IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

DIVINA COMMEDIA

PARADISO

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 DIVINA COMMEDIA: PARAFRASI PARADISO CANTO XXIV°

1 «O sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il qual vi ciba
sì, che la vostra voglia è sempre piena,
  1

“O voi che siete stati scelti a partecipare al grande convito in cui si offre come cibo l’Agnello di Dio, il quale vi sazia con tanta abbondanza, che ogni vostro desiderio resta sempre appagato,

  La metafora del banchetto, per indicare il mistico convito del paradiso, ricorre frequentemente nel Nuovo Testamento (Luca XIV, 16 sgg.; Matteo XXII, 2 sgg.; Apocalisse XIX, 9) ed è particolarmente cara a Dante, che la ricorda più volte (Purgatorio XXXII, 75; Paradiso XXX, 135 ) . L'invito al banchetto in cui sarà imbandito Cristo, l'Agnello di Dio (Giovanni I, 29), è rivolto a tutti i beati, ma in particolare agli apostoli, che costituirono il primo sodalizio creato in terra da Gesù per la diffusione della sua parola.
4 se per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba,
  4 se, per grazia divina, questi (Dante) pregusta le briciole che cadono dalla vostra mensa, prima che la morte gli segni il termine della sua vita mortale,
7 ponete mente a l'affezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa».
  7 considerate il suo immenso desiderio (di partecipare al vostro convito) e irroratelo alquanto (della sapienza che possedete): voi attingete sempre dalla fontana della sapienza dalla quale sgorga ciò a cui tende la sua mente.”
  La preghiera di Beatrice si conclude con un'espressione liturgica ("Rorate coeli" è l'inno cantato nella liturgia del tempo d'Avvento) e con l'immagine biblica della divina fonte dalla quale sgorga la verità (Giovanni IV, 14; Apocalisse VII, 14-17).
10 Così Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, volte, a guisa di comete.
  10

Cosi disse Beatrice; e quelle anime gaudiose assunsero la forma di sfere ruotanti intorno ad un’asse immobile, risplendendo, mentre si volgevano, con la luminosità di comete.

  Il Vandelli spiega diversamente: "si disposero in più circoli, giranti a mo' di sfere le quali girassero sul proprio asse, senza però spostarsi dal luogo ove sono, in quanto sono fisse le estremità dell'asse (poli) .
Il Mattalia ritiene che il movimento delle anime sia "duplice e combinato": "movimento di rotazione su se stesse, a guisa di sfera sul proprio asse; e movimento, collettivo, di traslazione in circolo".
13 E come cerchi in tempra d'orïuoli
si giran sì, che 'l primo a chi pon mente
quïeto pare, e l'ultimo che voli;
  13

E come le ruote nel meccanismo (tempra: letteralmente significa “ armonico accordo di suoni”) degli orologi girano con diversa velocità in modo che, a chi le osserva, la prima appare ferma, e l’ultima sembra volare,

