1 |
«Poscia che
Costantin l'aquila volse
contr' al corso del ciel, ch'ella seguio
dietro a l'antico che Lavina tolse, |
|
1 |
“Dopo che l’imperatore Costantino portò l’insegna
imperiale da occidente a oriente in senso contrario al
moto naturale del cielo, il quale moto l’aveva
accompagnata un tempo dietro ad Enea che sposò Lavinia, |
4 |
cento e
cent' anni e più l'uccel di Dio
ne lo stremo d'Europa si ritenne,
vicino a' monti de' quai prima uscìo; |
|
4 |
l’aquila fu trattenuta
duecento anni e più nell’estremo lembo d’Europa, vicino
ai monti dai quali era uscita la prima volta; |
7 |
e sotto
l'ombra de le sacre penne
governò 'l mondo lì di mano in mano,
e, sì cangiando, in su la mia pervenne. |
|
7 |
e là, all’ombra delle sue
sacre ali, governò il mondo passando da un imperatore
all’altro, e, cosi mutando, arrivò in mano mia. |
|
L'imperatore Costantino nel 330 d. C. trasportò la sede
dell'Impero da Roma a Bisanzio, che da lui prese poi il
nome di Costantinopoli. Con quell'atto venne violato il
corso della natura e della storia, perché Enea, l'ideale
fondatore dell'Impero, era venuto dall'oriente verso
occidente, quando, abbandonata Troia, si era diretto
verso l'Italia. Giunto nel Lazio, aveva sposato Lavinia,
figlia del re Latino, dando cosi inizio alla stirpe
romana. L'aquila - insegna delle legioni romane,
chiamata eccel di Dio perché Roma e il suo dominio
furono creati da Dio per preparare la via all'avvento di
Cristo (cfr. versi 55-57; 82-90), e perché essa è
simbolo della missione divina affidata alla monarchia
universale - rimase nell'estremo confine dell'Europa, a
Bisanzio, non lontano dai monti della Troade, dai quali
era partita con Enea, per più di duecento anni. In
realtà, dal 330 al 527, anno dell'elezione di
Giustiniano, corrono 197 anni. Ma Dante segue la
cronologia tracciata da Brunetto Latini nel Trésor,
secondo la quale la traslazione della capitale a
Bisanzio avvenne nel 333 e la salita al trono di
Giustiniano nel 539. Dopo il volo grandioso, che ha
riunito nel breve respiro di tre versi secoli densi di
storia, I'aquila vive di una sua vita poetica, perdendo
l'immobilità propria del simbolo, sovrapponendo al velo
allegorico la sua immagine di regina degli spazi, le sue
ali ampie e possenti, capaci di coprire tutto il mondo. |
10 |
Cesare fui e
son Iustinïano,
che, per voler del primo amor ch'i' sento,
d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano. |
|
10 |
Fui imperatore e sono
Giustiniano, che, per impulso dello Spirito Santo del
quale sento ora gli effetti, dal corpo delle leggi tolsi
il superfluo e l’inutile. |
13 |
E prima
ch'io a l'ovra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piùe,
credea, e di tal fede era contento; |
|
13 |
E prima di dedicarmi all’opera della riforma
legislativa, credevo che in Cristo ci fosse una sola
natura e non due, ed ero soddisfatto di questa fede; |
16 |
ma 'l
benedetto Agapito, che fue
sommo pastore, a la fede sincera
mi dirizzò con le parole sue. |
|
16 |
ma il santo Agapito, che
fu sommo pastore della Chiesa, con le sue parole mi
avviò alla vera fede. |
|
Giustiniano, rispondendo alla domanda di Dante (canto V,
verso 127), distingue pensosamente (cfr. anche
Purgatorio V. 88) l'elemento caduco della gloria terrena
(Cesare fui...) da quello eterno, rappresentato dalla
personalità dell'individuo (son Giustiniano).
