IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

Quattrocento

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL QUATTROCENTO

L'orditura del Morgante

L'avvio ad una precisa fisionomia è nel Morgante assai lento ed è proprio nel progressivo definirsi di quel rapporto con la realtà che si chiarisce il valore del poema, anche se ciò succede piuttosto nel riconoscimento dei limiti suoi propri che non in un rilevamento di aperture poetiche e di nuovi interessi: i quali ci sono, ma non in una conquistata dimensione d'arte; solo in una ulteriore maturità artistica che mostra meglio l'uomo e il mondo che è suo. Il movimento d'avvio è lento perché ha in una pura ragione di azione la propria giustificazione: e i personaggi, che in tale situazione occorre indurre nel gioco narrativo, sono troppi per essere originali. Una sfilza di re pagani, Caradoro, Erminione, Falcone, il Soldano, l'Arpalista, Marsilio, tutti uguali o che si distinguono appena per i nomi, i cui regni sono tutti immersi in una identica visione non fantastica ma immaginaria, tutti forniti di figlie, Forisena, Meridiana, Antea, Florinetta, Luciana, che entrano nel racconto senza apportarvi null'altro che la spinta ad altre azioni. Ma se il tessuto è tale, è facile anche accorgersi che quasi ad ogni cantare è proprio un centro, che non solidifica forse, ma che di certo mostra bene come nel fatto isolato e concretizzato soltanto il Pulci sappia muoversi ed animarsi: anche il suo narrare torna spesso daccapo, perché la sua fantasia non ha liberi movimenti. Ciò ch'egli anima è un momento per ciascun episodio, e oltre a questo non va. Lo stesso primo cantare, che vuol raccontare l'incontro di Orlando e Margutte, si snoda in episodi singoli, ognuno con una sua ragione, ma mai vivi di un'unità estetica sostanziale. Morgante dà l'avvio ad un tono, che però solo nel cantare XVIII avrà un senso e una dimensione propria. Il motivo del magico poi che si annuncia nel cantare II (Orlando e Morgante nel castello incantato) è arruffato e vago in modo tale che quasi non si avverte: e le spropositate dimensioni che prenderà nel cantare V (l'apparizione improvvisa di Malagigi che fugge in Francia su un cavallo creato per incanto) stupiranno soltanto, mentre un chiarimento in questa turbolenza sarà portato solo dall'evocazione di Astarotte (can. XXV, 150-161), dal suo dialogo con Malagigi e da tutto il seguito del viaggio aereo con Rinaldo. Intanto è chiaro che è per tipi e categorie più o meno fisse che si sviluppa l'immaginazione del Pulci: Malagigi ha in mano , tutte le file del magico, come Gano è l'astuzia, e Morgante, Margutte e, sul principio del poema, Rinaldo (str. 37-83 del cantare II) detengono quelle del comico. Perché il tentativo di far di Rinaldo un personaggio più complesso è più incidentale che voluto: e c'è anche per lui una categoria da fissare, quella dell'avventuroso, che come lo porta ad incontrare i fatti più impreveduti (e dato che proprio questi fanno il ritmo narrativo del poema, Rinaldo sembra quasi divenirne il protagonista), lo spinge poi a interrogare Astarotte col gusto non di acquistare saggezza e conoscenza, ma di scoprire cose nuove, non come chi ricerca la verità, ma come chi si imbatte in un continente nuovo. Queste categorie da sole non possono evidentemente fare il personaggio, che ha la vita effimera dell'episodio, morendo ogni volta per rinascere al seguente. In sostanza quello su cui il Pulci punta è la scena e nel rapido svolgersi di essa il definirsi dei personaggi in un movimento, che ne resta il centro fissato e inalterabile...

Evidentemente in una tale quasi accidentale successione di fatti ed avventure, parlare di unità compositiva è impossibile, fors'anche pensando solo a quell'unità di tono di cui ha parlato il Getto. Ma anche nel parlare di due distinti poemi confluiti nel Morgante bisogna andar cauti: che i due poemi presentano ognuno una loro unità per null'altro che per il canovaccio del cantare popolare da cui si trae il più della materia. In Pulci non v'è finalità alcuna se non quella di crear spazio intorno ai suoi episodi, alle sue parole che entrano in diretta comunicazione col suo lettore. C'è certo nella seconda parte del poema un arricchimento di toni, che pure hanno anch'essi la vita soltanto dell'episodio che animano e che semplicemente si debbono ad un Pulci più maturo e più ricco. E il tono più certo dei cantari XXIV-XXVIII è una commozione in certo modo più alta, che si espande dalle strofe I-II4 del cantare XXV, dove si racconta la preparazione del tradimento di Roncisvalle da parte di Gano e Marsilio, in una lenta indagine psicologica che i due svolgono l'uno su l'altro con un'efficace pittura di caratteri e di sviluppo di un'azione drammatica non esterna (e si guardi a Gano soprattutto, che non è più per nulla il Gano gran scrittore di lettere traditrici o volgare bestemmiatore-bastonatore di Astolfo), o dall'episodio della morte di Orlando (XXVII, 100-159).

Riccardo Scrivano

© 2009 - Luigi De Bellis