1 |
In forma
dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa; |
|
1 |
I beati che Cristo unì a Sé con la sua morte in croce mi
apparivano dunque nella forma di una candida rosa; |
4 |
ma l'altra,
che volando vede e canta
la gloria di colui che la 'nnamora
e la bontà che la fece cotanta, |
|
4 |
ma gli angeli (l’altra:
riferito a milizia), che volando contemplano e cantano
la gloria di Dio che li avviva d’amore e la sua bontà,
che li creò tanto perfetti, |
7 |
sì come
schiera d'ape che s'infiora
una fïata e una si ritorna
là dove suo laboro s'insapora, |
|
7 |
allo stesso modo in cui
uno sciame d’api ora si immerge nei fiori ed ora ritorna
all’alveare (là) dove la sua fatica si trasforma in
dolce sapore di miele, |
10 |
nel gran
fior discendeva che s'addorna
di tante foglie, e quindi risaliva
là dove 'l süo amor sempre soggiorna. |
|
10 |
scendevano nel grande
fiore che si adorna di foglie così numerose (ogni beato,
infatti, costituisce un petalo della candida rosa), e da
lì risalivano là dove Dio, oggetto del loro amore,
soggiorna per l’eternità. |
|
Interrotta dall'amara digressione di Beatrice alla fine
del canto precedente, la descrizione dell'Empireo
riprende su un tono apparentemente semplice e discorsivo
(ben rilevato dalla presenza, nel verso 1, dell'avverbio
dunque), con un'immagine riassuntiva di quanto il Poeta
è venuto finora rappresentando;
la rosa sempiterna, occupata dal convento delle bianche
stole (canto XXX, verso 129), appare di un candore
abbagliante. Ma sull'immobilità e sul silenzio del gran
fior (verso 10) si sovrappongono ben presto, con
l'impeto di una vita varia e multiforme, il movimento e
il canto degli angeli, così che le due figurazioni
fondamentali del discorso poetico del Paradiso quella
improntata a una pace solenne, a una fissità estatica e
quella scandita da un fervore incessante, da un
movimento fervido - concorrono in uguale misura a
precisare, attraverso un'immagine e un ritmo,
l'esperienza beatificante dell'anima a contatto con il
divino.
Nell'immobilità dei beati e nell'immensa legione
angelica che, volando e osannando, si fa intermediaria
di beatitudine fra Dio e i suoi eletti, troviamo la
visione sensibile di ciò che Dante ha esclamato
all'inizio del canto XXVII di fronte alla gloria dei
beati (oh vita integra d'amore e di pace!), la
rappresentazione concreta che racchiude tutto il valore
della vita paradisiaca, come egli l'ha concepita ed
espressa nel verso: una vita eternamente sicura, dove la
pace più alta si fonde a un continuo fervore d'amore. |
13 |
Le facce
tutte avean di fiamma viva
e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco,
che nulla neve a quel termine arriva. |
|
13 |
Il loro volto aveva il colore della
fiamma viva, e le loro ali quello dell’oro, e il resto
della figura era così bianco, che nessuna neve può
arrivare a quell’estremo (di candore). |
|
I commentatori antichi così spiegano il valore
allegorico di questa rappresentazione: il rosso indica
l'ardente carità da cui gli angeli sono infiammati,
l'oro simboleggia la perfezione di cui sono dotati, il
bianco la purezza che essi hanno in comune con i beati
(le bianche stole).
La perplessità suscitata in alcuni critici del
simbolismo dei colori, di cui Dante riveste gli angeli
dell'Empireo, non ha nessuna valida giustificazione.
perché il significato allegorico non impedisce quel
risultato di "trionfale illuminazione" ( Grabher ) al
quale mirava il Poeta. Gli angeli del Paradiso, infatti,
non sono dotati di una loro specifica individualità
esteriore, anche se appaiono dotati di un loro
spirituale profilo, perché ciascuno rispecchia in modo
particolare la luce divina ( Paradiso XXIX, 136-145).
