1 |
«O sodalizio
eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il qual vi ciba
sì, che la vostra voglia è sempre piena, |
|
1 |
“O voi che siete stati scelti a
partecipare al grande convito in cui si offre come cibo
l’Agnello di Dio, il quale vi sazia con tanta
abbondanza, che ogni vostro desiderio resta sempre
appagato, |
|
La metafora del banchetto, per indicare il mistico
convito del paradiso, ricorre frequentemente nel Nuovo
Testamento (Luca XIV, 16 sgg.; Matteo XXII, 2 sgg.;
Apocalisse XIX, 9) ed è particolarmente cara a Dante,
che la ricorda più volte (Purgatorio XXXII, 75; Paradiso
XXX, 135 ) . L'invito al banchetto in cui sarà imbandito
Cristo, l'Agnello di Dio (Giovanni I, 29), è rivolto a
tutti i beati, ma in particolare agli apostoli, che
costituirono il primo sodalizio creato in terra da Gesù
per la diffusione della sua parola. |
4 |
se per
grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba, |
|
4 |
se, per grazia divina,
questi (Dante) pregusta le briciole che cadono dalla
vostra mensa, prima che la morte gli segni il termine
della sua vita mortale, |
7 |
ponete mente
a l'affezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa». |
|
7 |
considerate il suo immenso
desiderio (di partecipare al vostro convito) e
irroratelo alquanto (della sapienza che possedete): voi
attingete sempre dalla fontana della sapienza dalla
quale sgorga ciò a cui tende la sua mente.” |
|
La preghiera di Beatrice si conclude con un'espressione
liturgica ("Rorate coeli" è l'inno cantato nella
liturgia del tempo d'Avvento) e con l'immagine biblica
della divina fonte dalla quale sgorga la verità
(Giovanni IV, 14; Apocalisse VII, 14-17). |
10 |
Così
Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, volte, a guisa di comete. |
|
10 |
Cosi disse Beatrice; e quelle anime
gaudiose assunsero la forma di sfere ruotanti intorno ad
un’asse immobile, risplendendo, mentre si volgevano, con
la luminosità di comete. |
|
Il Vandelli spiega diversamente: "si disposero in più
circoli, giranti a mo' di sfere le quali girassero sul
proprio asse, senza però spostarsi dal luogo ove sono,
in quanto sono fisse le estremità dell'asse (poli) .
Il Mattalia ritiene che il movimento delle anime sia
"duplice e combinato": "movimento di rotazione su se
stesse, a guisa di sfera sul proprio asse; e movimento,
collettivo, di traslazione in circolo". |
13 |
E come
cerchi in tempra d'orïuoli
si giran sì, che 'l primo a chi pon mente
quïeto pare, e l'ultimo che voli; |
|
13 |
E come le ruote nel meccanismo (tempra:
letteralmente significa “ armonico accordo di suoni”)
degli orologi girano con diversa velocità in modo che, a
chi le osserva, la prima appare ferma, e l’ultima sembra
volare, |
|
Per un'errata impressione visiva la ruota interna e più
piccola, generatrice e regolatrice del movimento
dell'orologio, sembra immobile al confronto di quella
esterna e più grande, alla quale ha comunicato il
movimento. |
16 |
così quelle
carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente. |
|
16 |
così quelle corone d’anime
che danzavano girando con moto diverso, mi facevano
valutare, in proporzione alla loro maggiore e minore
velocità il loro grado di beatitudine. |
19 |
Di quella
ch'io notai di più carezza
vid' ïo uscire un foco sì felice,
che nullo vi lasciò di più chiarezza; |
|
19 |
Dalla corona
che mi appariva più bella (perché, come spiega il Buti.
