1 |
Guardando
nel suo Figlio con l'Amore
che l'uno e l'altro etternalmente spira,
lo primo e ineffabile Valore |
|
1 |
Dio Padre, potenza prima ed inesprimibile, contemplando
il Figlio (la Sapienza) con lo Spirito Santo (l’Amore )
che Padre e Figlio spirano eternamente, |
4 |
quanto per
mente e per loco si gira
con tant' ordine fé, ch'esser non puote
sanza gustar di lui chi ciò rimira. |
|
4 |
creò con ordine così
perfetto tutto ciò che prende vita nella mente (le cose
spirituali) e nello spazio (le cose materiali), che chi
contempla l’opera del creato non può fare a meno di
godere di questa potenza ordinatrice. |
|
Con un improvviso colpo d'ala il Poeta ci trasporta
lontano dalle miserie terrene che Folco da Marsiglia
aveva lamentato alla fine del canto nono, contemplando
al di sopra del mondo la vita beata della Trinità mentre
crea e imprime quell'ordine che l'universo a Dio fa
simigliante (Paradiso I, 105). Dopo aver distinto
l'opera della Potenza che agisce per mezzo della
Sapienza e si risolve in Amore (cfr. San Tommaso Summa
Theologica I, XLV, 6 ) lo sguardo del Poeta abbraccia,
da un'altezza sovrana, tutto il creato, si immerge nella
sua contemplazione, gode della perfezione di questo
universo che il male degli uomini non potrà mai
intaccare. Per questo i versi iniziali del decimo
costituiscono un degno proemio non solo ai canti del
Sole (X-XIV), ma a tutta la seconda parte del Paradiso,
dove appaiono le anime di coloro che senza lasciarsi
trascinare al male da inclinazioni negative (incostanza,
ambizione, amore), seppero subito operare il bene
attraverso la sapienza, il coraggio, la giustizia e
l'amore contemplativo. "Nei tre cieli raggiunti
dall'ombra della terra, Luna, Mercurio e Venere, era
solo il preludio del trionfo beato: che da questo canto
decimo comincia, e dal regno del Sole, sede allusiva
della sapienza santa: così dal canto decimo dell'Inferno
la città di Dite: così dal canto decimo del Purgatorio
la scalea dei peccati. E finora le anime accorrevano
senza ordine che di moto, i volti dei difettivi
nell'albore lunare, i lumi degli attivi nel secondo
cielo e quelle faville che nel cielo di Venere lasciano
il giro degli alti Serafini; ma d'ora in poi, di cielo
in cielo, si raccolgono nel simbolismo liturgico di un
segno." (Apollonio) |
7 |
Leva dunque,
lettore, a l'alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l'un moto e l'altro si percuote; |
|
7 |
Alza dunque con me, o lettore lo
sguardo ai cieli ruotanti, precisamente quel punto dove
il moto diurno di tutti i corpi celesti si incontra col
moto annuo dei pianeti; |
|
Il Poeta invita il lettore a cercare nella vastità delle
alte ruote il punto nel quale il moto diurno equatoriale
dei corpi celesti da levante a ponente si incontra con
il moto annuo o zodiacale dei pianeti da ponente a
levante. Esso è il punto di incontro dell'equatore e
dello zodiaco e corrisponde agli equinozi di autunno e
di primavera. Dante si riferisce a quest'ultimo, come
appare dai versi 28, 33. |
10 |
e lì
comincia a vagheggiar ne l'arte
di quel maestro che dentro a sé l'ama,
tanto che mai da lei l'occhio non parte. |
|
10 |
e da quel punto comincia a
contemplare con amore l’opera di quell’Artefice che
nella sua mente l’ama a tal punto da non distaccare mai
l’occhio (della sua provvidenza) da essa. |
13 |
Vedi come da
indi si dirama
l'oblico cerchio che i pianeti porta,
per sodisfare al mondo che li chiama. |
|
13 |
Vedi come da quel punto si distacca il cerchio obliquo
(dello zodiaco) nel quale si muovono i pianeti, per
soddisfare le esigenze della terra che ha bisogno di
essi e delle loro influenze. |
|
Il cerchio zodiacale, nel quale si muovono le orbite del
sole e dei pianeti, appare inclinato rispetto al piano
equatoriale. Tale inclinazione (che è di circa 23 gradi
e mezzo) è indispensabile per permettere il variare
delle stagioni, perché in tal modo il sole e i pianeti
non vengono a trovarsi sempre sulla fascia equatoriale,
ma si spostano a nord e a sud di essa. |
16 |