In Giustiniano (nato nel 482 e morto nel 565 ) Dante
vede il tipo del monarca ideale: l'imperatore romano del
tempo antico, integrato nella fede cristiana. Secondo
gli storici del Medioevo, i quali seguivano una
tradizione errata, Giustiniano, con la moglie Teodora,
avrebbe aderito per qualche tempo all'eresia di Eutiche,
detta monofisita, perché ammetteva in Cristo la sola
natura divina. Agapito I (pontefice dal 533 al 536 ),
recatosi a Costantinopoli per trattare la pace fra
Giustiniano e gli Ostrogoti, sarebbe riuscito a
convertire l'imperatore alla vera fede. |
19 |
Io li
credetti; e ciò che 'n sua fede era,
vegg' io or chiaro sì, come tu vedi
ogni contradizione e falsa e vera. |
|
19 |
Io gli
credetti; e ciò che allora era fondato solo sulla sua
autorità, ora lo vedo con la stessa chiarezza con la
quale tu vedi che di due proposizioni contraddittorie
una è falsa e l’altra è vera. |
22 |
Tosto che
con la Chiesa mossi i piedi,
a Dio per grazia piacque di spirarmi
l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi; |
|
22 |
Appena cominciai a camminare in accordo con la Chiesa,
Dio si compiacque per sua bontà d’ispirarmi il grande
lavoro (della riforma legislativa), |
25 |
e al mio
Belisar commendai l'armi,
cui la destra del ciel fu sì congiunta,
che segno fu ch'i' dovessi posarmi. |
|
25 |
ed io mi consacrai tutto ad esso; e affidai le imprese
militari al mio generale Belisario, al quale il favore
del cielo fu cosi vicino, che per me fu segno che dovevo
lasciare le opere belliche (per dedicarmi a quelle di
pace). |
|
Dopo la riconciliazione con la Chiesa inizia la grande
vicenda terrena di Giustiniano, al quale Dio affida il
compito di riordinare e definire il diritto romano (e
come maestro perenne di diritto si era presentato lo
stesso imperatore al verso 12). L'alto lavoro è quello
del Corpus iuris civilis, la grandiosa raccolta
giuridica nella quale è confluito quanto del diritto
romano era ancora valido, escludendo ciò che era ormai
superato per il trascorrere del tempo e il mutare delle
condizioni di vita (il troppo) ed eliminando le
ripetizioni e le contraddizioni fra le tante leggi ('l
vano). Dedicatosi completamente alle opere di pace,
Giustiniano affidò al fedele generale Belisario il
compito di riconquistare le terre perdute dall'Impero
negli ultimi decenni. Due affermazioni sono scandite con
particolare solennità dalla voce di Giustiniano: le
leggi (versi 11-12 e 23-24) e le armi (versi 25-26)
dell'lmpero furono volute e guidate da Dio.
L'introduzione alla parte centrale del discorso di
Giustiniano (versi 34 sgg.) è così compiuta, perché
veramente ora "il divino aleggia possente sull'Impero e
sulla sua missione" (Grabher). Croce e aquila sono
congiunte nella storia così come, ad un certo momento si
sono congiunte nella vita di Giustiniano, la cui figura
assurge mento a dignità di exemplum. |
28 |
Or qui a la
question prima s'appunta
la mia risposta; ma sua condizione
mi stringe a seguitare alcuna giunta, |
|
28 |
Qui ora termina la mia
risposta alla tua prima domanda: ma la natura di tale
risposta mi costringe a far seguire qualche aggiunta, |
31 |
perché tu
veggi con quanta ragione
si move contr' al sacrosanto segno
e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone. |
|
31 |
perché tu veda quanto