“era quella degli apostoli e discepoli di Cristo”) vidi
uscire una luce cosi splendente di beatitudine, che non
lasciò, nella corona stessa, nessun’altra luce più
fulgida; |
22 |
e tre fïate
intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo,
che la mia fantasia nol mi ridice. |
|
22 |
e tre volte girò intorno a Beatrice con un canto così
divino (per contenuto e melodia), che la mia
immaginazione non è in grado di ripetermelo. |
25 |
Però salta
la penna e non lo scrivo:
ché l'imagine nostra a cotai pieghe,
non che 'l parlare, è troppo color vivo. |
|
25 |
Perciò la mia penna passa oltre e rinuncio a
descriverlo, perché non solo la nostra parola, ma anche
la nostra fantasia possiede mezzi inadeguati per
esprimere la bellezza di quel canto. |
|
Per meglio spiegare la sua affermazione solo colori
sfumati e una sensibilità particolare potrebbero
permettere al Poeta di accostarsi a questo mondo di
sovrumane dolcezze - Dante si serve di una metafora
desunta dal linguaggio e dalla tecnica della pittura,
ricordando che il pittore nei drappeggi ha bisogno
dell'uso sapiente di tutte le sfumature del chiaroscuro. |
28 |
«O santa
suora mia che sì ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe». |
|
28 |
“O mia santa sorella nella
gloria celeste, che ci preghi così devotamente, con la
forza della tua carità mi costringi a staccarmi da
quella bella corona di beati.“ |
31 |
Poscia
fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzò lo spiro,
che favellò così com' i' ho detto. |
|
31 |
Poi, fermatasi, la luce
benedetta rivolse la parola alla mia donna, dicendo ciò
che ho riferito. |
34 |
Ed ella: «O
luce etterna del gran viro
a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
ch'ei portò giù, di questo gaudio miro, |
|
34 |
Ed ella: “O luce eterna di
quel grande uomo al quale il Signore nostro affidò le
chiavi della mirabile beatitudine del paradiso che Egli
aveva portato in terra, |
37 |
tenta costui
di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi. |
|
37 |
esamina costui, a tuo
piacere, sulle questioni secondarie e fondamentali
riguardanti la fede, quella virtù che ti fece camminare
sulle acque del mare. |
|
Nel momento in cui il Poeta lo presenta direttamente,
San Pietro, il grande apostolo della fede cristiana,
viene indicato ancora (cfr. canto XXIII, verso 139)
attraverso il suo attributo fondamentale, quello di
custode delle chiavi del regno dei cieli aperto da
Cristo con la sua Incarnazione e la sua Passione ( versi
35-36).
Nei versi 37-39 Dante allude ad un episodio evangelico
(Matteo XIV, 25 sgg.). Cristo apparve camminando sulle
acque ai suoi discepoli che pescavano nel mare di
Galilea. Pietro, per essere certo che si trattasse
veramente di Gesù, chiese di potergli andare incontro
camminando anch'egli sull'acqua. "Ed Egli: "Vieni", gli
disse. Allora Pietro, sceso di barca, cominciò a
camminare sulle acque..." Ma levatosi il vento e temendo
di annegare, invocò aiuto e Gesù lo rimproverò per la
sua poca fede. Tuttavia "qui, a lode di Lui, Beatrice
ricorda solo il primo e vero impulso di fede". (Torraca) |
40 |
S'elli ama
bene e bene spera e crede,
non t'è occulto, perché 'l viso hai quivi
dov' ogne cosa dipinta si vede; |
|
40 |
Tu non ignori se egli
possiede bene la carità e la speranza e la fede, perché
il tuo sguardo è rivolto a Dio, nel quale i beati vedono
ogni cosa come in uno specchio; |
43 |
ma perché
questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a glorïarla,
di lei parlare è ben ch'a lui arrivi». |
|
43 |
ma poiché il regno celeste
ha acquistato cittadini in virtù della vera fede, per
glorificarla è bene che a costui (Dante) sia offerta
l’occasione di parlare di essa”. |
|
Alla gloria dell'Empireo e alla visione di Dio il Poeta
accederà solo dopo il rigoroso accertamento della
saldezza e dell'ortodossia della sua dottrina teologica,
e dell'intensità e della profondità del suo sentimento
religioso. Per questo, mentre nel cielo ottavo si
ripercuote ancora l'eco del trionfo di Cristo e della
Vergine, Dante, alla presenza di tutti i beati, sarà
interrogato sulle tre virtù teologali - fede, speranza,