Che se la
strada lor non fosse torta,
molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
e quasi ogne potenza qua giù morta; |
|
16 |
E se la strada percorsa
dai pianeti (lo zodiaco) non fosse obliqua, molta della
virtù attiva dei cieli resterebbe inutile, e quaggiù
sulla terra sarebbe spenta quasi ogni potenzialità di
vita; |
19 |
e se dal
dritto più o men lontano
fosse 'l partire, assai sarebbe manco
e giù e sù de l'ordine mondano. |
|
19 |
e se
l’inclinazione dello zodiaco rispetto all’equatore fosse
maggiore o minore, ne deriverebbe una grave imperfezione
all’ordine terrestre nell’emisfero australe e in quello
boreale. |
|
Se lo zodiaco fosse parallelo all'equatore, si avrebbero
estati, primavere e inverni perenni, rispettivamente
nelle regioni equatoriali, temperate e polari. In tal
modo le influenze dei cieli non potrebbero realizzarsi
che in parte e i germi di vita potenziale in terra
rimarrebbero senza sviluppo. L'ordine cosmico
risulterebbe gravemente alterato (nella distribuzione
dei climi, delle ore diurne e notturne, dei fenomeni
meteorologici ) anche nel caso in cui l'inclinazione
fosse maggiore o minore di quella normale. |
22 |
Or ti riman,
lettor, sovra 'l tuo banco,
dietro pensando a ciò che si preliba,
s'esser vuoi lieto assai prima che stanco. |
|
22 |
Ora, o lettore, resta pure seduto sul tuo banco, a
meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un
assaggio, se vuoi provare la gioia (della scienza) che
non lascia avvertire la stanchezza. |
25 |
Messo t'ho
innanzi: omai per te ti ciba;
ché a sé torce tutta la mia cura
quella materia ond' io son fatto scriba. |
|
25 |
Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi servirti da
solo, perché l’argomento di cui ho incominciato a
scrivere concentra su di se tutta la mia attenzione. |
|
I due solenni richiami al lettore nella prima parte del
canto (versi 7-8; 22-25) svelano quanta importanza
rivesta per il Poeta questo breve momento di
contemplazione dei cieli: momento di dolce pausa, come
egli stesso avverte (versi 26-27), in mezzo alla gravità
di una materia che attira a se tutta la sua cura. Dante
non vuole dunque tenere una lezione di astronomia, bensì
confessare la commozione che si impadronisce di lui di
fronte alla visione del cielo stellato e dell'ordine che
regola la vita degli astri e dei pianeti: "Non potrò io
dovunque contemplare il sole e le stelle? non potrò
meditare dovunque sotto il cielo le dolcissime verità?"
(Epistola Xll, 9). Certamente Dante, come del resto
tutto il suo tempo, studiò a lungo l'astronomia, ma ad
essa, soprattutto nella Commedia, seppe volgersi con
animo di poeta. "Provatevi ad immaginare l'edificio
della Commedia senza il substrato astronomico!... senza
l'astronomia di Tolomeo e di San Tommaso, sia pure
mescolata ad un po' di quell'astronomia che Dante più di
Tommaso seppe, cristianizzandola, sublimare, noi non
vedremmo elevarsi fra la Terra e l'Empireo la più
mirabile scala di perfezione spirituale che fantasia di
poeta abbia mai vagheggiato; ... pochi al mondo devono
aver levato gli occhi alla volta celeste con una fiamma
di desiderio uguale a quella che accese gli occhi di
Dante..." (Fassò). |
28 |
Lo ministro
maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo imprenta
e col suo lume il tempo ne misura, |
|
28 |
Il sole, il più importante
ministro esistente nel creato, il quale più degli altri
astri imprime nel mondo le virtù degli influssi celesti
e con la sua luce ci dà la misura del tempo, |
31 |
con quella
parte che sù si rammenta
congiunto, si girava per le spire
in che più tosto ognora s'appresenta; |
|
31 |
trovandosi in congiunzione
con quel punto che ho prima ricordato, girava per le
spirali ascendenti dello zodiaco nelle quali sorge ogni
giorno più presto; |
|
Secondo il sistema tolemaico il sole, che nell'equinozio
di primavera (versi 8-9) si trova in congiunzione con la
costellazione dell'Ariete, descrive nel, suo moto una
spirale, passando ogni sei mesi da un tropico all'altro.