  Per un'errata impressione visiva la ruota interna e più piccola, generatrice e regolatrice del movimento dell'orologio, sembra immobile al confronto di quella esterna e più grande, alla quale ha comunicato il movimento.
16 così quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.
  16 così quelle corone d’anime che danzavano girando con moto diverso, mi facevano valutare, in proporzione alla loro maggiore e minore velocità il loro grado di beatitudine.
19 Di quella ch'io notai di più carezza
vid' ïo uscire un foco sì felice,
che nullo vi lasciò di più chiarezza;
  19 Dalla corona che mi appariva più bella (perché, come spiega il Buti. “era quella degli apostoli e discepoli di Cristo”) vidi uscire una luce cosi splendente di beatitudine, che non lasciò, nella corona stessa, nessun’altra luce più fulgida;
22 e tre fïate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo,
che la mia fantasia nol mi ridice.
  22 e tre volte girò intorno a Beatrice con un canto così divino (per contenuto e melodia), che la mia immaginazione non è in grado di ripetermelo.
25 Però salta la penna e non lo scrivo:
ché l'imagine nostra a cotai pieghe,
non che 'l parlare, è troppo color vivo.
  25 Perciò la mia penna passa oltre e rinuncio a descriverlo, perché non solo la nostra parola, ma anche la nostra fantasia possiede mezzi inadeguati per esprimere la bellezza di quel canto.
  Per meglio spiegare la sua affermazione solo colori sfumati e una sensibilità particolare potrebbero permettere al Poeta di accostarsi a questo mondo di sovrumane dolcezze - Dante si serve di una metafora desunta dal linguaggio e dalla tecnica della pittura, ricordando che il pittore nei drappeggi ha bisogno dell'uso sapiente di tutte le sfumature del chiaroscuro.
28 «O santa suora mia che sì ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe».
  28 “O mia santa sorella nella gloria celeste, che ci preghi così devotamente, con la forza della tua carità mi costringi a staccarmi da quella bella corona di beati.“
31 Poscia fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzò lo spiro,
che favellò così com' i' ho detto.
  31 Poi, fermatasi, la luce benedetta rivolse la parola alla mia donna, dicendo ciò che ho riferito.
34 Ed ella: «O luce etterna del gran viro
a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
ch'ei portò giù, di questo gaudio miro,
  34 Ed ella: “O luce eterna di quel grande uomo al quale il Signore nostro affidò le chiavi della mirabile beatitudine del paradiso che Egli aveva portato in terra,
37 tenta costui di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi.
  37 esamina costui, a tuo piacere, sulle questioni secondarie e fondamentali riguardanti la fede, quella virtù che ti fece camminare sulle acque del mare.
  Nel momento in cui il Poeta lo presenta direttamente, San Pietro, il grande apostolo della fede cristiana, viene indicato ancora (cfr. canto XXIII, verso 139) attraverso il suo attributo fondamentale, quello di custode delle chiavi del regno dei cieli aperto da Cristo con la sua Incarnazione e la sua Passione ( versi 35-36).
Nei versi 37-39 Dante allude ad un episodio evangelico (Matteo XIV, 25 sgg.). Cristo apparve camminando sulle acque ai suoi discepoli che pescavano nel mare di Galilea. Pietro, per essere certo che si trattasse veramente di Gesù, chiese di potergli andare incontro camminando anch'egli sull'acqua. "Ed Egli: "Vieni", gli disse. Allora Pietro, sceso di barca, cominciò a camminare sulle acque..." Ma levatosi il vento e temendo di annegare, invocò aiuto e Gesù lo rimproverò per la sua poca fede. Tuttavia "qui, a lode di Lui, Beatrice ricorda solo il primo e vero impulso di fede". (Torraca)
