IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

DIVINA COMMEDIA

PARADISO

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 DIVINA COMMEDIA: PARAFRASI PARADISO CANTO XXVII°

1 'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo',
cominciò, 'gloria!', tutto 'l paradiso,
sì che m'inebrïava il dolce canto.
  1

Tutti i beati del paradiso intonarono: «Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo!», così dolcemente che la loro melodia mi inebriava.

  Terminato, nel canto precedente, il discorso di Adamo, che ha risposto alle quattro domande formulate da Dante, tutti i beati intonano l'inno liturgico di lode e di ringraziamento alla Trinità. Tale canto corale, che per la prima volta riunisce in una sola le voci di tutto il paradiso, riecheggia, per la sua grandiosità e solennità, quello innalzato da tutte le anime del secondo regno (Purgatorio XX, 136-138).
4 Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso
de l'universo; per che mia ebbrezza
intrava per l'udire e per lo viso.
  4 Quello che io vedevo mi sembrava un sorriso dell'universo, perché l'ebbrezza entrava nel mio animo attraverso l'udito e lo sguardo.
7 Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita intègra d'amore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!
  7 Oh gioia! oh allegrezza indicibile! oh vita perfetta piena d'amore e di pace! oh beatitudine sicuramente posseduta senza desideri insoddisfatti!
10 Dinanzi a li occhi miei le quattro face
stavano accese, e quella che pria venne
incominciò a farsi più vivace,
  10 Dinanzi ai miei occhi fiammeggiavano le quattro luci (Pietro, Giacomo, Giovanni, Adamo), e quella di San Pietro che si era avvicinata prima degli altri incominciò a farsi più splendente,
13 e tal ne la sembianza sua divenne,
qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte
fossero augelli e cambiassersi penne.
  13 e nel suo aspetto si fece rosseggiante, quale diventerebbe l'argenteo pianeta Giove, se esso e il rosso Marte fossero uccelli e si scambiassero le penne.
  La precisazione ipotetica del verso 14 è volta non tanto a indicare il mutamento di colore di San Pietro, quanto a rilevare il profondo senso di smarrimento che subentra in Dante di fronte a tale trasformazione, e che, come termine di confronto, può avere solo lo smarrimento che proverebbe l'uomo di fronte a una metamorfosi cosmica, vedendo il bianco pianeta Giove (Paradiso XVIII, 68 e 96) e il rosso pianeta Marte (Paradiso XIV, 86-87) scambiarsi i colori. Invece la seconda similitudine ipotetica (fossero augelli ... ), da molti critici giudicata superflua, accentua - proponendo un confronto con elementi più vicini all'esperienza quotidiana - il carattere improvviso e sorprendente della mutata sembianza di San Pietro, come sarebbe quello di scorgere un uccello mentre cambia rapidamente e improvvisamente il colore delle penne.
16 La provedenza, che quivi comparte
vice e officio, nel beato coro
silenzio posto avea da ogne parte,
  16 La provvidenza di Dio, che nel cielo distribuisce l'avvicendarsi delle azioni e il compito proprio a ciascuno, aveva imposto il silenzio al coro dei diversi gruppi di beati,
19 quand' ïo udi': «Se io mi trascoloro,
non ti maravigliar, ché, dicend' io,
vedrai trascolorar tutti costoro.
  19 quando udii dire (da San Pietro): «Non stupirti, se io muto colore, perché, mentre io parlo vedrai diventare, rossi di sdegno tutti costoro.
22 Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,
  22 Bonifacio VIII, colui che in terra occupa indegnamente la mia sede, che è come fosse vacante agli occhi del Figlio di Dio,
25 fatt' ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde 'l perverso
che cadde di qua sù, là giù si placa».
  25 di Roma, il luogo della mia sepoltura ha fatto la fogna dove scorre il sangue delle discordie civili e donde sale il puzzo dei vizi; per cui Lucifero , si rallegra laggiù nell'inferno».
