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DIVINA
COMMEDIA: PARAFRASI
PARADISO
CANTO XXV° |
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1 |
Se mai
continga che 'l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m'ha fatto per molti anni macro, |
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1 |
Se mai avvenga che questo sacro poema alla cui
composizione hanno concorso la scienza divina e l’umana
esperienza, così che la fatica durata lunghi anni mi ha
fisicamente logorato, |
4 |
vinca la
crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov' io dormi' agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra; |
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4 |
riesca a piegare la
crudele volontà (dei miei concittadini) che mi costringe
a stare lontano da Firenze, la mia dolce patria dove io
(un tempo) vissi come cittadino pacifico, ma avverso ai
faziosi che portano discordia nella città, |
7 |
con altra
voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò 'l cappello; |
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7 |
ritornerò poeta con voce
diversa ormai e con diverso aspetto, e nel battistero di
San Giovanni, dove fui battezzato, cingerò la corona
poetica, |
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Molti commentatori attribuiscono al verso 7 un
significato solo allegorico: con una poesia (voce) ben
più grande di quella giovanile e con ben diversa altezza
d'arte e d'ispirazione (vello). Tuttavia le due tesi
proposte, del senso proprio e di quello figurato,
possono, come frequentemente avviene nella Commedia,
coesistere: il trascorrere degli anni ha apportato al
Poeta una ricchezza di esperienze e una profondità di
visione non reperibili nelle opere giovanili. |
10 |
però che ne
la fede, che fa conte
l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte. |
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10 |
poiché lì feci il mio ingresso nella
fede che rende le anime familiari a Dio, e poi per
questa fede San Pietro mi cinse la fronte (con la sua
luce) in modo così mirabile. |
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Il canto dedicato all'esame teologico della speranza si
apre con un moto di speranza tutta terrena, accentrata
intorno ai due motivi costantemente presenti nell'animo
di Dante: la sua poesia e la sua città. Dalla sua
poesia, dove umano e divino sono fusi in una eroica
esperienza personale, il Poeta attende la gloria e
l'immortalità; dalla sua città, dove ha iniziato la sua
vicenda di uomo e di poeta, attende il ritorno, non per
vendicarsi dei lupi che tormentano il bello ovile, ma
per poter essere consacrato poeta nello stesso luogo in
cui fu consacrato cristiano. Perché l'ideale religioso e
l'ideale poetico sono una realtà unica per l'Alighieri,
che ha affidato alla Commedia il compito di proporre
agli uomini una necessaria, indilazionabile riforma
morale.
" Ideali, lotte, tormenti, si raccolgono e si assommano
in queste ferme parole. dove, tra tanta malinconia di
ricordi è la certezza di un'intima conquista e dove, sia
pure come semplice proiezione di un sogno, balena un
raggio di speranza; che ben si conviene al canto della
speranza.
Se mai... e l'espressione dubitativa si colora di
segreta fede in una rivendicazione che dovrà esser
frutto dell'opera immortale; e il valore del poema è
sigillato nella più alta parola: sacro: e l'eterna
materia che ne forma la sostanza è issata in una
drammatica e grandiosa immagine: al quale ha posto mano
e cielo e terra; e l'eroico, silenzioso travaglio di più
anni è tutto in una sola parola, macro, dove, con
incisiva forza e con virile pudore, hai il macerarsi
della carne e dello spirito e dove s'addensano fami,
freddi e vigilie ( Purgatorio XXIX, 37 sgg. ) . Ora che
l'Alighieri come poeta guidato dal cielo... sta per
conchiudere la sua opera di poesia e di fede, ne sente
ancor maggiore il pregio e la possa; anzi proprio lui,
che in uno scatto di amaro disdegno avrebbe voluto
uscire dalla vita, perché sempre più chiusa a ogni cosa
buona (Purgatorio XXIV, 76-81), osa ora sperare che la
forza ideale della sua opera possa vincere perfino la
crudeltà di chi lo serra fuor della patria, rievocata
con tanta nostalgia nella dolce immagine del bello ovile
ov'io dormi' agnello. E se ancora s'affaccia la figura
di quei lupi, essa è soverchiata da cose che ben la
trascendono: il poema sacro, l'altra voce e l'altro
vello con cui egli ritornerà poeta nel bello ovile, e
quella corona che ben sente di poter cingere in sul
fonte del suo battesmo, proprio là dove un giorno entrò
ne la fede" (Grabber). Cosi si stabilisce un ideale
