1 |
Quando
ambedue li figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l'orizzonte insieme zona, |
|
1 |
Quando il sole e la luna, in congiunzione l’uno con il
segno dell’Ariete e l’altra con quello della Bilancia,
si trovano contemporaneamente sulla linea dell’orizzonte
(letteralmente: si fanno entrambi cintura
dell’orizzonte), |
4 |
quant' è dal
punto che 'l cenìt inlibra
infin che l'uno e l'altro da quel cinto,
cambiando l'emisperio, si dilibra, |
|
4 |
per il tempo che
intercorre dal momento in cui lo zenit è equidistante da
essi fino al momento in cui, uno tramontando e l’altra
sorgendo, si staccano dall’orizzonte, |
|
Il sole e la luna sono rappresentati, nella mitologia
classica, da Apollo e Diana, figli di Latona (Purgatorio
XX. 130-132; Paradiso X, 67). Nell'equinozio di
primavera il sole, nel segno dell'Ariete, e la luna, nel
segno della Bilancia, toccano entrambi la linea
dell'orizzonte in due punti del cielo diametralmente
opposti ed equidistanti dallo zenit. Il periodo di tempo
che intercorre fra questo momento e il successivo, nel
quale il sole passa nell'emisfero australe e la luna in
quello boreale (cambiando l'emisperio), è brevissimo. |
7 |
tanto, col
volto di riso dipinto,
si tacque Bëatrice, riguardando
fiso nel punto che m'avëa vinto. |
|
7 |
per tale frazione di
tempo, Beatrice, con il volto illuminato dal sor riso,
rimase in silenzio, guardando fissamente quel punto
(Dio) che mi aveva abbagliato (con la sua luce). |
10 |
Poi
cominciò: «Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch' io l'ho visto
là 've s'appunta ogne ubi e ogne quando. |
|
10 |
Poi incominciò: "Io dico,
senza chiedertelo, quello che tu desideri ascoltare,
perché l’ho letto in Dio, in cui ogni luogo e ogni tempo
sono presenti. |
13 |
Non per aver
a sé di bene acquisto,
ch'esser non può, ma perché suo splendore
potesse, risplendendo, dir "Subsisto", |
|
13 |
Non per acquistare un ulteriore bene per sé, cosa che è
impossibile (perché Dio è il Bene supremo e infinito),
ma perché lo splendore riflesso della sua luce (cioè le
creature) potesse (affermando la propria sussistenza)
dire: "Io sono", |
16 |
in sua
etternità di tempo fore,
fuor d'ogne altro comprender, come i piacque,
s'aperse in nuovi amor l'etterno amore. |
|
16 |
nella sua eternità, fuori
del tempo, fuori dello spazio che circoscrive le cose,
Dio, lo eterno amore, spontaneamente, si estrinseca in
nuove creature amanti (gli angeli). |
|
Beatrice, rispondendo alla domanda inespressa di Dante (
quando, dove, come Dio ha creato gli angeli; cfr. versi
46,48 ), ci introduce subito nel mistero della
creazione, evocando il momento, al di là del tempo e
dello spazio, del primo germinare delle cose. Dio, Bene
assoluto e infinito, ha creato non per necessità, ma per
un atto gratuito d'amore; Egli ha voluto che il suo
splendore - irradiazione della sua vita intima - avesse
sussistenza in sé, dispiegandosi in "altri" esseri,
distinti da lui, dotati di proprietà e funzioni
particolari, coscienti della loro esistenza. Queste
nuove sussistenze, sbocciate dal suo amore, vivono a
loro volta solo in quanto amano (nuovi amor). La
dottrina esposta da Beatrice è informata al più rigoroso
tomismo ( cfr. Summa Theologica I, L, 1; Contra Gentiles
II, 46; De potentia III, 17, ad 4). |
19 |
Né prima
quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest' acque. |
|
19 |
Né prima della creazione Dio rimase
inoperoso, perché l’opera della creazione non ebbe né un
prima né un poi. |
|
La creazione è avvenuta fuori del tempo, nell'eternità
dove non esistono il prima e il poi: il tempo è il ritmo
della vita delle creature e perciò non esiste senza di
esse (cfr. Convivio IV, 11, 6). Lo discorrer di Dio
scora quest'acque: il verso; è la traduzione di
un'espressione della Genesi (I, 2) e, alludendo alle
acque create da Dio e poste "sopra i cieli, Dante le
identifica con la nona sfera, il Primo Mobile, cielo
acqueo, la cui materia incorruttibile è trasparente come
l'acqua". Il Nardi, che ha proposto questa spiegazione
cita anche le fonti della dottrina dantesca: Sant’Alberto