40 S'elli ama bene e bene spera e crede,
non t'è occulto, perché 'l viso hai quivi
dov' ogne cosa dipinta si vede;
  40 Tu non ignori se egli possiede bene la carità e la speranza e la fede, perché il tuo sguardo è rivolto a Dio, nel quale i beati vedono ogni cosa come in uno specchio;
43 ma perché questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a glorïarla,
di lei parlare è ben ch'a lui arrivi».
  43 ma poiché il regno celeste ha acquistato cittadini in virtù della vera fede, per glorificarla è bene che a costui (Dante) sia offerta l’occasione di parlare di essa”.
  Alla gloria dell'Empireo e alla visione di Dio il Poeta accederà solo dopo il rigoroso accertamento della saldezza e dell'ortodossia della sua dottrina teologica, e dell'intensità e della profondità del suo sentimento religioso. Per questo, mentre nel cielo ottavo si ripercuote ancora l'eco del trionfo di Cristo e della Vergine, Dante, alla presenza di tutti i beati, sarà interrogato sulle tre virtù teologali - fede, speranza, carità, e sul loro rapporto di dipendenza dagli apostoli - Pietro, Giacomo, Giovanni. Essi, secondo il pensiero medievale, si distinsero nell'esercizio di quelle virtù che, sole, permettono all'uomo l'ingresso nel regno dei cieli. I canti XXIV, XXV e XXVI, ciascuno dedicato alla trattazione di una virtù, intesa come "viva carità di sapienza" ( Montanari ), la quale garantisce alla umanità che la vita terrena ha un fine trascendente, quello di raggiungere Dio, sono i canti del trionfo della "suprema verità che c'è, assoluta e totale, anche quando l'uomo deve inchinarsi di fronte al mistero" (Montanari). Ma questi sono anche i canti del trionfo di Dante, non solo perché dopo la consacrazione, da parte di Cacciaguida, della sua missione di poeta, riceve ora la consacrazione della sua dottrina morale e religiosa - base e contenuto di quella missione - ma perché ogni sua forza è impegnata in una poderosa opera di sintesi teologica. Per il lettore moderno questa specie di esame può essere una cosa inadeguata, troppo esterna per farci intendere il sentimento e l'animo del pellegrino che si accosta a Dio. Nello stesso tempo qui la poesia sembra ridursi in qualche modo alla trascrizione di una disputa scolastica priva di caratteri emotivi. Ma anche in questo caso si tratta di tener conto di un'altra mentalità e di riportarsi con la nostra sensibilità storica al modo di sentire del tempo di Dante. Ci si può rendere conto allora che agli occhi del Poeta e a quelli del lettore medievale la scena del credente che si trova alla presenza di San Pietro e deve rispondere sulla essenza della fede è una scena altamente ricca di emozione... una grande emozionante prova. Questi canti in cui è detto del grande passo che il pellegrino deve superare per entrare nella luce del più alto vero e dell'amore erano per Dante fra i più ricchi di emozione e più drammatici della sua storia... Il pellegrino deve... dichiarare le basi del suo credo, le ragioni ultime della propria fede. Egli è personalmente impegnato; deve dire non quale è in generale il fondamento su cui poggia la fede. ma su che cosa " egli " personalmente ha fondato la sua speranza. La sua risposta ha un'enorme importanza è la risposta di Dante, I'uomo ammesso per una straordinaria grazia alla visione diretta di Dio." (Montano)
46 Sì come il baccialier s'arma e non parla
fin che 'l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla,
  46

