IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

Quattrocento

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL QUATTROCENTO

Umanesimo e Rinascimento

Come tutti i periodi di crisi - e il Rinascimento fu, senza alcun dubbio, un momento di crisi profonda nella storia d'Europa - l'età della Rinascita non si presenta a noi con un aspetto preciso, o con limiti facili a definirsi. Epoca ricca di motivi d'ogni genere, essa fu particolarmente feconda nei campi dell'arte e del pensiero. E mai, forse, come allora fu viva l'impressione che un fatto culturale, gli studia humanitatis, le humanae litterae, potesse, da solo, trasformare, riplasmare e dominare tutta la vita dell'uomo. Ancor oggi non è senza emozione che noi rileggiamo le memorande parole con cui Leonardo Bruni, rivolgendosi al giovane Niccolò Strozzi, afferma che gli studi di umanità così si dicono perché da essi, e da essi soltanto, è formato l'uomo integro, e signore di sé. Solo a questa scuola, continua il Bruni, si impara ad osservare la volontà del testatore, non per timore della legge e della pena, ma per rispetto di sé e di quella immutabile legge che ci plasma il cuore. E perciò, soggiungeva Pier Paolo Vergerio, tale cultura si dice liberale; perché essa genera uomini liberi. Se, dunque, le lettere, e solamente le lettere, fanno l'uomo libero in libera città, noi non possiamo fare a meno di chiederci di quale mai profondo significato gli umanisti caricassero il termine stesso di studi letterari. Come, senza dubbio, ben gravi ragioni erano alla base dell'umanistico richiamo all'antico, e di tutta l'educazione umana impostata su cosiffatto ritorno. Né possiamo prescindere, se l'Umanesimo vogliamo intender davvero, dal ricercare il rapporto in cui quel preteso ritorno al mondo classico stesse con tutta una fresca ed originale concezione di vita; e com'esso incidesse poi su tutte le posizioni etico-religiose.
È, infatti, innegabile che il ritorno all'antico fu un programma che si ripercosse in ogni piano di vita, ed influì profondamente sul corso della storia degli uomini, variamente colorando le vicende, non solo dell'arte e delle lettere, ma della politica e della religione. Ma ugualmente indiscutibile è che, dietro quella così evidente insegna di tutto un mondo di cultura, si raccolsero atteggiamenti molteplici, che esprimevano e rispecchiavano esigenze diverse variamente significative. E proprio il fatto che il movimento culturale della Rinascita si sia posto in modo definitivo e preciso dietro un programma evidente e chiaramente formulato, contrariamente a quanto può a prima vista apparire, non giova alla valutazione del fenomeno storico, perché induce il critico ad assumere in senso interpretativo quelle medesime tesi programmatiche, accentuando soprattutto il distacco dalle posizioni medioevali di partenza contro cui il Rinascimento stesso, e non poteva non farlo, impegnò un'aspra polemica, ma da cui pure era germogliato. La coscienza storica che accompagnò tutte le fasi dell'età rinascimentale, e che ne fu uno dei caratteri peculiari, proprio perché, almeno con tanta evidenza, appariva per la prima volta nel corso del pensiero, ha indotto di continuo i critici moderni ad accogliere senz'altro come assolutamente valide, in sede d'interpretazione, le posizioni stesse assunte dagli uomini del Rinascimento.
Proprio per questo, ancora, dinanzi ai nostri occhi si illumina di luce più cruda una frattura su cui, allora, si insisteva, e giustamente, per necessità polemica. E troppo spesso continuano a insinuarsi nella mente degli storici temi e spunti la cui consistenza, non di rado, è tutta esaurita nell'ambito di un contrasto contingente.