collegamento fra la parte finale del canto precedente e
l'esordio del canto XXV: la professione di fede di Dante
e la sua incoronazione da parte di San Pietro si
concludono liricamente in questi nove versi, che
l'Apollonio definisce, con felici espressioni, un "
autoritratto'', un " testamento spirituale". In essi la
"gloria della perfezione interiore attinta e consegnata
al poema", la "speranza del ritorno alla patria", e la
"carità del natio loco", abbandonati i modi solenni e
celebrativi dell'esame della fede, si traducono in forme
"schiette", ''miti", "nitide", nelle quali l'animo, dopo
il soccorso della fede, trepida nello schiudersi della
speranza. |
13 |
Indi si
mosse un lume verso noi
di quella spera ond' uscì la primizia
che lasciò Cristo d'i vicari suoi |
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13 |
Quindi da quella stessa corona di beati da cui era
uscito San Pietro, il primo dei vicari che Cristo lasciò
in terra, venne verso di noi un altro spirito luminoso; |
16 |
e la mia
donna, piena di letizia,
mi disse: «Mira, mira: ecco il barone
per cui là giù si vicita Galizia». |
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16 |
e Beatrice, piena di
letizia, mi disse: “ Guarda, guarda: ecco uno dei baroni
della corte celeste, l’apostolo San Giacomo, per
venerare il quale sulla terra si va in pellegrinaggio a
Compostella in Galizia”. |
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L'apostolo davanti al quale Dante sosterrà l'esame della
speranza è San Giacomo il Maggiore (fratello di San
Giovanni Evangelista ) decapitato sotto Erode Agrippa I.
Il suo sepolcro a Santiago di Compostella, in Galizia
(Spagna), era meta di numerosi pellegrinaggi nel
Medioevo (cfr. Vita Nova XL, 7 ) . Nel presentare la
figura di San Giacomo, Dante segue la biografia
tracciata da Isidoro di Siviglia nella sua opera De vita
et obitu sanctorum, dove viene attribuita all'apostolo
l'evangelizzazione, leggendaria, della Spagna e, secondo
la tradizione, la prima delle sette Epistole Cattoliche,
che invece fu scritta da San Giacomo il Minore. |
19 |
Sì come
quando il colombo si pone
presso al compagno, l'uno a l'altro pande,
girando e mormorando, l'affezione; |
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19 |
Come quando
il colombo si avvicina al compagno, e l’uno manifesta
all’altro l’amore, girandogli attorno e tubando, |
22 |
così vid' ïo
l'un da l'altro grande
principe glorïoso essere accolto,
laudando il cibo che là sù li prande. |
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22 |
così vidi San Giacomo accolto dall’altro grande e
glorioso principe, San Pietro, mentre entrambi lodavano
Dio. il cibo che lassù li nutre. |
25 |
Ma poi che
'l gratular si fu assolto,
tacito coram me ciascun s'affisse,
ignito sì che vincëa 'l mio volto. |
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25 |
Ma dopo che fu terminato il vicendevole rallegrarsi,
ciascuno si fermò dinanzi a me in silenzio, e così
fiammeggiante che abbagliava la mia vista. |
28 |
Ridendo
allora Bëatrice disse:
«Inclita vita per cui la larghezza
de la nostra basilica si scrisse, |
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28 |
Allora Beatrice disse
sorridendo: “O gloriosa anima che esalasti nei tuoi
scritti la liberalità della nostra reggia celeste, |
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Alcuni versetti dell'Epistola di San Giacomo (I, 5-17)
celebrano la bontà e la misericordia divina: "Se
qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio, che
a tutti dona generosamente e senza rimprovero, e gli
sarà concessa... ogni grazia eccellente, ogni dono
perfetto, discendono dall'alto". |
31 |
fa risonar
la spene in questa altezza:
tu sai, che tante fiate la figuri,
quante Iesù ai tre fé più carezza». |
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31 |
fa che risuoni in questo cielo il nome
della speranza: tu puoi farlo, perché sei colui che la
simboleggi tutte le volte che Gesù dimostrò maggiore
predilezione ai tre apostoli”. |
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Cristo, nell'episodio della risurrezione della figlia di
Giairo (Luca VIII, 40-56), in quello della
trasfigurazione sul monte Tabor (Matteo XVII, 1-9; Marco
IX, 2-9; Luca IX, 28-36) e durante la preghiera
nell'orto degli ulivi (Matteo XIV, 32-42 ), ebbe accanto
a se gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Secondo
una tradizione esegetica molto diffusa nel Medioevo, ma
respinta da San Tommaso (Summa Theologica III, 45, 3), i
tre apostoli rappresenterebbero rispettivamente la fede,
la speranza, la carità.
