IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

CINQUECENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL CINQUECENTO

Matteo Bandello e la novella del Cinquecento

Lo scrittore che adunò in una specie di ultima silloge lo spirito della prosa narrativa nell'Italia cinquecentesca fu Matteo Bandello. Testimone d'una storia tra le più intense e inventive d'ogni epoca, avvertì ed espresse come pochi altri il senso fortunoso del suo tempo. Frate dell'ordine di San Domenico, cortigiano nelle placide corti e fin nei marziali accampamenti, esperto di genti varie per aver solcato «mille mari e mille fiumi», letterato di sicura dottrina umanistica, tutte le sue vive esperienze tradusse in quel sontuoso Novelliere per il quale fu perfino esaltato come l'Ariosto in prosa, e il Boccaccio del Cinquecento...

I suoi sensi e il suo spirito tendono a quella storia vorremmo dire più vera che è la cotidiana vita degli uomini, la vita che si suol chiamare privata, e che di fronte alla storia ufficiale può essere paragonata al nudo nelle arti figurative: una realtà che nel mutare delle fogge e maniere in cui si manifesta l'impronta ascosa dei tempi è più ferma e più duratura qualcosa di perenne e tuttavia sempre diverso nelle serie degli uomini. Tutte le volte che l'arte prende a materia affetti e passioni reali nella vita circostante, lavora su questo « nudo » della storia, che è l'animo umano nelle sue vicende d'ogni giorno, d'ogni ora, eterno valore cosmico: è l'animo umano, di fronte agli avvenimenti che si dicon grandi e storici per l'astrazione che aggruppa in unità i rilievi esterni, dimenticando che la vera storia visse solo nella mente e nel cuore dei singoli che ad essa parteciparono, può essere attivo o alieno, può accettarli o respingerli o rimanere inerte e indifferente.
Or quando s'è parlato dell'importanza storica del Novelliere di Matteo Bandello come di un documento capitale della vita del Cinquecento, s'intendeva essenzialmente riguardare, anche se qualche volta s'ingenerò equivoco, lo spirito cinquecentesco di quell'opera che specchia vivissimamente i costumi e le passioni quotidiane dell'età sua.
In questo senso non v'è scrittore del Cinquecento, non il Castiglione o il Casa, non il Vasari, neppure il Cellini, neppure gli storici di professione, dai minori ai massimi quali il Machiavelli e il Guicciardini, che sia così ricco di sostanza storica, così serenamente veritiero, per non aver l'autore messo l'animo a rappresentare una tendenza piuttosto che un'altra. Il tempo vi respira e palpita, sia che si accennino vicende vicine, sia che si, narrino, secondo che nei luoghi frequentati dal Bandello sono apprese, le vicende di terre lontane...

I suoi canoni di novellatore son chiari. Innanzi tutto, senza che abbia a farne esplicita professione, non pare che egli senta il bisogno di ricorrere alla fantasia per inventar fatti àttraenti e singolari: forse pensa che far ciò non sia neppur lecito: certo, il curioso e il meraviglioso egli lo trova nei casi che avvengono « a la giornata ». Lo colpisce e quasi rapisce la varietà dei casi umani:
Non mira il cielo con tanti occhi in terra, allora che è più lucido e sereno, quanti sono i vari e fortunevoli casi che in questa vita mortale avengono.
Mirabili nel vero son tutti quei casi che fuor dell'ordinario corso del nostro modo di vivere a la giornata accadono, e spesso quando gli leggiamo c'inducono a meraviglia, ancora che talvolta molti uomini, non avendo riguardo a la santità dell'istoria che deve esser con verità scritta, come leggono una cosa che abbia del mirabile o che lor paia che non dovrebbe esser di quel modo fatta, dicono: Forse non avvenne così, ma chi questo fatto scrisse l'ha voluto a modo suo adornare.

Di simili fatti il secolo è riboccante: «E se mai fu età ove si vedessero di mirabili e differenti cose, credo io che la nostra età sia .una di quelle, ne la quale, molto più che in nessun altra, cose degne di stupore, di compassione e di biasimo accadono». Or di fronte a queste mirabili e differenti cose il novelliere ha il dovere della fedeltà: certo, può colorirne e adornarne i particolari, ma non sì che da « storia » si mutino in «favola».

Ecco un principio in cui consiste la fondamentale poetica del Bandello. Perciò la «inizial finzion» di assoluta verità in cui egli compone le novelle, che hanno per lui intima sostanza storica, vuol esser data da una conversazione nei circoli che frequenta: e la novella vuol esser perciò corale, come quella a cui partecipa con dispute, interruzioni, sentenze, commozione, sorriso, il coro dei presenti, nel cui seno essa è nata per una ragione non rara di analogia.
E anche qui si svela il particolare carattere del Bandello, che cerca nella vita d'ogni giorno le sue occasioni di novella, e non in uno straordinario avvenimento, qual'è per esempio la peste nel portentoso preludio del Decamerone.