Spostandosi dal tropico del Capricorno a quello del
Cancro nel periodo tra l'equinozio di primavera e il
solstizio d'estate, il sole sorge sempre più presto
all'orizzonte dell'emisfero boreale, per il progressivo
allungarsi dei giorni. |
34 |
e io era con
lui; ma del salire
non m'accors' io, se non com' uom s'accorge,
anzi 'l primo pensier, del suo venire. |
|
34 |
ed io mi trovavo nel cielo
del Sole; ma non mi ero accorto del mio salire, allo
stesso modo in cui l’uomo non s’accorge del
sopraggiungere di un pensiero prima del suo manifestarsi
alla coscienza. |
37 |
È Bëatrice
quella che sì scorge
di bene in meglio, sì subitamente
che l'atto suo per tempo non si sporge. |
|
37 |
E’ Beatrice colei che in
tal modo guida da un cielo inferiore ad un altro
superiore con tanta rapidità, che la durata dell’atto
non si estende in uno spazio di tempo percettibile. |
40 |
Quant' esser
convenia da sé lucente
quel ch'era dentro al sol dov' io entra'mi,
non per color, ma per lume parvente! |
|
40 |
Quanto dovevano essere
luminose per se stesse che erano nel cielo del Sole dove
io entrai, visibili non per il colore diverso, ma per la
luce più intensa (che irradiavano)! |
43 |
Perch' io lo
'ngegno e l'arte e l'uso chiami,
sì nol direi che mai s'imaginasse;
ma creder puossi e di veder si brami. |
|
43 |
Per quanto io chiamassi in
aiuto tutto il mio ingegno e l’arte e l’esperienza non
riuscirei mai a trovare un’espressione tanto efficace,
da far immaginare (quello che vidi); ma si può credere
(alle mie parole) e intanto si può desiderare di vederlo
(in cielo). |
46 |
E se le
fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è maraviglia;
ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse. |
|
46 |
E non c’è da stupirsi se
la nostra facoltà immaginativa è insufficiente a
rappresentare una così intensa luminosità, perché non vi
fu mai alcun occhio mortale che potesse vedere una luce
superiore a quella del sole. |
49 |
Tal era
quivi la quarta famiglia
de l'alto Padre, che sempre la sazia,
mostrando come spira e come figlia. |
|
49 |
Così era qui la quarta
schiera delle anime elette dall’eccelso Padre, che
continuamente le appaga, rivelando come genera il Figlio
e come lo Spirito Santo spira (da Lui e dal Figlio). |
52 |
E Bëatrice
cominciò: «Ringrazia,
ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo
sensibil t'ha levato per sua grazia». |
|
52 |
E Beatrice cominciò a
dire: “Ringrazia, ringrazia Dio, il sole degli angeli,
perché per sua grazia ti ha elevato a questo sole
percepibile coi sensi”. |
55 |
Cor di
mortal non fu mai sì digesto
a divozione e a rendersi a Dio
con tutto 'l suo gradir cotanto presto, |
|
55 |
Non ci fu mai cuore di
uomo mortale così disposto alla devozione e tanto pronto
a volgersi a Dio con tutta la sua gratitudine, |
58 |
come a
quelle parole mi fec' io;
e sì tutto 'l mio amore in lui si mise,
che Bëatrice eclissò ne l'oblio. |
|
58 |
quale divenne il mio a
quelle parole; e tutto il mio amore si concentrò in Lui
a tal punto, che cancellò dalla mia memoria Beatrice. |
61 |
Non le
dispiacque; ma sì se ne rise,
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
mia mente unita in più cose divise. |
|
61 |
A lei non dispiacque; anzi
ne fu così lieta, che il fulgore dei suoi occhi
sorridenti distrasse la mia mente concentrata in Dio
dividendola tra due oggetti (in più cose: fra Dio e
Beatrice). |
64 |
Io vidi più
folgór vivi e vincenti
far di noi centro e di sé far corona,
più dolci in voce che in vista lucenti: |
|
64 |
Io vidi numerosi
splendori, tanto vivi da vincere (la luce del sole)