Si ripropone la situazione d'esame già apparsa nel canto
precedente, ma sapientemente variata nei toni, nei
passaggi narrativi, nei moduli scolastici, nelle
similitudini introduttive. Se spesso nella Commedia e,
in particolare, nella terza cantica, il Poeta ritorna su
situazioni e problemi già presentati e sviluppati, è
fuori di dubbio che ogni volta egli impegna - sia pure
con risultati più o meno felici - ogni risorsa
spirituale, inventiva e tecnica per eliminare il
pericolo, sempre latente, di ripetizioni e di monotone
digressioni. È sufficiente una rapida analisi: l'esame
sulla fede, la quale impegna direttamente il credente
con le verità sovrannaturali, era preceduto da una
solenne allocuzione agli spiriti beati, mentre quello
sulla speranza, il sentimento più umano, più trepido, e
nello stesso tempo più virile, è aperto da nostalgie
terrene, congiunte a una salda coscienza del proprio
valore; li la descrizione dei beati era affidata a una
similitudine attenta e concreta. ma troppo rigidamente
chiusa nei suoi termini scientifici e volta a rilevare
un atteggiamento esteriore, non una misura interiore;
ora, invece, la lenta, incantata immagine dei colombi
immette in un'atmosfera traboccante di amore; alla
ieraticità dei gesti di San Pietro che, cantando, si
volge per tre volte intorno a Beatrice, si contrappone
ora il folgorare più intenso delle luci dei due
apostoli, immobili e silenziosi di fronte a Dante
immobile e silenzioso ("in questa pausa luminosa -
scrive il Momigliano - le anime dei due santi e del
pellegrino comunicano inesprimibilmente" ). Nel canto
XXIV l'atteggiamento di Beatrice, che aveva ricevuto
l'omaggio di San Pietro, aveva qualcosa di sacerdotale,
o, per meglio dire, Beatrice in quel momento agiva solo
come simbolo della teologia e con un rigido linguaggio
esplicativo invitava il principe degli apostoli ad
interrogare il proprio discepolo sulla fede; ora, dopo
che Dante ha confessato la sua speranza, rivedendo per
un attimo, dall'alto dei cieli. il bello ovile di
Firenze, la figura di Beatrice si piega ad una dolcezza
piena di letizia ( verso 16 ) e di "sorriso " ( verso 28
), mentre le sue parole presentano la trepida immagine
di Gesù che accarezza i suoi discepoli più cari (verso
33). Dante di fronte a San Giacomo non è più nella
condizione del baccellier che aspetta, con giustificata
apprensione, l'inizio dell'esame ( canto XXIV, versi
46-48), perché è Beatrice che, con affettuosa
sollecitudine, risponde per lui alla prima domanda.
