IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

DIVINA COMMEDIA

PARADISO

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 DIVINA COMMEDIA: PARAFRASI PARADISO CANTO X°

1 Guardando nel suo Figlio con l'Amore
che l'uno e l'altro etternalmente spira,
lo primo e ineffabile Valore
  1 Dio Padre, potenza prima ed inesprimibile, contemplando il Figlio (la Sapienza) con lo Spirito Santo (l’Amore ) che Padre e Figlio spirano eternamente,
4 quanto per mente e per loco si gira
con tant' ordine fé, ch'esser non puote
sanza gustar di lui chi ciò rimira.
  4 creò con ordine così perfetto tutto ciò che prende vita nella mente (le cose spirituali) e nello spazio (le cose materiali), che chi contempla l’opera del creato non può fare a meno di godere di questa potenza ordinatrice.
  Con un improvviso colpo d'ala il Poeta ci trasporta lontano dalle miserie terrene che Folco da Marsiglia aveva lamentato alla fine del canto nono, contemplando al di sopra del mondo la vita beata della Trinità mentre crea e imprime quell'ordine che l'universo a Dio fa simigliante (Paradiso I, 105). Dopo aver distinto l'opera della Potenza che agisce per mezzo della Sapienza e si risolve in Amore (cfr. San Tommaso Summa Theologica I, XLV, 6 ) lo sguardo del Poeta abbraccia, da un'altezza sovrana, tutto il creato, si immerge nella sua contemplazione, gode della perfezione di questo universo che il male degli uomini non potrà mai intaccare. Per questo i versi iniziali del decimo costituiscono un degno proemio non solo ai canti del Sole (X-XIV), ma a tutta la seconda parte del Paradiso, dove appaiono le anime di coloro che senza lasciarsi trascinare al male da inclinazioni negative (incostanza, ambizione, amore), seppero subito operare il bene attraverso la sapienza, il coraggio, la giustizia e l'amore contemplativo. "Nei tre cieli raggiunti dall'ombra della terra, Luna, Mercurio e Venere, era solo il preludio del trionfo beato: che da questo canto decimo comincia, e dal regno del Sole, sede allusiva della sapienza santa: così dal canto decimo dell'Inferno la città di Dite: così dal canto decimo del Purgatorio la scalea dei peccati. E finora le anime accorrevano senza ordine che di moto, i volti dei difettivi nell'albore lunare, i lumi degli attivi nel secondo cielo e quelle faville che nel cielo di Venere lasciano il giro degli alti Serafini; ma d'ora in poi, di cielo in cielo, si raccolgono nel simbolismo liturgico di un segno." (Apollonio)
7 Leva dunque, lettore, a l'alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l'un moto e l'altro si percuote;
  7

Alza dunque con me, o lettore lo sguardo ai cieli ruotanti, precisamente quel punto dove il moto diurno di tutti i corpi celesti si incontra col moto annuo dei pianeti;

