IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

DIVINA COMMEDIA

PARADISO

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 DIVINA COMMEDIA: PARAFRASI PARADISO CANTO XXIX°

1 Quando ambedue li figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l'orizzonte insieme zona,
  1 Quando il sole e la luna, in congiunzione l’uno con il segno dell’Ariete e l’altra con quello della Bilancia, si trovano contemporaneamente sulla linea dell’orizzonte (letteralmente: si fanno entrambi cintura dell’orizzonte),
4 quant' è dal punto che 'l cenìt inlibra
infin che l'uno e l'altro da quel cinto,
cambiando l'emisperio, si dilibra,
  4 per il tempo che intercorre dal momento in cui lo zenit è equidistante da essi fino al momento in cui, uno tramontando e l’altra sorgendo, si staccano dall’orizzonte,
  Il sole e la luna sono rappresentati, nella mitologia classica, da Apollo e Diana, figli di Latona (Purgatorio XX. 130-132; Paradiso X, 67). Nell'equinozio di primavera il sole, nel segno dell'Ariete, e la luna, nel segno della Bilancia, toccano entrambi la linea dell'orizzonte in due punti del cielo diametralmente opposti ed equidistanti dallo zenit. Il periodo di tempo che intercorre fra questo momento e il successivo, nel quale il sole passa nell'emisfero australe e la luna in quello boreale (cambiando l'emisperio), è brevissimo.
7 tanto, col volto di riso dipinto,
si tacque Bëatrice, riguardando
fiso nel punto che m'avëa vinto.
  7 per tale frazione di tempo, Beatrice, con il volto illuminato dal sor riso, rimase in silenzio, guardando fissamente quel punto (Dio) che mi aveva abbagliato (con la sua luce).
10 Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch' io l'ho visto
là 've s'appunta ogne ubi e ogne quando.
  10 Poi incominciò: "Io dico, senza chiedertelo, quello che tu desideri ascoltare, perché l’ho letto in Dio, in cui ogni luogo e ogni tempo sono presenti.
13 Non per aver a sé di bene acquisto,
ch'esser non può, ma perché suo splendore
potesse, risplendendo, dir "Subsisto",
  13 Non per acquistare un ulteriore bene per sé, cosa che è impossibile (perché Dio è il Bene supremo e infinito), ma perché lo splendore riflesso della sua luce (cioè le creature) potesse (affermando la propria sussistenza) dire: "Io sono",
16 in sua etternità di tempo fore,
fuor d'ogne altro comprender, come i piacque,
s'aperse in nuovi amor l'etterno amore.
  16 nella sua eternità, fuori del tempo, fuori dello spazio che circoscrive le cose, Dio, lo eterno amore, spontaneamente, si estrinseca in nuove creature amanti (gli angeli).
  Beatrice, rispondendo alla domanda inespressa di Dante ( quando, dove, come Dio ha creato gli angeli; cfr. versi 46,48 ), ci introduce subito nel mistero della creazione, evocando il momento, al di là del tempo e dello spazio, del primo germinare delle cose. Dio, Bene assoluto e infinito, ha creato non per necessità, ma per un atto gratuito d'amore; Egli ha voluto che il suo splendore - irradiazione della sua vita intima - avesse sussistenza in sé, dispiegandosi in "altri" esseri, distinti da lui, dotati di proprietà e funzioni particolari, coscienti della loro esistenza. Queste nuove sussistenze, sbocciate dal suo amore, vivono a loro volta solo in quanto amano (nuovi amor). La dottrina esposta da Beatrice è informata al più rigoroso tomismo ( cfr. Summa Theologica I, L, 1; Contra Gentiles II, 46; De potentia III, 17, ad 4).
19 Né prima quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest' acque.
  19

Né prima della creazione Dio rimase inoperoso, perché l’opera della creazione non ebbe né un prima né un poi.