  La prima accusa di San Pietro è rivolta contro Bonifacio VIII, che sedeva sulla cattedra di Pietro nel 1300, anno del viaggio di Dante nell'oltretomba. A proposito dei versi 22-24, che hanno provocato molteplici discussioni fra i critici per il valore da attribuire a usurpa e vaca, il Sapegno spiega molto lucidamente: "l'accusa che qui Dante porta contro Bonifacio VIII non sarebbe propriamente di illegittimità canonica, bensì di indegnità morale. Senonché la frase di cui il Poeta si serve nel verso 24 non... sembra che abbia l'ufficio di stabilire una siffatta distinzione formale, sì soltanto di sottolineare l'antitesi fra il giudizio umano, che si fonda sull'apparenza, e quello divino, che risale alla sostanza reale delle cose; e usurpa esprime una condanna totale, in cui si ribadisce la fiera protesta di Dante contro il pontefice, che ha ottenuto il suo ufficio con l'inganno (cfr. Inferno XIX, 56-57) e lo esercita in modo tale da suscitare l'allegria di Satana. La formula dantesca non permette di affermare senz'altro un pieno consenso del Poeta con la tesi dei nemici di Bonìfacio sull'illegittimità del suo pontificato [furono i Colonna e Filippo il Bello ad avanzare le principali accuse riguardo all'elezione simoniaca del papa], ma neppure esplicitamente l'esclude". Tuttavia la questione, "posta in questi termini, risulta estranea e non pertinente al contesto dell'invettiva di San Pietro, la quale si muove su un piano ideale diverso e più alto", perché "anche se in terra esistono di fatto un imperatore e un pontefice, Impero e Papato sono idealmente vacanti agli occhi di Dio".
28 Di quel color che per lo sole avverso
nube dipigne da sera e da mane,
vid' ïo allora tutto 'l ciel cosperso.
  28 Allora vidi tutto il cielo dei beati cospargersi di quel color rosso, che tinge una nube alla sera o al mattino quando il sole le sta di fronte,
31 E come donna onesta che permane
di sé sicura, e per l'altrui fallanza,
pur ascoltando, timida si fane,
  31 E come una donna onesta, la quale pur restando sicura di sé, soltanto all'udire i falli altrui, si fa vergognosa,
34 così Beatrice trasmutò sembianza;
e tale eclissi credo che 'n ciel fue
quando patì la supprema possanza.
  34 così divenne Beatrice mutando aspetto; e un tale oscuramento io credo che sia avvenuto in cielo (solo) quando il Figlio di Dio fu crocifisso.
  Mentre l'indignazione provoca sul volto dei beati un rossore che dilaga con forti bagliori ìn tutto il cielo ("questo fulmineo avvampare del cielo - scrive il Mattalia - è il punto più vivo ed efficace dell'invenzione, presentando il motivo dell'indignazione in una scala cosmica e apocalittica"), il dolore di Beatrice di fronte ai mali della Chiesa, si esprime con un pallore improvviso, che sembra privare la sua figura di ogni luminosità. Anche di fronte a questa trasformazione il Poeta non trova un altro termine di confronto se non nel cosmo: l'oscurarsi della luce di Beatrice ricorda l'improvviso oscurarsi del sole alla morte di Cristo (Matteo XXVII, 45; Marco XV, 33; Luca XXIII, 44-45). Del resto già una volta il Poeta ha accostato la figura della sua donna, angosciata per la degenerazione della Chiesa, al mistero della passione di Cristo (cfr. Purgatorio XXXIII, 4-6).
37 Poi procedetter le parole sue
con voce tanto da sé trasmutata,
che la sembianza non si mutò piùe:
  37 Poi San Pietro continuò a parlare con voce tanto alterata da quella di prima, che l'aspetto non si era mutato più della voce:
40 «Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d'oro usata;
  40 «La Chiesa, sposa di Cristo, non fu fondata e nutrita col sangue mio, e dei miei successori Lino e Cleto, per essere adoperata come strumento di lucro,
  I pontefici attuali, che offrono alla sposa di Cristo (cfr. Paradiso x, 140; XI, 32; XII, 43) solo la loro corruzione e la loro simonia, hanno dimenticato che il suo primo, mistico nutrimento fu il sangue di una fulgidissima schiera di martiri. Infatti seguirono l'esempio di Pietro martirizzato, secondo la tradizione, il 29 giugno del 67 o 68, i suoi due primi successori, Lino e Cleto o Anacleto morti nella seconda metà del 1 secolo.
43 ma per acquisto d'esto viver lieto
e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
  43