Riflessi della potenza divina, specchi di Dio. essi
hanno un compito di fondamentale importanza ( imprimere
e regolare il movimento dei cieli ), e per questo Dante
dedica agli angeli quasi due canti (il XXVIII e il XXIX),
nei quali tuttavia, più che celebrare la loro creazione,
approfondisce, ancora una volta, il vasto tema
dell'ordine dell'universo e della grandezza divina.
Allorché appaiono nell'Empireo, sono dapprima prima
faville vive e topazii (due espressioni di suggestiva
visività, ma prive di individuazione), e anche ora che
la loro figura si determina attraverso la presenza di
colori, essi restano sempre una plenitudine volante
(verso 20), qualcosa di infinito e di indefinito. Di
loro ricorderemo il canto, i colori, il movimento, ma
nessuna singola figura. Tale fatto, tuttavia, non
costituisce un difetto poetico, perché volutamente Dante
ha privato di ogni ulteriore determinazione coloro che
dovevano essere gli acclamanti intermediari di pace e di
ardore fra Dio e i beati. |
16 |
Quando
scendean nel fior, di banco in banco
porgevan de la pace e de l'ardore
ch'elli acquistavan ventilando il fianco. |
|
16 |
Quando scendevano nel
fiore, passando da un gradino all’altro comunicavano ai
beati la pace della beatitudine e l’ardore della carità
che essi attingevano volando (fino a Dio). |
19 |
Né
l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore
di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore: |
|
19 |
L’interporsi
di un così grande numero di angeli fra il punto in cui
si trovava Dio e la rosa non impediva alle anime di
contemplare Dio, e allo splendore divino di giungere
alle anime, |
22 |
ché la luce
divina è penetrante
per l'universo secondo ch'è degno,
sì che nulla le puote essere ostante. |
|
22 |
poiché la luce divina penetra nell’universo secondo che
ogni cosa sia più o meno degna (di riceverla), così che
nulla può esserle di ostacolo. |
|
La similitudine delle api, di ispirazione virgiliane
(Eneide VI, 707-709), conferiva un rilievo straordinario
al moto rapido e incessante degli angeli, e con la
precisione delle sue determinazioni (s'infiora una fiata
e una si ritorna là dove suo l'erboro s'insapora) ne
specificava le caratteristiche: un ritmo discendente e
ascendente che non conosce nessuna stasi, che produce,
per l'eternità, uno scambio continuo di pace e di
ardore, Ma nella descrizione di tale movimento il verso
più prezioso, certamente il più significativo, è il
verso 20, nel quale l'uso dell'astratto plenitudine è,
secondo il Montanari, "felicissimo: il cielo è pieno non
tanto di angeli, quanto di voli d'angeli... e questo
volare è pienezza di numero ma più ancora di beatitudine
e di carità". |
25 |
Questo
sicuro e gaudïoso regno,
frequente in gente antica e in novella,
viso e amore avea tutto ad un segno. |
|
25 |
Questo regno privo di ogni turbamento e pieno di
beatitudine, popolato di anime dell’Antico e del Nuovo
Testamento, rivolgeva il suo sguardo e il suo amore
verso una unica meta (Dio). |
28 |
Oh trina
luce che 'n unica stella
scintillando a lor vista, sì li appaga!
guarda qua giuso a la nostra procella! |
|
28 |
Oh luce della Trinità, che
risplendendo agli occhi dei beati nell’unica essenza
della tua luce, li appaghi in modo così completo, guarda
quaggiù sulla terra le nostre procelle! |
31 |
Se i
barbari, venendo da tal plaga
che ciascun giorno d'Elice si cuopra,
rotante col suo figlio ond' ella è vaga, |
|
31 |
Se i barbari, scendendo da
regioni così settentrionali che l’Orsa Maggiore (Elice)
vi rimane sempre visibile, ruotando insieme con il
figlio che tanto ama, |
|
Venendo da tal plaga che
ciascun giorno d'Elice si copra ...: nelle
regioni più settentrionali (oltre il 55° parallelo) la
costellazione dell'Orsa Maggiore passa ogni giorno allo
zenit, accompagnata dalla costellazione dell'Orsa Minore
(rotante col suo figlio ond'ella è vaga). Nella
precisazione astronomica si inserisce un ricordo
mitologico: la ninfa Elice, amata da Giove, dal quale
ebbe un figlio, Arcade (cfr. Ovidio, Metamorfosi II,
401-530; Purgatorio XXV, 130-132), fu trasformata con il
figlio in orsa dalla gelosa Giunone; Giove però li
trasferì in cielo dove Elice costituì l'Orsa Maggiore e
Arcade l'Orsa Minore.