disporsi in corona attorno a noi, ed erano più dolci nel
loro canto di quanto non fossero luminosi nel loro
aspetto: |
67 |
così cinger
la figlia di Latona
vedem talvolta, quando l'aere è pregno,
sì che ritenga il fil che fa la zona. |
|
67 |
così vediamo talvolta la
luna (identificata nella mitologia classica con la dea
Diana, figlia di Latona e di Giove) cingersi di un
alone, quando l’aria è così satura di vapori, che
trattiene in se il raggio lunare che forma la cintura
luminosa. |
70 |
Ne la corte
del cielo, ond' io rivegno,
si trovan molte gioie care e belle
tanto che non si posson trar del regno; |
|
70 |
Nella corte celeste, dalla
quale io sono tornato, ci sono molte gemme così preziose
e belle che non è possibile portarle fuori di quel regno
(e descriverle); |
73 |
e 'l canto
di quei lumi era di quelle;
chi non s'impenna sì che là sù voli,
dal muto aspetti quindi le novelle. |
|
73 |
e il canto di quegli
spiriti splendenti era una di quelle gemme: chi non
mette le ali in modo da poter volare fin lassù, è come
se attendesse notizie di quei luoghi da un muto. |
76 |
Poi, sì
cantando, quelli ardenti soli
si fuor girati intorno a noi tre volte,
come stelle vicine a' fermi poli, |
|
76 |
Dopo che, cantando in modo cosi dolce,
quelle luci ardenti ebbero fatto tre giri intorno a noi,
muovendosi lentamente come stelle che ruotano vicine ai
poli fissi (del cielo), |
|
Ogni cielo ha due poli fissi intorno ai quali esso gira.
Le stelle che si trovano vicine a questi poli sono
dotate di un movimento lento, mentre più rapidamente
devono volgersi quelle che si trovano nella parte
centrale, che costituisce, per così dire, l'equatore del
cielo (cfr. Convivio II, III, 13-14). |
79 |
donne mi
parver, non da ballo sciolte,
ma che s'arrestin tacite, ascoltando
fin che le nove note hanno ricolte. |
|
79 |
esse mi apparvero come
donne che, senza interrompere le movenze della danza, si
arrestino in silenzio, rimanendo in ascolto finché non
abbiano percepito le nuove note musicali (che annunciano
un nuovo giro di danza); |
82 |
E dentro a
l'un senti' cominciar: «Quando
lo raggio de la grazia, onde s'accende
verace amore e che poi cresce amando, |
|
82 |
e dentro ad una di queste
luci udii dire: “ Poiché il raggio della grazia divina,
da cui è acceso in noi l’amore del vero bene (Dio) |
85 |
multiplicato
in te tanto resplende,
che ti conduce su per quella scala
u' sanza risalir nessun discende; |
|
85 |
e che poi in virtù di
questo amore cresce sempre più, risplende in te così
moltiplicato, che ti conduce su per la scala dei cieli,
per la quale nessuno può discendere senza che poi possa
risalire, |
88 |
qual ti
negasse il vin de la sua fiala
per la tua sete, in libertà non fora
se non com' acqua ch'al mar non si cala. |
|
88 |
chi ti rifiutasse il vino
della sua ampolla per soddisfare la tua sete (di sapere
), non godrebbe della libertà (che distingue i beati),
proprio come un corso d’acqua che non va a gettarsi in
mare ( perché impedito da qualche ostacolo). |
91 |
Tu vuo'
saper di quai piante s'infiora
questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia
la bella donna ch'al ciel t'avvalora. |
|
91 |
Tu vuoi sapere di quali
anime si adorna questa corona che, standole intorno,
contempla con amore Beatrice, la bella donna che ti dà
la virtù necessaria per salire al cielo. |
94 |
Io fui de li
agni de la santa greggia
che Domenico mena per cammino
u' ben s'impingua se non si vaneggia. |
|
94 |
Io fui uno degli agnelli
del santo gregge che Domenico guida per un cammino dove
ci si può arricchire spiritualmente se non si inseguono
cose vane. |
|
