1 |
Imagini, chi
bene intender cupe
quel ch'i' or vidi - e ritegna l'image,
mentre ch'io dico, come ferma rupe -, |
|
1 |
Il lettore che desidera capire bene quello che a questo
punto vidi, immagini (e, mentre io parlo, conservi
l’immagine salda come una roccia) |
4 |
quindici
stelle che 'n diverse plage
lo ciel avvivan di tanto sereno
che soperchia de l'aere ogne compage; |
|
4 |
le quindici stelle che
nelle diverse regioni del cielo lo illuminano di tanto
splendore, da vincere ogni nebulosità dell’atmosfera; |
|
Secondo il sistema astronomico tolemaico quindici sono
le stelle di prima grandezza, appartenenti alle diverse
costellazioni e perciò sparse in diverse plage del
cielo. |
7 |
imagini quel
carro a cu' il seno
basta del nostro cielo e notte e giorno,
sì ch'al volger del temo non vien meno; |
|
7 |
immagini quel carro (l’Orsa Maggiore)
al quale è sufficiente lo spazio del nostro emisfero
celeste per il suo moto diurno e notturno, cosicché
nella sua rotazione non scompare mai (alla nostra
vista); |
|
Le sette stelle del carro di Boote o Orsa Maggiore,
muovendosi molto vicine al polo celeste, non scompaiono
mai, né di giorno né di notte, dal cielo dell'emisfero
settentrionale. |
10 |
imagini la
bocca di quel corno
che si comincia in punta de lo stelo
a cui la prima rota va dintorno, |
|
10 |
immagini le due stelle poste alla
estremità di quel corno (l’Orsa Minore) che comincia nel
punto più alto dell’asse celeste, intorno al quale gira
(va dintorno) il primo cielo mobile, |
|
La costellazione dell'Orsa Minore viene paragonata a un
corno: l'estremità più larga è costituita dalle due
stelle più luminose e l'estremità più stretta coincide
con la stella polare. Questa occupa la sommità dell'asse
celeste intorno al quale compie il suo giro il Primo
Mobile. |
13 |
aver fatto
di sé due segni in cielo,
qual fece la figliuola di Minoi
allora che sentì di morte il gelo; |
|
13 |
(immagini dunque) che queste
ventiquattro stelle abbiano formato in cielo due
costellazioni, simili a quella in cui fu mutata la
figlia di Minosse, quando mori; |
|
Il Poeta invita il lettore ad immaginare che le
ventiquattro stelle che ha appena enumerato formino due
grandiose costellazioni, di dodici stelle ciascuna,
concentriche e ruotanti in senso opposto, che
assomigliano, per la loro forma, alla costellazione
circolare della Corona. Quest'ultima, secondo il
racconto 176-182), ebbe un'origine del tutto
particolare: allorché la figlia di Minosse, Arianna (che
aveva aiutato Teseo nell'uccisione del Minotauro ) fu
abbandonata dall'eroe ateniese, il dio Bacco trasforma
in costellazione la ghirlanda di fiori che la fanciulla
portava in capo. Tuttavia qui Dante sembra alludere alla
metamorfosi della stessa Arianna, la quale sarebbe stata
mutata in costellazione al momento della morte. |
16 |
e l'un ne
l'altro aver li raggi suoi,
e amendue girarsi per maniera
che l'uno andasse al primo e l'altro al poi; |
|
16 |
e (immagini) che le due
costellazioni siano concentriche, e che entrambe ruotino
in modo che l’una si muova in un senso e l’altra nel
senso opposto; |
19 |
e avrà quasi
l'ombra de la vera
costellazione e de la doppia danza
che circulava il punto dov' io era: |
|
19 |
e (il
lettore) avrà un’immagine imperfetta della costellazione
(di spiriti) che io vidi veramente e della doppia danza
che girava intorno al punto in cui mi trovavo, poiché
(lo spettacolo): |
22 |
poi ch'è
tanto di là da nostra usanza,
quanto di là dal mover de la Chiana
si move il ciel che tutti li altri avanza. |
|
22 |
era tanto al di sopra della nostra comune esperienza, di
quanto il Primo Mobile, che è il cielo più veloce di
tutti gli altri, supera in velocità il lento corso del
nume Chiana. |
|
Il fiume Chiana attraversava il territorio di Arezzo con
un corso lentisssimo, creando una zona paludosa oggi
bonificata. |
25 |
Lì si cantò