  Il Poeta invita il lettore a cercare nella vastità delle alte ruote il punto nel quale il moto diurno equatoriale dei corpi celesti da levante a ponente si incontra con il moto annuo o zodiacale dei pianeti da ponente a levante. Esso è il punto di incontro dell'equatore e dello zodiaco e corrisponde agli equinozi di autunno e di primavera. Dante si riferisce a quest'ultimo, come appare dai versi 28, 33.
10 e lì comincia a vagheggiar ne l'arte
di quel maestro che dentro a sé l'ama,
tanto che mai da lei l'occhio non parte.
  10 e da quel punto comincia a contemplare con amore l’opera di quell’Artefice che nella sua mente l’ama a tal punto da non distaccare mai l’occhio (della sua provvidenza) da essa.
13 Vedi come da indi si dirama
l'oblico cerchio che i pianeti porta,
per sodisfare al mondo che li chiama.
  13 Vedi come da quel punto si distacca il cerchio obliquo (dello zodiaco) nel quale si muovono i pianeti, per soddisfare le esigenze della terra che ha bisogno di essi e delle loro influenze.
  Il cerchio zodiacale, nel quale si muovono le orbite del sole e dei pianeti, appare inclinato rispetto al piano equatoriale. Tale inclinazione (che è di circa 23 gradi e mezzo) è indispensabile per permettere il variare delle stagioni, perché in tal modo il sole e i pianeti non vengono a trovarsi sempre sulla fascia equatoriale, ma si spostano a nord e a sud di essa.
16 Che se la strada lor non fosse torta,
molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
e quasi ogne potenza qua giù morta;
  16 E se la strada percorsa dai pianeti (lo zodiaco) non fosse obliqua, molta della virtù attiva dei cieli resterebbe inutile, e quaggiù sulla terra sarebbe spenta quasi ogni potenzialità di vita;
19 e se dal dritto più o men lontano
fosse 'l partire, assai sarebbe manco
e giù e sù de l'ordine mondano.
  19 e se l’inclinazione dello zodiaco rispetto all’equatore fosse maggiore o minore, ne deriverebbe una grave imperfezione all’ordine terrestre nell’emisfero australe e in quello boreale.
  Se lo zodiaco fosse parallelo all'equatore, si avrebbero estati, primavere e inverni perenni, rispettivamente nelle regioni equatoriali, temperate e polari. In tal modo le influenze dei cieli non potrebbero realizzarsi che in parte e i germi di vita potenziale in terra rimarrebbero senza sviluppo. L'ordine cosmico risulterebbe gravemente alterato (nella distribuzione dei climi, delle ore diurne e notturne, dei fenomeni meteorologici ) anche nel caso in cui l'inclinazione fosse maggiore o minore di quella normale.
22 Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco,
dietro pensando a ciò che si preliba,
s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.
  22 Ora, o lettore, resta pure seduto sul tuo banco, a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio, se vuoi provare la gioia (della scienza) che non lascia avvertire la stanchezza.
25 Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba;
ché a sé torce tutta la mia cura
quella materia ond' io son fatto scriba.
  25 Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi servirti da solo, perché l’argomento di cui ho incominciato a scrivere concentra su di se tutta la mia attenzione.
  I due solenni richiami al lettore nella prima parte del canto (versi 7-8; 22-25) svelano quanta importanza rivesta per il Poeta questo breve momento di contemplazione dei cieli: momento di dolce pausa, come egli stesso avverte (versi 26-27), in mezzo alla gravità di una materia che attira a se tutta la sua cura. Dante non vuole dunque tenere una lezione di astronomia, bensì confessare la commozione che si impadronisce di lui di fronte alla visione del cielo stellato e dell'ordine che regola la vita degli astri e dei pianeti: "Non potrò io dovunque contemplare il sole e le stelle? non potrò meditare dovunque sotto il cielo le dolcissime verità?" (Epistola Xll, 9). Certamente Dante, come del resto tutto il suo tempo, studiò a lungo l'astronomia, ma ad essa, soprattutto nella Commedia, seppe volgersi con animo di poeta. "Provatevi ad immaginare l'edificio della Commedia senza il substrato astronomico!... senza l'astronomia di Tolomeo e di San Tommaso, sia pure mescolata ad un po' di quell'astronomia che Dante più di Tommaso seppe, cristianizzandola, sublimare, noi non vedremmo elevarsi fra la Terra e l'Empireo la più mirabile scala di perfezione spirituale che fantasia di poeta abbia mai vagheggiato; ... pochi al mondo devono aver levato gli occhi alla volta celeste con una fiamma di desiderio uguale a quella che accese gli occhi di Dante..." (Fassò).
28 Lo ministro maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo imprenta
e col suo lume il tempo ne misura,
  28 Il sole, il più importante ministro esistente nel creato, il quale più degli altri astri imprime nel mondo le virtù degli influssi celesti e con la sua luce ci dà la misura del tempo,
31 con quella parte che sù si rammenta
congiunto, si girava per le spire
in che più tosto ognora s'appresenta;