Parla San Tommaso d'Aquino, appartenente all'ordine
monatico fondato da San Domenico (delli agni della santa
greggia che Domenico mena...). Nato a Roccasecca presso
Montecassino, nel 1226, entrò nel 1243 in un convento
domenicano e morì nel 1274 mentre si recava al concilio
di lione (Dante intorno ala sua morte, raccolse la voce
secondo cui San Tommaso fu fatto avvelenare da Carlo I
d'Angiò, essendo i signori d'Aquino suoi fieri
avversari; cfr. Purgatorio XX, 69). Insegnò teologia a
Colonia (dove fu allievo di Alberto Magno), a Parigi e a
Napoli, e per altezza di dottrina fu soprannominato
Doctor Angelicus. Poderosa fu la sua opera di
sistematore delle correnti filosofiche e teologiche del
secolo XIII, alla luce dei principii più validi del
sistema aristotelico. I suoi scritti, che possono essere
considerati la sintesi del pensiero medievale,
costituiscono la base della dottrina filosofica e
teologica di Dante, che spesso li cita direttamente:
Summa contra Gentiles, Summa Theologica, commenti alle
opere di Aristotile. |
97 |
Questi che
m'è a destra più vicino,
frate e maestro fummi, ed esso Alberto
è di Cologna, e io Thomas d'Aquino. |
|
97 |
Questo che a destra mi è più vicino, mi
fu fratello e maestro, ed è Alberto di Colonia, ed io
sono Tommaso d’Aquino. |
|
Alberto Magno nacque a Lavingen (Svezia) nel 1193 e morì
a Colonia nel 1280. Entrato nell'ordine dei domenicani
nel 1222, insegnò teologia a Colonia e a Parigi (1245),
dove ebbe numerosissimi discepoli. Fu soprannominato
Doctor Universalis per la vastità della sua cultura.
"Alberto è uno dei maggiori protagonisti di quel vasto
processo di assimilazione diretta o indiretta
(attraverso i filosofi e gli scienziati arabi)
dell'aristotelismo al pensiero cristiano su cui si
costruirà poi, organicamente, la sistemazione tomistica:
la formula è quella di un ordinamento piramidale delle
scienze con al vertice la teologia, ma con una base
estremamente dilatata. E' notevole infatti, in Alberto,
la varietà enciclopedica e la preminenza di interessi
che oggi diciamo scientifici: in questo piano, anzi,
Dante è forse più vicino ad Alberto che a San Tommaso" (Mattalia). |
100 |
Se sì di
tutti li altri esser vuo' certo,
di retro al mio parlar ten vien col viso
girando su per lo beato serto. |
|
100 |
Se vuoi
parimenti essere informato su tutti gli altri spiriti,
segui il mio discorso con lo sguardo girando gli occhi
sulla ghirlanda di questi beati. |
103 |
Quell' altro
fiammeggiare esce del riso
di Grazïan, che l'uno e l'altro foro
aiutò sì che piace in paradiso. |
|
103 |
Quell’altra fiamma è
l’espressione della felicità di Graziano, il quale giovò
al tribunale civile e a quello ecclesiastico, tanto che
la sua opera è gradita a Dio. |
|
Francesco Graziano, nato a Chiusi alla fine del secolo
XI, fu monaco camaldolese e visse a Bologna, dove
insegnò diritto canonico. Qui compose il Decretum o
Concordantia discordantium canonum, nel quale riordina
la legislazione ecclesiastica, servendosi di testi
biblici e patristici, e di decreti conciliari e
pontifici. L'uno e l'altro foro aiutò: Graziano mirò a
dimostrare la concordanza delle leggi civili con quelle
ecclesiastiche e, pur sostenendo la supremazia della
legge divina, riconobbe una ideale autonomia a quella
civile. |
106 |
L'altro
ch'appresso addorna il nostro coro,
quel Pietro fu che con la poverella
offerse a Santa Chiesa suo tesoro. |
|
106 |
L’altro che vicino a
Graziano adorna il nostro coro, fu quel Pietro che offrì
il tesoro della sua sapienza alla Santa Chiesa come la
poverella (del Vangelo). |
109 |
La quinta
luce, ch'è tra noi più bella,