Magno e San Tommaso. |
22 |
Forma e
materia, congiunte e purette,
usciro ad esser che non avia fallo,
come d'arco tricordo tre saette. |
|
22 |
La forma e la materia, unite fra di
loro e allo stato puro, uscirono (dalla mente divina):
ad un esistenza priva di difetti, coma da un arco munito
di tre corde (escono contemporaneamente) tre frecce. |
|
Dio produsse per primi, contemporaneamente e con un
unico atto creativo, la forma pura ( gli angeli, pure
intelligenze, privi di materia ), la matera pura (la
materia prima e ancora informe degli elementi) e il
composto di matera e forma ( i cieli ) . Se gli spiriti
dotati di intelligenza e di volere e, soli fra tutti,
capaci di dire subsisto (cioè di aver consapevolezza e
certezza del loro essere), furono - come osserva ilNardi
- "il fine principale della creazione [versi 13-18], Dio
pensò di provvederli della stanza ove esplicare la loro
attività ed esercitare il loro dominio: e questa stanza
è il mondo sensibile. Si che mondo intelligibile e mondo
sensibile sono due realtà strettamente legate fra loro,
com'è stato già visto nel canto precedente, là dove si
parlava appunto della corrispondenza fra i cori angelici
e le virtù dei cerchi corporali". |
25 |
E come in
vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende sì, che dal venire
a l'esser tutto non è intervallo, |
|
25 |
come attraverso il vetro, l’ambra o il cristallo un
raggio di luce passa così istantaneamente, che tra il
suo giungere (in questi corpi) e il penetrarvi tutto non
c’e intervallo di tempo, |
28 |
così 'l
triforme effetto del suo sire
ne l'esser suo raggiò insieme tutto
sanza distinzïone in essordire. |
|
28 |
così la triplice creazione
si irraggiò da Dio tutta insieme nella pienezza del suo
essere senza distinzione di tempo nell’atto di nascere. |
|
Gli angeli, la materia prima, i cieli furono creati
contemporaneamente e istantaneamente. Nel concitato
fervore della sua meditazione filosofica per determinare
un concetto arduo ad esprimersi, Dante è ricorso a un
linguaggio riccamente indicativo. Nella terzina
precedente, l'immagine dell'arco non può non richiamare
quella analoga del primo canto del Paradiso I verso 119
), dove l'arco saetta tutte le creature verso un
bersaglio eterno a formare il concreato... ordine, in
una mirabile visione di cosmica-armonia.
In questa terzina un fenomeno scientifico, la
propagazione della luce (allora ritenuta istantanea),
pur assolvendo ad una funzione esplicativa, concorre ad
orchestrare un'atmosfera ricca di trasparenza e di
luminosità, diventando "motivo di colorazione
ambientale, momento indiretto dello spettacolo dei
paradiso, memoria di luce e nota di paesaggio". (Getto) |
31 |
Concreato fu
ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto; |
|
31 |
Insieme con le tre
sostanze (sopra nominate) fu creato l’ordine (secondo il
quale devono agire) e la struttura: del cosmo; e quelle
sostanze che furono prodotte come puro atto (gli angeli)
occuparono il luogo più alto dell’universo (l’Empireo); |
34 |
pura potenza
tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che già mai non si divima. |
|
34 |
la pura potenza fu posta
nel luogo più basso; nel mezzo atto e potenza furono
uniti insieme con un tale nodo, che non potrà mai essere
sciolto. |
|
Sorretta da un tessuto scolastico man mano sollevato da
impeti mistici, la lezione di Beatrice sfocia in vastità
contemplative fra le più solenni (là 've s'appunta ogni
ubi e ogni quando), immette su panorami sconfinati (in
sua etternità di tempo fore), suggerisce la immagine di
un'immensa fioritura negli spazi eterni (s'aperse in
nuovi amor l'eterno amore), ritrova, attraverso lo
scorcio potente di un'espressione biblica, la distesa
trasparenza del cielo Cristallino (lo discorrer di Dio
sovra quest'acque), esplora il mistero della creazione
nello spazio e nel tempo (versi 22- 36) con un
ragionamento nel quale la chiarezza logica e didascalica
non impedisce l'esaltazione del cuore, oltre che della
mente, di fronte alla struttura intima del cosmo.