ma, perché fosse guida all'acquisto di questa nostra vita beata, i papi Sisto, Pio, Calisto, e Urbano sparsero il loro sangue dopo molte sofferenze.

  Continua, da parte di San Pietro, la rassegna dei pontefici martirizzati nei primi secoli di vita della Chiesa: Sisto I morì verso il 125, Pio I verso il 150, Calisto nel 222, Urbano I nel 230.
46 Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
d'i nostri successor parte sedesse,
parte da l'altra del popol cristiano;
  46

Noi non intendemmo che una parte della cristianità sedesse a destra dei nostri successori, e un'altra parte a sinistra;

  I pontefici, il cui compito dovrebbe essere quello di perseguire la, pace e la unione fra i popoli, hanno invece arbitrariamente diviso la cristianità in due parti avverse, i Guelfi e i Ghibellini. Quello che essi hanno operato è una  sorta di mostruosa e aberrante anticipazione del Giudizio Universale (Mattalia), quando gli eletti appariranno alla destra di Dio e i reprobi alla sinistra (Matteo XXV, 31-33).
49 né che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
  49

né che le chiavi che mi furono affidate (come simbolo d'autorità) diventassero emblema in una bandiera che combattesse contro altri cristiani;

  Le chiavi, consegnate da Cristo a San Pietro e considerate simbolo dell'autorità papale (Inferno XIX, 101; XXVII, 104; Purgatorio IX, 117; Paradiso XXIV, 35), divennero insegna dell'esercito pontificio nel 1229, in occasione della lotta fra Gregorio IX e Federico II.
52 né ch'io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond' io sovente arrosso e disfavillo.
  52 né che la mia immagine fosse posta sul sigillo papale impresso sui documenti che concedono privilegi falsi e simoniaci, per cui io spesso arrossisco e divampo d'ira.
55 In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua sù per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci?
  55 Da quassù si vedono in tutte le chiese sotto la veste di pastori di anime, lupi rapaci: o soccorso divino, perché ancora stai inerte?
  La metafora del gregge, del pastore e del lupo è di chiara origine biblica (Geremia XXIII, I; Matteo VII, 15) ed è stata ripresa da Dante anche nell'Epistola ai cardinali italiani (XI, 6), dove i prelati sono definiti "usurpatori del compito dei pastori" e il gregge presentato come "abbandonato e incustodito".
58 Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
s'apparecchian di bere: o buon principio,
a che vil fine convien che tu caschi!
  58

Già si preparano a bere il nostro sangue Caorsini e Guasconi: o Chiesa che avesti così buoni inizi, a quale ignobile corruzione per forza di cose tu partecipi!

  Caorsini e Guaschi: dopo Bonifacio VIII l'accusa di San Pietro si abbatte su Clemente V, originario della Guascogna (cfr. Inferno XIX, nota relativa ai versi 82-84; Purgatorio XXXII, 148 sgg.; Paradiso XVII, 82), pontefice nel 1305, e su Giovanni XXII, nato a Cahors (Paradiso XVIII, 130~136), pontefice dal 1316 al 1334.
L'uso del plurale estende la condanna di Dante dai pontefici e da coloro che essi favorirono a tutta una regione, conferendo alla tremenda visione dei versi 58-59 un vigore eccezionale, quasi non si trattasse solo di due papi, ma di un'invasione di sanguisughe e vampiri". (Mattalia)
61 Ma l'alta provedenza, che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
soccorrà tosto, sì com' io concipio;
  61

Ma la provvidenza divina che per mezzo di Scipione preservò a Roma la gloria del dominio del mondo, verrà presto in aiuto, così come io vedo.