La presenza di un tono più disteso e meno drammatico
rispetto a quello che caratterizzava il canto della fede
(si vedano soprattutto le continue, pressanti obiezioni
di San Pietro che minacciavano di chiudere Dante in
categoriche affermazioni senza vie d'uscita) non deve,
tuttavia, far pensare ad un attenuarsi dell'interesse
per la verità che viene enunciata, o ad un venir meno
dell'anelito verso l'alto. Nei canti dedicati alle tre
virtù teologali il Poeta sottopone all'indagine critica
della ragione i principii basilari del Cristianesimo: sa
che da questo centro teologico dipende la validità del
suo poema, che vuole essere - ed è - un'apologia della
dottrina cattolica. Ma Dante si è sentito duramente
impegnato con tutte le risorse della sua intelligenza e
del suo sapere e tutto teso nell'ansia di certezza e di
conquista della verità soprattutto nella trattazione dei
problemi relativi alla prima delle virtù teologali,
perché è dalla fede che discendono, Iogicamente, la
speranza e la carità (cfr. canto XXIV, versi 88-90).
Superata la difficoltà più grave, chiariti a se stesso i
motivi della propria fede, testimoniata la sua certezza
con la solenne professione del Credo, il Poeta respira
più liberamente, procede più rinfrancato, e "il rito
corre più familiarmente sciolto: la professione di fede,
una volta per tutte, ha vinto la prova" (Apollonio):
risponde pronto e libente... perché la sua bontà si
disasconda ( versi 65-66). Ma non è certo un canto
elegiaco della speranza quello che Dante si appresta ad
innalzare: per lui la speranza non significa un passivo
abbandono alle illusioni e alle attese di un futuro
lontano, bensì una dura lotta per realizzare le
aspirazioni di tale speranza: la vita e un militar
(verso 57) e la morte è un uscire dal campo dove si è
duramente combattuto (verso 84). |
34 |
«Leva la
testa e fa che t'assicuri:
ché ciò che vien qua sù del mortal mondo,
convien ch'ai nostri raggi si maturi». |
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34 |
“Alza il capo e riprendi
coraggio, perché chi sale quassù dalla terra, deve
diventare capace di sostenere la vista del nostro
splendore.” |
37 |
Questo
conforto del foco secondo
mi venne; ond' io leväi li occhi a' monti
che li 'ncurvaron pria col troppo pondo. |
|
37 |
Questo incoraggiamento mi
venne dal secondo spirito, San Giacomo; e perciò io
volsi lo sguardo verso le due somme luci che prima
avevano fatto abbassare i miei occhi per il loro
eccessivo splendore. |
40 |
«Poi che per
grazia vuol che tu t'affronti
lo nostro Imperadore, anzi la morte,
ne l'aula più secreta co' suoi conti, |
|
40 |
“Poiché Dio, nostro
imperatore, per sua grazia vuole che tu, prima di
morire, ti trovi al cospetto dei suoi ministri nella
sala più interna della sua reggia, |
43 |
sì che,
veduto il ver di questa corte,
la spene, che là giù bene innamora,
in te e in altrui di ciò conforte, |
|
43 |
cosicché, dopo aver
contemplato il paradiso quale esso è, tu possa con ciò
che hai visto ravvivare in te e negli altri la speranza,
che in terra accende gli animi all’amore del bene, |
46 |
dì quel ch'ell'
è, dì come se ne 'nfiora
la mente tua, e dì onde a te venne».
Così seguì 'l secondo lume ancora. |
|
46 |
dimmi cos’è la speranza e
in che misura se ne abbellisce la tua mente, e donde
essa ebbe principio in te. Così continuò ancora a dire
San Giacomo. |
49 |
E quella pïa
che guidò le penne
de le mie ali a così alto volo,
a la risposta così mi prevenne: |
|
49 |
E Beatrice che aveva
guidato a così alto volo le penne delle mie ali,
prevenne la mia risposta con queste parole: |
|
Le domande rivolte da San Giacomo a Dante intorno alla
speranza sono uguali a quelle proposte da San Pietro
intorno alla fede. Tuttavia Beatrice previene Dante
rispondendo al secondo quesito (in che misura egli
possiede la seconda virtù teologale), che avrebbe potuto
causare nel suo discepolo un moto d'orgoglio, perché la
Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più
speranza. |
52 |
«La Chiesa
militante alcun figliuolo
non ha con più speranza, com' è scritto
nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: |
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52 |
“La Chiesa militante non
ha alcun figlio che possieda più di lui la speranza,
com’è scritto nella mente di Dio, il sole che illumina
tutte le nostre schiere: |
55 |
però li è
conceduto che d'Egitto
vegna in Ierusalemme per vedere,
anzi che 'l militar li sia prescritto. |
|
55 |
per questo gli è concesso
di venire dall’esilio terreno (d’Egitto) nella
Gerusalemme celeste, per vedere (il paradiso), prima che
sia terminato per lui il tempo della milizia terrena. |
|
L'Egitto, dove il popolo ebraico visse a lungo in
schiavitù prima di ritornare nella Terra Promessa,
rappresenta metaforicamente la terra, che è il luogo
d'esilio per gli uomini, la cui vera patria è il cielo,
la Gerusalemme celeste (Epistola ai Galati IV, 26;
Epistola agli Ebrei XII, 22; Apocalisse III, 12; cfr.