  La creazione è avvenuta fuori del tempo, nell'eternità dove non esistono il prima e il poi: il tempo è il ritmo della vita delle creature e perciò non esiste senza di esse (cfr. Convivio IV, 11, 6). Lo discorrer di Dio scora quest'acque: il verso; è la traduzione di un'espressione della Genesi (I, 2) e, alludendo alle acque create da Dio e poste "sopra i cieli, Dante le identifica con la nona sfera, il Primo Mobile, cielo acqueo, la cui materia incorruttibile è trasparente come l'acqua". Il Nardi, che ha proposto questa spiegazione cita anche le fonti della dottrina dantesca: Sant’Alberto Magno e San Tommaso.
22 Forma e materia, congiunte e purette,
usciro ad esser che non avia fallo,
come d'arco tricordo tre saette.
  22

La forma e la materia, unite fra di loro e allo stato puro, uscirono (dalla mente divina): ad un esistenza priva di difetti, coma da un arco munito di tre corde (escono contemporaneamente) tre frecce.

  Dio produsse per primi, contemporaneamente e con un unico atto creativo, la forma pura ( gli angeli, pure intelligenze, privi di materia ), la matera pura (la materia prima e ancora informe degli elementi) e il composto di matera e forma ( i cieli ) . Se gli spiriti dotati di intelligenza e di volere e, soli fra tutti, capaci di dire subsisto (cioè di aver consapevolezza e certezza del loro essere), furono - come osserva ilNardi - "il fine principale della creazione [versi 13-18], Dio pensò di provvederli della stanza ove esplicare la loro attività ed esercitare il loro dominio: e questa stanza è il mondo sensibile. Si che mondo intelligibile e mondo sensibile sono due realtà strettamente legate fra loro, com'è stato già visto nel canto precedente, là dove si parlava appunto della corrispondenza fra i cori angelici e le virtù dei cerchi corporali".
25 E come in vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende sì, che dal venire
a l'esser tutto non è intervallo,
  25 come attraverso il vetro, l’ambra o il cristallo un raggio di luce passa così istantaneamente, che tra il suo giungere (in questi corpi) e il penetrarvi tutto non c’e intervallo di tempo,
28 così 'l triforme effetto del suo sire
ne l'esser suo raggiò insieme tutto
sanza distinzïone in essordire.
  28 così la triplice creazione si irraggiò da Dio tutta insieme nella pienezza del suo essere senza distinzione di tempo nell’atto di nascere.
  Gli angeli, la materia prima, i cieli furono creati contemporaneamente e istantaneamente. Nel concitato fervore della sua meditazione filosofica per determinare un concetto arduo ad esprimersi, Dante è ricorso a un linguaggio riccamente indicativo. Nella terzina precedente, l'immagine dell'arco non può non richiamare quella analoga del primo canto del Paradiso I verso 119 ), dove l'arco saetta tutte le creature verso un bersaglio eterno a formare il concreato... ordine, in una mirabile visione di cosmica-armonia.
In questa terzina un fenomeno scientifico, la propagazione della luce (allora ritenuta istantanea), pur assolvendo ad una funzione esplicativa, concorre ad orchestrare un'atmosfera ricca di trasparenza e di luminosità, diventando "motivo di colorazione ambientale, momento indiretto dello spettacolo dei paradiso, memoria di luce e nota di paesaggio". (Getto)
31 Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto;
  31 Insieme con le tre sostanze (sopra nominate) fu creato l’ordine (secondo il quale devono agire) e la struttura: del cosmo; e quelle sostanze che furono prodotte come puro atto (gli angeli) occuparono il luogo più alto dell’universo (l’Empireo);
34 pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che già mai non si divima.
  34 la pura potenza fu posta nel luogo più basso; nel mezzo atto e potenza furono uniti insieme con un tale nodo, che non potrà mai essere sciolto.
  Sorretta da un tessuto scolastico man mano sollevato da impeti mistici, la lezione di Beatrice sfocia in vastità contemplative fra le più solenni (là 've s'appunta ogni ubi e ogni quando), immette su panorami sconfinati (in sua etternità di tempo fore), suggerisce la immagine di un'immensa fioritura negli spazi eterni (s'aperse in nuovi amor l'eterno amore), ritrova, attraverso lo scorcio potente di un'espressione biblica, la distesa trasparenza del cielo Cristallino (lo discorrer di Dio sovra quest'acque), esplora il mistero della creazione nello spazio e nel tempo (versi 22- 36) con un ragionamento nel quale la chiarezza logica e didascalica non impedisce l'esaltazione del cuore, oltre che della mente, di fronte alla struttura intima del cosmo.
Si noti, a proposito di quest'ultimo fatto, la rara potenza di sintesi con la quale Dante presenta la sua cosmogonia: uscite dalla mente di Dio nello stesso istante la materia, la forma, e la materia e la forma unite insieme si dispongono immediatamente nel posto loro assegnato, secondo un ordine e un fine ben determinati: in alto l'Empireo, in basso la terra, nel mezzo i cieli. Non si può non riconoscere che tutti questi versi appaiono percorsi da una "indefinita emozione teologica"; "scanditi sul ritmo di un'inebriante vita affettiva", battuti "da un respiro amplissimo, in cui è un'ansia di trascendentali certezze" (Getto).
La poesia della creazione, il canto della forma e della materia ha un suo linguaggio, raro, prezioso, ricco di latinismi e di parole nuove, il quale riesce a dare il senso concreto di quel mondo teologico senza perderne l'altezza e la suggestione. Le parole o latineggianti (ubi, subsisto, torpente, ima, cime) o plasmate da Dante (concreato, si dirima) ripetono - osserva con la consueta efficacia il Getto - ,"una condizione assai frequente nel Paradiso, dove il Poeta, di fronte alla eccezionale esperienza che si trova a dover ritrarre, sembra chiedere il soccorso ad un linguaggio che esca, nella sua stessa fisionomia lessicale, dalle forme consuete e quotidiane", ricorrendo a parole di un assoluta e impensata novità, oppure alle parole dotte e auliche della lingua ufficiale della cultura e delle Summae. A queste due soluzioni, inoltre, il Poeta è costretta a ricorrere da un altro fatto: l'inevitabile povertà lessicale di una lingua, come il volgare, ancora alle sue origini. Perciò conclude il Getto "questi latinismi, lungi dall'esaurire il loro significato nell'acquisto di una esteriore dignità stilistica a cui tenderebbe il Poeta, incapace, davanti alla sordità dell'astrusa materia, di una reale conquista di vita poetica, si pongono come simboli verbali di quella raffinata esperienza di cultura che nel Paradiso si celebra, come un indice linguistico della civiltà teologale e scolastica a cui Dante partecipa, come espressioni anche del clima solenne e ieratico in cui è immerso lo spirito del Poeta in questa ultima cantica".
37 Ieronimo vi scrisse lungo tratto
di secoli de li angeli creati
anzi che l'altro mondo fosse fatto;
  37