Come il baccelliere, in attesa che il maestro proponga la questione, prepara le sue argomentazioni, senza parlare ancora, per addurre prove a favore della sua tesi, non per trarne le conclusioni,

  Il baccellierato era il primo grado accademico nelle scuole teologiche e il suo conseguimento permetteva l'accesso al dottorato vero e proprio e la partecipazione alle discussioni. Lo schema consueto dell'esame era il seguente: il maestro proponeva una questione allo scolaro, che la svolgeva adducendo le prove a sostegno della sua tesi e difendendola contro le obiezioni di coloro che intervenivano nella discussione. La fase conclusiva dell'esame spettava solo al maestro, il quale ricapitolava le tesi a favore e contro la questione, offrendo una sistemazione definitiva dell'argomento. Il baccelliere, dunque, "approva" ( cioè presenta le prove che avvalorano la sua tesi), ma è il maestro che "termina" la discussione (verso 48).
49 così m'armava io d'ogne ragione
mentre ch'ella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione.
  49 così, mentre Beatrice parlava, io mi preparavo intorno ad ogni problema, per essere pronto a rispondere a un tale esaminatore (quale era San Pietro) e a una tale professione (quale è quella della fede).
52 «Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
fede che è?». Ond' io levai la fronte
in quella luce onde spirava questo;
  52 “Dimmi, o buon cristiano, mostra (con le tue parole) quello che sei che cosa è la fede?” Per questo sollevai il viso verso la luce dalla quale provenivano queste parole;
55 poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch' ïo spandessi
l'acqua di fuor del mio interno fonte.
  55 poi mi rivolsi a Beatrice, ed ella mi fece prontamente cenno di esprimere il mio pensiero
58 «La Grazia che mi dà ch'io mi confessi»,
comincia' io, «da l'alto primipilo,
faccia li miei concetti bene espressi».
  58 “La grazia divina che mi concede di fare la mia professione di fede” comincia’ a dire “di fronte al suo primo campione, mi aiuti ad esprimere con chiarezza il mio pensiero.”
  Primopilo (primipilus in latino) era, nell'esercito romano, il centurione della prima schiera dei triari, che costituivano le truppe di riserva. Ma Dante, probabilmente, ha presente la spiegazione offerta da Isidoro di Siviglia nelle sue Ethymologiae, dove primipilus è colui che portava l'imbandiera e lanciava il primo colpo di battaglia.
61 E seguitai: «Come 'l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo caro frate
che mise teco Roma nel buon filo,
  61 E continuai: “Come ci ha lasciato scritto la veritiera penna di San Paolo, colui che, o padre, ti fu compagno nell’avviare Roma sul retto cammino,
64 fede è sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate».
  64 la fede è il fondamento delle cose che speriamo di conseguire nella vita eterna ed è prova per credere alle cose che non vediamo; e questa mi sembra la sua essenza”.
  Dante traduce fedelmente la definizione Paolina contenuta nell'Epistola agli Ebrei (XI, I): Est autem fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium" [la fede è il fondamento di ciò che speriamo e la prova delle cose che non vediamo]. L'affermazione di San Paolo fu poi ampiamente svolta da San Tommaso (Summa Theologica II, II, IV, 1).
67 Allora udi': «Dirittamente senti,
se bene intendi perché la ripuose
tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
  67 Allora udii queste parole: “Tu pensi rettamente, se comprendi bene perché (San Paolo) definì la fede prima come “sostanza” e poi come “argomento”.
70 E io appresso: «Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza,
a li occhi di là giù son sì ascose,
  70 Ed io di rimando: “I profondi misteri che qui in cielo mi si rivelano, sono così nascosti agli occhi dei mortali,
73 che l'esser loro v'è in sola credenza,
sopra la qual si fonda l'alta spene;
e però di sustanza prende intenza.
  73 che (in terra) la loro esistenza è ammessa solo per un atto di fede, sul quale si fonda la speranza della beatitudine eterna; e perciò la fede assume la denominazione di “sostanza” (fondamento sostanziale delle cose sperate).
  L'uomo solo per fede può apprendere le principali verità del Cristianesimo, e saranno queste verità che schiuderanno l'accesso alla vita eterna, dove la conoscenza di quei misteri gli sarà, nei limiti permessi da Dio, rivelata.
76 E da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz' avere altra vista:
però intenza d'argomento tene».
  76

E da questa fede, senza l’aiuto di altre prove, dobbiamo dedurre e dimostrare per via di ragionamento tutte le verità; perciò la fede assume la denominazione di “argomento” (prova delle cose non parventi”.

  In questa terzina Dante presenta la proprietà essenziale della teologia, che è quella di prendere come punto di partenza la Rivelazione e di dimostrare ogni verità basandosi sulla fede.
79 Allora udi': «Se quantunque s'acquista
giù per dottrina, fosse così 'nteso,
non lì avria loco ingegno di sofista».
  79

Allora udii queste parole: “Se tutto ciò che in terra si apprende per via di insegnamento, fosse compreso con tanta chiarezza, non ci sarebbe posto per discussioni da sofisti”.