non Bacco, non Peana,
ma tre persone in divina natura,
e in una persona essa e l'umana. |
|
25 |
Li non si celebrarono le lodi di Bacco,
né di Apollo, ma si cantarono le lodi delle tre persone
in una sola natura divina, e di questa e di quella umana
nell’unica persona di Cristo. |
|
Peana era uno degli appellativi del dio Apollo e serviva
anche per indicare un inno cantato in onore del dio. Il
proemio del canto è concepito come una variazione
sinfonica sul tema della visione dei beati. Può essere
definito, per meglio cogliere quel che c'è di voluto
nella nuova cosmografia chiamata a ripetere la danza dei
ventiquattro sapienti, come una " regia stellare ", la
quale, per indicare la doppia danza, non esita a
ricorrere ad una diversa disposizione degli astri nel
cielo. La variazione ha necessità di un punto di
riferimento, e a questo allude l'accenno alla memoria,
tenace come ferma rupe, che adunerà l'immagine. E un
residuo della figura del carro, comparsa nel canto di
San Domenico, si aggiunge al moto dell'Orsa Maggiore nel
seno... del nostro cielo, a misurarne la profondità
inesausta nel viaggio notturno e diurno. Sempre più
misterioso ed assorto procede il discorso poetico
dall'Orsa Maggiore alla Minore, perché di questa si
avverte la figura, indicata come un corno, ma si
suggerisce il moto di tutto il Primo Mobile che ruota
intorno allo stelo che al suo vertice porta la stella
polare. La Corona d'Arianna non entra nel novero delle
stelle, ma suggerisce il ritmo della danza, mentre le
ventiquattro stelle formano in cielo due nuove
costellazioni che ruotano in senso inverso, con moto
concentrico al punto in cui si trova il Poeta. La
triplice raccomandazione, immagini, è introdotta per
meglio inverare lo straordinario spettacolo celeste che
la filosofia adorna con le sue figure: uno spettacolo
tanto lontano dalle esperienze terrene quanto è lento il
corso della Chiana, tra il Tevere e l'Arno, a paragone
del cielo più veloce. Anche questo fulmineo trascorrere
da un paesaggio toscano al Primo Mobile denota la forza
di un intervento fantastico nelle cose della natura e
dichiara l'ardire di un pensiero che procede oltre i
termini della ricognizione sensibile. |
28 |
Compié 'l
cantare e 'l volger sua misura;
e attesersi a noi quei santi lumi,
felicitando sé di cura in cura. |
|
28 |
Il canto e la danza
giunsero simultaneamente al loro termine; e quei santi
spiriti volsero a noi la loro attenzione, rallegrandosi
nel passare da una cura (la danza e il canto) ad
un’altra (il chiarimento del dubbio di Dante). |
31 |
Ruppe il
silenzio ne' concordi numi
poscia la luce in che mirabil vita
del poverel di Dio narrata fumi, |
|
31 |
Ruppe poi il silenzio tra
i beati concordi (nel loro canto e nella loro danza)
quella luce (San Tommaso) che mi aveva narrata la vita
mirabile del poverello di Dio (San Francerco), |
34 |
e disse:
«Quando l'una paglia è trita,
quando la sua semenza è già riposta,
a batter l'altra dolce amor m'invita. |
|
34 |
e disse: “Poiché il tuo
primo dubbio è stato discusso, e poiché il seme (di
verità che ne è scaturito) è già stato riposto (nella
tua mente), lo spirito di carità mi invita a sciogliere
l’altro dubbio. |
37 |
Tu credi che
nel petto onde la costa
si trasse per formar la bella guancia
il cui palato a tutto 'l mondo costa, |
|
37 |
Tu credi che nel petto di
Adamo, dal quale fu tratta la costola per formare il bel
volto di Eva, il cui peccato di gola (nel provare il
frutto proibito) fu causa di tanto male a tutto il
mondo, |
40 |
e in quel
che, forato da la lancia,
e prima e poscia tanto sodisfece,
che d'ogne colpa vince la bilancia, |
|
40 |
e che nel petto di Cristo,
il quale, trafitto dalla lancia, - offrì (a Dio)
soddisfazione e per i peccati futuri e per quelli
passati, tanto che sulla bilancia della giustizia divina
esso vince (con i suoi meriti ) il peso di ogni colpa, |