  Si profila, sul cupo sfondo di sangue della terzina precedente, la profezia di San Pietro, con la quale Dante, ancora una volta, riafferma la sua fede in una prossima renovatio della Chiesa e - come testimonia l'elogio di Roma (verso 62) - dell'Impero. La Provvidenza, che un tempo intervenne con Publio Cornelio Scipione l'Africano per salvare Roma minacciata da Annibale (Convivio IV, V, 19; Monarchia II, x, 7; Paradiso VI, 53), soccorrerà la Chiesa bisognosa di un'efficace opera di riforma dei costumi ecclesiastici e del ripristino di Roma a sede papale dopo la cattività avignonese. Appare evidente, in questi versi, il richiamo dell'arrivo del Veltro (Inferno, I, 101), del messo di Dio (Purgatorio XXXIII, 42-43). Pur senza ulteriori determinazioni, San Pietro promette a Dante un rimedio sicuro: è "una promessa... ch'è certezza. Non occorre chiedere documento al Santo dei Santi". (Vallone)
64 e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giù tornerai, apri la bocca,
e non asconder quel ch'io non ascondo».
  64 E tu, o figliolo, che a causa del corpo mortale tornerai ancora sulla terra, non tacere e non nascondere (agli uomini) ciò che io non nascondo a te».
67 Sì come di vapor gelati fiocca
in giuso l'aere nostro, quando 'l corno
de la capra del ciel col sol si tocca,
  67 Come l'atmosfera sulla terra fa scendere fiocchi di neve, quando la costellazione del Capricorno è in congiunzione con il sole,
70 in sù vid' io così l'etera addorno
farsi e fioccar di vapor trïunfanti
che fatto avien con noi quivi soggiorno.
  70 così vidi l'ottavo cielo adornarsi e fioccare verso l'alto per la moltitudine delle fiamme splendenti delle anime che prima si erano fermate con noi,
73 Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
e seguì fin che 'l mezzo, per lo molto,
li tolse il trapassar del più avanti.
  73 Il mio sguardo seguiva i loro aspetti, e li seguì finché lo spazio situato in mezzo, per la distanza troppo cresciuta, gli impedì di spingersi oltre.
76 Onde la donna, che mi vide assolto
de l'attendere in sù, mi disse: «Adima
il viso e guarda come tu se' vòlto».
  76 Per cui Beatrice, che mi vide libero dalla cura di guardare verso l'alto, mi disse: «Abbassa lo sguardo, e guarda quale arco hai percorso (muovendoti con questo cielo)».
79 Da l'ora ch'ïo avea guardato prima
i' vidi mosso me per tutto l'arco
che fa dal mezzo al fine il primo clima;
  79 Da quando avevo guardato in giù la prima volta vidi che mi ero mosso per tutto l'arco che la prima zona descrive dalla sua metà al termine,
  La cosmografia del Medioevo, seguendo la teoria di Alfragano, divideva l'emisfero settentrionale, a cominciare dall'equatore, in sette zone o fasce parallele, a seconda del diverso periodo di tempo in cui ciascuna di esse restava esposta al sole. La prima zona, che aveva nel suo centro Gerusalemme, si estendeva per 180 gradi dal Gange a Cadice. Allorché Dante, entrato nella costellazione dei Gemelli, aveva guardato per la prima volta, dall'alto dei cieli, la terra (cfr. canto XXII, versi 133-153), si era trovato sopra il meridiano di Gerusalemme. Poiché nei versi 80-81 afferma di essere giunto dal centro (Gerusalemme) al termine (Cadice) della prima zona, egli ha dunque percorso un arco di 90 gradi ed è passato un periodo di sei ore.
82 sì ch'io vedea di là da Gade il varco
folle d'Ulisse, e di qua presso il lito
nel qual si fece Europa dolce carco.
  82

cosicché oltre Cadice vedevo la rotta temeraria tentata da Ulisse, e di qua da Cadice il mar Mediterraneo fin presso il lido dove Europa fu un dolce carico per Giove.