  Ingegno di sofista: indica ogni falsa e cavillosa argomentazione, usando il termine sofista (i sopisti, noti per la complessità delle loro disquisizioni, esercitarono la professione di oratori nella Grecia del V sec. a. C.) nella sua significazione più negativa.
82 Così spirò di quello amore acceso;
indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
d'esta moneta già la lega e 'l peso;
  82 Tali parole uscirono da quello spirito ardente di carità; poi soggiunse: “Ormai hai esaminato molto bene la lega e il peso di questa moneta (la fede);
85 ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa».
Ond' io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
che nel suo conio nulla mi s'inforsa».
  85 ma ora dimmi se tu la possiedi ”. Per cui io: “Si, la possiedo, così lucente (per la bontà della sua lega) e così rotonda (e quindi integra nel suo peso, perché non consumata sui bordi), che riguardo al suo conio non c’è nulla che possa costituire per me motivo di dubbio”.
88 Appresso uscì de la luce profonda
che lì splendeva: «Questa cara gioia
sopra la quale ogne virtù si fonda,
  88 Poi udii queste parole dal profondo di quella luce che li splendeva: “ Questa gemma preziosa (la fede), che è fondamento di tutte le altre virtù,
  La fede, infatti, è la salda base delle altre virtù teologali - la speranza e la carità (San Tommaso - Summa Theologica II, II, V, 7: San Paolo, Epistola ai Romani XIV, 23; Epistola agli Ebrei XI, 6) - e per mezzo di essa le virtù naturali acquistano valore sovrannaturale.
91 onde ti venne?». E io: «La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch'è diffusa
in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,
  91 da chi e in che modo ti fu donata?” Ed io: “L’abbondante pioggia (della divina ispirazione) che dallo Spirito Santo scende sui libri del Vecchio e del Nuovo Testamento (in su le vecchie e ‘n su le nuove cuoia: il termine cuoia indica qui le pergamene usate per fare i libri),
94 è silogismo che la m'ha conchiusa
acutamente sì, che 'nverso d'ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa».
  94 è un argomento che mi ha dimostrato la certezza e la necessità della fede con tanta efficacia, che ogni altra dimostrazione mi sembra debole al suo confronto”.
  Fondamento della fede è l'autorità della Sacra Scrittura, direttamente ispirata dallo Spirito Santo, per cui ciò che in essa è affermato (cioè i principali misteri: l'esistenza di Dio, l'Incarnazione e la Passione di Cristo ecc.) l'uomo crede senza alcuna dimostrazione.
97 Io udi' poi: «L'antica e la novella
proposizion che così ti conchiude,
perché l'hai tu per divina favella?».
  97

Io poi udii: “L’Antico e il Nuovo Testamento che ti portano a questa conclusione, per quali ragioni li consideri ispirati da Dio?”.

  Il sillogismo, nella metodologia scolastica, è lo schema-base di ogni procedimento ragionativo ed è costituito da due premesse o "proposizioni" e dalla conclusione. ovviamente condizionata dalla validità delle premesse. Nella metafora dantesca le due premesse sono l'Antico e il Nuovo Testamento e la conclusione è la fede.
100 E io: «La prova che 'l ver mi dischiude,
son l'opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai né batte incude».
  100

Ed io: “La prova che mi dimostra questa verità sono i miracoli avvenuti, per i quali la natura è nelle stesse condizioni di un fabbro che ha materia e mezzi limitati”.

  Se le Sacre Scritture sono il fondamento della fede perché sono ispirate da Dio, che cosa assicura l'uomo che esse siano veramente di origine divina? All'obiezione di San Pietro, Dante risponde che la presenza di fatti miracolosi e sovrannaturali testimonia l'intervento di un principio trascendente la realtà naturale (cfr. Convivio III, VII, 16).
103 Risposto fummi: «Dì, chi t'assicura
che quell' opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
  103

San Pietro mi rispose: “Dimmi, chi ti assicura che quei miracoli siano realmente accaduti? Te lo attesta proprio e soltanto quel libro (la Sacra Scrittura ) di cui si vuole dimostrare (appunto per mezzo dei miracoli) la divina ispirazione, e non altre fonti”.