spira di tale amor, che tutto 'l mondo
là giù ne gola di saper novella: |
|
109 |
Il quinto spirito, che è
il più splendente tra noi, nelle sue opere spira tale
amore, che tutto il mondo laggiù sulla terra brama
sapere (se sia salvo o dannato): |
112 |
entro v'è
l'alta mente u' sì profondo
saver fu messo, che, se 'l vero è vero,
a veder tanto non surse il secondo. |
|
112 |
in questa luce
intelligenza di Salomone, nella quale venne infusa una
sapienza così profonda, che, se la Sacra Scrittura è
verace, non nacque mai un uomo dotato di così grande
scienza. |
115 |
Appresso
vedi il lume di quel cero
che giù in carne più a dentro vide
l'angelica natura e 'l ministero. |
|
115 |
Vicino a lui vedi la luce
di quel luminare che sulla terra, durante la vita
mortale, trattò più a fondo di tutti la natura e
l’ufficio degli angeli. |
118 |
Ne l'altra
piccioletta luce ride
quello avvocato de' tempi cristiani
del cui latino Augustin si provide. |
|
118 |
Nell’altra luce più
piccola sorride quel difensore del Cristianesimo dei cui
discorsi si giovò Sant’Agostino. |
|
Già i commentatori antichi erano incerti
nell'interpretazione di questa terzina, e l'incertezza
perdura ancora oggi. Alcuni pensarono a Sant'Ambrogio,
il grande Padre della Chiesa vissuto nel IV secolo, che
con la sua predicazione convertì Agostino al
Cristianesimo. Altri a Paolo Orosio sacerdote e storico
spagnolo del V secolo, autore di un'opera molto
conosciuta nel Medioevo: Historiarum libri VII aduersus
Paganos. In essa, scritta per esortazione di Sant'Agostino,
il quale se ne servi poi per la composizione del De
Civitate Dei, egli intende dimostrare tutti i benefici
apportati dalla religione cristiana all'umanità (da qui
l'espressione dantesca: avvocato de' tempi cristiani). |
121 |
Or se tu
l'occhio de la mente trani
di luce in luce dietro a le mie lode,
già de l'ottava con sete rimani. |
|
121 |
Ora se muovi l’attenzione
della mente da una luce all’altra seguendo l’ordine dei
miei elogi, già ti fermi con il desiderio di sapere chi
sia l’ottava. |
124 |
Per vedere
ogne ben dentro vi gode
l'anima santa che 'l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode. |
|
124 |
Dentro è beata perché vede
Dio, sintesi d’ogni bene, l’anima santa di Boezio, la
quale a chi ben medita le sue opere manifesta la vanità
dei beni mondani: |
127 |
Lo corpo ond'
ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
e da essilio venne a questa pace. |
|
127 |
il corpo dal quale fu
cacciata (con violenza) è sepolto giù in terra nella
chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro; ed essa giunse nella
nostra pace celeste dopo il martirio e l’esilio terreno. |
130 |
Vedi oltre
fiammeggiar l'ardente spiro
d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu più che viro. |
|
130 |
Dopo Boezio vedi come
fiammeggiano le anime ardenti di Isidoro, di Beda e di
Riccardo, che nella scienza della contemplazione fu
dotato di intelligenza superiore a quella di un uomo. |
|
Isidoro, nato a Cartagena (c. 560-636), fu vescovo di
Siviglia e autore di numerosi scritti storici e
teologici di carattere enciclopedico, fra i quali il più
famoso e conosciuto ebbe il titolo di Origines seu
Etymologiae. Beda il Venerabile, nato a Wearmouth nel
674 e morto a Jarrow nel 735, fu un sacerdote inglese,
le cui opere di argomento storico e religioso furono
assai diffuse nel Medioevo. Riccardo di San Vittore,
nato in Scozia, trascorse quasi tutta la sua vita in
Francia, dove mori nel 1173, dopo essere stato per circa
undici anni priore del convento di San Vittore, presso
Parigi. Fu uno dei principali rappre, sententi della