anche Purgatorio II, 46). |
58 |
Li altri due
punti, che non per sapere
son dimandati, ma perch' ei rapporti
quanto questa virtù t'è in piacere, |
|
58 |
Intorno agli altri due
punti, che gli sono richiesti, non perché tu voglia
sapere (quello che già sai), ma perché egli riferisca
agli uomini quanto ti è gradita questa virtù, |
61 |
a lui lasc'
io, ché non li saran forti
né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
e la grazia di Dio ciò li comporti». |
|
61 |
lascio a lui la risposta,
perché non gli riusciranno difficili né gli daranno
motivo di vantarsi; ed egli stesso risponda alle tue
domande e la grazia di Dio gli consenta di farlo”. |
64 |
Come
discente ch'a dottor seconda
pronto e libente in quel ch'elli è esperto,
perché la sua bontà si disasconda, |
|
64 |
Come scolaro che parla
dopo il maestro rispondendogli pronto e volenteroso
intorno a quello che egli ben sa, perché si conosca il
suo valore, |
67 |
«Spene»,
diss' io, «è uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto. |
|
67 |
dissi: “La speranza è
un’attesa sicura della gloria celeste, la quale è
prodotta dalla grazia divina e dai meriti
precedentemente acquistati. |
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Dante traduce alla lettera la definizione di Pietro
Lombardo (Liber Sententiarum III, 26): "Spes est certa
exspectatio futurae beatitudinis, veniens ex Dei gratia
et ex meritis praecedentibus". |
70 |
Da molte
stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillò nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce. |
|
70 |
Questa nozione della
speranza mi viene da molte fonti; ma per primo la
istillò nel mio cuore David, colui che fu il più alto
cantore di Dio. |
73 |
'Sperino in
te', ne la sua tëodia
dice, 'color che sanno il nome tuo':
e chi nol sa, s'elli ha la fede mia? |
|
73 |
Nei suoi salmi in onore di
Dio egli dice: “Sperino in te quelli che conoscono il
tuo nome’’: e chi non sa questo, se ha la fede che ho
io? |
76 |
Tu mi
stillasti, con lo stillar suo,
ne la pistola poi; sì ch'io son pieno,
e in altrui vostra pioggia repluo». |
|
76 |
Anche tu poi, con la luce
comunicatami da David, mi istillasti la stessa dottrina
nella tua epistola, in modo che io trabocco di questo
dono, e riverso sugli altri quello che voi fate piovere
su di me”. |
|
Nell'Epistola di San Giacomo non c'è un riferimento
diretto alla virtù della speranza, ma un'allusione
frequente all'aiuto divino per chi soffre e al premio
celeste per chi sopporterà in serenità di spirito dolori
e umiliazioni ( 1, 2; II, 5; VI, 7-10; V, 8; V, 13-15). |
79 |
Mentr' io
diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
sùbito e spesso a guisa di baleno. |
|
79 |
Mentre parlavo, dentro
alla luce fiammeggiante di San Giacomo guizzava un lampo
improvviso e frequente come un baleno. |
82 |
Indi spirò:
«L'amore ond' ïo avvampo
ancor ver' la virtù che mi seguette
infin la palma e a l'uscir del campo, |
|
82 |
Quindi parlò: “L’amore di
cui ardo tuttora per la virtù (della speranza), la quale
mi accompagnò fino al martirio e al termine della mia
battaglia terrena, |
85 |
vuol ch'io
respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti 'mpromette». |
|
85 |
vuole che io riparli della
speranza a te che dimostri d’amarla; e mi è gradito che
tu mi dica che cosa essa ti promette”. |
88 |
E io: «Le
nove e le scritture antiche
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
de l'anime che Dio s'ha fatte amiche. |
|
88 |
E io risposi: “Il Nuovo e
il Vecchio Testamento assegnano la meta alle anime che
vivono in grazia di Dio, e questa meta mi indica ciò che
la speranza promette. |
91 |
Dice Isaia
che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra è questa dolce vita; |
|
91 |