Si noti, a proposito di quest'ultimo fatto, la rara
potenza di sintesi con la quale Dante presenta la sua
cosmogonia: uscite dalla mente di Dio nello stesso
istante la materia, la forma, e la materia e la forma
unite insieme si dispongono immediatamente nel posto
loro assegnato, secondo un ordine e un fine ben
determinati: in alto l'Empireo, in basso la terra, nel
mezzo i cieli. Non si può non riconoscere che tutti
questi versi appaiono percorsi da una "indefinita
emozione teologica"; "scanditi sul ritmo di
un'inebriante vita affettiva", battuti "da un respiro
amplissimo, in cui è un'ansia di trascendentali
certezze" (Getto).
La poesia della creazione, il canto della forma e della
materia ha un suo linguaggio, raro, prezioso, ricco di
latinismi e di parole nuove, il quale riesce a dare il
senso concreto di quel mondo teologico senza perderne
l'altezza e la suggestione. Le parole o latineggianti (ubi,
subsisto, torpente, ima, cime) o plasmate da Dante
(concreato, si dirima) ripetono - osserva con la
consueta efficacia il Getto - ,"una condizione assai
frequente nel Paradiso, dove il Poeta, di fronte alla
eccezionale esperienza che si trova a dover ritrarre,
sembra chiedere il soccorso ad un linguaggio che esca,
nella sua stessa fisionomia lessicale, dalle forme
consuete e quotidiane", ricorrendo a parole di un
assoluta e impensata novità, oppure alle parole dotte e
auliche della lingua ufficiale della cultura e delle
Summae. A queste due soluzioni, inoltre, il Poeta è
costretta a ricorrere da un altro fatto: l'inevitabile
povertà lessicale di una lingua, come il volgare, ancora
alle sue origini. Perciò conclude il Getto "questi
latinismi, lungi dall'esaurire il loro significato
nell'acquisto di una esteriore dignità stilistica a cui
tenderebbe il Poeta, incapace, davanti alla sordità
dell'astrusa materia, di una reale conquista di vita
poetica, si pongono come simboli verbali di quella
raffinata esperienza di cultura che nel Paradiso si
celebra, come un indice linguistico della civiltà
teologale e scolastica a cui Dante partecipa, come
espressioni anche del clima solenne e ieratico in cui è
immerso lo spirito del Poeta in questa ultima cantica". |
37 |
Ieronimo vi
scrisse lungo tratto
di secoli de li angeli creati
anzi che l'altro mondo fosse fatto; |
|
37 |
San Gerolamo vi lasciò scritto che gli
angeli furono creati molti secoli prima della creazione
del mondo sensibile; |
|
L'opinione che San Gerolamo, il grande dottore della
Chiesa vissuto nel V secolo, espresse nel commentario
Super Epistulam ad Titum ( I, 2 ) a proposito della
creazione degli angeli è confutata da San Tommaso (Summa
Theologica I, LXI, 3). |
40 |
ma questo
vero è scritto in molti lati
da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te n'avvedrai se bene agguati; |
|
40 |
ma la verità che ti ho manifestata:
(questo vero: gli angeli furono creati insieme con la
materia prima e i cieli) è scritta in molti passi degli
autori ispirati dallo Spirito Santo; e te ne accorgerai
tu stesso, se leggerai (quei testi) con attenzione; |
|
Le pagine della Sacra Scrittura alle quali Dante fa
riferimento nei versi 40-41 sono quelle della Genesi (I,
1), dei Salmi (CII, 26), dell'Ecclesiastico (XVIII, 1). |
43 |
e anche la
ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che ' motori