Quando Laterano...: il Laterano fu prima palazzo
imperiale e poi, dopo la donazione di Costantino,
papale. E' possibile, secondo il Sapegno, che Dante
"intenda alludere a un periodo storico determinato, e
precisamente al secolo intercorso tra il momento in cui
papa Silvestro fece del Laterano la sua dimora e le
prime invasioni barbariche, quando ancora lo splendore
monumentale dell'urbe sopravviveva intatto". |
34 |
veggendo
Roma e l'ardüa sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali andò di sopra; |
|
34 |
vedendo Roma e i suoi
grandiosi edifici, rimanevano attoniti per lo stupore,
quando Roma superò (in grandezza e in potenza) tutte le
cose mortali, |
37 |
ïo, che al
divino da l'umano,
a l'etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano, |
|
37 |
io, che ero venuto al
mondo divino dal mondo umano, all’eterno dal tempo, e da
Firenze ai beati del paradiso, |
40 |
di che
stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e 'l gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto. |
|
40 |
di quale stupore dovevo
essere colmo! Certamente stupore e gioia insieme mi
rendevano gradito non udire e non parlare. |
|
Davanti al beato consesso del paradiso, a quei "visi" e
a quegli "amori" tutti rivolti verso Dio (versi 25-27),
il pensiero del Poeta è ritornato, quasi con violenza,
alla terra, alle sue inutili lotte, e, nell'invocazione
alla Trinità, tutta la sua sofferenza è chiusa in
quell'ultimo verso (guarda qua giuso alla nostra
procella) così umano, così immediato (dopo il teologico
accenno alla trina luce in una unica stella) e legato a
modi popolari di preghiera. Dal contrasto fra la
limpidezza della trina luce e il buio e tempestoso mondo
terreno nascono tre altre antitesi (divino-umano,
etterno-tempo, Fiorenza-popol giusto e sano )
nell'ultima delle quali il Poeta, dopo aver considerato
le grandi realtà di Dio e del mondo, dell'eternità e del
tempo, ritorna, dall'alto dell'Empireo, a quel punto -
Firenze - che è la dolorosa origine di tutto il suo
pensiero e di tutta la sua passione politica, di tutte
le sue lotte e di tutte le sue più sofferte esperienze.
Ma proprio il fatto che Firenze è accostata a quelle
grandi realtà, se da un lato accerta, ancora una volta,
l'amore del Poeta per la sua città, dall'altro
testimonia che l'indignazione e l'amarezza personale
dell'esule si sono trasformate nella serenità e nella
comprensione per l'umana debolezza di chi guarda
dall'alto. |
43 |
E quasi
peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando,
e spera già ridir com' ello stea, |
|
43 |
E come il pellegrino che
si riposa (dalle fatiche del viaggio) contemplando il
tempio che aveva fatto voto di visitare, e già spera di
poter raccontare (al suo ritorno) come esso era fatto, |
46 |
su per la
viva luce passeggiando,
menava ïo li occhi per li gradi,
mo sù, mo giù e mo recirculando. |
|
46 |
così io facendo scorrere
lentamente lo sguardo sulla viva luce (della candida
