Umanesimo e
Rinascimento
Come tutti i periodi di
crisi - e il Rinascimento fu, senza alcun dubbio, un momento
di crisi profonda nella storia d'Europa - l'età della
Rinascita non si presenta a noi con un aspetto preciso, o
con limiti facili a definirsi. Epoca ricca di motivi d'ogni
genere, essa fu particolarmente feconda nei campi dell'arte
e del pensiero. E mai, forse, come allora fu viva
l'impressione che un fatto culturale, gli studia humanitatis,
le humanae litterae, potesse, da solo, trasformare,
riplasmare e dominare tutta la vita dell'uomo. Ancor oggi
non è senza emozione che noi rileggiamo le memorande parole
con cui Leonardo Bruni, rivolgendosi al giovane Niccolò
Strozzi, afferma che gli studi di umanità così si dicono
perché da essi, e da essi soltanto, è formato l'uomo
integro, e signore di sé. Solo a questa scuola, continua il
Bruni, si impara ad osservare la volontà del testatore, non
per timore della legge e della pena, ma per rispetto di sé e
di quella immutabile legge che ci plasma il cuore. E perciò,
soggiungeva Pier Paolo Vergerio, tale cultura si dice
liberale; perché essa genera uomini liberi. Se, dunque, le
lettere, e solamente le lettere, fanno l'uomo libero in
libera città, noi non possiamo fare a meno di chiederci di
quale mai profondo significato gli umanisti caricassero il
termine stesso di studi letterari. Come, senza dubbio, ben
gravi ragioni erano alla base dell'umanistico richiamo
all'antico, e di tutta l'educazione umana impostata su
cosiffatto ritorno. Né possiamo prescindere, se l'Umanesimo
vogliamo intender davvero, dal ricercare il rapporto in cui
quel preteso ritorno al mondo classico stesse con tutta una
fresca ed originale concezione di vita; e com'esso incidesse
poi su tutte le posizioni etico-religiose.
È, infatti, innegabile che il ritorno all'antico fu un
programma che si ripercosse in ogni piano di vita, ed influì
profondamente sul corso della storia degli uomini,
variamente colorando le vicende, non solo dell'arte e delle
lettere, ma della politica e della religione. Ma ugualmente
indiscutibile è che, dietro quella così evidente insegna di
tutto un mondo di cultura, si raccolsero atteggiamenti
molteplici, che esprimevano e rispecchiavano esigenze
diverse variamente significative. E proprio il fatto che il
movimento culturale della Rinascita si sia posto in modo
definitivo e preciso dietro un programma evidente e
chiaramente formulato, contrariamente a quanto può a prima
vista apparire, non giova alla valutazione del fenomeno
storico, perché induce il critico ad assumere in senso
interpretativo quelle medesime tesi programmatiche,
accentuando soprattutto il distacco dalle posizioni
medioevali di partenza contro cui il Rinascimento stesso, e
non poteva non farlo, impegnò un'aspra polemica, ma da cui
pure era germogliato. La coscienza storica che accompagnò
tutte le fasi dell'età rinascimentale, e che ne fu uno dei
caratteri peculiari, proprio perché, almeno con tanta
evidenza, appariva per la prima volta nel corso del
pensiero, ha indotto di continuo i critici moderni ad
accogliere senz'altro come assolutamente valide, in sede
d'interpretazione, le posizioni stesse assunte dagli uomini
del Rinascimento.
Proprio per questo, ancora, dinanzi ai nostri occhi si
illumina di luce più cruda una frattura su cui, allora, si
insisteva, e giustamente, per necessità polemica. E troppo
spesso continuano a insinuarsi nella mente degli storici
temi e spunti la cui consistenza, non di rado, è tutta
esaurita nell'ambito di un contrasto contingente.
In altri termini, e lo vedremo ampiamente documentato, è
avvenuto che il mito, elaborato dagli umanisti, del ritorno
all'antico contro il Medioevo, si è imposto come tale anche
agli storici, che lo hanno accettato come una
interpretazione definitiva della cultura rinascimentale
nelle sue radici profonde. La quale, quindi, è stata
presentata come un fenomeno unitario, dalle linee nitide e
ben individuate, orientate in senso univoco, storicamente
definito con chiarezza, laddove unità e linearità erano solo
i caratteri di un programma, di cui si dovevano invece
cercare i fondamenti, e di cui si doveva vedere l'efficacia.
Qui, appunto, è, forse, il maggior progresso compiuto dalla
più recente indagine critica sull'argomento: nell'essersi
venuta liberando dall'interpretazione presentata dagli
umanisti stessi della loro opera, per affrontare invece,
finalmente, il più grave problema dell'origine e
dell'efficacia che, sulla cultura del Rinascimento, ebbe
proprio quella condizione spirituale: la consapevolezza,
cioè, di trovarsi ad una svolta della storia, e di
costruirsi artefici di un rinnovamento del mondo umano
attraverso il fatto culturale del ritorno all'antico.