sanza sua perfezion fosser cotanto. |
|
43 |
e per quanto le è concesso di capire se
ne rende conto anche la ragione umana, la quale non
potrebbe ammettere che le intelligenze motrici dei cieli
siano rimaste per tanto tempo senza essere perfette. |
|
Sanza sua perfezion:
i cieli costituiscono il complemento indispensabile
della perfezione degli angeli i quali realizzano la loro
virtù imprimendo e regolando il movimento delle sfere
celesti: in questo compito è la perfezione del loro
essere. |
46 |
Or sai tu
dove e quando questi amori
furon creati e come: sì che spenti
nel tuo disïo già son tre ardori. |
|
46 |
Ora tu sai dove e quando e
come gli angeli furono creati, così che sono ormai
soddisfatti tre punti del tuo desiderio (cfr. versi
10-12). |
49 |
Né
giugneriesi, numerando, al venti
sì tosto, come de li angeli parte
turbò il suggetto d'i vostri alimenti. |
|
49 |
Non si giungerebbe,
contando, fino al numero venti con la stessa rapidità
con la quale una parte degli angeli sconvolse la terra,
il più basso dei quattro elementi. |
|
Un periodo di tempo brevissimo intercorse fra il momento
della creazione degli angeli e la ribellione di una
parte di essi (Convivio II, V; 12; San Tommaso - Summa
Theologica I, LXII, 5; LXIII, 6). Contemporaneo alla
ribellione e alla caduta degli angeli ribelli fu il
cataclisma che sconvolse la terra, attraversata da
Lucifero che andò a conficcarsi al centro di essa (cfr.
Inferno XXXIV, 121 sgg.). Il soggetto de' vostri
elementi: la terra, secondo i principii della fisica
aristotelica e scolastica, occupa, rispetto all'aria, al
fuoco e all'acqua, il posto più basso. |
52 |
L'altra
rimase, e cominciò quest' arte
che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circüir non si diparte. |
|
52 |
Gli angeli fedeli rimasero
(nell’Empireo), e incominciarono a svolgere con tanto
diletto questo ufficio che tu vedi, che non cessano mai
di girare intorno (al punto luminoso). |
|
Il compito affidato ai cori angelici è quello di
volgersi intorno a Dio, rapiti nella sua contemplazione
(canto XXVIII, versi 25-39), e di guidare il cielo
affidato a ciascuno di essi. |
55 |
Principio
del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto. |
|
55 |
Causa della caduta fu la maledetta
superbia di Lucifero, colui che tu vedesti imprigionato
sotto tutti i pesi dell’universo. |
|
Per il suo peccato di superbia (non volle riconoscere la
sovranità divina) Lucifero fu confitto al centro della
terra, che è anche, secondo il sistema tolemaico, il
centro dell'universo, il punto al qual si fraggon d'ogni
parte i pesi (Interno XXXIV, 110-111). |
58 |
Quelli che
vedi qui furon modesti
a riconoscer sé da la bontate
che li avea fatti a tanto intender presti: |
|
58 |
Quelli che tu vedi qui in
cielo furono umili nel riconoscere il loro essere
derivato dalla bontà di Dio, che li aveva creati capaci
di intendere cose così grandi; |
61 |
per che le
viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto,
sì c'hanno ferma e piena volontate; |
|
61 |
e perciò le loro capacità
intellettuali furono accresciute per mezzo: della grazia
illuminante e del loro merito, così che essi hanno una
volontà ferma e perfetta (nel compiere il bene). |
|
La capacità di vedere Dio fu, negli angeli fedeli,
potenziata in virtù della grazia illuminante e del loro
