Matteo
Bandello e la novella del Cinquecento
Lo scrittore che adunò in una specie di ultima silloge
lo spirito della prosa narrativa nell'Italia
cinquecentesca fu Matteo Bandello. Testimone d'una
storia tra le più intense e inventive d'ogni epoca,
avvertì ed espresse come pochi altri il senso fortunoso
del suo tempo. Frate dell'ordine di San Domenico,
cortigiano nelle placide corti e fin nei marziali
accampamenti, esperto di genti varie per aver solcato
«mille mari e mille fiumi», letterato di sicura dottrina
umanistica, tutte le sue vive esperienze tradusse in
quel sontuoso Novelliere per il quale fu perfino
esaltato come l'Ariosto in prosa, e il Boccaccio del
Cinquecento...
I suoi sensi e il suo spirito tendono a quella storia
vorremmo dire più vera che è la cotidiana vita degli
uomini, la vita che si suol chiamare privata, e che di
fronte alla storia ufficiale può essere paragonata al
nudo nelle arti figurative: una realtà che nel mutare
delle fogge e maniere in cui si manifesta l'impronta
ascosa dei tempi è più ferma e più duratura qualcosa di
perenne e tuttavia sempre diverso nelle serie degli
uomini. Tutte le volte che l'arte prende a materia
affetti e passioni reali nella vita circostante, lavora
su questo « nudo » della storia, che è l'animo umano
nelle sue vicende d'ogni giorno, d'ogni ora, eterno
valore cosmico: è l'animo umano, di fronte agli
avvenimenti che si dicon grandi e storici per
l'astrazione che aggruppa in unità i rilievi esterni,
dimenticando che la vera storia visse solo nella mente e
nel cuore dei singoli che ad essa parteciparono, può
essere attivo o alieno, può accettarli o respingerli o
rimanere inerte e indifferente.
Or quando s'è parlato dell'importanza storica del
Novelliere di Matteo Bandello come di un documento
capitale della vita del Cinquecento, s'intendeva
essenzialmente riguardare, anche se qualche volta
s'ingenerò equivoco, lo spirito cinquecentesco di quell'opera
che specchia vivissimamente i costumi e le passioni
quotidiane dell'età sua.
In questo senso non v'è scrittore del Cinquecento, non
il Castiglione o il Casa, non il Vasari, neppure il
Cellini, neppure gli storici di professione, dai minori
ai massimi quali il Machiavelli e il Guicciardini, che
sia così ricco di sostanza storica, così serenamente
veritiero, per non aver l'autore messo l'animo a
rappresentare una tendenza piuttosto che un'altra. Il
tempo vi respira e palpita, sia che si accennino vicende
vicine, sia che si, narrino, secondo che nei luoghi
frequentati dal Bandello sono apprese, le vicende di
terre lontane...
I suoi canoni di novellatore son chiari. Innanzi tutto,
senza che abbia a farne esplicita professione, non pare
che egli senta il bisogno di ricorrere alla fantasia per
inventar fatti àttraenti e singolari: forse pensa che
far ciò non sia neppur lecito: certo, il curioso e il
meraviglioso egli lo trova nei casi che avvengono « a la
giornata ». Lo colpisce e quasi rapisce la varietà dei
casi umani:
Non mira il cielo con tanti occhi in terra, allora che è
più lucido e sereno, quanti sono i vari e fortunevoli
casi che in questa vita mortale avengono.
Mirabili nel vero son tutti quei casi che fuor
dell'ordinario corso del nostro modo di vivere a la
giornata accadono, e spesso quando gli leggiamo
c'inducono a meraviglia, ancora che talvolta molti
uomini, non avendo riguardo a la santità dell'istoria
che deve esser con verità scritta, come leggono una cosa
che abbia del mirabile o che lor paia che non dovrebbe
esser di quel modo fatta, dicono: Forse non avvenne
così, ma chi questo fatto scrisse l'ha voluto a modo suo
adornare.
Di simili fatti il secolo è riboccante: «E se mai fu età
ove si vedessero di mirabili e differenti cose, credo io
che la nostra età sia .una di quelle, ne la quale, molto
più che in nessun altra, cose degne di stupore, di
compassione e di biasimo accadono». Or di fronte a
queste mirabili e differenti cose il novelliere ha il
dovere della fedeltà: certo, può colorirne e adornarne i
particolari, ma non sì che da « storia » si mutino in
«favola».
Ecco un principio in cui consiste la fondamentale
poetica del Bandello. Perciò la «inizial finzion» di
assoluta verità in cui egli compone le novelle, che
hanno per lui intima sostanza storica, vuol esser data
da una conversazione nei circoli che frequenta: e la
novella vuol esser perciò corale, come quella a cui
partecipa con dispute, interruzioni, sentenze,
commozione, sorriso, il coro dei presenti, nel cui seno
essa è nata per una ragione non rara di analogia.