  Il maestro prospetta al discepolo l'inefficienza della sua dimostrazione: prima ha sostenuto di credere nelle Scritture in base ai miracoli di cui esse offrono ampia testimonianza, ora afferma di credere alla validità di quei miracoli perché sono raccontati dalle Scritture.
106 «Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo»,
diss' io, «sanza miracoli, quest' uno
è tal, che li altri non sono il centesmo:
  106

“Se il mondo si è convertito al Cristianesimo” dissi “senza miracoli, questo è un tale miracolo, che tutti gli altri insieme non sono che la centesima parte di esso;

  L'argomento che Dante presenta in questo momento per uscire dal circolo vizioso in cui l'hanno rinchiuso le logicissime obiezioni del principe degli apostoli, è stato proposto da Sant'Agostino (De Civitate Dei XXII, 5) e ripreso da San Tommaso (Contra Gentiles I, 6). Ammettiamo pure che i miracoli, che testimoniano la divina ispirazione della Bibbia, non siano avvenuti e che il Cristianesimo si sia affermato senza l'aiuto di essi, basandosi solo sulla predicazione e sui suoi dogmi indimostrabili: la rapida diffusione della parola cristiana, che imponeva agli uomini di credere al mistero e di adottare nuove, severe leggi morali, costituisce, di per se, un miracolo sufficiente a dimostrare, pur senza l'aiuto di altri miracoli, che la nuova fede era frutto della Grazia e non di motivi umani o naturali.
109 ché tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
che fu già vite e ora è fatta pruno».
  109

perché tu vivendo nella povertà e nella penitenza incominciasti la tua opera di predicazione della fede cristiana, che un tempo fu fruttifera ed ora è diventata uno sterpo sterile”.

  Un'esemplificazione pratica sviluppa il concetto dei versi 106-108, perché il miracolo della diffusione del Cristianesimo nasce proprio dall' " incredibile sproporzione tra i mezzi e il fine conseguito, tra il punto di partenza e il punto d'arrivo". (Mattalia)
112 Finito questo, l'alta corte santa
risonò per le spere un 'Dio laudamo'
ne la melode che là sù si canta.
  112

Appena ebbi pronunciate queste parole, l’alta corte dei beati disposti in corone ruotanti intonò il cantico “Ti lodiamo, o Dio ” con quella dolce melodia che è propria delle anime del paradiso.