San Gerolamo vi lasciò scritto che gli angeli furono creati molti secoli prima della creazione del mondo sensibile;

  L'opinione che San Gerolamo, il grande dottore della Chiesa vissuto nel V secolo, espresse nel commentario Super Epistulam ad Titum ( I, 2 ) a proposito della creazione degli angeli è confutata da San Tommaso (Summa Theologica I, LXI, 3).
40 ma questo vero è scritto in molti lati
da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te n'avvedrai se bene agguati;
  40

ma la verità che ti ho manifestata: (questo vero: gli angeli furono creati insieme con la materia prima e i cieli) è scritta in molti passi degli autori ispirati dallo Spirito Santo; e te ne accorgerai tu stesso, se leggerai (quei testi) con attenzione;

  Le pagine della Sacra Scrittura alle quali Dante fa riferimento nei versi 40-41 sono quelle della Genesi (I, 1), dei Salmi (CII, 26), dell'Ecclesiastico (XVIII, 1).
43 e anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che ' motori
sanza sua perfezion fosser cotanto.
  43

e per quanto le è concesso di capire se ne rende conto anche la ragione umana, la quale non potrebbe ammettere che le intelligenze motrici dei cieli siano rimaste per tanto tempo senza essere perfette.

  Sanza sua perfezion: i cieli costituiscono il complemento indispensabile della perfezione degli angeli i quali realizzano la loro virtù imprimendo e regolando il movimento delle sfere celesti: in questo compito è la perfezione del loro essere.
46 Or sai tu dove e quando questi amori
furon creati e come: sì che spenti
nel tuo disïo già son tre ardori.
  46 Ora tu sai dove e quando e come gli angeli furono creati, così che sono ormai soddisfatti tre punti del tuo desiderio (cfr. versi 10-12).
49 Né giugneriesi, numerando, al venti
sì tosto, come de li angeli parte
turbò il suggetto d'i vostri alimenti.
  49 Non si giungerebbe, contando, fino al numero venti con la stessa rapidità con la quale una parte degli angeli sconvolse la terra, il più basso dei quattro elementi.
  Un periodo di tempo brevissimo intercorse fra il momento della creazione degli angeli e la ribellione di una parte di essi (Convivio II, V; 12; San Tommaso - Summa Theologica I, LXII, 5; LXIII, 6). Contemporaneo alla ribellione e alla caduta degli angeli ribelli fu il cataclisma che sconvolse la terra, attraversata da Lucifero che andò a conficcarsi al centro di essa (cfr. Inferno XXXIV, 121 sgg.). Il soggetto de' vostri elementi: la terra, secondo i principii della fisica aristotelica e scolastica, occupa, rispetto all'aria, al fuoco e all'acqua, il posto più basso.
52 L'altra rimase, e cominciò quest' arte
che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circüir non si diparte.
  52