Noi oggi, per la civile necessità di discorrere coi nostri simili, abbiamo anche altre maniere, che non sian quelle del discorso diretto; ma un tempo la conversazione era costume sociale d'alta importanza, e fu per le corti, e più tardi per i salotti, una vera e propria arte del dire. La vita moderna, così rapida e meno attenta a certi valori formali, ha attenuato o distrutto quel modo oratorio, e le orazioni che oggi in luogo di ascoltare leggiamo, sono gli articoli dei giornali. Allora invece era necessaria una vera e propria arte del conversare, ed era una virtù studiatissima e assai diffusa, che rispondeva alla maggior lentezza e al maggiore ozio dei tempi, e della quale si vedono i riflessi perfino nel discorrere tutto oratorio, secondo i canoni della retorica, che fanno i personaggi di novelle e drammi, quale che sia la classe sociale alla quale appartengono. A quel senso di prosa sillogistica, con la maggiore, la minore, e la conseguenza; a quel parlare ornato, che ha il suo esordio, la sua dimostrazione, la sua mozione di affetti, anche nei più semplici discorsi, non si sottrae nemmeno il Machiavelli, che pure diede una sprezzatura di rapidità al suo periodo, nemmeno l'eslege Cellini, il quale nella sua autobiografia riferisce propri e altrui discorsi, che sono piccole orazioni secondo le regole del ben dire. Qual tono oratorio si raggiungesse poi alle corti nel tempo di Matteo Bandello, testimonia la vera e propria orazione sull'amor platonico che il Castiglione attribuisce a Pietro Bembo : il quale aveva parlato: « con tanta veemenzia, che quasi pareva tratto e fuor di sé... tenendo gli occhi verso il cielo, come stupido ». Si può credere in parola al Bandello, se dei ricevimenti di Cecilia Gallerana ai Bagni di Acquario, dice:
 
 

Quivi gli uomini militari dell'arte del soldo ragionano, i musici cantano, gli architetti e i pittori disegnano, i filosofi delle cose naturali questionano, e i poeti le loro e le altrui composizioni recitano, di modo che ciascuno che di vertù o ragionare o d'udir disputare si diletti, truova cibo convenevole al suo appetito, perciò che sempre a la presenza di questa eroina, di cose piacevoli, vertuose e gentili si ragiona.

 

Era il tempo dei «dicitori» e perfino degli «aedi», se di Antonio Bologna, le cui tragiche vicende son materia d'una novella bandelliana, è detto che «sonò di liuto e cantò un pietoso capitolo, che egli dei casi suoi aveva composto ed intonato»; e si ricordi ciò che scrive il Castiglione circa poesia e musica. In quel cerchio mondano trova o finge verosimilmente le occasioni delle sue novelle, e talora rende con improvviso tocco il senso vivo della conversazione, come quando un suo narratore esce a dire: «Caso veramente degno di pietà e compassione, e da far lacrimar le pietre, nonché voi tenere e dilicate donne, che già le belle lacrime sugli occhi avete».
Il più delle volte poi i fatti raccontati nascono da un'analogia con un fatto recente: le novelle del Bandello sono parallele come le vite di Plutarco. Il tempo e il luogo presenti improntano e coloriscono anche i tempi e i luoghi evocati, le cronache e le storie antiche, come lettere remote, e tutto acquista la nuova vita della conversazione in cui i fatti son ricordati, per un confronto o per un gusto di eleganza umanistica o per un capriccio di bravura. Così la romana Lucrezia, che si uccide per l'onta di Sesto nella novella narrata da Baldassar Castiglione, anzi nel saggio di critica storica che accademicamente egli recita, è un'eroina cinquecentesca.
Allo stesso modo il racconto dell'infelice amore di Massinissa e Sofonisba, narrato dopo la lettura dei Trionfi petrarcheschi in cui viene evocato, è tutto colorito dalla simpatia cinquecentesca che a quel fatto si volgeva.
All'ozio letterario del raccoglitor di novelle, Matteo Bandello ebbe il genio conforme del cortegiano, del viaggiatore, e, soprattutto, vorrei dire, del frate, che sempre, anche se non ha mai confessato alcuno, ha per educazione la minuta e inquisitoria curiosità del confessore.

Francesco Flora

© 2009 - Luigi De Bellis