carità, e sul loro rapporto di dipendenza dagli apostoli
- Pietro, Giacomo, Giovanni. Essi, secondo il pensiero
medievale, si distinsero nell'esercizio di quelle virtù
che, sole, permettono all'uomo l'ingresso nel regno dei
cieli. I canti XXIV, XXV e XXVI, ciascuno dedicato alla
trattazione di una virtù, intesa come "viva carità di
sapienza" ( Montanari ), la quale garantisce alla
umanità che la vita terrena ha un fine trascendente,
quello di raggiungere Dio, sono i canti del trionfo
della "suprema verità che c'è, assoluta e totale, anche
quando l'uomo deve inchinarsi di fronte al mistero"
(Montanari). Ma questi sono anche i canti del trionfo di
Dante, non solo perché dopo la consacrazione, da parte
di Cacciaguida, della sua missione di poeta, riceve ora
la consacrazione della sua dottrina morale e religiosa -
base e contenuto di quella missione - ma perché ogni sua
forza è impegnata in una poderosa opera di sintesi
teologica. Per il lettore moderno questa specie di esame
può essere una cosa inadeguata, troppo esterna per farci
intendere il sentimento e l'animo del pellegrino che si
accosta a Dio. Nello stesso tempo qui la poesia sembra
ridursi in qualche modo alla trascrizione di una disputa
scolastica priva di caratteri emotivi. Ma anche in
questo caso si tratta di tener conto di un'altra
mentalità e di riportarsi con la nostra sensibilità
storica al modo di sentire del tempo di Dante. Ci si può
rendere conto allora che agli occhi del Poeta e a quelli
del lettore medievale la scena del credente che si trova
alla presenza di San Pietro e deve rispondere sulla
essenza della fede è una scena altamente ricca di
emozione... una grande emozionante prova. Questi canti
in cui è detto del grande passo che il pellegrino deve
superare per entrare nella luce del più alto vero e
dell'amore erano per Dante fra i più ricchi di emozione
e più drammatici della sua storia... Il pellegrino
deve... dichiarare le basi del suo credo, le ragioni
ultime della propria fede. Egli è personalmente
impegnato; deve dire non quale è in generale il
fondamento su cui poggia la fede. ma su che cosa " egli
" personalmente ha fondato la sua speranza. La sua
risposta ha un'enorme importanza è la risposta di Dante,
I'uomo ammesso per una straordinaria grazia alla visione
diretta di Dio." (Montano) |
46 |
Sì come il
baccialier s'arma e non parla
fin che 'l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla, |
|
46 |
Come il baccelliere, in attesa che il
maestro proponga la questione, prepara le sue
argomentazioni, senza parlare ancora, per addurre prove
a favore della sua tesi, non per trarne le conclusioni, |
|
Il baccellierato era il primo grado accademico nelle
scuole teologiche e il suo conseguimento permetteva
l'accesso al dottorato vero e proprio e la
partecipazione alle discussioni. Lo schema consueto
dell'esame era il seguente: il maestro proponeva una
questione allo scolaro, che la svolgeva adducendo le
prove a sostegno della sua tesi e difendendola contro le
obiezioni di coloro che intervenivano nella discussione.
La fase conclusiva dell'esame spettava solo al maestro,
il quale ricapitolava le tesi a favore e contro la
questione, offrendo una sistemazione definitiva
dell'argomento. Il baccelliere, dunque, "approva" ( cioè
presenta le prove che avvalorano la sua tesi), ma è il
maestro che "termina" la discussione (verso 48). |
49 |
così
m'armava io d'ogne ragione
mentre ch'ella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione. |
|
49 |
così,
mentre Beatrice parlava, io mi preparavo intorno ad ogni
problema, per essere pronto a rispondere a un tale
esaminatore (quale era San Pietro) e a una tale
professione (quale è quella della fede). |
52 |
«Dì, buon
Cristiano, fatti manifesto:
fede che è?». Ond' io levai la fronte
in quella luce onde spirava questo; |
|
52 |
“Dimmi, o buon cristiano, mostra (con le tue parole)
quello che sei che cosa è la fede?” Per questo sollevai
il viso verso la luce dalla quale provenivano queste
parole; |
55 |
poi mi volsi
a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch' ïo spandessi
l'acqua di fuor del mio interno fonte. |
|
55 |
poi