Gli angeli fedeli rimasero (nell’Empireo), e incominciarono a svolgere con tanto diletto questo ufficio che tu vedi, che non cessano mai di girare intorno (al punto luminoso).

  Il compito affidato ai cori angelici è quello di volgersi intorno a Dio, rapiti nella sua contemplazione (canto XXVIII, versi 25-39), e di guidare il cielo affidato a ciascuno di essi.
55 Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto.
  55

Causa della caduta fu la maledetta superbia di Lucifero, colui che tu vedesti imprigionato sotto tutti i pesi dell’universo.

  Per il suo peccato di superbia (non volle riconoscere la sovranità divina) Lucifero fu confitto al centro della terra, che è anche, secondo il sistema tolemaico, il centro dell'universo, il punto al qual si fraggon d'ogni parte i pesi (Interno XXXIV, 110-111).
58 Quelli che vedi qui furon modesti
a riconoscer sé da la bontate
che li avea fatti a tanto intender presti:
  58 Quelli che tu vedi qui in cielo furono umili nel riconoscere il loro essere derivato dalla bontà di Dio, che li aveva creati capaci di intendere cose così grandi;
61 per che le viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto,
sì c'hanno ferma e piena volontate;
  61 e perciò le loro capacità intellettuali furono accresciute per mezzo: della grazia illuminante e del loro merito, così che essi hanno una volontà ferma e perfetta (nel compiere il bene).
  La capacità di vedere Dio fu, negli angeli fedeli, potenziata in virtù della grazia illuminante e del loro merito (che essi acquistarono con l'accoglierla), per cui godono ora della visione diretta di Dio. Da questa dipende la ferma e piena volontà di bene degli angeli, perché, essendo Dio il Bene supremo, essi non possono che tendere necessariamente al bene (San Tommaso - Summa Theologica I, LXII, 8).
64 e non voglio che dubbi, ma sia certo,
che ricever la grazia è meritorio
secondo che l'affetto l'è aperto.
  64

Né voglio che tu abbia qualche dubbio, ma sii persuaso che il ricevere la grazia divina costituisce un merito proporzionale alla misura dell’affetto con cui essa si riceve.

  Per dissipare gli ultimi dubbi di Dante, Beatrice aggiunge un chiarimento a quanto ha affermato nei versi 61-63: la Grazia è causa di merito per chi la riceve e il merito consiste nella disposizione d'amore con cui la creatura la accetta ed è proporzionato a tale amore. Il merito degli angeli fedeli fu quello di aver saputo accogliere con umiltà (cfr. verso 58) e con amore la Grazia loro concessa al momento della creazione; questo atteggiamento li rese meritevoli di un ulteriore, potente accrescimento di Grazia (cfr. versi 61 -62).
67 Omai dintorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole
mie son ricolte, sanz' altro aiutorio.
  67 Ormai se hai bene ascoltato e meditato le mie parole, puoi capire, riguardo al tema del consorzio angelico, molte cose senza nessun altro aiuto.
70 Ma perché 'n terra per le vostre scole
si legge che l'angelica natura
è tal, che 'ntende e si ricorda e vole,
  70 Ma poiché in terra nelle vostre scuole si insegna che gli angeli sono dotati di intelligenza e di memoria e di volontà,
73 ancor dirò, perché tu veggi pura
la verità che là giù si confonde,
equivocando in sì fatta lettura.
  73 prolungherò il mio discorso, affinché tu possa vedere nella sua purezza la verità che in terra viene distorta poiché in questi insegnamenti si chiamano con uno stesso nome due cose diverse.
  Con due espressioni (vostre scole... equivocando) nelle quali è già visibile il disdegno per le dispute inutili o addirittura capziose ( cfr. l'invettiva della parte finale del canto), Beatrice si appresta a confutare alcune posizioni teologiche del tempo. Queste attribuivano agli angeli le stesse facoltà dell'anima umana, usando in senso improprio i termini intelligenza, memoria, volontà.
76 Queste sustanze, poi che fur gioconde
de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde:
  76