merito (che essi acquistarono con l'accoglierla), per
cui godono ora della visione diretta di Dio. Da questa
dipende la ferma e piena volontà di bene degli angeli,
perché, essendo Dio il Bene supremo, essi non possono
che tendere necessariamente al bene (San Tommaso - Summa
Theologica I, LXII, 8). |
64 |
e non voglio
che dubbi, ma sia certo,
che ricever la grazia è meritorio
secondo che l'affetto l'è aperto. |
|
64 |
Né voglio che tu abbia qualche dubbio,
ma sii persuaso che il ricevere la grazia divina
costituisce un merito proporzionale alla misura
dell’affetto con cui essa si riceve. |
|
Per dissipare gli ultimi dubbi di Dante, Beatrice
aggiunge un chiarimento a quanto ha affermato nei versi
61-63: la Grazia è causa di merito per chi la riceve e
il merito consiste nella disposizione d'amore con cui la
creatura la accetta ed è proporzionato a tale amore. Il
merito degli angeli fedeli fu quello di aver saputo
accogliere con umiltà (cfr. verso 58) e con amore la
Grazia loro concessa al momento della creazione; questo
atteggiamento li rese meritevoli di un ulteriore,
potente accrescimento di Grazia (cfr. versi 61 -62). |
67 |
Omai
dintorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole
mie son ricolte, sanz' altro aiutorio. |
|
67 |
Ormai se hai bene
ascoltato e meditato le mie parole, puoi capire,
riguardo al tema del consorzio angelico, molte cose
senza nessun altro aiuto. |
70 |
Ma perché 'n
terra per le vostre scole
si legge che l'angelica natura
è tal, che 'ntende e si ricorda e vole, |
|
70 |
Ma poiché in terra nelle
vostre scuole si insegna che gli angeli sono dotati di
intelligenza e di memoria e di volontà, |
73 |
ancor dirò,
perché tu veggi pura
la verità che là giù si confonde,
equivocando in sì fatta lettura. |
|
73 |
prolungherò il mio
discorso, affinché tu possa vedere nella sua purezza la
verità che in terra viene distorta poiché in questi
insegnamenti si chiamano con uno stesso nome due cose
diverse. |
|
Con due espressioni (vostre scole... equivocando) nelle
quali è già visibile il disdegno per le dispute inutili
o addirittura capziose ( cfr. l'invettiva della parte
finale del canto), Beatrice si appresta a confutare
alcune posizioni teologiche del tempo. Queste
attribuivano agli angeli le stesse facoltà dell'anima
umana, usando in senso improprio i termini intelligenza,
memoria, volontà. |
76 |
Queste
sustanze, poi che fur gioconde
de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde: |
|
76 |
Gli angeli, dal momento in cui
godettero della visione diretta di Dio, non distolsero
mai il loro sguardo da Lui, nel quale tutto è presente: |
|
Il compito affidato ai cori angelici è quello di
volgersi intorno a Dio, rapiti nella sua contemplazione
(canto XXVIII, versi 25-39), e di guidare il cielo
affidato a ciascuno di essi. |
79 |
però non
hanno vedere interciso
da novo obietto, e però non bisogna
rememorar per concetto diviso; |
|
79 |
perciò in essi la
conoscenza non è mai interrotta da un oggetto nuovo, e
per tale motivo non hanno bisogno di ricordare un
concetto (temporaneamente) dimenticato, |
82 |
sì che là
giù, non dormendo, si sogna,
credendo e non credendo dicer vero;
ma ne l'uno è più colpa e più vergogna. |
|
82 |
così che in terra si sogna
ad occhi aperti, sia da parte di coloro che credono (in