43 |
quantunque a
la natura umana lece
aver di lume, tutto fosse infuso
da quel valor che l'uno e l'altro fece; |
|
43 |
sia stata infusa
dall’onnipotenza divina che aveva creato l’uno e
l’altro, tutta quanta la sapienza che è lecito alla
natura umana possedere; |
46 |
e però miri
a ciò ch'io dissi suso,
quando narrai che non ebbe 'l secondo
lo ben che ne la quinta luce è chiuso. |
|
46 |
e perciò ti meravigli
riguardo a quello che ti ho detto più sopra, quando
affermai che l’anima beata di Salomone racchiusa nella
quinta luce ( della prima corona) non ebbe chi
l’uguagliasse (in sapienza). |
|
Il canto trinitario e il moto concentrico e inverso
delle due ruote si arresta e nel silenzio e nella quiete
i santi lumi esprimono sfavillando l'allegrezza del
trascorrere da un tema all'altro. Poi, passando
dall'inno corale all'omelia e al discorso individuale,
San Tommaso d'Aquino dispone il tema del secondo dubbio
di Dante, sul primato sapienziale di Salomone. L'esordio
del discorso è parafrastico e grande è nel Poeta la
compiacenza di introdurre, attraverso le parole del
teologo, un tratto del pensiero scolastico in stretto
rapporto con un'elaborata immagine poetica. Adamo
sapiente è parafrasato come il petto da cui si trasse la
costola che plasmò Eva e la bella guancia di Eva e il
palato che gustò il frutto proibito. C'è un'allegrezza
intellettualmente raffinata in questo alludere,
un'allegrezza tanto più certa quanto più è sicura la
proposizione fondamentale già debitamente enunciata (fu
Salomone più sapiente di Adamo e di Cristo? ) . La
menzione di Eva, con un tratto che si ripete lungo tante
vicende delle arti figurative rinascimentali, e più
nella terzina empirea che la definisce tanto bella ai
piedi di Maria (canto XXXII, verso 5 ), indugia in una
variazione preziosa, ma il petto di Cristo, forato dalla
lancia, riporta dal rinascimento delle arti alle
confraternite della penitenza, e dalla teologia delle
realtà terrene a quella della redenzione. |
49 |
Or apri li
occhi a quel ch'io ti rispondo,
e vedräi il tuo credere e 'l mio dire
nel vero farsi come centro in tondo. |
|
49 |
Ora rifletti bene a quello
che ti rispondo, e vedrai che la tua convinzione
(riguardo alla sapienza di Adamo e di Cristo) e la mia
affermazione coincidono nella verità come il centro è
nel mezzo del cerchio. |
52 |
Ciò che non
more e ciò che può morire
non è se non splendor di quella idea
che partorisce, amando, il nostro Sire; |
|
52 |
Le creature incorruttibili
e quelle corruttibili non sono che una luce riflessa di
quell’idea (il Verbo) che Dio, nostro re, genera con un
atto d’amore; |
55 |
ché quella
viva luce che sì mea
dal suo lucente, che non si disuna
da lui né da l'amor ch'a lor s'intrea, |
|
55 |
perché la viva luce del
Verbo che emana da Dio in modo tale, che non si separa
né da Lui né dallo Spirito Santo, |
58 |
per sua
bontate il suo raggiare aduna,
quasi specchiato, in nove sussistenze,
etternalmente rimanendosi una. |
|
58 |
per sua bontà dirige e
concentra i suoi raggi, come riflettendosi in tanti
specchi, nelle nove essenze dei cori angelici, pur
conservando in eterno la sua unità. |
61 |
Quindi
discende a l'ultime potenze
giù d'atto in atto, tanto divenendo,
che più non fa che brevi contingenze; |
|
61 |
Dai nove cori angelici
questa luce scende giù di cielo in cielo fino agli
elementi del mondo terrestre, e si attenua a tal punto,
che non produce più che creature contingenti e
corruttibili; |
64 |
e queste
contingenze essere intendo
le cose generate, che produce
con seme e sanza seme il ciel movendo. |
|
64 |
e per queste realtà
contingenti intendo le cose generate, che i cieli
producono con il loro moto sia per mezzo di semi sia
senza di essi. |
|
I cori angelici comunicano ai cieli la luce divina, la
quale in tale modo può raggiungere, nel mondo sublunare,