Gli angeli, dal momento in cui godettero della visione diretta di Dio, non distolsero mai il loro sguardo da Lui, nel quale tutto è presente:

  Il compito affidato ai cori angelici è quello di volgersi intorno a Dio, rapiti nella sua contemplazione (canto XXVIII, versi 25-39), e di guidare il cielo affidato a ciascuno di essi.
79 però non hanno vedere interciso
da novo obietto, e però non bisogna
rememorar per concetto diviso;
  79 perciò in essi la conoscenza non è mai interrotta da un oggetto nuovo, e per tale motivo non hanno bisogno di ricordare un concetto (temporaneamente) dimenticato,
82 sì che là giù, non dormendo, si sogna,
credendo e non credendo dicer vero;
ma ne l'uno è più colpa e più vergogna.
  82 così che in terra si sogna ad occhi aperti, sia da parte di coloro che credono (in buona fede) di insegnare la verità, sia da parte di coloro che sono coscienti di non dire la verità, anche se la colpa e la vergogna più grandi sono da addebitare a questi ultimi.
  Delle tre facoltà erroneamente attribuite agli angeli, Dante analizza compiutamente solo quella della memoria: gli angeli, contemplando Dio nel quale è presente anche il passato, non hanno necessità di ricordare; il loro vedere, fisso nell'eterna luce, è immutabile senza bisogno di passare dà un concetto all'altro (versi 79-81), come avviene invece negli uomini. Il Nardi; ricorda a questo proposito, che Dante non solo si discosta dalla dottrina di Sant'Alberto Magno e di altri scolastici, ma anche da quella di San Tommaso.
85 Voi non andate giù per un sentiero
filosofando: tanto vi trasporta
l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero!
  85 Voi sulla terra non procedete tutti sulla stessa via negli studi filosofici; a tal punto vi lasciate trascinare dal desiderio e dalla preoccupazione di apparire (abili e ingegnosi).
88 E ancor questo qua sù si comporta
con men disdegno che quando è posposta
la divina Scrittura o quando è torta.
  88 E tuttavia questa ambizione è tollerata con minore sdegno di quando la Sacra Scrittura viene posposta (alle dottrine filosofiche), oppure di quando ne viene distorto il significato.
91 Non vi si pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa s'accosta.
  91 Non si pensa sulla terra quanto sangue di martiri sia costata la diffusione (della parola divina) nel mondo, e quanto sia gradito (a Dio) chi si accosta ad essa con umiltà.
94 Per apparer ciascun s'ingegna e face
sue invenzioni; e quelle son trascorse
da' predicanti e 'l Vangelio si tace.
  94 Ciascuno si ingegna ed escogita novità per mettersi in mostra; e queste novità vengono accolte ed esposte dai predicatori mentre viene trascurato il vangelo.
  Il ricordo modesto di inutili dispute filosofiche intorno alla natura degli angeli aveva turbato (versi 70-75) la serena contemplazione della verità faticosamente raggiunta, immettendo, nella sfera speculativa, il tono della rampogna. Allorché l'indagine di Beatrice si sposta dai teologi e dagli esegeti biblici, ai predicatori ai quali è stato affidato il compito di far conoscere la vera parola di Dio, il rimprovero si trasforma in invettiva e l'invettiva si colora di amaro sarcasmo, come sempre avviene in Dante, ogni qualvolta la polemica, dal campo culturale e filosofico, si trasferisce a quello morale-religioso.
97 Un dice che la luna si ritorse
ne la passion di Cristo e s'interpuose,
per che 'l lume del sol giù non si porse;
  97 C’è chi dice che al momento della morte di Cristo la luna tornò indietro sul proprio cammino e si interpose (fra il sole e la terra), per cui (a causa delle eclissi così provocata) la luce del sole non poté mostrarsi in terra;
100 e mente, ché la luce si nascose
da sé: però a li Spani e a l'Indi
come a' Giudei tale eclissi rispuose.
  100 e costui sostiene una cosa falsa, perché il sole si oscurò da se (non per interposto oggetto); perciò tale eclissi apparve ai popoli della Spagna e dell’India come ai Giudei.