ingiustamente agisca contro l’aquila, la sacrosanta
insegna dell’Impero, e chi si appropria di lei (come i
Ghibellini) e chi a lei si oppone (come i Guelfi. |
34 |
Vedi quanta
virtù l'ha fatto degno
di reverenza; e cominciò da l'ora
che Pallante morì per darli regno. |
|
34 |
Considera quante imprese
valorose l’hanno fatta degna di venerazione; ed esse
cominciarono allorché Pallante morì per acquistarle il
regno. |
37 |
Tu sai ch'el
fece in Alba sua dimora
per trecento anni e oltre, infino al fine
che i tre a' tre pugnar per lui ancora. |
|
37 |
Tu sai come l’aquila fissò
la sua sede in Albalonga per oltre trecento anni, fino
al momento in cui i tre Orazi e i tre Curiazi
combatterono ancora per il suo possesso. |
|
I discendenti di Enea regnarono più di
trecento anni su Albalonga, la città fondata nel Lazio
da Ascanio, figlio dell'eroe troiano, finché il segno
delI'aquila passò a Roma, dopo la vittoria dei tre Orazi,
rappresentanti di Roma, sui tre Curiazi, rappresentanti
di Albalonga. |
40 |
E sai ch'el
fé dal mal de le Sabine
al dolor di Lucrezia in sette regi,
vincendo intorno le genti vicine. |
|
40 |
E conosci pure che cosa fece l’aquila
sotto i sette re di Roma dal ratto delle Sabine al
suicidio di Lucrezia, sottomettendo tuttt’intorno i
popoli confinanti. |
|
Continua, incalzante, la narrazione di quanto il segno
ha fatto durante il periodo dei sette re, dal ratto
delle Sabine, avvenuto sotto Romolo, all'oltraggio
subito da Lucrezia ad opera di Sesto, figlio di
Tarquinio il Superbo. Lucrezia si suicidò e il marito
Collatino, con l'aiuto di Bruto, provocò una
sollevazione di popolo contro i Tarquini. Con la
cacciata di questi da Roma fu posto fine alla monarchia. |
43 |
Sai quel ch'el
fé portato da li egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
incontro a li altri principi e collegi; |
|
43 |
Conosci quello che fece quando fu
portata (come insegna) dai valorosi Romani contro
Brenno, contro Pirro, contro gli altri principati e
repubbliche, |
|
Vengono qui ricordate le imprese dei Romani nel primo
periodo della repubblica, allorché essi respinsero i
Galli guidati da Brenno e i Tarentini aiutati da Pirro,
re dell'Epiro, vincendo poi tutti gli stati vicini che
tentavano di opporsi alla loro supremazia.
Tito Manlio Torquato fu il vincitore dei Galli e dei
Latini. I tre Deci, padre, figlio, nipote, si
sacrificarono in guerra per la grandezza di Roma. Publio
Decio Mure morì contro i Latini nella battaglia del
Veseri (340 a. C.), il figlio contro i Sanniti nello
scontro del Sentino (295 a. C.), il nipote contro Pirro
ad Ascoli Piceno ( 279 a. C. ). Trecento membri della
nobile famiglia dei Fabi morirono contro i Veienti nella
battaglia di Cremera (477 a. C.). |
46 |
onde
Torquato e Quinzio, che dal cirro
negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi
ebber la fama che volontier mirro. |
|
46 |
per cui Torquato e Quinzio che fu
chiamato Cincinnato per la chioma arruffata, i Deci e i
Fabi ebbero quella fama che io volentieri onoro. |
49 |
Esso atterrò
l'orgoglio de li Aràbi
che di retro ad Anibale passaro
l'alpestre rocce, Po, di che tu labi. |
|
49 |
Furono vinti dall'aquila
anche i Cartaginesi (il termine Arabi indica qui i
popoli dell'Africa settentrionale), che, sotto la guida
di Annibale, osarono varcare le Alpi occidentali.