Insomma, alla tesi che derivava il Rinascimento dalla
scoperta del classici fino allora noti o mal noti, e dal
conseguente ritorno all'antico, ricercandosi poi i motivi di
quella scoperta perfino in accidenti estrinseci come la
caduta di Costantinopoli e la venuta dei Greci in Italia;
alla tesi che, molto meccanicamente, profilava un Medioevo
ignaro e barbaro, perché non conosceva le fonti letterarie e
scientifiche, fatto seguire da un Umanesimo inteso come
scoperta e lettura degli antichi, generatore del vero e
proprio Rinascimento come riaffermazione del regno dell'uomo
rinnovato; a tutta questa visione, tanto semplice e lineare,
si è lentamente venuta sostituendo la concezione di un
processo, intimo alla cultura del Medioevo, e che vien
portando al Rinascimento, o, se si vuole, a un nuovo
Rinascimento, che alimenta la sua affermazione del valore
dell'uomo con una nuova e diversa lettura dei classici. «È
fuori dubbio - accentuava fortemente Vittorio Rossi (Il
Quattrocento. Milano, 193 8, p. z) - che il rifiorire degli
studi intorno alle letterature classiche fu un fatto di
formazione secondaria, nient'altro che un indizio, e non il
più appariscente, della profonda essenza dell'età cui si dà
il nome di Rinascimento. Il fatto centrale e fondamentale,
quello onde ogni altro germoglia, fu la nascita e la
maturazione d'un nuovo mondo spirituale che dall'energica e
coerente virtù creativa sprigionatasi dopo il Mille in ogni
campo dell'umana attività, fu portato allora sulla scena
della storia non pure italiana, ma europea».
Non si trattò, dunque, di un incontro, in parte fortuito,
con nuovi, e fino allora ignoti ospiti del mondo della
cultura; non del fatto estrinseco di un maggior numero di
opere conosciute, o di traduzioni fatte meglio. Gli antichi
classici, Cicerone e Seneca, Virgilio ed Ovidio già noti e
studiati ed amati, ora son visti con occhi nuovi e bisogni
nuovi ed animo nuovo. E sono bisogni ed animo che, a quei
maestri accettati con diversa coscienza, poiché l'alba d'un
giorno nuovo era spuntata, chiedevano strumenti per plasmare
la nuova Umanità. Il moto rinascimentale, insomma, non
nacque dagli studi humanitatis, affermatisi come demolitori
del Medioevo ed instauratori del Rinascimento, ma dal seno
stesso della vita e della cultura di un Medioevo in crisi,
quando nel mondo classico si vide un felice tipo ideale,
singolarmente adeguato alle proprie esigenze e se ne fece un
mito: il mito di Ercole che, col suo lavoro e la sua fatica,
si libera e ci libera da mostri e scorie d'ogni genere, sino
ad ascendere al cielo a conquistare le stelle..
Gli uomini nuovi, con occhi fatti limpidi da una
riconquistata verginità, alla scuola di Atene e di Roma
ritrovano la vita integra e autonoma dei Greci e dei Romani.
Finché, di nuovo, quell'apertura all'antico che era
preparazione all'oggi; quella lettura, che era scuola di
vita; quella cultura, che era avvio ed ingresso nella
società, ostiaria, come diceva Salutati, d'ogni saggezza
terrena e divina, divenne fine a se stessa, grammatica e
retorica. Non fu più studio, attraverso la lingua, di una
civiltà, per prepararsi, in un mondo sublime di uomini, alla
civile conversazione con tutti gli uomini veri, ma fu
soltanto studio linguistico per sé preso, ed erudizione
pedante. La parabola del Rinascimento, cominciata con
l'umanesimo dello spirito, con l'affermazione integrale
dell'uomo, precipitava con l'umanesimo retorico.
Si giunge così, come si vede, quasi ad un capovolgimento: al
posto di un Rinascimento che comincia dalla filologia per
ascendere alla filosofia, che da un Umanesimo letterario
giunge a una concezione totale della vita, si pone un
Rinascimento che, attraverso una filologia vichianamente
congiunta con la filosofia, e cioè attraverso una visione
del tutto umana, concreta, storica, precipita verso
un'erudizione estrinseca e retorica...
L'aver inteso, o presentito, tutto questo, ha significato,
per la ricerca storica, il non contentarsi più, per
caratterizzare il Rinascimento, di ricorrere a pure
indicazioni negative (l'antimedioevo), che erano tanto più
vuote in quanto si ponevano in relazione con un termine
negativo anch'esso (le tenebre medioevali). Ed ha
significato non contentarsi nemmeno di semplici
capovolgimenti che, attribuendo al Medioevo i caratteri già
assegnati al Rinascimento, hanno poi mantenuto il
tradizionale rapporto di negazione. La via feconda è stata
quella che ha cercato una determinazione positiva così del
Medioevo come del Rinascimento. |