  Beatrice precisa i motivi della sua invettiva con un esempio delle astruse discussione dei predicanti. L'oscurità, che si diffuse all'improvviso sulla terra al momento della morte di Cristo (Matteo XXVII, 45; Marco XV, 33; Luca XXIII, 44), sarebbe stata provocata dalla luna, la quale, violando il suo corso naturale, sarebbe ritornata indietro nel suo cammino interponendosi fra la terra e il sole. Se così fosse stato, tale eclissi sarebbe risultata parziale, laddove le testimonianze dei vangeli sono concordi nell'affermare che la tenebra si diffuse non solo sulla Palestina, ma su tutto l'occidente (Ispani) e su tutto l'oriente (Indi). Da notare che l'opinione contro la quale Dante polemizza con tanta asprezza è quella di San Tommaso (Summa Theologica III, XLIX, 2).
103 Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante sì fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi:
  103 In Firenze non vi sono tanti Lapi e Bindi (due nomi molto comuni in quella città) quante sono le favole di tal genere che ogni anno dal pulpito si bandiscono dovunque,
106 sì che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno.
  106 così che i fedeli ignoranti tornano dalla predica pasciuti di chiacchiere inutili, e il fatto di non veder il danno (che deriva loro da una tale predicazione) non li giustifica (perché dimostra la loro leggerezza e la loro ignoranza delle verità fondamentali della fede).
109 Non disse Cristo al suo primo convento:
'Andate, e predicate al mondo ciance';
ma diede lor verace fondamento;
  109 Cristo non disse alla sua prima comunità (quella degli apostoli): "Andate, e predicate ciance al mondo"; ma diede loro una verità sicura.
  Le parole rivolte da Gesù ai suoi discepoli ("Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura"; Marco XVI, 15) sono riprese da Beatrice con un'apparente blasfemia sostituzione: al posto di "Vangelo" il termine ciance, nel quale sembra condensarsi tutto lo sdegno del Poeta. L'impeto non si disperde in forme oratorie, ma si raccoglie e si incide in questa parola, nella sua tensione, nel suo peso.
112 e quel tanto sonò ne le sue guance,
sì ch'a pugnar per accender la fede
de l'Evangelio fero scudo e lance.
  112 E quella dottrina risuonò sulla bocca degli Apostoli, così che nella lotta per la diffusione della fede, essi non usarono altra arma che il Vangelo.
115 Ora si va con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida,
gonfia il cappuccio e più non si richiede.
  115 Ora si va a predicare con motti di spirito e sciocche piacevolezze, e purché si rida molto ( da parte degli ascoltatori), il cappuccio (del predicatore) si gonfia (di vanità), e non si richiede altro ( né da lui né dagli ascoltatori).
  Lo sdegno - commenta il Grabher -, detta una delle più dense e concise rappresentazioni. Hai la predica-spettacolo dove al senso plebeo dell'indegno frate, che trascina le cose più sacre tra motti e iscede, risponde la supina e volgare soddisfazione della folla, quel pieno e grasso " ridere "... e la figura tronfia del frate è tutta in un particolare - gonfia il cappuccio - che, con estrosa genialità, trasferisce e condensa nell'abito un carattere della persona: creando un grottesco così amaro, così corposamente figurativo e così pregno di riflessi spirituali. E come contrappunto all'immagine del frate borioso e volgare, tutto pasciuto di vento e, s'insinua sorda, sinistra, la invisibile presenza di quel demonio rimpiccinito e subsannante, che s'annida proprio nel gonfio cappuccio: Ma tale uccel nel becchetto s'annida... (verso 118)"
118 Ma tale uccel nel becchetto s'annida,
che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe
la perdonanza di ch'el si confida:
  118 Ma nella punta del cappuccio (del frate) si nasconde un uccello tale (il diavolo) che, se il popolo lo vedesse, si accorgerebbe di che genere sono le indulgenze (promesse dai frati) nelle quali ripone la sua fiducia;
121 per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
che, sanza prova d'alcun testimonio,
ad ogne promession si correrebbe.
  121 e per tale motivo (per la fiducia nelle indulgenze) è tanto aumentata la stoltezza umana, che tutti sarebbero pronti ad accorrere ad ogni promessa, senza chiedere nessuna testimonianza (che comprovi la concessione dell’indulgenza da parte della legittima autorità religiosa).