mi rivolsi a Beatrice, ed ella mi fece prontamente cenno
di esprimere il mio pensiero |
58 |
«La Grazia
che mi dà ch'io mi confessi»,
comincia' io, «da l'alto primipilo,
faccia li miei concetti bene espressi». |
|
58 |
“La
grazia divina che mi concede di fare la mia professione
di fede” comincia’ a dire “di fronte al suo primo
campione, mi aiuti ad esprimere con chiarezza il mio
pensiero.” |
|
Primopilo (primipilus in latino) era, nell'esercito
romano, il centurione della prima schiera dei triari,
che costituivano le truppe di riserva. Ma Dante,
probabilmente, ha presente la spiegazione offerta da
Isidoro di Siviglia nelle sue Ethymologiae, dove
primipilus è colui che portava l'imbandiera e lanciava
il primo colpo di battaglia. |
61 |
E seguitai:
«Come 'l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo caro frate
che mise teco Roma nel buon filo, |
|
61 |
E continuai: “Come ci ha
lasciato scritto la veritiera penna di San Paolo, colui
che, o padre, ti fu compagno nell’avviare Roma sul retto
cammino, |
64 |
fede è
sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate». |
|
64 |
la fede è il fondamento
delle cose che speriamo di conseguire nella vita eterna
ed è prova per credere alle cose che non vediamo; e
questa mi sembra la sua essenza”. |
|
Dante traduce fedelmente la definizione Paolina
contenuta nell'Epistola agli Ebrei (XI, I): Est autem
fides sperandarum substantia rerum, argumentum non
apparentium" [la fede è il fondamento di ciò che
speriamo e la prova delle cose che non vediamo].
L'affermazione di San Paolo fu poi ampiamente svolta da
San Tommaso (Summa Theologica II, II, IV, 1). |
67 |
Allora udi':
«Dirittamente senti,
se bene intendi perché la ripuose
tra le sustanze, e poi tra li argomenti». |
|
67 |
Allora udii queste parole:
“Tu pensi rettamente, se comprendi bene perché (San
Paolo) definì la fede prima come “sostanza” e poi come
“argomento”. |
70 |
E io
appresso: «Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza,
a li occhi di là giù son sì ascose, |
|
70 |
Ed io di rimando: “I
profondi misteri che qui in cielo mi si rivelano, sono
così nascosti agli occhi dei mortali, |
73 |
che l'esser
loro v'è in sola credenza,
sopra la qual si fonda l'alta spene;
e però di sustanza prende intenza. |
|
73 |
che (in terra) la loro
esistenza è ammessa solo per un atto di fede, sul quale
si fonda la speranza della beatitudine eterna; e perciò
la fede assume la denominazione di “sostanza”
(fondamento sostanziale delle cose sperate). |
|
L'uomo solo per fede può apprendere le principali verità
del Cristianesimo, e saranno queste verità che
schiuderanno l'accesso alla vita eterna, dove la
conoscenza di quei misteri gli sarà, nei limiti permessi
da Dio, rivelata. |
76 |
E da questa
credenza ci convene
silogizzar, sanz' avere altra vista:
però intenza d'argomento tene». |
|
76 |
E da questa fede, senza l’aiuto di
altre prove, dobbiamo dedurre e dimostrare per via di
ragionamento tutte le verità; perciò la fede assume la
denominazione di “argomento” (prova delle cose non
parventi”. |
|
In questa terzina Dante presenta la proprietà essenziale
della teologia, che è quella di prendere come punto di
partenza la Rivelazione e di dimostrare ogni verità
basandosi sulla fede. |
79 |
Allora udi':
«Se quantunque s'acquista
giù per dottrina, fosse così 'nteso,
non lì avria loco ingegno di sofista». |
|
79 |
Allora udii queste parole: “Se tutto
ciò che in terra si apprende per via di insegnamento,
fosse compreso con tanta chiarezza, non ci sarebbe posto
per discussioni da sofisti”. |
|
Ingegno di sofista:
indica ogni falsa e cavillosa argomentazione, usando il
termine sofista (i sopisti, noti per la complessità
delle loro disquisizioni, esercitarono la professione di
oratori nella Grecia del V sec. a. C.) nella sua
significazione più negativa. |
82 |
Così spirò
di quello amore acceso;
indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
d'esta moneta già la lega e 'l peso; |
|
82 |
Tali parole uscirono da
quello spirito ardente di carità; poi soggiunse: “Ormai
hai esaminato molto bene la lega e il peso di questa
moneta (la fede); |
85 |
ma dimmi se
tu l'hai ne la tua borsa».