teologia mistica nel Medioevo: da qui il soprannome di
Magnus Contemplator. |
133 |
Questi onde
a me ritorna il tuo riguardo,
è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri
gravi a morir li parve venir tardo: |
|
133 |
Questi per cui il tuo
sguardo ritorna a me, è la luce di uno spirito al quale,
vivendo immerso in angosciosi pensieri, parve di
arrivare troppo tardi alla morte: |
136 |
essa è la
luce etterna di Sigieri,
che, leggendo nel Vico de li Strami,
silogizzò invidïosi veri». |
|
136 |
è la luce inestinguibile
di Sigieri, il quale insegnando (a Parigi) in via della
Paglia, espose con sillogismi verità che gli procurarono
l’invidia degli avversari”. |
|
Conclude la rassegna degli spiriti sapienti fatta da San
Tommaso la figura di Sigieri di Brabante (c. 1226, c.
1283),il più importante sostenitore della filosofia
averristica nel secolo XIII. Professore nell'università
di Parigi, della quale fu anche rettore, polemizzo a
lungo con San Tommaso, affermando la impossibilità di
una sintesi fra il pensiero di Averroè e la fede
cristiana, che il grande teologo domenicano tentava, con
molta cautela, di operare. Accusato di eresia (negava,
infatti, la dottrina della creazione dal nulla, quella
della immortalità dell'anima, quella del libero
arbitrio), si appellò al papa, e a Orvieto, dove si
trovava in quel momento la curia pontificia, dichiarò di
credere per fede ciò che, secondo ragione, non riteneva
vero. Mori ad Orvieto, pugnalato da un chierico suo
segretario in un accesso di follia. La presenza di
Sigieri, che pur non essendo stato condannato
ufficialmente e definitivamente come eretico, fu
giudicato tale da molti al suo tempo, nel cielo del Sole
e il suo elogio da parte di colui che fu suo fiero
avversario, non sono di facile spiegazione. Il Nardi ha
avanzato, in modo chiaro ed esauriente, l'ipotesi più
probabile per risolvere questa dibattuta questione:
Dante ha voluto "rialzare la memoria d'un onesto
pensatore, grandemente stimato dai suoi contemporanei,
la quale giaceva sotto il peso dei colpi inferti
dall'invidia, e mostrarci riconciliati nel cospetto
della verità eterna due grandi pensatori a lui cari,
senza settarismo di scuola". Nel vico delli strami: a
Parigi le scuole di teologia erano situate in rue de
Fouarre, via della paglia. |
139 |
Indi, come
orologio che ne chiami
ne l'ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché l'ami, |
|
139 |
Poi, come un orologio a
sveglia che ci chiami nell’ora in cui la Chiesa sorge a
cantare le lodi del mattino al suo Sposo perché continui
ad amarla, |
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che l'una
parte e l'altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota,
che 'l ben disposto spirto d'amor turge; |
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orologio nel quale una
parte del congegno tira e spinge producendo un tintinnio
con melodia così dolce, che riempie d’amor di Dio
l’anima fervorosa, |
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così vid' ïo
la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra
e in dolcezza ch'esser non pò nota |
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allo stesso modo (in cui
si muove questo orologio) vidi la gloriosa corona dei
beati muoversi danzando e accordare una voce all’altra
con una modulazione e una dolcezza tali che non possono
essere conosciute |
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se non colà
dove gioir s'insempra. |
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se non in paradiso, là
dove la gioia (che ispira questo canto) dura in eterno. |