rosa) osservavo gradino per gradino, volgendo lo sguardo
ora in alto, ora in basso e ora all’intorno. |
49 |
Vedëa visi a
carità süadi,
d'altrui lume fregiati e di suo riso,
e atti ornati di tutte onestadi. |
|
49 |
Vedevo volti che
ispiravano carità, risplendenti della luce di Dio e
della propria gioia che si manifestava nel sorriso, e
atteggiamenti ricchi di ogni decoro e nobiltà. |
|
Sicuro e gaudioso... tutto ad
un segno: così Dante ha definito il paradiso
nei versi 25-27, riassumendo nella espressiva potenza
del primo verso di essa tutto il fervore di vita beata
della candida rosa. Ora lo sguardo " mette a fuoco "
sulla viva luce della rosa, le figure dei beati, con
"sublimate immagini di conversazioni cortesi. vedeva
visi a carità scadi... e atti ornati di tutte onestadi".(Montanari) |
52 |
La forma
general di paradiso
già tutta mïo sguardo avea compresa,
in nulla parte ancor fermato fiso; |
|
52 |
Avevo già abbracciato col
mio sguardo tutto l’aspetto del paradiso nel suo
complesso, senza essermi ancora fissato su nessuna
parte: |
55 |
e volgeami
con voglia rïaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa. |
|
55 |
e mi volgevo con il
desiderio riacceso di sapere, per interrogare la mia
donna su cose intorno alle quali la mia mente era ancora
incerta. |
58 |
Uno intendëa,
e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti glorïose. |
|
58 |
Di una cosa avevo
intenzione (di interrogare Beatrice), ma altro rispose
al mio intento: credevo di vedere Beatrice, e vidi un
vecchio vestito (di una bianca stola) come tutte le
anime beate. |
61 |
Diffuso era
per li occhi e per le gene
di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene. |
|
61 |
Nei suoi occhi e nel suo
volto era diffusa una benevola letizia, nel suo
atteggiamento si dimostrava affettuoso come un tenero
padre. |
|
Al posto di Beatrice, subentra, come guida di Dante, San
Bernardo da Chiaravalle: la teologia razionale cede il
posto alla teologia contemplativa ( come, nel paradiso
terrestre, alla ragione, Virgilio, si era sostituita la
verità rivelata, Beatrice), per condurre Dante alla
visione intuitiva di Dio, visione che è al di sopra di
ogni ragionamento e di ogni possibile insegnamento.
Bernardo, nato a Fontaines (in Borgogna) nel 1091 e
morto nel 1153, fu monaco benedettino nell'ordine
riformato dai cistercensi. Fondatore dell'abazia di
Clairvaux (Chiaravalle), fu scrittore fecondissimo di
opere ascetiche e mistiche (Dante cita, nell'Epistola
XIII il De consideratione, ma dovette conoscerne anche
altre) e prese parte attiva alle vicende religiose del
suo tempo, distinguendosi per la sua tenace volontà di
riforma della vita monastica. Soprannominato Doctor
mellifluus per la sua eloquenza, può essere considerato
uno dei principali scrittori mistici del Medioevo e fu
singolarmente devoto alla Vergine (verso 102). |
64 |
E «Ov' è
ella?», sùbito diss' io.
Ond' elli: «A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio; |
|
64 |
E subito chiesi: "Dov’è?"