buona fede) di insegnare la verità, sia da parte di
coloro che sono coscienti di non dire la verità, anche
se la colpa e la vergogna più grandi sono da addebitare
a questi ultimi. |
|
Delle tre facoltà erroneamente attribuite agli angeli,
Dante analizza compiutamente solo quella della memoria:
gli angeli, contemplando Dio nel quale è presente anche
il passato, non hanno necessità di ricordare; il loro
vedere, fisso nell'eterna luce, è immutabile senza
bisogno di passare dà un concetto all'altro (versi
79-81), come avviene invece negli uomini. Il Nardi;
ricorda a questo proposito, che Dante non solo si
discosta dalla dottrina di Sant'Alberto Magno e di altri
scolastici, ma anche da quella di San Tommaso. |
85 |
Voi non
andate giù per un sentiero
filosofando: tanto vi trasporta
l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero! |
|
85 |
Voi sulla terra non
procedete tutti sulla stessa via negli studi filosofici;
a tal punto vi lasciate trascinare dal desiderio e dalla
preoccupazione di apparire (abili e ingegnosi). |
88 |
E ancor
questo qua sù si comporta
con men disdegno che quando è posposta
la divina Scrittura o quando è torta. |
|
88 |
E tuttavia questa
ambizione è tollerata con minore sdegno di quando la
Sacra Scrittura viene posposta (alle dottrine
filosofiche), oppure di quando ne viene distorto il
significato. |
91 |
Non vi si
pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa s'accosta. |
|
91 |
Non si pensa sulla terra
quanto sangue di martiri sia costata la diffusione
(della parola divina) nel mondo, e quanto sia gradito (a
Dio) chi si accosta ad essa con umiltà. |
94 |
Per apparer
ciascun s'ingegna e face
sue invenzioni; e quelle son trascorse
da' predicanti e 'l Vangelio si tace. |
|
94 |
Ciascuno si ingegna ed
escogita novità per mettersi in mostra; e queste novità
vengono accolte ed esposte dai predicatori mentre viene
trascurato il vangelo. |
|
Il ricordo modesto di inutili dispute filosofiche
intorno alla natura degli angeli aveva turbato (versi
70-75) la serena contemplazione della verità
faticosamente raggiunta, immettendo, nella sfera
speculativa, il tono della rampogna. Allorché l'indagine
di Beatrice si sposta dai teologi e dagli esegeti
biblici, ai predicatori ai quali è stato affidato il
compito di far conoscere la vera parola di Dio, il
rimprovero si trasforma in invettiva e l'invettiva si
colora di amaro sarcasmo, come sempre avviene in Dante,
ogni qualvolta la polemica, dal campo culturale e
filosofico, si trasferisce a quello morale-religioso. |
97 |
Un dice che
la luna si ritorse
ne la passion di Cristo e s'interpuose,
per che 'l lume del sol giù non si porse; |
|
97 |
C’è chi dice
che al momento della morte di Cristo la luna tornò
indietro sul proprio cammino e si interpose (fra il sole
e la terra), per cui (a causa delle eclissi così
provocata) la luce del sole non poté mostrarsi in terra; |
100 |
e mente, ché
la luce si nascose
da sé: però a li Spani e a l'Indi
come a' Giudei tale eclissi rispuose. |
|
100 |
e costui
sostiene una cosa falsa, perché il sole si oscurò da se
(non per interposto oggetto); perciò tale eclissi
apparve ai popoli della Spagna e dell’India come ai
Giudei. |
|
Beatrice precisa i motivi della sua invettiva con un
esempio delle astruse discussione dei predicanti.