Ond' io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
che nel suo conio nulla mi s'inforsa». |
|
85 |
ma ora dimmi se tu la
possiedi ”. Per cui io: “Si, la possiedo, così lucente
(per la bontà della sua lega) e così rotonda (e quindi
integra nel suo peso, perché non consumata sui bordi),
che riguardo al suo conio non c’è nulla che possa
costituire per me motivo di dubbio”. |
88 |
Appresso
uscì de la luce profonda
che lì splendeva: «Questa cara gioia
sopra la quale ogne virtù si fonda, |
|
88 |
Poi udii queste parole dal
profondo di quella luce che li splendeva: “ Questa gemma
preziosa (la fede), che è fondamento di tutte le altre
virtù, |
|
La fede, infatti, è la salda base delle altre virtù
teologali - la speranza e la carità (San Tommaso - Summa
Theologica II, II, V, 7: San Paolo, Epistola ai Romani
XIV, 23; Epistola agli Ebrei XI, 6) - e per mezzo di
essa le virtù naturali acquistano valore sovrannaturale. |
91 |
onde ti
venne?». E io: «La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch'è diffusa
in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia, |
|
91 |
da chi e in che modo ti fu
donata?” Ed io: “L’abbondante pioggia (della divina
ispirazione) che dallo Spirito Santo scende sui libri
del Vecchio e del Nuovo Testamento (in su le vecchie e
‘n su le nuove cuoia: il termine cuoia indica qui le
pergamene usate per fare i libri), |
94 |
è silogismo
che la m'ha conchiusa
acutamente sì, che 'nverso d'ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa». |
|
94 |
è un argomento che mi ha
dimostrato la certezza e la necessità della fede con
tanta efficacia, che ogni altra dimostrazione mi sembra
debole al suo confronto”. |
|
Fondamento della fede è l'autorità della Sacra
Scrittura, direttamente ispirata dallo Spirito Santo,
per cui ciò che in essa è affermato (cioè i principali
misteri: l'esistenza di Dio, l'Incarnazione e la
Passione di Cristo ecc.) l'uomo crede senza alcuna
dimostrazione. |
97 |
Io udi' poi:
«L'antica e la novella
proposizion che così ti conchiude,
perché l'hai tu per divina favella?». |
|
97 |
Io poi udii: “L’Antico e il Nuovo
Testamento che ti portano a questa conclusione, per
quali ragioni li consideri ispirati da Dio?”. |
|
Il sillogismo, nella metodologia scolastica, è lo
schema-base di ogni procedimento ragionativo ed è
costituito da due premesse o "proposizioni" e dalla
conclusione. ovviamente condizionata dalla validità
delle premesse. Nella metafora dantesca le due premesse
sono l'Antico e il Nuovo Testamento e la conclusione è
la fede. |
100 |
E io: «La
prova che 'l ver mi dischiude,
son l'opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai né batte incude». |
|
100 |
Ed io: “La prova che mi dimostra questa
verità sono i miracoli avvenuti, per i quali la natura è
nelle stesse condizioni di un fabbro che ha materia e
mezzi limitati”. |
|
Se le Sacre Scritture sono il fondamento della fede
perché sono ispirate da Dio, che cosa assicura l'uomo
che esse siano veramente di origine divina?
All'obiezione di San Pietro, Dante risponde che la
presenza di fatti miracolosi e sovrannaturali testimonia
l'intervento di un principio trascendente la realtà
naturale (cfr. Convivio III, VII, 16). |
103 |
Risposto
fummi: «Dì, chi t'assicura
che quell' opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura». |
|
103 |
San Pietro mi rispose: “Dimmi, chi ti
assicura che quei miracoli siano realmente accaduti? Te
lo attesta proprio e soltanto quel libro (la Sacra
Scrittura ) di cui si vuole dimostrare (appunto per
mezzo dei miracoli) la divina ispirazione, e non altre
fonti”. |
|
Il maestro prospetta al discepolo l'inefficienza della
sua dimostrazione: prima ha sostenuto di credere nelle
Scritture in base ai miracoli di cui esse offrono ampia
testimonianza, ora afferma di credere alla validità di
quei miracoli perché sono raccontati dalle Scritture. |
106 |
«Se 'l mondo
si rivolse al cristianesmo»,
diss' io, «sanza miracoli, quest' uno
è tal, che li altri non sono il centesmo: |
|
106 |
“Se il mondo si è convertito al
Cristianesimo” dissi “senza miracoli, questo è un tale
miracolo, che tutti gli altri insieme non sono che la
centesima parte di esso; |
|
L'argomento che Dante presenta in questo momento per
uscire dal circolo vizioso in cui l'hanno rinchiuso le
logicissime obiezioni del principe degli apostoli, è
stato proposto da Sant'Agostino (De Civitate Dei XXII,
5) e ripreso da San Tommaso (Contra Gentiles I, 6).