Per cui egli: "Per soddisfare il tuo desiderio (che è
quello di vedere Dio) Beatrice mi ha fatto venire (qui)
chiamandomi dal mio seggio; |
67 |
e se
riguardi sù nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiro». |
|
67 |
e se guardi nel terzo
gradino a cominciare dall’alto, la rivedrai sul trono
che il suo merito le ha destinato in sorte". |
70 |
Sanza
risponder, li occhi sù levai,
e vidi lei che si facea corona
reflettendo da sé li etterni rai. |
|
70 |
Senza rispondere, alzai
gli occhi, e vidi Beatrice che riflettendo la luce
divina irradiava intorno a se un aureola di luce. |
73 |
Da quella
regïon che più sù tona
occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare più giù s'abbandona, |
|
73 |
Nessun occhio mortale,
anche se guardasse dal più profondo del mare, disterebbe
da quella regione dell’aria nella quale si formano i
tuoni, |
76 |
quanto lì da
Beatrice la mia vista;
ma nulla mi facea, ché süa effige
non discendëa a me per mezzo mista. |
|
76 |
più di quanto la mia vista
lì distava da Beatrice; ma ciò non mi era di alcun
ostacolo, perché la sua immagine non giungeva a me
velata dall’atmosfera. |
79 |
«O donna in
cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige, |
|
79 |
"O donna in cui prende
vigore la mia speranza, e che non disdegnasti di
lasciare le tue orme nell’inferno per la mia salvezza
(cfr. Inferno 11-52 e sgg.) |
82 |
di tante
cose quant' i' ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute. |
|
82 |
riconosco che dal tuo
potere e dalla tua bontà (non dai miei meriti) ho
ricevuto la grazia e la capacità di vedere tante cose
quante ne ho vedute (durante il mio viaggio). |
85 |
Tu m'hai di
servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt' i modi
che di ciò fare avei la potestate. |
|
85 |
Tu mi hai condotto dalla
schiavitù (del peccato) alla libertà (della virtù)
servendoti di tutte quelle vie, di tutti quei mezzi che
avevi la possibilità di usare. |
88 |
La tua
magnificenza in me custodi,
sì che l'anima mia, che fatt' hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi». |
|
88 |
Conserva in me il tuo
mirabile dono, affinché la mia anima, che hai risanato
dal peccato (nel momento della morte), si sciolga dal
corpo cara a te (come lo è ora)". |
91 |
Così orai; e
quella, sì lontana
come parea, sorrise e riguardommi;
poi si tornò a l'etterna fontana. |
|
91 |
Cosi pregai; e Beatrice,
così lontana come appariva, sorrise e mi guardò; poi si
volse verso Dio, eterna sorgente di luce e d’amore. |
|
Beatrice scompare agli occhi di Dante inavvertitamente,
come già era scomparso, sulla vetta del purgatorio, nel
paradiso terrestre, Virgilio. Tuttavia mentre la
scomparsa del poeta latino era stata preceduta da
commosse parole di congedo e seguita da un momento di
doloroso smarrimento in Dante, qui il Poeta, nella
speranza di un prossimo ricongiungimento in Dio, leva
subito gli occhi verso l'alto (verso 70), e il suo
ringraziamento a Beatrice acquista lo slancio di un
inno, nel quale la forza emotiva è abilmente sorretta e
guidata da una grande maestria costruttrice. L'inno si
apre su una nota di trepidante umanità ( o donna in cui
la mia speranza vige), nella quale la memoria delle
passate colpe aggiunge la consapevolezza dell'umana
fragilità. Ma l'intervento sovrannaturale, del quale la
donna amata è stata portatrice, disperde ogni pericolo,
mentre Dante, con accento deciso, dichiara che ogni
grazia e ogni virtute della sua presente esperienza
religiosa, dipendono solo dal podere e dalla bontate di
Beatrice. Per merito suo egli è stato tratto dalla
schiavitù alla libertà (per tutte quelle vie, per tutt'i
modi...: l'ansia e la fatica sono di Beatrice, non del
Poeta che ella "trascina" dietro di sé con la forza del
suo amore). Raggiunta la salvezza, ecco la conclusione
solenne e trionfale dell'inno (la tua magnificenza in me
custodi), nel quale l'esperienza religiosa, che è fra le
più complesse e che si propone come "esemplare" per
tutti gli uomini, viene compendiata in concise ed
eloquenti espressioni, che tuttavia mantengono viva la
nota affettiva: "la voce batte su tue (verso 81 ), tuo,
tua I verso 83 ), Tu ( verso 85) tua (verso 88) a te
(verso 90)... e la stessa purità dell'anima nel momento
della morte che lo ricongiungerà a Beatrice, si traduce
in un'espressione affettiva: piacente a te" (Grabher).