E anche qui si svela il particolare carattere del
Bandello, che cerca nella vita d'ogni giorno le sue
occasioni di novella, e non in uno straordinario
avvenimento, qual'è per esempio la peste nel portentoso
preludio del Decamerone.
Noi oggi, per la civile necessità di discorrere coi
nostri simili, abbiamo anche altre maniere, che non sian
quelle del discorso diretto; ma un tempo la
conversazione era costume sociale d'alta importanza, e
fu per le corti, e più tardi per i salotti, una vera e
propria arte del dire. La vita moderna, così rapida e
meno attenta a certi valori formali, ha attenuato o
distrutto quel modo oratorio, e le orazioni che oggi in
luogo di ascoltare leggiamo, sono gli articoli dei
giornali. Allora invece era necessaria una vera e
propria arte del conversare, ed era una virtù
studiatissima e assai diffusa, che rispondeva alla
maggior lentezza e al maggiore ozio dei tempi, e della
quale si vedono i riflessi perfino nel discorrere tutto
oratorio, secondo i canoni della retorica, che fanno i
personaggi di novelle e drammi, quale che sia la classe
sociale alla quale appartengono. A quel senso di prosa
sillogistica, con la maggiore, la minore, e la
conseguenza; a quel parlare ornato, che ha il suo
esordio, la sua dimostrazione, la sua mozione di
affetti, anche nei più semplici discorsi, non si sottrae
nemmeno il Machiavelli, che pure diede una sprezzatura
di rapidità al suo periodo, nemmeno l'eslege Cellini, il
quale nella sua autobiografia riferisce propri e altrui
discorsi, che sono piccole orazioni secondo le regole
del ben dire. Qual tono oratorio si raggiungesse poi
alle corti nel tempo di Matteo Bandello, testimonia la
vera e propria orazione sull'amor platonico che il
Castiglione attribuisce a Pietro Bembo : il quale aveva
parlato: « con tanta veemenzia, che quasi pareva tratto
e fuor di sé... tenendo gli occhi verso il cielo, come
stupido ». Si può credere in parola al Bandello, se dei
ricevimenti di Cecilia Gallerana ai Bagni di Acquario,
dice:
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Quivi gli uomini militari dell'arte del soldo
ragionano, i musici cantano, gli architetti e i
pittori disegnano, i filosofi delle cose
naturali questionano, e i poeti le loro e le
altrui composizioni recitano, di modo che
ciascuno che di vertù o ragionare o d'udir
disputare si diletti, truova cibo convenevole al
suo appetito, perciò che sempre a la presenza di
questa eroina, di cose piacevoli, vertuose e
gentili si ragiona. |
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Era il tempo dei «dicitori» e perfino degli «aedi», se
di Antonio Bologna, le cui tragiche vicende son materia
d'una novella bandelliana, è detto che «sonò di liuto e
cantò un pietoso capitolo, che egli dei casi suoi aveva
composto ed intonato»; e si ricordi ciò che scrive il
Castiglione circa poesia e musica. In quel cerchio
mondano trova o finge verosimilmente le occasioni delle
sue novelle, e talora rende con improvviso tocco il
senso vivo della conversazione, come quando un suo
narratore esce a dire: «Caso veramente degno di pietà e
compassione, e da far lacrimar le pietre, nonché voi
tenere e dilicate donne, che già le belle lacrime sugli
occhi avete».
Il più delle volte poi i fatti raccontati nascono da
un'analogia con un fatto recente: le novelle del
Bandello sono parallele come le vite di Plutarco. Il
tempo e il luogo presenti improntano e coloriscono anche
i tempi e i luoghi evocati, le cronache e le storie
antiche, come lettere remote, e tutto acquista la nuova
vita della conversazione in cui i fatti son ricordati,
per un confronto o per un gusto di eleganza umanistica o
per un capriccio di bravura. Così la romana Lucrezia,
che si uccide per l'onta di Sesto nella novella narrata
da Baldassar Castiglione, anzi nel saggio di critica
storica che accademicamente egli recita, è un'eroina
cinquecentesca.
Allo stesso modo il racconto dell'infelice amore di
Massinissa e Sofonisba, narrato dopo la lettura dei
Trionfi petrarcheschi in cui viene evocato, è tutto
colorito dalla simpatia cinquecentesca che a quel fatto
si volgeva.
All'ozio letterario del raccoglitor di novelle, Matteo
Bandello ebbe il genio conforme del cortegiano, del
viaggiatore, e, soprattutto, vorrei dire, del frate, che
sempre, anche se non ha mai confessato alcuno, ha per
educazione la minuta e inquisitoria curiosità del
confessore. |