Isaia (infatti) dice che
ciascuna delle anime elette (ritornata) nella sua terra
sarà rivestita di una duplice veste; e la sua terra e
questa vita beata. |
|
Dante interpreta allegoricamente un passo di Isaia
(LXI,7), dove, a proposito del periodo che gli Ebrei
trascorsero in schiavitù in Egitto, si parla della
duplice sofferenza che colpì il popolo d'Israele,
l'esilio e la lunga durata di esso; in compenso esso
riceverà un territorio di doppia estensione. Dante
traduce l'espressione biblica "in terra sua duplicia
possidebunt" con vestita... di doppia vesta, alludendo
alla luce che fascerà il corpo e l'anima dei beati. |
94 |
e 'l tuo
fratello assai vie più digesta,
là dove tratta de le bianche stole,
questa revelazion ci manifesta». |
|
94 |
E tuo fratello Giovanni Evangelista ci
manifesta questa stessa rivelazione in modo assai più
chiaro, là dove parla delle bianche vesti dei beati”. |
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San Giovanni, descrivendo nell'Apocalisse (VII, 9) la
moltitudine dei beati davanti al trono dell'Agnello
divino, narra che essi indossavano bianche stole,
simbolo della purezza della loro anima. Dante, invece,
con l'espressione bianche stole intende alludere al
corpo luminoso di cui le anime saranno rivestite dopo il
Giudizio Universale. |
97 |
E prima,
appresso al fin d'este parole,
'Sperent in te' di sopr' a noi s'udì;
a che rispuoser tutte le carole. |
|
97 |
E dopo la
fine di queste parole, si udì dapprima cantare sopra di
noi: “Sperino in te”, e a questo canto risposero tutte
le corone danzanti dei beati. |
100 |
Poscia tra
esse un lume si schiarì
sì che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo,
l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì. |
|
100 |
Poi in mezzo
ad esse uno spirito divenne così fulgido che se la
costellazione del Cancro avesse una stella tanto
luminosa l’inverno avrebbe un mese fatto di un giorno
solo. |
|
Nello Zodiaco la costellazione del Cancro si trova in
una zona diametralmente opposta a quella occupata dalla
costellazione del Capricorno, per cui quando l'una
sorge, l'altra tramonta e viceversa. Poiché dal 21
dicembre al 21 gennaio il sole è in congiunzione con il
Capricorno se "in questo tempo... nel Cancro ci fosse un
astro luminoso come quello che Dante ora vede, al calar
del sole esso sorgerebbe, e tramonterebbe quando il sole
sorge di nuovo. Il che durerebbe un mese (e quindi per
un mese si avrebbe luce continua: un sol di) (Porena). |
103 |
E come surge
e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
a la novizia, non per alcun fallo, |
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103 |
E come una sorridente
fanciulla si alza e s’avvia ed entra nel cerchio della
danza, non per vanità, ma solo per far onore alla
novella sposa, |
106 |
così vid' io
lo schiarato splendore
venire a' due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore. |
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106 |
così vidi lo spirito che
aveva accresciuto il suo splendore venire verso i due
(San Pietro e San Giacomo) che danzavano in circolo al
ritmo del canto che era quale si conveniva alla loro
ardente carità. |
109 |
Misesi lì
nel canto e ne la rota;
e la mia donna in lor tenea l'aspetto,
pur come sposa tacita e immota. |
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109 |
Lì si unì a loro
accordandosi al canto e alla danza; e la mia donna
teneva lo sguardo fisso in loro, simile a sposa assorta
e silenziosa. |
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L'ultima parte del canto appare complessa e difficile da
determinare nei suoi motivi conduttori. Essa, anzi,
sembrerebbe staccarsi dall'atmosfera tonale dei versi