L'oscurità, che si diffuse all'improvviso sulla terra al
momento della morte di Cristo (Matteo XXVII, 45; Marco
XV, 33; Luca XXIII, 44), sarebbe stata provocata dalla
luna, la quale, violando il suo corso naturale, sarebbe
ritornata indietro nel suo cammino interponendosi fra la
terra e il sole. Se così fosse stato, tale eclissi
sarebbe risultata parziale, laddove le testimonianze dei
vangeli sono concordi nell'affermare che la tenebra si
diffuse non solo sulla Palestina, ma su tutto
l'occidente (Ispani) e su tutto l'oriente (Indi). Da
notare che l'opinione contro la quale Dante polemizza
con tanta asprezza è quella di San Tommaso (Summa
Theologica III, XLIX, 2). |
103 |
Non ha
Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante sì fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi: |
|
103 |
In Firenze non vi sono
tanti Lapi e Bindi (due nomi molto comuni in quella
città) quante sono le favole di tal genere che ogni anno
dal pulpito si bandiscono dovunque, |
106 |
sì che le
pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno. |
|
106 |
così che i fedeli
ignoranti tornano dalla predica pasciuti di chiacchiere
inutili, e il fatto di non veder il danno (che deriva
loro da una tale predicazione) non li giustifica (perché
dimostra la loro leggerezza e la loro ignoranza delle
verità fondamentali della fede). |
109 |
Non disse
Cristo al suo primo convento:
'Andate, e predicate al mondo ciance';
ma diede lor verace fondamento; |
|
109 |
Cristo non disse alla sua
prima comunità (quella degli apostoli): "Andate, e
predicate ciance al mondo"; ma diede loro una verità
sicura. |
|
Le parole rivolte da Gesù ai suoi discepoli ("Andate per
tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura";
Marco XVI, 15) sono riprese da Beatrice con un'apparente
blasfemia sostituzione: al posto di "Vangelo" il termine
ciance, nel quale sembra condensarsi tutto lo sdegno del
Poeta. L'impeto non si disperde in forme oratorie, ma si
raccoglie e si incide in questa parola, nella sua
tensione, nel suo peso. |
112 |
e quel tanto
sonò ne le sue guance,
sì ch'a pugnar per accender la fede
de l'Evangelio fero scudo e lance. |
|
112 |
E quella dottrina risuonò
sulla bocca degli Apostoli, così che nella lotta per la
diffusione della fede, essi non usarono altra arma che
il Vangelo. |
115 |
Ora si va
con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida,
gonfia il cappuccio e più non si richiede. |
|
115 |
Ora si va a predicare con
motti di spirito e sciocche piacevolezze, e purché si
rida molto ( da parte degli ascoltatori), il cappuccio
(del predicatore) si gonfia (di vanità), e non si
richiede altro ( né da lui né dagli ascoltatori). |
|
Lo sdegno - commenta il Grabher -, detta una delle più
dense e concise rappresentazioni. Hai la
predica-spettacolo dove al senso plebeo dell'indegno
frate, che trascina le cose più sacre tra motti e iscede,
risponde la supina e volgare soddisfazione della folla,
quel pieno e grasso " ridere "... e la figura tronfia
del frate è tutta in un particolare - gonfia il
cappuccio - che, con estrosa genialità, trasferisce e
condensa nell'abito un carattere della persona: creando
un grottesco così amaro, così corposamente figurativo e
così pregno di riflessi spirituali. E come contrappunto
all'immagine del frate borioso e volgare, tutto pasciuto
di vento e, s'insinua sorda, sinistra, la invisibile
presenza di quel demonio rimpiccinito e subsannante, che
s'annida proprio nel gonfio cappuccio: Ma tale uccel nel
becchetto s'annida... (verso 118)" |
118 |
Ma tale
uccel nel becchetto s'annida,
che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe
la perdonanza di ch'el si confida: |
|
118 |
Ma nella punta del
cappuccio (del frate) si nasconde un uccello tale (il
diavolo) che, se il popolo lo vedesse, si accorgerebbe
di che genere sono le indulgenze (promesse dai frati)
nelle quali ripone la sua fiducia; |
121 |
per cui
tanta stoltezza in terra crebbe,
che, sanza prova d'alcun testimonio,
ad ogne promession si correrebbe. |
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121 |
e per tale motivo (per la
fiducia nelle indulgenze) è tanto aumentata la stoltezza
umana, che tutti sarebbero pronti ad accorrere ad ogni
promessa, senza chiedere nessuna testimonianza (che
comprovi la concessione dell’indulgenza da parte della
legittima autorità religiosa). |
124 |
Di questo
ingrassa il porco sant' Antonio,
e altri assai che sono ancor più porci,
pagando di moneta sanza conio. |
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124 |
Di questa incredulità si
ingrassa il porco di Sant’Antonio, e (s’ingrassano)
persone peggiori dei porci stessi, pagando con monete
false (cioè: contraccambiando le offerte dei fedeli con
false promesse di indulgenze e di grazie). |
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Sant'Antonio ( eremita egiziano morto nel 356), che nel
Medioevo era comunemente rappresentato con un maiale ai
piedi, per simboleggiare il diavolo tentatore da lui
vinto, fu, in seguito, considerato protettore degli
animali. I frati antoniani solevano allevare maiali che
erano venerati come sacri dal popolo (giravano per le
vie della città ed entravano perfino nelle case) e
mantenuti con le offerte dei fedeli.