  Si apre, sotto gli occhi del Poeta, la visione di tutta la terra abitata; i suoi occhi si possono spingere a occidente, oltre Cadice, cioè oltre lo stretto di Gibilterra, sull'Oceano che vide il folle volo di Ulisse (Inferno XXVI, 106 sgg.) e, a oriente, fino alla Fenicia, da dove Giove, sotto le sembianze di un toro, rapì Europa, figlia del re Agenore, portandola fino all'opposto continente, che da lei prese nome (Ovidio Metamorfosi Il, 832-875).
85 E più mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma 'l sol procedea
sotto i mie' piedi un segno e più partito.
  85

E di là mi sarebbe stata visibile una plaga più ampia di questa nostra terra; ma il sole procedeva nel suo corso sotto i miei piedi separato da me trenta gradi e più.

  Tra la costellazione dei Gemelli, nella quale si trova Dante, e la costellazione dell'Ariete, che è in congiunzione con il sole, si interpone il Toro, per cui i due segni precedenti sono divisi da più di 30 gradi (ogni segno zodiacale si estende per 30 gradi). A causa della posizione dei sole che precede la costellazione dei Gemelli di più di 30 gradi a occidente, le tenebre si stanno ormai diffondendo nella estrema parte orientale, e quindi Dante può scorgere solo una parte dell'aizzola della terra.
88 La mente innamorata, che donnea
con la mia donna sempre, di ridure
ad essa li occhi più che mai ardea;
  88 Il mio animo innamorato che vagheggiava sempre Beatrice, più che mai ardeva dal desiderio di tornare a guardare verso di lei:
91 e se natura o arte fé pasture
da pigliare occhi, per aver la mente,
in carne umana o ne le sue pitture,
  91 e se mai la natura o l'arte crearono, in corpi umani o in pitture, immagini che fossero allettamenti tali da attrarre gli occhi per conquistare l'anima,
94 tutte adunate, parrebber nïente
ver' lo piacer divin che mi refulse,
quando mi volsi al suo viso ridente.
  94 tutte queste bellezze riunite, sembrerebbero niente a paragone della bellezza divina che io vidi rifulgere quando mi volsi a guardare gli occhi ridenti di Beatrice.
97 E la virtù che lo sguardo m'indulse,
del bel nido di Leda mi divelse,
e nel ciel velocissimo m'impulse.
  97 E la virtù che i suoi occhi mi largirono, mi staccò dalla costellazione dei Gemelli, e mi spinse nel nono cielo, il più veloce di tutti.
  Il Poeta ascende al nono cielo, il Primo Mobile, abbandonando la costellazione dei Gemelli, Castore e Polluce, i quali, secondo la mitologia classica, nacquero dall'uovo di Leda fecondato da Giove, trasformatosi in cigno (Ovidio - Heroides XVII, 55 sgg.).
100 Le parti sue vivissime ed eccelse
sì uniforme son, ch'i' non so dire
qual Bëatrice per loco mi scelse.
  100

Tutte le parti di questo cielo, fulgidissimo e altissimo, sono così uniformi, che io non saprei dire quale di esse Beatrice scegliesse per salirvi con me.