  31 trovandosi in congiunzione con quel punto che ho prima ricordato, girava per le spirali ascendenti dello zodiaco nelle quali sorge ogni giorno più presto;
  Secondo il sistema tolemaico il sole, che nell'equinozio di primavera (versi 8-9) si trova in congiunzione con la costellazione dell'Ariete, descrive nel, suo moto una spirale, passando ogni sei mesi da un tropico all'altro. Spostandosi dal tropico del Capricorno a quello del Cancro nel periodo tra l'equinozio di primavera e il solstizio d'estate, il sole sorge sempre più presto all'orizzonte dell'emisfero boreale, per il progressivo allungarsi dei giorni.
34 e io era con lui; ma del salire
non m'accors' io, se non com' uom s'accorge,
anzi 'l primo pensier, del suo venire.
  34 ed io mi trovavo nel cielo del Sole; ma non mi ero accorto del mio salire, allo stesso modo in cui l’uomo non s’accorge del sopraggiungere di un pensiero prima del suo manifestarsi alla coscienza.
37 È Bëatrice quella che sì scorge
di bene in meglio, sì subitamente
che l'atto suo per tempo non si sporge.
  37 E’ Beatrice colei che in tal modo guida da un cielo inferiore ad un altro superiore con tanta rapidità, che la durata dell’atto non si estende in uno spazio di tempo percettibile.
40 Quant' esser convenia da sé lucente
quel ch'era dentro al sol dov' io entra'mi,
non per color, ma per lume parvente!
  40 Quanto dovevano essere luminose per se stesse che erano nel cielo del Sole dove io entrai, visibili non per il colore diverso, ma per la luce più intensa (che irradiavano)!
43 Perch' io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami,
sì nol direi che mai s'imaginasse;
ma creder puossi e di veder si brami.
  43 Per quanto io chiamassi in aiuto tutto il mio ingegno e l’arte e l’esperienza non riuscirei mai a trovare un’espressione tanto efficace, da far immaginare (quello che vidi); ma si può credere (alle mie parole) e intanto si può desiderare di vederlo (in cielo).
46 E se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è maraviglia;
ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse.
  46 E non c’è da stupirsi se la nostra facoltà immaginativa è insufficiente a rappresentare una così intensa luminosità, perché non vi fu mai alcun occhio mortale che potesse vedere una luce superiore a quella del sole.
49 Tal era quivi la quarta famiglia
de l'alto Padre, che sempre la sazia,
mostrando come spira e come figlia.
  49 Così era qui la quarta schiera delle anime elette dall’eccelso Padre, che continuamente le appaga, rivelando come genera il Figlio e come lo Spirito Santo spira (da Lui e dal Figlio).
52 E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo
sensibil t'ha levato per sua grazia».
  52 E Beatrice cominciò a dire: “Ringrazia, ringrazia Dio, il sole degli angeli, perché per sua grazia ti ha elevato a questo sole percepibile coi sensi”.
55 Cor di mortal non fu mai sì digesto
a divozione e a rendersi a Dio
con tutto 'l suo gradir cotanto presto,
  55 Non ci fu mai cuore di uomo mortale così disposto alla devozione e tanto pronto a volgersi a Dio con tutta la sua gratitudine,
58 come a quelle parole mi fec' io;
e sì tutto 'l mio amore in lui si mise,
che Bëatrice eclissò ne l'oblio.
  58 quale divenne il mio a quelle parole; e tutto il mio amore si concentrò in Lui a tal punto, che cancellò dalla mia memoria Beatrice.
61 Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
mia mente unita in più cose divise.
  61 A lei non dispiacque; anzi ne fu così lieta, che il fulgore dei suoi occhi sorridenti distrasse la mia mente concentrata in Dio dividendola tra due oggetti (in più cose: fra Dio e Beatrice).
64 Io vidi più folgór vivi e vincenti
far di noi centro e di sé far corona,
più dolci in voce che in vista lucenti:
  64 Io vidi numerosi splendori, tanto vivi da vincere (la luce del sole) disporsi in corona attorno a noi, ed erano più dolci nel loro canto di quanto non fossero luminosi nel loro aspetto:
67 così cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando l'aere è pregno,
sì che ritenga il fil che fa la zona.
  67 così vediamo talvolta la luna (identificata nella mitologia classica con la dea Diana, figlia di Latona e di Giove) cingersi di un alone, quando l’aria è così satura di vapori, che trattiene in se il raggio lunare che forma la cintura luminosa.
70 Ne la corte del cielo, ond' io rivegno,
si trovan molte gioie care e belle
tanto che non si posson trar del regno;
  70 Nella corte celeste, dalla quale io sono tornato, ci sono molte gemme così preziose e belle che non è possibile portarle fuori di quel regno (e descriverle);
73 e 'l canto di quei lumi era di quelle;
chi non s'impenna sì che là sù voli,
dal muto aspetti quindi le novelle.
  73 e il canto di quegli spiriti splendenti era una di quelle gemme: chi non mette le ali in modo da poter volare fin lassù, è come se attendesse notizie di quei luoghi da un muto.
76 Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
si fuor girati intorno a noi tre volte,
come stelle vicine a' fermi poli,
  76