la pura materia, la materia, cioè, passibile di ricevere
la " forma". Qui giunta, però, tale luce ha perso molta
della sua forza penetrativa, per cui è in grado di
produrre, sempre attraverso la azione dei cieli (versi
65-66), solo elementi di poco valore (contingenze: le
cose che possono esistere o anche non esistere) e
soggetti a corruzione: gli organismi vegetali e animali
(generati con seme) e i minerali (generati sanza seme). |
67 |
La cera di
costoro e chi la duce
non sta d'un modo; e però sotto 'l segno
idëale poi più e men traluce. |
|
67 |
La materia di queste
creature inferiori e i cieli che la plasmano con i loro
influssi non sono sempre nel medesimo rapporto; e perciò
questa materia poi resta più o meno illuminata dalla
luce dell’idea divina. |
70 |
Ond' elli
avvien ch'un medesimo legno,
secondo specie, meglio e peggio frutta;
e voi nascete con diverso ingegno. |
|
70 |
Non sta d'un modo: infatti
può variare la disposizione in cui si trova la materia
rispetto all'azione dei cieli e può cambiare l'influsso
dei cieli sulla terra con il variare delle loro
posizioni e delle loro congiunzioni. |
73 |
Se fosse a
punto la cera dedutta
e fosse il cielo in sua virtù supprema,
la luce del suggel parrebbe tutta; |
|
73 |
Perciò avviene che due
alberi della medesima specie producano frutti migliori o
peggiori e che gli uomini (pur appartenendo alla stessa
specie) nascano con indoli e attitudini differenti |
76 |
ma la natura
la dà sempre scema,
similemente operando a l'artista
ch'a l'abito de l'arte ha man che trema. |
|
76 |
Se la materia (nel momento
in cui subisce l’azione dei cieli) fosse nelle
condizioni migliori per essere plasmata e se il cielo si
trovasse al massimo della sua potenza formatrice, la
luce dell’impronta divina apparirebbe (nelle creature)
in tutto il SUO splendore; |
79 |
Però se 'l
caldo amor la chiara vista
de la prima virtù dispone e segna,
tutta la perfezion quivi s'acquista. |
|
79 |
ma la natura ( cioè la
causa seconda, che genera gli esseri inferiori) presenta
sempre questa luce in modo imperfetto, perché essa opera
come l’artista, che conosce la sua arte ma è incapace di
realizzare perfettamente ciò che ha in mente. |
|
Dopo il peccato originale la natura, come spiega il
Montanari, "è inferma, poiché, pur essendo ancora
perfetta in se, non ha più la puntuale sicurezza
d'azione che era connessa con l'integrità di Adamo, e
che andò perduta con l'integrità di questo. Le varie
parti della natura sono rimaste perfette, ma il loro
combinarsi è sfasato: soggetto ad imperfezioni ed
errori". Tuttavia se lo Spirito Santo dispone e imprime
(sulla creatura) la luce del Verbo che procede dal
Padre, allora in questa creatura si ottiene tutta la
perfezione possibile. |
82 |
Così fu
fatta già la terra degna
di tutta l'animal perfezïone;
così fu fatta la Vergine pregna; |
|
82 |
Così la terra (allorché Dio se ne servi
per formare il corpo di Adamo) fu un tempo resa degna di
accogliere tutta la perfezione possibile in un essere
animato; così (per opera dello Spirito Santo) fu
generato Cristo nel grembo della Vergine: |
|
Solo le creature che non sono generate dalle cause
seconde, cioè dai cieli, sono perfette ed eterne, perché
è la divina Trinità che opera direttamente la loro
creazione: così avvenne per Adamo e per Cristo (versi
82-84). |
85 |
sì ch'io
commendo tua oppinïone,
che l'umana natura mai non fue
né fia qual fu in quelle due persone. |
|
85 |
perciò io approvo la tua opinione, che
la natura umana non fu né sarà mai cosi perfetta come fu
in quelle due persone (Adamo e Cristo). |
|
La lezione entra nel vivo delle argomentazioni e il suo
scopo non sarà già di aprire un ulteriore divario tra la
credenza di Dante e la sentenza di San Tommaso, bensì di
conciliarle attraverso la convergenza di una realtà
molteplice nell'unità di Dio, come centro in tondo.