L’aquila atterrò l’orgoglio dei Cartaginesi che al
comando di Annibale attraversarono le Alpi, dalle quali
tu, o Po, discendi. |
52 |
Sott' esso
giovanetti trïunfaro
Scipïone e Pompeo; e a quel colle
sotto 'l qual tu nascesti parve amaro. |
|
52 |
Sotto il segno dell’aquila
ancor giovani celebrarono il trionfo Scipione e Pompeo;
e lo stesso segno parve amaro al colle di Fiesole, ai
piedi del quale tu sei nato. |
|
Publio Cornelio Scipione l'Africano, dopo aver
combattuto giovanissimo contro Annibale al Ticino e a
Canne, ed aver conquistato la Spagna, ottenne a
trentatré anni la grande vittoria di Zama contro
Cartagine (202 a. C.). Gneo Pompeo Magno combatté ancora
giovane contro Mario in Sicilia e in Africa, e celebrò
il trionfo a venticinque anni. Il segno dell'aquila fece
sperimentare tutta la sua forza a Fiesole, il colle che
domina Firenze, perché, secondo una narrazione
leggendaria accettata da tutto il Medioevo (cfr. Villani
- Cronaca 1, 36 sgg.), la cittadina accolse e aiutò
Catilina che, dopo il fallimento della sua congiura, era
fuggito da Roma. In seguito a ciò essa venne assediata e
distrutta dall'esercito romano. |
55 |
Poi, presso
al tempo che tutto 'l ciel volle
redur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolle. |
|
55 |
Poi, avvicinandosi il tempo in cui il
cielo volle ricondurre tutto il mondo a una serenità
simile alla propria, Cesare per volontà del popolo di
Roma prese in mano l’insegna dell’aquila. |
|
Ecco il momento centrale dell'azione dell aquila,
intorno al quale Dante costruisce l interpretazione
religioso, teologica di tutta la storia di Roma. Cesare
con le sue imprese, non come usurpatore, ma per voler
del popolo romano, creò nel mondo l'unità e la pace
(rispecchiante addirittura la serenità stessa del cielo)
necessarie ad accogliere la venuta del Messia e a
permettere alla sua parola di diffondersi ovunque. Tale
affermazione è già stata da Dante presentata, oltre che
nella Monarchia ( I, XVI, 1-3 ), anche nel Convivio ( IV,
V, 3-5). Questa rigorosa visione teologica della storia
permette a Dante di scorgere negli eventi un ordine
stabilito ab aeterno, e nell'apparente irrazionalità dei
fatti umani una profonda giustificazione, essendo
ciascuno di essi un momento del progressivo manifestarsi
della volontà divina. E' questa visione che trasfonde
nel discorso di Giustiniano quella forza epica che
contraddistingue il VI del Paradiso dai corrispondenti
canti dell'Inferno e del Purgatorio, e che trasferisce
la storia di Roma in un clima da epopea. |
58 |
E quel che
fé da Varo infino a Reno,
Isara vide ed Era e vide Senna
e ogne valle onde Rodano è pieno. |
|
58 |
E quello che l’aquila fece in Gallia
dal fiume Varo fino al Reno, lo videro l’lsère e la
Loira e lo vide la Senna e ogni valle delle cui acque è
pieno il Rodano. |
|
La storia di Cesare, il fondatore dell'Impero, il "primo
prencipe sommo" (Convivio IV, V, 12), è presentata in
cinque terzine nelle quali l'azione si popola di nomi di
città e di fiumi, abbracciando tre continenti. Le prime
campagne militari di Cesare sono quelle della Gallia
Transalpina, indicata dai suoi fiumi: il Varo ( al
confine orientale), il Reno (al confine settentrione,
le), e poi l'Isère, la Loira, la Senna e il Rodano, che
la attraversano. |
61 |
Quel che fé
poi ch'elli uscì di Ravenna
e saltò Rubicon, fu di tal volo,
che nol seguiteria lingua né penna. |
|
61 |
Quella che essa fece dopo che con