Aperta da un'ampia prospettiva di spazi (versi 73-78),
la preghiera si chiude su un'altra immagine di spazio e
di distanze (e quella, si lontana... ), ma Beatrice,
lontanissima com'è nell'immensità della rosa ,"sorride a
Dante di un sorriso dolcissimo e vicinissimo,
perfettamente individuato attraverso l'immensa distanza:
questo sorriso... è la più alta ed insieme più umana
glorificazione che Dante abbia immaginato in onore di
Beatrice" (Montanari). Con questo commiato, il Poeta ha
ora sciolto la sua promessa di dire di Beatrice "quello
che mai non fue detto d'alcuna" (Vita Nova XLII, 3):
l'amore per Beatrice viene rivissuto e contemplato su
uno sfondo celebrativo di vita eterna e di virtù
santificante. |
94 |
E 'l santo
sene: «Acciò che tu assommi
perfettamente», disse, «il tuo cammino,
a che priego e amor santo mandommi, |
|
94 |
E il santo vecchio disse:
"Affinché tu concluda il tuo viaggio perfettamente, per
il quale scopo mi ha mandato la preghiera di Beatrice
dettata da santo amore; |
97 |
vola con li
occhi per questo giardino;
ché veder lui t'acconcerà lo sguardo
più al montar per lo raggio divino. |
|
97 |
vola col tuo
sguardo su questa rosa, perché la sua visione preparerà
la tua vista a salire su per i raggi della luce divina
(fino a contemplare direttamente Dio). |
100 |
E la regina
del cielo, ond' ïo ardo
tutto d'amor, ne farà ogne grazia,
però ch'i' sono il suo fedel Bernardo». |
|
100 |
E la Vergine,
regina del cielo, per la quale io ardo tutto d’amore, ci
concederà ogni grazia, perché io sono il suo fedele
Bernardo". |
103 |
Qual è colui
che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per l'antica fame non sen sazia, |
|
103 |
Come il pellegrino che
forse dalla Croazia viene (a Roma) per vedere il sudario
della Veronica, e che per il desiderio lungamente
nutrito non si sazia mai di contemplarlo, |
106 |
ma dice nel
pensier, fin che si mostra:
'Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
or fu sì fatta la sembianza vostra?'; |
|
106 |
ma dice dentro di sé, per
tutto il tempo in cui (l’immagine) viene mostrata ai
fedeli: "Signore mio Gesù Cristo, vero, così, dunque, fu
il vostro aspetto?", |
|
A Roma, nella basilica di San Pietro, si conserva la
tela che, secondo la tradizione, una donna di nome
Veronica avrebbe offerto a Gesù perché si asciugasse il
volto durante l'ascesa al Calvario e sulla quale il
Salvatore lasciò impressi, in segno di riconoscenza, i
suoi lineamenti. Durante tutto il Medioevo l'immagine fu
meta di numerosissimi pellegrinaggi, che venivano dalle
più lontane regioni d'Europa (qui Croazia indica
genericamente una terra lontana). |
109 |
tal era io
mirando la vivace
carità di colui che 'n questo mondo,
contemplando, gustò di quella pace. |
|
109 |
nello stesso stato d’animo (di stupore
e di smarrimento) mi trovavo io guardando l’ardente
amore di colui che (ancora) sulla terra, gustò la pace
(del paradiso), con le sue mistiche contemplazioni. |
|
Con tre similitudini, di particolare calore espressivo,
Dante tenta di trascrivere lo stato d'animo di stupore,
di gioia, di smarrimento nel quale si trova immerso di
fronte alla vastità della candida rosa. Si può notare,
tuttavia, un rapido crescendo di intensità e di
profondità psicologica dalla prima alla terza immagine:
dapprima è lo stupore del barbaro di fronte a una
magnificenza senza limiti, poi la gioiosa commozione del
pellegrino che è giunto al tempio del suo voto e
osserva, quasi con gli occhi del cuore, ogni particolare
perché si imprima nel suo animo, infine il turbamento
del " romeo " (cfr. Vita Nova XL, 1-7) che, mentre
appaga il suo lungo desiderio, avverte il tremito
dell'anima di fronte al divino (Signor mio Gesù Cristo,
Dio verace...). Anche se è ormai diventato un luogo
comune il confronto fra questo pellegrino dantesco e
quello che è protagonista del famoso sonetto del
