getti ai miei piedi (a richieder ciò con
umiltà». |
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Il passo evangelico (Matteo XVIII, 21-22), nel quale
Cristo raccomanda a Pietro di peccare piuttosto in
generosità che in rigore, una volta riscontrata la buona
volontà dell'uomo, è suggerito forse alla fantasia di
Dante anche dallo spettacolo del giubileo del 1300, con
l'ampiezza delle sue indulgenze e del suo perdono.
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130 |
Poi pinse
l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'n dietro si guata». |
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130 |
Poi spinse l'uscio di quella sacra
porta, dicendo: «Entrate; ma vi avviso che torna fuori
colui che si volge a guardare indietro». |
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Dante ricorda in questi versi l'episodio biblico della
moglie di Lot (Genesi XIX, 26), che disubbidì all'ordine
degli angeli volgendosi a guardare la città di Sodoma,
per cui fu trasformata in una statua di sale, e il mito
di Orfeo e di Euridice. Dopo la morte della moglie,
Orfeo, disceso agli inferi, ottenne da Proserpina di
poterla riportare sulla terra, purché durante il cammino
egli non si volgesse ad osservarla; non avendo ubbidito
al comando. Euridice gli fu tolta per sempre. |
133 |
E quando
fuor ne' cardini distorti
li spigoli di quella regge sacra,
che di metallo son sonanti e forti, |
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133 |
E quando gli spigoli di
quella sacra porta, che sono di metallo, forti e sonori,
furono volti sui cardini. |
136 |
non rugghiò
sì né si mostrò sì acra
Tarpëa, come tolto le fu il buono
Metello, per che poi rimase macra. |
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136 |
non procurò un così
stridente rumore e non si mostrò così dura ad aprirsi
neppure la rupe Tarpea, quando (da Cesare) ne fu
allontanato il custode, il buon Metello (per sottrarre
il denaro del pubblico erario ivi custodito), per cui in
seguito rimase priva (del tesoro custodito). |
139 |
Io mi
rivolsi attento al primo tuono,
e 'Te Deum laudamus' mi parea
udire in voce mista al dolce suono. |
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139 |
Io prestai orecchio
attento a quel primo rumore, e mi parve di udire «Te
Deum laudamus» (l'inno ambrosiano del ringraziamento)
con un canto misto a quel dolce suono. |
142 |
Tale imagine
a punto mi rendea
ciò ch'io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea; |
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142 |
Ciò che udivo mi procurava
esattamente l'impressione che si prova solitamente
quando si canta in coro, |
145 |
ch'or sì or
no s'intendon le parole. |
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145 |
quando le parole ora si
capiscono ed ora no. |
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L'espressione cantar con organi è da intendersi come «
composizione di più voci umane», perché l'organo, come
strumento, non ebbe mai il compito di accompagnare le
voci fino al 1500. Tale termine ha dunque senso vocale,
secondo il Casimiri, cioè "voleva significare unione di
due o più voci in consonanza". Ma al di là di questa
dotta disquisizione, resta l'immagine di Dante che entra
in questa cattedrale che è il monte del purgatorio, e la
dolcezza di un canto che gli invade l'animo commosso. E'
una commozione diversa, però, da quella che lo aveva
preso accanto a Casella (canto Il, versi 106 sgg.), la
quale era divagazione tutta umana nell'ascolto di un
canto, delle cui parole comprendeva esattamente il
significato, mentre le espressioni qui non sempre
giungono ugualmente chiare alla sua mente. Tuttavia
quello che conta è il loro disporsi a formare
un'armonia, che Dante tenta di rendere anche nel ritmo
di quell'ultimo verso, dove i brevi vocaboli si
susseguono ondeggiando, così come è importante che quel
suono, dapprima aspro, si muti poi in onda sonora dì
gradevole ascolto: la verità, di cui il Poeta dovrà
partecipare, può nel suo primo ascolto apparire aspra e
perfino sgradevole, ma poi si muta in dolcezza di
interiore rigustamento per chi le si rivolga attento. |