Cesare uscì da Ravenna e passò il Rubicone, fu un volo
cosi rapido, che non potrebbe seguirlo né la lingua (per
narrarlo) né la penna (per descriverlo). |
|
Ancora la natura è chiamata a testi, montare le imprese
dell'aquila sotto la guida di Cesare. Questi, lasciata
Ravenna dove si era fermato nella sua marcia verso Roma,
passò il Rubicone ( che segnava il confine tra la Gallia
Cisalpina e l'Italia) dando inizio alla guerra civile
con Pompeo. Se altrove ( Inferno XXVIII, 91-102 ) Dante
deplora questa lotta civile, qui la considera come un
male necessario perché si potesse realizzare il disegno
divino dell'impero universale. |
64 |
Inver' la
Spagna rivolse lo stuolo,
poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse
sì ch'al Nil caldo si sentì del duolo. |
|
64 |
Condusse l’esercito prima verso la
Spagna, poi verso Durazzo, e colpì cosi duramente Pompeo
a Farsalo che se ne sentì il contraccolpo fino al caldo
Nilo. |
|
In Spagna Cesare combatté Petreio, Afranio e Varrone,
legati di Pompeo. Sbarcò poi a Durazzo, in Illiria, e a
Farsalo, in Tessaglia, sconfisse definitivamente Pompeo
(48 a. C.). Quest'ultimo, rifugiatosi in Egitto (Nil
caldo), fu ucciso a tradimento dal re Tolomeo. |
67 |
Antandro e
Simeonta, onde si mosse,
rivide e là dov' Ettore si cuba;
e mal per Tolomeo poscia si scosse. |
|
67 |
L’aquila rivide la città di Antandro e
il fiume Simoenta, da dove si era mossa con Enea e la
tomba dove giace Ettore; e poi riprese il volo con danno
di Tolomeo. |
|
Seguendo Cesare, l'aquila rivede i luoghi da cui aveva
preso avvio la sua sacra storia: Antandro, il porto
della Frigia da cui salpò Enea (Eneide III, 5-6), il
fiume Simoenta, che scorre vicino a Troia, la tomba di
Ettore (Eneide V, 371). Poi, riprende il suo volo e per
vendicare la morte di Pompeo toglie a Tolomeo il regno
di Egitto, affidandolo alla sorella di lui, Cleopatra. |
70 |
Da indi
scese folgorando a Iuba;
onde si volse nel vostro occidente,
ove sentia la pompeana tuba. |
|
70 |
Di là piombò come folgore su Giuba; di
qui si volse verso il vostro occidente, dove sentiva la
tromba di guerra dei pompeiani. |
|
Dall'Egitto l'aquila piomba con la violenza e la
rapidità di una folgore su Giuba, re di Mauritania e
fautore dei pompeiani, sconfiggendolo a Tarso. Senza
fermarsi " si volge " di nuovo verso la Spagna e vince a
Munda (45 a. C.) gli ultimi seguaci di Pompeo. |
73 |
Di quel che
fé col baiulo seguente,
Bruto con Cassio ne l'inferno latra,
e Modena e Perugia fu dolente. |
|
73 |
Quello che l’aquila compi con Augusto,
l’imperatore che successe a Cesare, l’attestano Bruto e
Cassio nell’inferno, e ne furono afflitte Modena e
Perugia. |
|
Il segno passò poi nelle mani del successore di Cesare,
Ottaviano Augusto, il quale sconfisse a Filippi ( 42 a.
C. ) Bruto e Cassio, gli autori della congiura che aveva
portato all'assassinio di Cesare.Dante ha posto Bruto e
Cassio nell'inferno, dilaniati dalle bocche di Lucifero
(Inferno XXXIV, 64-67), affermando esplicitamente che
Bruto non fa motto. Molti critici vedono, perciò, una
contraddizione fra il latra del verso 74 e l'espressione
usata nella prima cantica, e si sforzano di eliminarla
con ingegnose spiegazioni.La conclusione più accettabile
è quella del Parodi (Dante non vuole aggiungere qui un
particolare a quanto ha affermato nell'Inferno, ma
ripensa a quella scena con uno stato d'animo diverso) o
quella del Grabher (latra è usato in senso ideale, ma
con tutta la forza del suo significato reale).