Ammettiamo pure che i miracoli, che testimoniano la
divina ispirazione della Bibbia, non siano avvenuti e
che il Cristianesimo si sia affermato senza l'aiuto di
essi, basandosi solo sulla predicazione e sui suoi dogmi
indimostrabili: la rapida diffusione della parola
cristiana, che imponeva agli uomini di credere al
mistero e di adottare nuove, severe leggi morali,
costituisce, di per se, un miracolo sufficiente a
dimostrare, pur senza l'aiuto di altri miracoli, che la
nuova fede era frutto della Grazia e non di motivi umani
o naturali. |
109 |
ché tu
intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
che fu già vite e ora è fatta pruno». |
|
109 |
perché tu vivendo nella povertà e nella
penitenza incominciasti la tua opera di predicazione
della fede cristiana, che un tempo fu fruttifera ed ora
è diventata uno sterpo sterile”. |
|
Un'esemplificazione pratica sviluppa il concetto dei
versi 106-108, perché il miracolo della diffusione del
Cristianesimo nasce proprio dall' " incredibile
sproporzione tra i mezzi e il fine conseguito, tra il
punto di partenza e il punto d'arrivo". (Mattalia) |
112 |
Finito
questo, l'alta corte santa
risonò per le spere un 'Dio laudamo'
ne la melode che là sù si canta. |
|
112 |
Appena ebbi pronunciate queste parole,
l’alta corte dei beati disposti in corone ruotanti
intonò il cantico “Ti lodiamo, o Dio ” con quella dolce
melodia che è propria delle anime del paradiso. |
|
A celebrazione del trionfo della fede in terra e in
ringraziamento per il felice esito dell'esame di Dante e
per la sua professione di fede, tutti i beati intonano
il "Te Deum laudamus", I'inno liturgico di lode e di
ringraziamento. |
115 |
E quel baron
che sì di ramo in ramo,
essaminando, già tratto m'avea,
che a l'ultime fronde appressavamo, |
|
115 |
E San Pietro che,
esaminandomi, di domanda in domanda, mi aveva ormai
condotto fino al punto conclusivo dell’esame, |
118 |
ricominciò:
«La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca t'aperse
infino a qui come aprir si dovea, |
|
118 |
ricominciò: “La grazia
divina, che con il suo amore guida (donnea: termine
provenzale, usato nella lirica amorosa, per “amoreggiare
”) la tua mente, ti ha fatto dire finora quello che era
giusto dire, |
121 |
sì ch'io
approvo ciò che fuori emerse;
ma or convien espremer quel che credi,
e onde a la credenza tua s'offerse». |
|
121 |
così che io approvo ciò
che tu hai dichiarato: ma ora è necessario esprimere
l’oggetto della tua fede, e da quale fonte hai attinto
la tua credenza”. |
124 |
«O santo
padre, e spirito che vedi
ciò che credesti sì, che tu vincesti
ver' lo sepulcro più giovani piedi», |
|
124 |
“O padre santo, spirito
che (ora) contempli ciò che ( in terra ) hai creduto
(senza aver visto) così che, correndo verso il sepolcro
(di Cristo) superasti chi, per giovinezza, correva più
veloce di te”, |
|
Alla notizia che il sepolcro di Cristo era vuoto, Pietro
e Giovanni vi si diressero di corsa e l'apostolo
Giovanni, più giovane del compagno, arrivò per primo.