In altri termini, e lo vedremo ampiamente documentato, è avvenuto che il mito, elaborato dagli umanisti, del ritorno all'antico contro il Medioevo, si è imposto come tale anche agli storici, che lo hanno accettato come una interpretazione definitiva della cultura rinascimentale nelle sue radici profonde. La quale, quindi, è stata presentata come un fenomeno unitario, dalle linee nitide e ben individuate, orientate in senso univoco, storicamente definito con chiarezza, laddove unità e linearità erano solo i caratteri di un programma, di cui si dovevano invece cercare i fondamenti, e di cui si doveva vedere l'efficacia.
Qui, appunto, è, forse, il maggior progresso compiuto dalla più recente indagine critica sull'argomento: nell'essersi venuta liberando dall'interpretazione presentata dagli umanisti stessi della loro opera, per affrontare invece, finalmente, il più grave problema dell'origine e dell'efficacia che, sulla cultura del Rinascimento, ebbe proprio quella condizione spirituale: la consapevolezza, cioè, di trovarsi ad una svolta della storia, e di costruirsi artefici di un rinnovamento del mondo umano attraverso il fatto culturale del ritorno all'antico. Insomma, alla tesi che derivava il Rinascimento dalla scoperta del classici fino allora noti o mal noti, e dal conseguente ritorno all'antico, ricercandosi poi i motivi di quella scoperta perfino in accidenti estrinseci come la caduta di Costantinopoli e la venuta dei Greci in Italia; alla tesi che, molto meccanicamente, profilava un Medioevo ignaro e barbaro, perché non conosceva le fonti letterarie e scientifiche, fatto seguire da un Umanesimo inteso come scoperta e lettura degli antichi, generatore del vero e proprio Rinascimento come riaffermazione del regno dell'uomo rinnovato; a tutta questa visione, tanto semplice e lineare, si è lentamente venuta sostituendo la concezione di un processo, intimo alla cultura del Medioevo, e che vien portando al Rinascimento, o, se si vuole, a un nuovo Rinascimento, che alimenta la sua affermazione del valore dell'uomo con una nuova e diversa lettura dei classici. «È fuori dubbio - accentuava fortemente Vittorio Rossi (Il Quattrocento. Milano, 193 8, p. z) - che il rifiorire degli studi intorno alle letterature classiche fu un fatto di formazione secondaria, nient'altro che un indizio, e non il più appariscente, della profonda essenza dell'età cui si dà il nome di Rinascimento. Il fatto centrale e fondamentale, quello onde ogni altro germoglia, fu la nascita e la maturazione d'un nuovo mondo spirituale che dall'energica e coerente virtù creativa sprigionatasi dopo il Mille in ogni campo dell'umana attività, fu portato allora sulla scena della storia non pure italiana, ma europea».
Non si trattò, dunque, di un incontro, in parte fortuito, con nuovi, e fino allora ignoti ospiti del mondo della cultura; non del fatto estrinseco di un maggior numero di opere conosciute, o di traduzioni fatte meglio. Gli antichi classici, Cicerone e Seneca, Virgilio ed Ovidio già noti e studiati ed amati, ora son visti con occhi nuovi e bisogni nuovi ed animo nuovo. E sono bisogni ed animo che, a quei maestri accettati con diversa coscienza, poiché l'alba d'un giorno nuovo era spuntata, chiedevano strumenti per plasmare la nuova Umanità. Il moto rinascimentale, insomma, non nacque dagli studi humanitatis, affermatisi come demolitori del Medioevo ed instauratori del Rinascimento, ma dal seno stesso della vita e della cultura di un Medioevo in crisi, quando nel mondo classico si vide un felice tipo ideale, singolarmente adeguato alle proprie esigenze e se ne fece un mito: il mito di Ercole che, col suo lavoro e la sua fatica, si libera e ci libera da mostri e scorie d'ogni genere, sino ad ascendere al cielo a conquistare le stelle..

Gli uomini nuovi, con occhi fatti limpidi da una riconquistata verginità, alla scuola di Atene e di Roma ritrovano la vita integra e autonoma dei Greci e dei Romani. Finché, di nuovo, quell'apertura all'antico che era preparazione all'oggi; quella lettura, che era scuola di vita; quella cultura, che era avvio ed ingresso nella società, ostiaria, come diceva Salutati, d'ogni saggezza terrena e divina, divenne fine a se stessa, grammatica e retorica. Non fu più studio, attraverso la lingua, di una civiltà, per prepararsi, in un mondo sublime di uomini, alla civile conversazione con tutti gli uomini veri, ma fu soltanto studio linguistico per sé preso, ed erudizione pedante. La parabola del Rinascimento, cominciata con l'umanesimo dello spirito, con l'affermazione integrale dell'uomo, precipitava con l'umanesimo retorico.
Si giunge così, come si vede, quasi ad un capovolgimento: al posto di un Rinascimento che comincia dalla filologia per ascendere alla filosofia, che da un Umanesimo letterario giunge a una concezione totale della vita, si pone un Rinascimento che, attraverso una filologia vichianamente congiunta con la filosofia, e cioè attraverso una visione del tutto umana, concreta, storica, precipita verso un'erudizione estrinseca e retorica...

L'aver inteso, o presentito, tutto questo, ha significato, per la ricerca storica, il non contentarsi più, per caratterizzare il Rinascimento, di ricorrere a pure indicazioni negative (l'antimedioevo), che erano tanto più vuote in quanto si ponevano in relazione con un termine negativo anch'esso (le tenebre medioevali). Ed ha significato non contentarsi nemmeno di semplici capovolgimenti che, attribuendo al Medioevo i caratteri già assegnati al Rinascimento, hanno poi mantenuto il tradizionale rapporto di negazione. La via feconda è stata quella che ha cercato una determinazione positiva così del Medioevo come del Rinascimento.

Eugenio Garin

© 2009 - Luigi De Bellis