Subito s'innalza, in un lento moto a spirale, una delle
terzine più belle della poesia dottrinale di Dante:
contemplativa nel primo moto che abbraccia le cose
periture del mondo e le forme immortali, ma drammatica
nel segreto della genitura divina. Nella cantica della
luce, l'accento cade sullo splendore: la realtà è luce
dell'idea. Nella cantica dell'amore, la creazioni ne è
atto d'amore: l'amore è l'espressione della luce. La
luce è intrinseca alla vita divina del Padre, del Figlio
e dell'Amore che compie il "ternario " che solo amore e
luce ha per confine, come dirà un altro verso mirabile
(canto XXVIII, verso 54). In queste terzine Dante
riassume in una evidenza perfettamente armoniosa e
commossa le più alte proposizioni della teologia sul
mistero della creazione. La cosmografia della vita
registra la discesa d'atto in atto della luce divina ed
alla gerarchia delle nove sussistenze, dei nove cori
angelici, risponde il brulicare delle brevi contingenze
delle creature animali e vegetali e dei corpi
inorganici. Al tema della luce il Poeta fa ancora
ricorso allorché si tratta di spiegare la maggiore o
minore rispondenza fra la materia terrestre e l'influsso
celeste: e questo tema risale al punto dove volentieri
convergono le sue meditazioni, filosofiche, la dottrina
dell'arte: la natura opera come opera l'artista che ha
cognizione tecnica della sua creazione febbrile, ma ha
la mano tremante ( un altro paragrafo, questo, del nesso
stabilito fra natura ed arte, e tante volte ribattuto).
La conclusione del capitolo dottrinale riaccosta il
discorso alle due operazioni divine da cui aveva preso
inizio la meditazione: la perfetta creazione e la
perfetta redenzione, con le quali la natura umana ha
attinto - nelle due creature primogenite, Adamo e Cristo
- la sua perfezione. |
88 |
Or s'i' non
procedesse avanti piùe,
'Dunque, come costui fu sanza pare?'
comincerebber le parole tue. |
|
88 |
Ora se io non aggiungessi
altro, tu mi faresti subito questa domanda: "Dunque,
come mai costui (Salomone) non ebbe chi l’uguagliò (in
sapienza)?" |
91 |
Ma perché
paia ben ciò che non pare,
pensa chi era, e la cagion che 'l mosse,
quando fu detto "Chiedi", a dimandare. |
|
91 |
Ma affinché appaia chiaro
ciò che ancora non lo è, pensa quale era la condizione
di Salomone, e quale motivo lo spinse a domandare (la
sapienza), quando gli fu detto (da Dio) “Chiedi (ciò che
vuoi)“. |
|
Poco dopo che Salomone era succeduto al padre David sul
trono di Gerusalemme, Dio gli apparve in sogno e gli
domandò che cosa desiderasse ricevere da Lui. Salomone
chiese il dono della sapienza per poter discernere
rettamente il bene dal male e governare secondo
giustizia il proprio popolo (I Re III, 5,12). |
94 |
Non ho
parlato sì, che tu non posse
ben veder ch'el fu re, che chiese senno
acciò che re sufficïente fosse; |
|
94 |
Non ho parlato in modo
cosi oscuro, che tu non possa capire che egli fu il re
che chiese (a Dio) la saggezza per poter essere un
sovrano capace di adempiere il suo ufficio, |
97 |
non per
sapere il numero in che enno
li motor di qua sù, o se necesse
con contingente mai necesse fenno; |
|
97 |
non per
sapere quante sono le intelligenze motrici dei cieli, o
per conoscere se una premessa necessaria e una
contingente portano ad una conclusione necessaria; |
100 |
non si est
dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far si puote
trïangol sì ch'un retto non avesse. |
|
100 |
né per sapere
se è possibile (est) ammettere che esista
(nell’universo) un moto primo dal quale dipendono tutti
gli altri, o per conoscere se in un semicerchio si possa
iscrivere un triangolo che non sia rettangolo. |
103 |
Onde, se ciò
ch'io dissi e questo note,
regal prudenza è quel vedere impari
in che lo stral di mia intenzion percuote; |
|
103 |
Perciò, se esamini quello
che ho detto prima (cfr. canto X, verso 114) e ciò che
ho aggiunto ora, ( puoi capire che) quella sapienza che
non ebbe uguali, alla quale intendevo alludere, è la
sapienza che si addice a un re: |
106 |
e se al "surse"
drizzi li occhi chiari,
vedrai aver solamente respetto
ai regi, che son molti, e ' buon son rari. |
|
106 |
e se mediti con
mente non offuscata da preconcetti sul valore della