Modena venne assediata da Marco Antonto, che fu poi
sconfitto nelle vicinanze da Ottaviano. Perugia, nella
quale si erano rifugiati il fratello e la moglie di
Antonio, venne presa e saccheggiata con grandi stragi
dai soldati di Ottaviano (41 a. C.). |
76 |
Piangene
ancor la trista Cleopatra,
che, fuggendoli innanzi, dal colubro
la morte prese subitana e atra. |
|
76 |
Ne piange ancora la
sciagurata Cleopatra, che, fuggendo davanti all’aquila,
si procurò una morte repentina e atroce con un serpente
velenoso. |
79 |
Con costui
corse infino al lito rubro;
con costui puose il mondo in tanta pace,
che fu serrato a Giano il suo delubro. |
|
79 |
Con Augusto l’aquila volò
fino ai lidi del Mar Rosso; con lui pose il mondo in uno
stato di pace così sicura, che il tempio di Giano fu
chiuso. |
|
Conquistando l'Egitto, Ottaviano portò l'aquila fino
alle rive del Mar Rosso (Eneide VIII, 685-688). Poi
riuscì a stabilire nel mondo un lungo periodo di pace,
cosicché si poterono finalmente chiudere le porte del
tempio di Giano, dio della guerra, le quali, in tempo di
ostilità, restavano sempre aperte. |
82 |
Ma ciò che
'l segno che parlar mi face
fatto avea prima e poi era fatturo
per lo regno mortal ch'a lui soggiace, |
|
82 |
Ma ciò che il segno
dell’aquila, in nome del quale io parlo, aveva fatto
prima e avrebbe fatto poi in favore della società
temporale: |
85 |
diventa in
apparenza poco e scuro,
se in mano al terzo Cesare si mira
con occhio chiaro e con affetto puro; |
|
85 |
che gli soggetta, appare
una cosa di poco valore, se si guarda con l’occhio
chiaro della fede e col cuore puro ciò che avvenne
(quando esso era) in mano a Tiberio terzo Imperatore, |
88 |
ché la viva
giustizia che mi spira,
li concedette, in mano a quel ch'i' dico,
gloria di far vendetta a la sua ira. |
|
88 |
poiché la divina giustizia
che m’ispira, concesse all’aquila, in mano
all’imperatore di cui sto parlando, la gloria di fare
giusta vendetta della sua ira. |
|
Sotto Tiberio, successore di Augusto e terzo Cesare (dal
14 al 37 d. C. ), fu concesso al segno di Roma di
placare, con una giusta punizione, l'ira divina causata
dal peccato di Adamo. La punizione fu costituita dal
sacrificio di Cristo, l'Uomo-Dio, che, raccogliendo in
se il peccato di tutta l'umanità, lo espiò con la sua
morte, offrendo soddisfazione alla giusta collera di
Dio.
Cristo venne crocifisso per sentenza di Pilato, Vicario
di Tiberio in Palestina, cioè per un atto dell'impero
romano. La legittimità e l'universalità dell'Impero
furono così solennemente affermate: infatti, poiché
tutto il genere umano doveva essere punito nella carne
di Cristo"(Monarchia 11, XII 5), era necessario che
l'autorità condannante fosse non solo legittima, ma
anche universale (Monarchia 11, XII, 1-5). |
91 |
Or qui
t'ammira in ciò ch'io ti replìco:
poscia con Tito a far vendetta corse
de la vendetta del peccato antico. |
|
91 |
Ora qui meravigliati pure di quello che
ti aggiungo: con Tito poi l’aquila corse a far giustizia
della vendetta del peccato di Adamo. |
|
Con l'imperatore Tito, che nel 70 d. C. distrusse la
città di Gerusalemme, dando inizio alla dispersione
degli Ebrei nel mondo, il segno dell'aquila compie la
seconda vendetta, punendo il popolo ebraico per la morte
di Cristo, la quale era stata la giusta punizione del
peccato di Adamo ( vendetta del peccato antico ).