precedenti se il Poeta, accostando la leggenda relativa
alla sorte del corpo di San Giovanni, non portasse il
discorso, ancora una volta, sul tema della risurrezione
della carne (versi 124-126), creando un ideale raccordo
fra l'episodio della speranza e quello della carità che
si apre con l'apparizione di San Giovanni. Per il
Momigliano il tema centrale di questa ultima parte del
canto XXV è "la luce di San Giovanni". perché "verso di
essa convergono gli sguardi di Beatrice immobile, le sue
parole a Dante, il fissarsi di Dante su quella luce, e
le parole di San Giovanni. Tutto mira a dare un sacro
rilievo allo splendore di questo apostolo, di colui che
nell'ultima cena erat recumbens in sino Jesus (Vangelo
di San Giovanni XIII, 23) e che Gesù morente additò alla
madre perché lo tenesse come figlio in vece sua".
Tuttavia prima che la figura dell'apostolo prediletto
accentri ogni attenzione, è su Beatrice che convergono
tutte le linee prospettiche del canto, come già
all'inizio: si celebrano i mistici sponsali della Verità
con le virtù teologali (di cui i tre apostoli sono i
simboli viventi) che, sole, ad essa conducono, e in
Beatrice che non distoglie lo sguardo dal gruppo dei tre
discepoli è la fissità assorta della Verità che
contempla le tre strade che portano alla conoscenza di
Dio. Si ripete, in questo momento, la scena del paradiso
terrestre, allorché le tre donne che simboleggiavano le
tre virtù teologali resero omaggio, danzando, a Beatrice
( cfr. Purgatorio XXXI, 130-132). Ma ora l'intenzione
allegorica, che nel passo sopra ricordato del Purgatorio
si traduceva in un breve movimento rappresentativo
(l'altre tre si fero avanti, danzando al loro angelico
caribo), fa lievitare la fantasia di Dante in un ampio
giro di nove versi, dopo il falso lucore della iperbole
astronomica (versi 101-102). Resta nel lettore
un'immagine soavissima di donna; che sembra ritagliata
dal mondo giovanile e stilnovistico di Dante. Per
l'Apollonio essa è "uno dei documenti più precisi sulla
coreografia della canzone a ballo...: la sposa al centro
della ruota; e ad uno ad uno si staccano dalla ruota i
ballerini; a tempo le fanno cerchio; e il coro ripete
parole e gesto "volgendosi a nota"" ed é espressione del
prolungarsi, nella terza cantica, della poetica dello
stilnovismo. Ma questa poetica ha ormai superato il
feroce dualismo di sacro e profano, spirito e materia,
che l'angustiava, per cui la vita si configurava come
dura lotta per superare gli ostacoli della carne e la
donna-angelo si presentava come mezzo per operare la
purificazione. Giunto alla soglia dell'Empireo, Dante sa
che il cielo e la terra sono riconciliati, che quel
dualismo è stato risolto, che, anzi, si vive nella
speranza - che è certezza - di una eternità nella quale
il corpo e l'anima saranno fasciati della stessa luce
(versi 88-96). Per questo l'amorosa Beatrice può
apparire nella figura di una sposa tacita ed immota,
assorta nella sua visione di amore e allorché il Poeta,
abbagliato dalla luce di San Giovanni, non potrà vedere
la donna amata, la sua esclamazione di dolore (versi
136- 139) sarà una dichiarazione di amore. |
112 |
«Questi è
colui che giacque sopra 'l petto
del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto». |
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112 |
“Questi è l’apostolo Giovanni, colui
che nell’ultima cena riposò sul petto di Cristo, e che
fu scelto da Cristo in croce al grande compito di
sostituirlo come figlio presso Maria. |
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San Giovanni Evangelista, l'apostolo prediletto di Gesù,
posò il capo sul petto del Salvatore (Giovanni XIII, 23;
XXI, 20), il quale, prima di morire, lo affidò come
figlio a Maria (Giovanni XIX, 26-27).