Petrarca "Movesi il vecchierel canuto e stanco" (Rime
XVI ), appare interessante osservare come i versi del
Petrarca abbiano un tono malinconico e grave
(sottolineando l'ansia e la fatica del lungo viaggio,
dopo aver rappresentato il dolore del distacco dalla
casa e dalla famiglia ) che manca completamente in
quelli di Dante, dove il pellegrino di Croazia è tutto
immerso nella contemplazione della divina effigie: nulla
lo turba, nessun ricordo di fatiche passate ritorna alla
sua mente, la quale continua a ripetere alcune parole
che sono una professione, candida e profonda, di fede:
or fu si fatta la sembianza vostra? |
112 |
«Figliuol di
grazia, quest' esser giocondo»,
cominciò elli, «non ti sarà noto,
tenendo li occhi pur qua giù al fondo; |
|
112 |
"Figliolo rigenerato dalla
Grazia" incominciò a dire "la condizione beata del
paradiso non ti sarà manifesta, finché tu continuerai a
guardare solo nel fondo (della rosa); |
115 |
ma guarda i
cerchi infino al più remoto,
tanto che veggi seder la regina
cui questo regno è suddito e devoto». |
|
115 |
ma guarda i gradini
circolari fino al più alto, sì che tu possa vedere la
regina della quale questo regno è suddito e devoto. |
118 |
Io levai li
occhi; e come da mattina
la parte orïental de l'orizzonte
soverchia quella dove 'l sol declina, |
|
118 |
Io alzai lo sguardo; e
come all’alba la parte orientale dell’orizzonte supera
(in luminosità) quella occidentale, dove il sole
tramonta, |
121 |
così, quasi
di valle andando a monte
con li occhi, vidi parte ne lo stremo
vincer di lume tutta l'altra fronte. |
|
121 |
Così, salendo con gli
occhi dal basso verso l’alto, vidi una zona nel gradino
più alto che vinceva con la sua luce tutta la parte che
le stava di fronte. |
124 |
E come quivi
ove s'aspetta il temo
che mal guidò Fetonte, più s'infiamma,
e quinci e quindi il lume si fa scemo, |
|
124 |
E come il punto
dell’orizzonte in cui si aspetta di vedere sorgere il
carro del sole si infiamma di una luce più intensa,
mentre da una parte e dall’altra (di quel punto) la luce
si attenua (man mano che ci si allontana), |
127 |
così quella
pacifica oriafiamma
nel mezzo s'avvivava, e d'ogne parte
per igual modo allentava la fiamma; |
|
127 |
così quella pacifica
orifiamma si avvivava di splendore nella sua zona
centrale, e la luce diminuiva in uguale misura da
entrambe le parti. |
|
Orifiamma: il
termine indicava il rosso stendardo di guerra dei re di
Francia; per questo Dante qui aggiunge l'aggettivo
pacifica. |
130 |
e a quel
mezzo, con le penne sparte,
vid' io più di mille angeli festanti,
ciascun distinto di fulgore e d'arte. |
|
130 |
E intorno a quel punto
centrale, con le ali spiegate, vidi innumerevoli angeli
festanti, ciascuno distinto dagli altri per intensità di
luce e per ardore di canti e di atteggiamento. |
133 |
Vidi a lor
giochi quivi e a lor canti
ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi; |
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133 |
Io vidi qui sorridere ai
loro voli e ai loro canti il bel volto della Vergine,
che era motivo di letizia per tutti i beati che lo
contemplavano. |
136 |
e s'io
avessi in dir tanta divizia
quanta ad imaginar, non ardirei
lo minimo tentar di sua delizia. |
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136 |
E se anche avessi tanta
ricchezza di parole quanta ne ho di fantasia, non oserei
tentare di descrivere neppure la minima parte del gaudio
che da lei derivava. |
139 |
Bernardo,
come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei, |
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139 |
Bernardo, non appena vide
il mio sguardo fisso e attento in Maria, oggetto del suo
ardente amore, rivolse i suoi occhi verso di lei con
tanto amore, |
142 |
che ' miei
di rimirar fé più ardenti. |
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142 |
che rese i miei ancora più
desiderosi di guardarla. |