  Il Primo Mobile o cielo Cristallino è dotato di una "velocitade... quasi incomprensibile" (Convivio II, 111, 9) perché, essendo il più vicino a Dio dei cieli fisici, più arde dal desiderio di avvicinarsi a Lui, e, essendo "diafano, o vero tutto trasparente" (Convivio II, 111, 7), risulta uniforme in ogni sua parte, perché "mentre tutti gli altri cieli contengono corpi visibili quali sono i pianeti e le stelle fisse, e Dante è andato sempre in questi, nel Primo Mobile corpi visibili non ve ne sono, onde Dante non può dire in qual parte di esso sia andato, perché le parti sono tutte uguali" (Porena).
Oltre alla lezione vivissime del verso 100, i codici offrono altre varianti (vicinissime, vicissime, imissime) ciascuna delle quali sostenuta dai critici con buone ragioni.
103 Ma ella, che vedëa 'l mio disire,
incominciò, ridendo tanto lieta,
che Dio parea nel suo volto gioire:
  103 Ma ella, che vedeva la mia brama di conoscere, ridendo con tanta letizia, che Dio stesso pareva gioire nel suo volto, incominciò:
106 «La natura del mondo, che quïeta
il mezzo e tutto l'altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta;
  106 «La struttura dell'universo, la quale mantiene immobile al centro la terra e muove tutte le altre cose intorno ad essa, incomincia da questo cielo come dalla sua origine;
  La struttura fisica dell'universo, formato da un corpo immobile (la terra) e da corpi mobili ruotanti intorno ad essa (i cieli), trae la sua origine da questo cielo, il quale "ordina col suo movimento la cotidiana revoluzione di tutti li altri, per la quale ogni die tutti quelli ricevono [e mandano] qua giù la vertude di tutte le loro parti" (Convivio Il, XIV, 15).
109 e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s'accende
l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove.
  109

e questo cielo non ha altro luogo che lo contenga al di fuori della mente divina, nella quale s'accende l'amore che lo fa girare e la virtù che esso trasmette ai cieli sottostanti.

  Il Primo Mobile circonda tutti gli altri cieli sottostanti, ma non puo essere situato in alcun luogo fisico: infatti esso è limitato solo dall'Empireo, il cielo che è pura luce (Paradiso XXX, 39), che "non è in luogo ma formato fu solo nella prima Mente [Dio]" (Convivio II, III, 11. L'Ottimo così spiega: "la nona spera non è suddita ad altro cielo, ma solo alla divina mente; e da essa toglie quella virtù che ella ha sopra questi inferiori; e dall'amore d'essa dívina mente riceve. movimento e luce, e non da altro".
112 Luce e amor d'un cerchio lui comprende,
sì come questo li altri; e quel precinto
colui che 'l cinge solamente intende.
  112

La luce e l'amore dell'Empireo lo contengono in sé come in un cerchio, così come questo racchiude glí altri; e come questo cerchio possa essere contenuto lo comprende solo Dio, il quale lo circoscrive.