Tuttavia non essendo certo dell'avvenuta risurrezione,
rimase esitante sulla soglia, mentre Pietro, più sicuro
nella sua fede, vi entrò subito, precedendolo (Giovanni
XX, 3-9; cfr. anche Monarchia III, IX, 16). |
127 |
comincia'
io, «tu vuo' ch'io manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti. |
|
127 |
io cominciai a dire, “tu
vuoi che io qui manifesti la sostanza ( forma: è termine
della filosofia scolastica) della mia fede, che è
sicura, e mi hai anche chiesto di esprimere i motivi (di
questa mia pronta adesione alle verità) della fede. |
130 |
E io
rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,
non moto, con amore e con disio; |
|
130 |
E rispondo: Io credo in un
Dio unico ed eterno, che, senza essere mosso da nulla,
imprime il movimento a tutti i cieli, accendendo in essi
l’amore e il desiderio di Sé. |
|
Il primo articolo del Credo cattolico è interpretato con
alcune affermazioni della Scolastica, secondo il
procedimento già adottato nella parafrasi del Pater
Noster (Purgatorio XI, I sgg.): Dio, unico ed eterno, è
il Motore immobile che muove tutto l'universo,
imprimendovi amore e disio (cfr. Paradiso 1, 76-78;
XXXIII, 143-145). |
133 |
e a tal
creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verità che quinci piove |
|
133 |
E per credere
nell’esistenza di Dio non ho soltanto prove fisiche e
metafisiche, ma mi dà questa fede anche la rivelazione
divina che discende dal cielo |
136 |
per Moïsè,
per profeti e per salmi,
per l'Evangelio e per voi che scriveste
poi che l'ardente Spirto vi fé almi; |
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136 |
attraverso Mosé,
attraverso i profeti e i salmi, attraverso il Vangelo e
attraverso voi apostoli, che scriveste dopo che lo
Spirito Santo (disceso su di voi nella Pentecoste) vi
rese santi. |
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Le prove dell'esistenza di Dio in campo scientifico e
speculativo sono offerte dai teologi (cfr. San Tommaso,
Summa Theologica I, II, 3; Contra Gentiles I, 12), ma ad
esse occorre affiancare quelle della Bibbia, perché gli
agiografi scrissero sotto la diretta assistenza dello
Spirito Santo. Nel verso 136 Dante presenta l'Antico
Testamento nella divisione tradizionale: i libri del
Pentateuco ( per Moisè), i libri storici e profetici
(per profeti) e i libri didattici (per salmi). Il Nuovo
Testamento viene ricordato attraverso i quattro Vangeli
e gli apostoli che furono autori degli altri libri
(Atti, Epistole, Apocalisse ). |
139 |
e credo in
tre persone etterne, e queste
credo una essenza sì una e sì trina,
che soffera congiunto 'sono' ed 'este'. |
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139 |
E credo in tre persone
eterne (Padre, Figlio, Spirito Santo), e credo che esse
formino una sostanza così una e trina, che ammetta l’uso
nello stesso tempo della terza persona plurale (“sono )
e della terza persona singolare (“este”). |
142 |
De la
profonda condizion divina
ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
più volte l'evangelica dottrina. |
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142 |
Il vangelo in
più punti mi imprime nella mente la certezza di questa
misteriosa natura di Dio ( uno e trino). |
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Il mistero della Trinità é affermato in molti passi
evangelici (Matteo XXVIII, 19; Giovanni XIV, 16 e 26; II
Epistola ai Corinti XIII, 13; I Epistola di Pietro 1, 2;
I Epistola di Giovanni V, 7). |
145 |
Quest' è 'l
principio, quest' è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla». |
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145 |
Questa mia fede
nell’esistenza di Dio uno e trino è il principio (da cui
derivano tutti gli articoli della fede) simile alla
favilla che si dilata poi in viva fiamma, e risplende
nel mio animo come una stella in cielo”. |
148 |
Come 'l
segnor ch'ascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo, gratulando
per la novella, tosto ch'el si tace; |
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148 |
Come il signore che
ascolta una notizia gradita e poi abbraccia il servo,
rallegrandosi per la notizia (che gli ha comunicato),
non appena questo ha finito di parlare, |
151 |
così,
benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, sì com' io tacqui,
l'appostolico lume al cui comando |
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151 |
così, mentre mi benediceva
e cantava, per tre volte girò intorno a me, quando
rimasi in silenzio, il lume dell’apostolo al cui comando |
154 |
io avea
detto: sì nel dir li piacqui! |
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154 |
avevo fatto la mia
professione di fede; a tal punto gli era piaciuto ciò
che avevo dichiarato!. |