124 Di questo ingrassa il porco sant' Antonio,
e altri assai che sono ancor più porci,
pagando di moneta sanza conio.
  124 Di questa incredulità si ingrassa il porco di Sant’Antonio, e (s’ingrassano) persone peggiori dei porci stessi, pagando con monete false (cioè: contraccambiando le offerte dei fedeli con false promesse di indulgenze e di grazie).
  Sant'Antonio ( eremita egiziano morto nel 356), che nel Medioevo era comunemente rappresentato con un maiale ai piedi, per simboleggiare il diavolo tentatore da lui vinto, fu, in seguito, considerato protettore degli animali. I frati antoniani solevano allevare maiali che erano venerati come sacri dal popolo (giravano per le vie della città ed entravano perfino nelle case) e mantenuti con le offerte dei fedeli.
L'espressione il porco Sant'Antonio rispecchia un uso del volgare antico, per cui, allorché il complemento di specificazione era rappresentato da un nome proprio, si ometteva la preposizione "di". Il Linguaggio, nei versi 124-126, precipita nel plebeo e nel grottesco, mentre i versi respirano un'aura di peccato che riporta il lettore alle pagine dense di scherno e di depravazione dell'lnferno. Beatrice è qui, come tanti altri personaggi della Commedia, un portavoce fedele di Dante, dello spirito iroso e polemico del Poeta, ma non ha visto male il Tommaseo, allorché ha scritto che "il cenno de' porci non è cosa degna di Beatrice e del paradiso".
127 Ma perché siam digressi assai, ritorci
li occhi oramai verso la dritta strada,
sì che la via col tempo si raccorci.
  127 Ma poiché ci siamo allontanati molto (dal nostro tema), rivolgi ormai la tua attenzione verso l’argomento principale, così che la via (che ci resta da percorrere) si abbrevi in armonia. col (poco) tempo (che ci rimane da passare in questo cielo).
130 Questa natura sì oltre s'ingrada
in numero, che mai non fu loquela
né concetto mortal che tanto vada;
  130 Gli angeli raggiungono un numero così sterminato, che non ci furono mai parola o concetto umano capaci di rappresentarlo;
133 e se tu guardi quel che si revela
per Danïel, vedrai che 'n sue migliaia
determinato numero si cela.
  133 e se tu consideri quello che viene rivelato da Daniele, vedrai che nelle migliaia (di cui parla) il numero preciso rimane nascosto.
  Il profeta Daniele in un passo del suo libro (VII, 10) scrive: "mille migliaia Lo servivano e diecimila decine di migliaia stavano in piedi davanti a Lui".
136 La prima luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi s'appaia.
  136 La luce di Dio, che irraggia tutta la natura angelica, è ricevuta in essa in tanti modi diversi, quanti sono i singoli angeli con i quali essa lì si unisce.
139 Onde, però che a l'atto che concepe
segue l'affetto, d'amar la dolcezza
diversamente in essa ferve e tepe.
  139 Per tale motivo, poiché all’atto della visione intellettuale di Dio è proporzionato l’affetto, la dolcezza dell’amore (verso di Lui) nella natura angelica è più o meno intensa.
142 Vedi l'eccelso omai e la larghezza
de l'etterno valor, poscia che tanti
speculi fatti s'ha in che si spezza,
  142 Considera ora l’altezza e l’immensità (la larghezza) di Dio, poiché ha creato un numero così grande di specchi (gli angeli) nei quali la sua luce si riflette in modi diversi,
145 uno manendo in sé come davanti».   145 conservando la sua immutabile unità come prima (della creazione).
  Dopo la digressione (cosi il Poeta stesso la definisce nei versi 127-129) relativa ai falsi predicatori delle verità cristiane, la voce di Beatrice ritrova, nella ultima parte del canto, la limpidità di accenti e la purezza d'emozioni della prima parte di esso. Dopo la contemplazione di un universo infinitamente molteplice, il pensiero si placa nel richiamo all'unità Dio. Un soffio di infinito agita i versi 130-145 e tutti sono un solo "brivido di luce e di amore" (Getto), e "in un'onda d'infinito si dilata la chiusa dal canto".

 

© 2009 - Luigi De Bellis