  Solo Dio conosce che cosa sia e come operi l'Empireo, il cielo costituito solo da luce ed amor (Paradiso XXX, 40-41), il "soprano edificio del mondo, nel quale tutto lo mondo s'inchiude, e di fuori dal quale nulla è" (Convivio II, III, 11).
115 Non è suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo,
sì come diece da mezzo e da quinto;
  115 Il movimento di questo primo cielo non è misurato dal movimento di un altro; anzi il moto degli altri è misurato dal moto di questo, così come il dieci è misurato dalla sua metà, il cinque, e dal suo quinto, il due.
118 e come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde,
omai a te può esser manifesto.
  118 E ormai ti deve esser chiaro come il tempo abbia le sue radici in questo cielo come in un vaso e abbia le sue fronde nei cieli sottostanti.
121 Oh cupidigia, che i mortali affonde
sì sotto te, che nessuno ha podere
di trarre li occhi fuor de le tue onde!
  121 Oh cupidigia umana che sommergi a tal punto i mortali sotto di te, che nessuno è capace di alzare gli occhi sopra le tue onde!
124 Ben fiorisce ne li uomini il volere;
ma la pioggia continüa converte
in bozzacchioni le sosine vere.
  124 Certo negli uomini fiorisce la buona volontà; ma (l'imperversare delle passioni la spegne come) la pioggia continua tramuta le susine buone in susine guaste.
127 Fede e innocenza son reperte
solo ne' parvoletti; poi ciascuna
pria fugge che le guance sian coperte.
  127 Fede e innocenza si trovano solo nei fanciulli, ma poi l'una e l'altra si dileguano prima ancora che le loro guance siano ricoperte dal primo pelo.
130 Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,
che poi divora, con la lingua sciolta,
qualunque cibo per qualunque luna;
  130 Vi è chi osserva i digiuni, quando è ancora bambino balbettante il quale poi, nell'età matura (quando la lingua si è ormai sciolta), divora ogni cibo in qualunque epoca dell'anno;
133 e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
la madre sua, che, con loquela intera,
disïa poi di vederla sepolta.
  133 e un altro, ancora bambino balbettante, ama e ascolta docile la mamma, e, una volta adulto, quando il suo linguaggio è ormai perfetto desidera poi vederla morta e sepolta.
136 Così si fa la pelle bianca nera
nel primo aspetto de la bella figlia
di quel ch'apporta mane e lascia sera.
  136 Allo stesso modo (in cui il candore dell'infanzia si corrompe con il passare dell'età) la pelle dell'uomo, naturalmente bianca, diventa nera, appena compare l'Aurora, la bella figlia del Sole che porta il mattino sulla terra e tramontando lascia la sera.
  Numerosissime sono le interpretazioni proposte per i versi 136-138, essendo i critici in disaccordo sia sul valore da attrìbuire a così («in questo modo », « allo stesso modo », « a tal punto »), sia sulla costruzione dei tre versi (della bella figlia potrebbe essere genitivo dipendente da pelle oppure da aspetto). Per quanto riguarda il significato dell'espressione bella figlia, il Lana ritiene che Dante alluda alla Chiesa, nata da Cristo, il sole dello spirito, mentre secondo il Buti qui si parlerebbe della luna, oppure dell'Aurora (Parodi) oppure di Circe (Barbi). L'interpretazione da noi accolta è stata presentata dal Sapegno e ripresa con valide osservazioni dal Gallardo: "vi è una ragione stilistica che... sembra di fondamentale importanza in questo caso: il discorso di Beatrice è tutto coerente, privo di allusioni inutilmente simboliche o classicheggianti, intessuto di osservazioni della vita quotidiana (si veda anche il modo proverbiale dei versi 125-126). E la spiegazione più semplice sarà dunque qui la più vera... E' poi logico pensare all'Aurora, per l'allusione all'adolescenza nel primo termine, al verso 129".
139 Tu, perché non ti facci maraviglia,
pensa che 'n terra non è chi governi;
onde sì svïa l'umana famiglia.
  139 Per non stupirti di ciò, pensa che sulla terra non vi è chi governi; per cui la umanità va così rovinosamente fuori strada.
  Ritorna, il Poeta, su uno dei principi basilari della sua dottrina etico-politica: l'umanità che Dio aveva affidato all'imperatore perché ne coordinasse la vita politica e al papa, perché la illuminasse in campo religioso, appare ora priva delle sue due guide. L'Impero è vacante dal 1250, anno della morte di Federico II, (Convivio IV, IX, 10; Purgatorio VI, 76 sgg.) e sul trono di Pietro siede un pontefice indegno (Paradiso XXVII, 22-24).
142 Ma prima che gennaio tutto si sverni
per la centesma ch'è là giù negletta,
raggeran sì questi cerchi superni,
  142

Ma prima che gennaio esca del tutto dal periodo invernale a causa della frazione centesimale del giorno trascurata dal calendario, questi cieli del paradiso irradieranno tali influssi,

  Nel calendario giuliano la durata dell'anno era calcolata in 365 giorni e 6 ore, con 12 minuti (equivalenti alla centesima parte del giorno) in pìù rispetto alla durata reale (a tale errore si rimediò con la riforma del calendario fatta da Gregorio XIII nel 1582). Se questa frazione di tempo si fosse accumulata per 90 secoli, il mese di gennaio sarebbe caduto in primavera.
145 che la fortuna che tanto s'aspetta,
le poppe volgerà u' son le prore,
sì che la classe correrà diretta;
  145 che la tanto attesa tempesta farà volgere le poppe delle navi dove sono le prue (cioè: rimetterà la nave nella giusta direzione), così che la flotta correrà diritta
148 e vero frutto verrà dopo 'l fiore».   148 e frutti buoni seguiranno alle promesse».

 

© 2009 - Luigi De Bellis