parola “sorse”, vedrai che essa si riferiva solo ai re,
che sono molti, pur essendo rari quelli che sanno ben
esercitare il loro ufficio. |
|
Dante opera in queste terzine una distinzione fra la
sapienza propria del re, che deve governare il suo
popolo secondo giustizia, e il sapere teologico, logico,
metafisico, geometrico: Salomone chiese a Dio la
saggezza politica e, in questo campo, non sorse il
secondo che lo potesse uguagliare. Il Poeta, proponendo
nei versi 97,102 una serie di problemi intorno ai quali
la mente umana si è affaticata inutilmente, sembra voler
rilevare polemicamente l'inutilità di quel sapere
scientifico che si volge a questioni oziose o assurde.
Cosi non è possibile conoscere il numero degli angeli,
perché essi sono 'innumerabili' (Convivio II, IV, 15):
così in un sillogismo, secondo le regole della logica di
Aristotile, la conseguenza deve essere implicita nella
premessa e il necessario non può essere nel contingente;
inoltre non esiste nel, l'universo un moto primo, non
determinato da alcun motore, perché " tutto il cielo in
tutte le sue parti, nei suoi moti e nei suoi motori, è
regolato da un unico moto quello del Primo Mobile, e da
un unico motore, che è Dio'' (Monarchia 1, IX, 2 );
infine, secondo la geometria di Euclide ogni triangolo
iscritto in un semicerchio deve avere un angolo retto. |
109 |
Con questa
distinzion prendi 'l mio detto;
e così puote star con quel che credi
del primo padre e del nostro Diletto. |
|
109 |
Interpreta le mie parole
con questa distinzione (fra uomini e re: Salomone fu il
più sapiente come re non come uomo); e così esse
potranno accordarsi con quello che tu credi intorno alla
sapienza di Adamo e di Cristo. |
112 |
E questo ti
sia sempre piombo a' piedi,
per farti mover lento com' uom lasso
e al sì e al no che tu non vedi: |
|
112 |
E questo (il dubbio che è
sorto in te per aver tratto frettolose conclusioni dalle
mie parole) ti insegni a procedere sempre con i piedi di
piombo, per andare cauto e lento come uomo affaticato e
nel negare ciò che non puoi distinguere chiaramente: |
115 |
ché quelli è
tra li stolti bene a basso,
che sanza distinzione afferma e nega
ne l'un così come ne l'altro passo; |
|
115 |
perché bene in basso nella
scala della stoltezza è colui che afferma e nega senza
fare le necessarie distinzioni sia nel caso che si debba
dire di si sia nel caso che si debba dire di no, |
118 |
perch' elli
'ncontra che più volte piega
l'oppinïon corrente in falsa parte,
e poi l'affetto l'intelletto lega. |
|
118 |
poiché accade che spesso
un giudizio affrettato inclini all’errore, e che poi
l’attaccamento (alla nostra opinione) non lasci più
libero l’intelletto (di ricredersi). |
121 |
Vie più che
'ndarno da riva si parte,
perché non torna tal qual e' si move,
chi pesca per lo vero e non ha l'arte. |
|
121 |
Colui che cerca nel mare
della verità e non conosce l’arte di farlo, si allontana
dalla riva più che inutilmente, perché non ritorna nella
condizione in cui era partito ( cioè: era partito in uno
stato di ignoranza, ritorna carico di errori, perché
crede cose false). |
124 |
E di ciò
sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
li quali andaro e non sapëan dove; |
|
124 |
E offrono al mondo chiara
testimonianza di questo fatto Parmenide, Melisso, e
Bryson e molti altri, i quali procedevano nella loro
ricerca senza rendersi conto delle conseguenze; |
|
Parmenide e Melisso furono due filosofi greci del V
secolo a. C., appartenenti alla scuola eleatica, i quali
furono accusati da Aristotile nel primo libro della
Metafisica di mancare di metodo nelle loro ricerche
(cfr. anche Monarchia III. IV, 4, dove Dante riporta
questo severo giudizio). Greco fu anche Bryson, il
quale, con il suo maestro Euclide, si interessò
soprattutto di problemi geometrici. |
127 |
sì fé
Sabellio e Arrio e quelli stolti
che furon come spade a le Scritture
in render torti li diritti volti. |
|
127 |
così fecero Sabellio e Ario e tutti
quegli eretici che falsano il significato delle
Scritture come colpi di spada sfigurano un bel volto. |
|
Molti interpreti offrono un'altra spiegazione a
proposito dei versi 128-129 "come spade che
restituiscono deformati i volti che vi si rispecchiano".