Dopo che, cantando in modo cosi dolce, quelle luci ardenti ebbero fatto tre giri intorno a noi, muovendosi lentamente come stelle che ruotano vicine ai poli fissi (del cielo),

  Ogni cielo ha due poli fissi intorno ai quali esso gira. Le stelle che si trovano vicine a questi poli sono dotate di un movimento lento, mentre più rapidamente devono volgersi quelle che si trovano nella parte centrale, che costituisce, per così dire, l'equatore del cielo (cfr. Convivio II, III, 13-14).
79 donne mi parver, non da ballo sciolte,
ma che s'arrestin tacite, ascoltando
fin che le nove note hanno ricolte.
  79 esse mi apparvero come donne che, senza interrompere le movenze della danza, si arrestino in silenzio, rimanendo in ascolto finché non abbiano percepito le nuove note musicali (che annunciano un nuovo giro di danza);
82 E dentro a l'un senti' cominciar: «Quando
lo raggio de la grazia, onde s'accende
verace amore e che poi cresce amando,
  82 e dentro ad una di queste luci udii dire: “ Poiché il raggio della grazia divina, da cui è acceso in noi l’amore del vero bene (Dio) 
85 multiplicato in te tanto resplende,
che ti conduce su per quella scala
u' sanza risalir nessun discende;
  85 e che poi in virtù di questo amore cresce sempre più, risplende in te così moltiplicato, che ti conduce su per la scala dei cieli, per la quale nessuno può discendere senza che poi possa risalire,
88 qual ti negasse il vin de la sua fiala
per la tua sete, in libertà non fora
se non com' acqua ch'al mar non si cala.
  88 chi ti rifiutasse il vino della sua ampolla per soddisfare la tua sete (di sapere ), non godrebbe della libertà (che distingue i beati), proprio come un corso d’acqua che non va a gettarsi in mare ( perché impedito da qualche ostacolo).
91 Tu vuo' saper di quai piante s'infiora
questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia
la bella donna ch'al ciel t'avvalora.
  91 Tu vuoi sapere di quali anime si adorna questa corona che, standole intorno, contempla con amore Beatrice, la bella donna che ti dà la virtù necessaria per salire al cielo.
94 Io fui de li agni de la santa greggia
che Domenico mena per cammino
u' ben s'impingua se non si vaneggia.
  94 Io fui uno degli agnelli del santo gregge che Domenico guida per un cammino dove ci si può arricchire spiritualmente se non si inseguono cose vane.
  Parla San Tommaso d'Aquino, appartenente all'ordine monatico fondato da San Domenico (delli agni della santa greggia che Domenico mena...). Nato a Roccasecca presso Montecassino, nel 1226, entrò nel 1243 in un convento domenicano e morì nel 1274 mentre si recava al concilio di lione (Dante intorno ala sua morte, raccolse la voce secondo cui San Tommaso fu fatto avvelenare da Carlo I d'Angiò, essendo i signori d'Aquino suoi fieri avversari; cfr. Purgatorio XX, 69). Insegnò teologia a Colonia (dove fu allievo di Alberto Magno), a Parigi e a Napoli, e per altezza di dottrina fu soprannominato Doctor Angelicus. Poderosa fu la sua opera di sistematore delle correnti filosofiche e teologiche del secolo XIII, alla luce dei principii più validi del sistema aristotelico. I suoi scritti, che possono essere considerati la sintesi del pensiero medievale, costituiscono la base della dottrina filosofica e teologica di Dante, che spesso li cita direttamente: Summa contra Gentiles, Summa Theologica, commenti alle opere di Aristotile.
97 Questi che m'è a destra più vicino,
frate e maestro fummi, ed esso Alberto
è di Cologna, e io Thomas d'Aquino.
  97

Questo che a destra mi è più vicino, mi fu fratello e maestro, ed è Alberto di Colonia, ed io sono Tommaso d’Aquino.