Nostro pellicano: secondo una leggenda molto nota nel
Medioevo, il pellicano, squarciandosi il petto,
risuscita i propri figli con il sangue che sgorga dalla
sua ferita.
Poiché Gesù nel Salmo CII, 7 è rappresentato come un
pellicano, la letteratura medievale attribuì a quella
leggenda un significato simbolico per indicare Cristo,
che con il suo sangue redense l'umanità. |
115 |
La donna mia
così; né però piùe
mosser la vista sua di stare attenta
poscia che prima le parole sue. |
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115 |
Così disse Beatrice; né
per questo le sue parole distolsero il suo sguardo dal
restare fisso sugli apostoli più di quanto lo avesse
distolto prima di parlare. |
118 |
Qual è colui
ch'adocchia e s'argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa; |
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118 |
Come colui che aguzza lo
sguardo e si sforza di vedere l’eclissi parziale di
sole, e, per voler vedere troppo, restando abbagliato
non vede più nulla, |
121 |
tal mi fec'
ïo a quell' ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché t'abbagli
per veder cosa che qui non ha loco? |
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121 |
così divenni io dinanzi a
quell’ultimo splendore finché mi fu detto (dal Santo):
“Perché ti abbagli cercando di vedere una cosa che qui
non può essere? |
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Molti scrittori patristici e medievali affermano che San
Giovanni fu assunto in cielo anche con il corpo,
derivando questa loro credenza dall'interpretazione di
un passo evangelico (Giovanni XXI, 21-23). Gesù, durante
la terza apparizione dopo la morte, pronunciò queste
parole riferendosi a Giovanni: "Se voglio che egli
resti, finché io ritorni, che te ne importa?". Dante
smentisce questa credenza popolare, mentre San Tommaso
sembra accoglierla (Summa Theologica XIII, LXXVII, 1). |
124 |
In terra è
terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che 'l numero nostro
con l'etterno proposito s'agguagli. |
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124 |
Il mio corpo in terra è diventato
polvere, e vi starà con gli altri corpi finché il numero
di noi beati sarà pari a quello stabilito dall’eternità
nella mente divina. |
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Basandosi probabilmente su un passo dell'Apocalisse(VI,
11), Dante afferma che Dio ha stabilito fin
dall'eternità il numero dei beati. In un passo del
Convivio (II, V, 12) il suo pensiero appare più
specificato: il numero dei beati sarà pari a quello
degli angeli ribelli, dei quali occuperanno il posto -
il decimo - nella gerarchia angelica. |
127 |
Con le due
stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro». |
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127 |
Con l’anima e con il corpo
in paradiso si trovano solo Cristo e la Vergine, le due
luci che poco fa sono salite all’Empireo; e questo tu
riferirai giù nel vostro mondo”. |
130 |
A questa
voce l'infiammato giro
si quïetò con esso il dolce mischio
che si facea nel suon del trino spiro, |
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130 |
A queste parole la
splendente danza dei beati cessò insieme alla soave
mescolanza dei suoni che nasceva dal canto dei tre
apostoli, |
133 |
sì come, per
cessar fatica o rischio,
li remi, pria ne l'acqua ripercossi,
tutti si posano al sonar d'un fischio. |
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133 |
così come, al suono del
fischio del capovoga, per riposarsi o evitare un
pericolo, si fermano tutti i remi, con i quali prima i
rematori percuotevano regolarmente l’acqua. |
136 |
Ahi quanto
ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benché io fossi |
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136 |
Ah quanto mi turbai
nell’animo, quando mi volsi per guardare Beatrice,
perché non potei vederla, sebbene fossi |
139 |
presso di
lei, e nel mondo felice! |
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139 |
vicino a lei, e nel felice
mondo dei beati!. |
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