Sabellio, un eretico africano del III secolo, negò il
dogma della Trinità. Ario, vissuto ad Alessandria nel IV
secolo, rifiutò la divinità di Cristo e fondò la setta
eretica che da lui prese il nome di Arianesimo. |
130 |
Non sien le
genti, ancor, troppo sicure
a giudicar, sì come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature; |
|
130 |
Gli uomini non si
mostrino, inoltre troppo sicuri nel dare giudizi. come
colui che calcola il valore della messe quando è ancora
sul campo, prima che sia giunta a maturazione: |
133 |
ch'i' ho
veduto tutto 'l verno prima
lo prun mostrarsi rigido e feroce,
poscia portar la rosa in su la cima; |
|
133 |
perché io ho visto durante
tutto l’inverno il pruno apparire secco e spinoso, e poi
(in primavera) l’ho visto far sbocciare la rosa sulla
sua cima; |
136 |
e legno vidi
già dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino,
perire al fine a l'intrar de la foce. |
|
136 |
e vidi già una nave
percorrere sicura e veloce il mare per tutto il viaggio
che doveva compiere, e naufragare infine proprio
all’ingresso del porto. |
|
Prendendo spunto dall'errore di coloro che supponevano
Salomone dannato a causa dei suoi peccati (cfr. canto X,
versi 110-111), alla fine del canto si leva,
appassionata e concisa, un'esortazione agli uomini:
nessuno pretenda di giudicare intorno alla salvezza e
alla dannazione degli altri, perché la sorte eterna di
ciascuno è decisa solo dentro al consiglio divino. Il
tono dell'ultima parte della lezione è anch'esso
pratico: esortazione alla virtù della discrezione, che
si traduce sul piano teorico in capacità di distinzione,
e sul piano attivo in prudenza (per farti mover tento
com'uom lasso). E poiché c'è bisogno di un certo
sollievo, e il maestro accorto sa anche fare sorridere,
il discorso assume toni più distesi con l'immagine della
scala che misura i gradi di stoltezza e con quella di
chi pesca per lo vero e non ha l'arte della ricerca. A
mo' di consolazione, rifletta pure il discepolo ai tanti
illustri rappresentanti della storia della filosofia,
che pure errarono, e ai tanti eretici della storia della
Chiesa. Si accende infine la libertà della poesia
intorno all'immagine della rosa, del pruno e dell'eterno
rinascere della natura. Accanto ad esse ecco la mimica
dell'esperto che trae il pronostico del raccolto quando
il frumento è in erba e la ciarla proterva di monna
Berta e ser Martino, che pretendono di anticipare il
giudizio di Dio, mentre la nave corre ardita al suo
destino. |
139 |
Non creda
donna Berta e ser Martino,
per vedere un furare, altro offerere,
vederli dentro al consiglio divino; |
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139 |
Non credano donna Berta e
ser Martino (due nomi usati genericamente), per il fatto
di vedere uno rubare, un altro fare elemosine, di
poterli considerare come già giudicati da Dio, |
142 |
ché quel può
surgere, e quel può cadere». |
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142 |
perché quello può
riscattarsi dal peccato, e l’altro può perdersi”. |