  Alberto Magno nacque a Lavingen (Svezia) nel 1193 e morì a Colonia nel 1280. Entrato nell'ordine dei domenicani nel 1222, insegnò teologia a Colonia e a Parigi (1245), dove ebbe numerosissimi discepoli. Fu soprannominato Doctor Universalis per la vastità della sua cultura. "Alberto è uno dei maggiori protagonisti di quel vasto processo di assimilazione diretta o indiretta (attraverso i filosofi e gli scienziati arabi) dell'aristotelismo al pensiero cristiano su cui si costruirà poi, organicamente, la sistemazione tomistica: la formula è quella di un ordinamento piramidale delle scienze con al vertice la teologia, ma con una base estremamente dilatata. E' notevole infatti, in Alberto, la varietà enciclopedica e la preminenza di interessi che oggi diciamo scientifici: in questo piano, anzi, Dante è forse più vicino ad Alberto che a San Tommaso" (Mattalia).
100 Se sì di tutti li altri esser vuo' certo,
di retro al mio parlar ten vien col viso
girando su per lo beato serto.
  100 Se vuoi parimenti essere informato su tutti gli altri spiriti, segui il mio discorso con lo sguardo girando gli occhi sulla ghirlanda di questi beati.
103 Quell' altro fiammeggiare esce del riso
di Grazïan, che l'uno e l'altro foro
aiutò sì che piace in paradiso.
  103 Quell’altra fiamma è l’espressione della felicità di Graziano, il quale giovò al tribunale civile e a quello ecclesiastico, tanto che la sua opera è gradita a Dio.
  Francesco Graziano, nato a Chiusi alla fine del secolo XI, fu monaco camaldolese e visse a Bologna, dove insegnò diritto canonico. Qui compose il Decretum o Concordantia discordantium canonum, nel quale riordina la legislazione ecclesiastica, servendosi di testi biblici e patristici, e di decreti conciliari e pontifici. L'uno e l'altro foro aiutò: Graziano mirò a dimostrare la concordanza delle leggi civili con quelle ecclesiastiche e, pur sostenendo la supremazia della legge divina, riconobbe una ideale autonomia a quella civile.
106 L'altro ch'appresso addorna il nostro coro,
quel Pietro fu che con la poverella
offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
  106 L’altro che vicino a Graziano adorna il nostro coro, fu quel Pietro che offrì il tesoro della sua sapienza alla Santa Chiesa come la poverella (del Vangelo).
109 La quinta luce, ch'è tra noi più bella,
spira di tale amor, che tutto 'l mondo
là giù ne gola di saper novella:
  109 Il quinto spirito, che è il più splendente tra noi, nelle sue opere spira tale amore, che tutto il mondo laggiù sulla terra brama sapere (se sia salvo o dannato):
112 entro v'è l'alta mente u' sì profondo
saver fu messo, che, se 'l vero è vero,
a veder tanto non surse il secondo.
  112 in questa luce intelligenza di Salomone, nella quale venne infusa una sapienza così profonda, che, se la Sacra Scrittura è verace, non nacque mai un uomo dotato di così grande scienza.
115 Appresso vedi il lume di quel cero
che giù in carne più a dentro vide
l'angelica natura e 'l ministero.
  115 Vicino a lui vedi la luce di quel luminare che sulla terra, durante la vita mortale, trattò più a fondo di tutti la natura e l’ufficio degli angeli.
118 Ne l'altra piccioletta luce ride
quello avvocato de' tempi cristiani
del cui latino Augustin si provide.
  118 Nell’altra luce più piccola sorride quel difensore del Cristianesimo dei cui discorsi si giovò Sant’Agostino.
  Già i commentatori antichi erano incerti nell'interpretazione di questa terzina, e l'incertezza perdura ancora oggi. Alcuni pensarono a Sant'Ambrogio, il grande Padre della Chiesa vissuto nel IV secolo, che con la sua predicazione convertì Agostino al Cristianesimo. Altri a Paolo Orosio sacerdote e storico spagnolo del V secolo, autore di un'opera molto conosciuta nel Medioevo: Historiarum libri VII aduersus Paganos. In essa, scritta per esortazione di Sant'Agostino, il quale se ne servi poi per la composizione del De Civitate Dei, egli intende dimostrare tutti i benefici apportati dalla religione cristiana all'umanità (da qui l'espressione dantesca: avvocato de' tempi cristiani).
121 Or se tu l'occhio de la mente trani
di luce in luce dietro a le mie lode,
già de l'ottava con sete rimani.
  121 Ora se muovi l’attenzione della mente da una luce all’altra seguendo l’ordine dei miei elogi, già ti fermi con il desiderio di sapere chi sia l’ottava.
124 Per vedere ogne ben dentro vi gode
l'anima santa che 'l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode.
  124 Dentro è beata perché vede Dio, sintesi d’ogni bene, l’anima santa di Boezio, la quale a chi ben medita le sue opere manifesta la vanità dei beni mondani:
127 Lo corpo ond' ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
e da essilio venne a questa pace.
  127 il corpo dal quale fu cacciata (con violenza) è sepolto giù in terra nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro; ed essa giunse nella nostra pace celeste dopo il martirio e l’esilio terreno.
130 Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu più che viro.
  130 Dopo Boezio vedi come fiammeggiano le anime ardenti di Isidoro, di Beda e di Riccardo, che nella scienza della contemplazione fu dotato di intelligenza superiore a quella di un uomo.
  Isidoro, nato a Cartagena (c. 560-636), fu vescovo di Siviglia e autore di numerosi scritti storici e teologici di carattere enciclopedico, fra i quali il più famoso e conosciuto ebbe il titolo di Origines seu Etymologiae. Beda il Venerabile, nato a Wearmouth nel 674 e morto a Jarrow nel 735, fu un sacerdote inglese, le cui opere di argomento storico e religioso furono assai diffuse nel Medioevo. Riccardo di San Vittore, nato in Scozia, trascorse quasi tutta la sua vita in Francia, dove mori nel 1173, dopo essere stato per circa undici anni priore del convento di San Vittore, presso Parigi. Fu uno dei principali rappre, sententi della teologia mistica nel Medioevo: da qui il soprannome di Magnus Contemplator.
133 Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri
gravi a morir li parve venir tardo:
  133 Questi per cui il tuo sguardo ritorna a me, è la luce di uno spirito al quale, vivendo immerso in angosciosi pensieri, parve di arrivare troppo tardi alla morte:
136 essa è la luce etterna di Sigieri,
che, leggendo nel Vico de li Strami,
silogizzò invidïosi veri».
  136 è la luce inestinguibile di Sigieri, il quale insegnando (a Parigi) in via della Paglia, espose con sillogismi verità che gli procurarono l’invidia degli avversari”.
  Conclude la rassegna degli spiriti sapienti fatta da San Tommaso la figura di Sigieri di Brabante (c. 1226, c. 1283),il più importante sostenitore della filosofia averristica nel secolo XIII. Professore nell'università di Parigi, della quale fu anche rettore, polemizzo a lungo con San Tommaso, affermando la impossibilità di una sintesi fra il pensiero di Averroè e la fede cristiana, che il grande teologo domenicano tentava, con molta cautela, di operare. Accusato di eresia (negava, infatti, la dottrina della creazione dal nulla, quella della immortalità dell'anima, quella del libero arbitrio), si appellò al papa, e a Orvieto, dove si trovava in quel momento la curia pontificia, dichiarò di credere per fede ciò che, secondo ragione, non riteneva vero. Mori ad Orvieto, pugnalato da un chierico suo segretario in un accesso di follia. La presenza di Sigieri, che pur non essendo stato condannato ufficialmente e definitivamente come eretico, fu giudicato tale da molti al suo tempo, nel cielo del Sole e il suo elogio da parte di colui che fu suo fiero avversario, non sono di facile spiegazione. Il Nardi ha avanzato, in modo chiaro ed esauriente, l'ipotesi più probabile per risolvere questa dibattuta questione: Dante ha voluto "rialzare la memoria d'un onesto pensatore, grandemente stimato dai suoi contemporanei, la quale giaceva sotto il peso dei colpi inferti dall'invidia, e mostrarci riconciliati nel cospetto della verità eterna due grandi pensatori a lui cari, senza settarismo di scuola". Nel vico delli strami: a Parigi le scuole di teologia erano situate in rue de Fouarre, via della paglia.
139 Indi, come orologio che ne chiami
ne l'ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché l'ami,
  139 Poi, come un orologio a sveglia che ci chiami nell’ora in cui la Chiesa sorge a cantare le lodi del mattino al suo Sposo perché continui ad amarla,
142 che l'una parte e l'altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota,
che 'l ben disposto spirto d'amor turge;
  142 orologio nel quale una parte del congegno tira e spinge producendo un tintinnio con melodia così dolce, che riempie d’amor di Dio l’anima fervorosa,
145 così vid' ïo la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra
e in dolcezza ch'esser non pò nota
  145 allo stesso modo (in cui si muove questo orologio) vidi la gloriosa corona dei beati muoversi danzando e accordare una voce all’altra con una modulazione e una dolcezza tali che non possono essere conosciute
148 se non colà dove gioir s'insempra.   148 se non in paradiso, là dove la gioia (che ispira questo canto) dura in eterno.

 

© 2009 - Luigi De Bellis