  A celebrazione del trionfo della fede in terra e in ringraziamento per il felice esito dell'esame di Dante e per la sua professione di fede, tutti i beati intonano il "Te Deum laudamus", I'inno liturgico di lode e di ringraziamento.
115 E quel baron che sì di ramo in ramo,
essaminando, già tratto m'avea,
che a l'ultime fronde appressavamo,
  115 E San Pietro che, esaminandomi, di domanda in domanda, mi aveva ormai condotto fino al punto conclusivo dell’esame,
118 ricominciò: «La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca t'aperse
infino a qui come aprir si dovea,
  118 ricominciò: “La grazia divina, che con il suo amore guida (donnea: termine provenzale, usato nella lirica amorosa, per “amoreggiare ”) la tua mente, ti ha fatto dire finora quello che era giusto dire,
121 sì ch'io approvo ciò che fuori emerse;
ma or convien espremer quel che credi,
e onde a la credenza tua s'offerse».
  121 così che io approvo ciò che tu hai dichiarato: ma ora è necessario esprimere l’oggetto della tua fede, e da quale fonte hai attinto la tua credenza”.
124 «O santo padre, e spirito che vedi
ciò che credesti sì, che tu vincesti
ver' lo sepulcro più giovani piedi»,
  124 “O padre santo, spirito che (ora) contempli ciò che ( in terra ) hai creduto (senza aver visto) così che, correndo verso il sepolcro (di Cristo) superasti chi, per giovinezza, correva più veloce di te”,
  Alla notizia che il sepolcro di Cristo era vuoto, Pietro e Giovanni vi si diressero di corsa e l'apostolo Giovanni, più giovane del compagno, arrivò per primo. Tuttavia non essendo certo dell'avvenuta risurrezione, rimase esitante sulla soglia, mentre Pietro, più sicuro nella sua fede, vi entrò subito, precedendolo (Giovanni XX, 3-9; cfr. anche Monarchia III, IX, 16).
127 comincia' io, «tu vuo' ch'io manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti.
  127 io cominciai a dire, “tu vuoi che io qui manifesti la sostanza ( forma: è termine della filosofia scolastica) della mia fede, che è sicura, e mi hai anche chiesto di esprimere i motivi (di questa mia pronta adesione alle verità) della fede.
130 E io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,
non moto, con amore e con disio;
  130 E rispondo: Io credo in un Dio unico ed eterno, che, senza essere mosso da nulla, imprime il movimento a tutti i cieli, accendendo in essi l’amore e il desiderio di Sé.
  Il primo articolo del Credo cattolico è interpretato con alcune affermazioni della Scolastica, secondo il procedimento già adottato nella parafrasi del Pater Noster (Purgatorio XI, I sgg.): Dio, unico ed eterno, è il Motore immobile che muove tutto l'universo, imprimendovi amore e disio (cfr. Paradiso 1, 76-78; XXXIII, 143-145).
133 e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verità che quinci piove
  133 E per credere nell’esistenza di Dio non ho soltanto prove fisiche e metafisiche, ma mi dà questa fede anche la rivelazione divina che discende dal cielo
136 per Moïsè, per profeti e per salmi,
per l'Evangelio e per voi che scriveste
poi che l'ardente Spirto vi fé almi;
  136 attraverso Mosé, attraverso i profeti e i salmi, attraverso il Vangelo e attraverso voi apostoli, che scriveste dopo che lo Spirito Santo (disceso su di voi nella Pentecoste) vi rese santi.
  Le prove dell'esistenza di Dio in campo scientifico e speculativo sono offerte dai teologi (cfr. San Tommaso, Summa Theologica I, II, 3; Contra Gentiles I, 12), ma ad esse occorre affiancare quelle della Bibbia, perché gli agiografi scrissero sotto la diretta assistenza dello Spirito Santo. Nel verso 136 Dante presenta l'Antico Testamento nella divisione tradizionale: i libri del Pentateuco ( per Moisè), i libri storici e profetici (per profeti) e i libri didattici (per salmi). Il Nuovo Testamento viene ricordato attraverso i quattro Vangeli e gli apostoli che furono autori degli altri libri (Atti, Epistole, Apocalisse ).
139 e credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza sì una e sì trina,
che soffera congiunto 'sono' ed 'este'.
  139 E credo in tre persone eterne (Padre, Figlio, Spirito Santo), e credo che esse formino una sostanza così una e trina, che ammetta l’uso nello stesso tempo della terza persona plurale (“sono ) e della terza persona singolare (“este”).
142 De la profonda condizion divina
ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
più volte l'evangelica dottrina.
  142 Il vangelo in più punti mi imprime nella mente la certezza di questa misteriosa natura di Dio ( uno e trino).
  Il mistero della Trinità é affermato in molti passi evangelici (Matteo XXVIII, 19; Giovanni XIV, 16 e 26; II Epistola ai Corinti XIII, 13; I Epistola di Pietro 1, 2; I Epistola di Giovanni V, 7).
145 Quest' è 'l principio, quest' è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla».
  145 Questa mia fede nell’esistenza di Dio uno e trino è il principio (da cui derivano tutti gli articoli della fede) simile alla favilla che si dilata poi in viva fiamma, e risplende nel mio animo come una stella in cielo”.
148 Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo, gratulando
per la novella, tosto ch'el si tace;
  148 Come il signore che ascolta una notizia gradita e poi abbraccia il servo, rallegrandosi per la notizia (che gli ha comunicato), non appena questo ha finito di parlare,
151 così, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, sì com' io tacqui,
l'appostolico lume al cui comando
  151 così, mentre mi benediceva e cantava, per tre volte girò intorno a me, quando rimasi in silenzio, il lume dell’apostolo al cui comando
154 io avea detto: sì nel dir li piacqui!   154 avevo fatto la mia professione di fede; a tal punto gli era piaciuto ciò che avevo dichiarato!.

 

© 2009 - Luigi De Bellis