L'apparente contraddizione contenuta in questa terzina
(se la morte di Cristo era necessaria, perché gli Ebrei
ne sono stati puniti?) sarà spiegata da Beatrice nel
canto seguente. |
94 |
E quando il
dente longobardo morse
la Santa Chiesa, sotto le sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse. |
|
94 |
E quando gli avidi Longobardi
attaccarono la Santa Chiesa, Carlo Magno la soccorse
sotto l’insegna dell’aquila, vincendoli. |
|
La Chiesa, quando i suoi territori vennero invasi dai
Longobardi, guidati dal re Desiderio, fu soccorsa e
difesa dall'aquila attraverso l'azione di Carlo Magno,
sceso in Italia nel 773 e incoronato imperatore del
Sacro Romano Impero dal pontefice Leone III nell'anno
800. |
97 |
Omai puoi
giudicar di quei cotali
ch'io accusai di sopra e di lor falli,
che son cagion di tutti vostri mali. |
|
97 |
Ormai sei in
grado di giudicare quei tali (i Guelfi e i Ghibellini)
che poco fa ho accusato e le loro aberrazioni, che sono
la causa di tutte le vostre sventure. |
100 |
L'uno al
pubblico segno i gigli gialli
oppone, e l'altro appropria quello a parte,
sì ch'è forte a veder chi più si falli. |
|
100 |
Il partito
guelfo contrappone al simbolo universale dell’aquila i
gigli d’oro, il partito ghibellino, invece, usurpa
l’aquila come insegna di parte, tanto che e difficile
distinguere chi sia maggiormente colpevole. |
|
I Guelfi contrappongono al simbolo dell'aquila i gigli
d'oro, insegna della casa di Francia, alla quale
appartenevano gli Angioini di Napoli, che capeggiavano i
Guelfi in Italia. I Ghibellini adoperano per i loro
interessi particolari ciò che dovrebbe essere
universale, distruggendo così la realtà più profonda
dell'Impero. |
103 |
Faccian li
Ghibellin, faccian lor arte
sott' altro segno, ché mal segue quello
sempre chi la giustizia e lui diparte; |
|
103 |
I Ghibellini continuino
pure la loro attività partigiana, ma sotto un’altra
bandiera, poiché è indegno seguace dell’aquila chi la
separa sistematicamente dalla giustizia; |
106 |
e non
l'abbatta esto Carlo novello
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
ch'a più alto leon trasser lo vello. |
|
106 |
e questo giovane Carlo con
i suoi Guelfi non cerchi di abbatterla, ma ne tema gli
artigli che strapparono il pelo a sovrani ben più
potenti di lui. |
109 |
Molte fïate
già pianser li figli
per la colpa del padre, e non si creda
che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli! |
|
109 |
Molte volte in passato i
figli piansero per le colpe dei padri, e non pensi
questo Carlo che Dio voglia sostituire l’insegna
dell’aquila imperiale con i suoi gigli! |
|
La rampogna assume nei versi 103-108 il tono
dell'invettiva e del sarcasmo: Carlo II d'Angiò
(novello, giovane, rispetto al padre Carlo I), re di
Napoli dal 1285 al 1309, nonostante i suoi sforzi nulla
potrà fare contro l'aquila, che fiaccò avversari ben più
forti di lui. La parte storico-politica del discorso di
Giustiniano si conclude con una profezia: poiché è già
accaduto spesso che i figli scontino gli errori dei
padri, così avverrà anche per Carlo II. Infatti un
figlio, Filippo, fu fatto prigioniero dagli Aragonesi,
un altro, Carlo Martello, mori in giovane età ( cfr.