L'espressione il porco Sant'Antonio rispecchia un uso
del volgare antico, per cui, allorché il complemento di
specificazione era rappresentato da un nome proprio, si
ometteva la preposizione "di". Il Linguaggio, nei versi
124-126, precipita nel plebeo e nel grottesco, mentre i
versi respirano un'aura di peccato che riporta il
lettore alle pagine dense di scherno e di depravazione
dell'lnferno. Beatrice è qui, come tanti altri
personaggi della Commedia, un portavoce fedele di Dante,
dello spirito iroso e polemico del Poeta, ma non ha
visto male il Tommaseo, allorché ha scritto che "il
cenno de' porci non è cosa degna di Beatrice e del
paradiso". |
127 |
Ma perché
siam digressi assai, ritorci
li occhi oramai verso la dritta strada,
sì che la via col tempo si raccorci. |
|
127 |
Ma poiché ci siamo
allontanati molto (dal nostro tema), rivolgi ormai la
tua attenzione verso l’argomento principale, così che la
via (che ci resta da percorrere) si abbrevi in armonia.
col (poco) tempo (che ci rimane da passare in questo
cielo). |
130 |
Questa
natura sì oltre s'ingrada
in numero, che mai non fu loquela
né concetto mortal che tanto vada; |
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130 |
Gli angeli raggiungono un
numero così sterminato, che non ci furono mai parola o
concetto umano capaci di rappresentarlo; |
133 |
e se tu
guardi quel che si revela
per Danïel, vedrai che 'n sue migliaia
determinato numero si cela. |
|
133 |
e se tu consideri quello
che viene rivelato da Daniele, vedrai che nelle migliaia
(di cui parla) il numero preciso rimane nascosto. |
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Il profeta Daniele in un passo del suo libro (VII, 10)
scrive: "mille migliaia Lo servivano e diecimila decine
di migliaia stavano in piedi davanti a Lui". |
136 |
La prima
luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi s'appaia. |
|
136 |
La luce di Dio, che
irraggia tutta la natura angelica, è ricevuta in essa in
tanti modi diversi, quanti sono i singoli angeli con i
quali essa lì si unisce. |
139 |
Onde, però
che a l'atto che concepe
segue l'affetto, d'amar la dolcezza
diversamente in essa ferve e tepe. |
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139 |
Per tale motivo, poiché
all’atto della visione intellettuale di Dio è
proporzionato l’affetto, la dolcezza dell’amore (verso
di Lui) nella natura angelica è più o meno intensa. |
142 |
Vedi
l'eccelso omai e la larghezza
de l'etterno valor, poscia che tanti
speculi fatti s'ha in che si spezza, |
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142 |
Considera ora l’altezza e
l’immensità (la larghezza) di Dio, poiché ha creato un
numero così grande di specchi (gli angeli) nei quali la
sua luce si riflette in modi diversi, |
145 |
uno manendo
in sé come davanti». |
|
145 |
conservando la sua
immutabile unità come prima (della creazione). |
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Dopo la digressione (cosi il Poeta stesso la definisce
nei versi 127-129) relativa ai falsi predicatori delle
verità cristiane, la voce di Beatrice ritrova, nella
ultima parte del canto, la limpidità di accenti e la
purezza d'emozioni della prima parte di esso. Dopo la
contemplazione di un universo infinitamente molteplice,
il pensiero si placa nel richiamo all'unità Dio. Un
soffio di infinito agita i versi 130-145 e tutti sono un
solo "brivido di luce e di amore" (Getto), e "in un'onda
d'infinito si dilata la chiusa dal canto". |