Paradiso canto VIII, versi 49 sgg.). |
112 |
Questa
picciola stella si correda
d'i buoni spirti che son stati attivi
perché onore e fama li succeda: |
|
112 |
Questo piccolo pianeta
(Mercurio) si adorna di spiriti valenti che (nel mondo)
sono stati attivi per conseguire onore e fama: |
115 |
e quando li
disiri poggian quivi,
sì disvïando, pur convien che i raggi
del vero amore in sù poggin men vivi. |
|
115 |
e quando i desideri umani
tendono a questo, deviando così dal vero fine (Dio),
avviene necessariamente che i raggi del vero amore
salgano con minore intensità verso l’alto. |
118 |
Ma nel
commensurar d'i nostri gaggi
col merto è parte di nostra letizia,
perché non li vedem minor né maggi. |
|
118 |
Ma fa parte della nostra
felicità vedere commisurata l’entità dei nostri premi
col nostro merito, proprio perché non li vediamo né
minori né maggiori ‘del merito. |
121 |
Quindi
addolcisce la viva giustizia
in noi l'affetto sì, che non si puote
torcer già mai ad alcuna nequizia. |
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121 |
Con questa corrispondenza
la divina giustizia purifica i nostri sentimenti a tal
punto, che questi non possono mai svolgersi verso il
male. |
124 |
Diverse voci
fanno dolci note;
così diversi scanni in nostra vita
rendon dolce armonia tra queste rote. |
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124 |
Come voci diverse formano
un accordo armonioso, così diversi gradi di beatitudine
nella nostra convivenza compongono una dolce armonia in
questi cieli. |
127 |
E dentro a
la presente margarita
luce la luce di Romeo, di cui
fu l'ovra grande e bella mal gradita. |
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127 |
E dentro questa gemma che
è Mercurio, brilla l’anima luminosa di Romeo, la cui
opera, grande e bella, fu mal compensata. |
130 |
Ma i
Provenzai che fecer contra lui
non hanno riso; e però mal cammina
qual si fa danno del ben fare altrui. |
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130 |
Ma i Provenzali che lo
calunniarono non ebbero da rallegrarsene in seguito;
donde si vede che sbaglia strada chi (come l’invidioso)
reputa danno proprio le buone opere altrui. |
133 |
Quattro
figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
Romeo, persona umìle e peregrina. |
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133 |
Raimondo Berengario ebbe
quattro figlie, e ciascuna di loro fu regina, e questo
glielo procurò Romeo, uomo di umile origine e straniero. |
136 |
E poi il
mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto,
che li assegnò sette e cinque per diece, |
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136 |
Le parole calunniose poi
spinsero Raimondo a chiedere la resa dei conti a
quest’uomo giusto, che gli restituì dodici per dieci. |
139 |
indi
partissi povero e vetusto;
e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe
mendicando sua vita a frusto a frusto, |
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139 |
Dopo questo Romeo se ne
partì povero e vecchio; e se il mondo sapesse la forza
d’animo che egli ebbe nel mendicare a tozzo a tozzo il
pane per vivere, |
142 |
assai lo
loda, e più lo loderebbe». |
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142 |
sebbene lo lodi assai, lo
loderebbe ancora di più. |
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In questi versi si sovrappone alla figura di Romeo
quella del Poeta: l'umiltà (verso 135) è la grandezza
dell'animo che si piega, come osserva il Grabher, non
per viltà, ma per mantenere intatta la propria onestà,
mentre il " peregrinare" richiama la dolorosa esperienza
del Poeta nel suo esilio. Le parole biece dei malvagi
isolano la figura di questo giusto in un mondo ideale,
dove appare sempre più grande e solitario, in una
povertà fatta di fierezza, ma anche di profondo dolore,
di continue umiliazioni ( mendicando sua vita a frusto a
frusto), dove esperimenta, come già Provenzan Salvani
(Purgatorio XI, 138), il tremar per ogni vena.
Romeo incarna "in un eterno mito umano la sorte del
Poeta... Ma di contro alla viltà e alla ingiustizia
umana, aleggia sullo sfondo quell'aquila che apparirà
trionfante nel cielo di Giove, l'aquila di Roma e di
Dio, eterno e vivo simbolo di giustizia, su cui si
affissano gli occhi dell'esule; sì che il particolare
dramma del Poeta trapassato nella luce di Romeo si
proietta su quello sfondo universale ed eterno dove
l'aquila di Roma, nel suo più alto volo, sconfina dalla
terra, sublimandosi nei cieli e nella giustizia di Dio"
(Grabher). Cosi, dopo aver celebrato nella prima parte
del canto il suo ideale politico, tracciato nella
solitudine di chi ormai " ha fatto parte per se stesso "
(Paradiso XVII, 69), Dante presenta in questi ultimi
versi, attraverso la figura di Romeo quanto quell'ideale
gli ha portato: l'esilio e la povertà. |