PROFILO
DEL MAGALOTTI
Come rilevano i suoi
contemporanei, nel Magalotti non è nessun abito
professionale, nessuna aspirazione ad essere né a fare il
letterato. Gran parte della sua opera, e non per artificio
rettorico, è in forma di lettere, relazioni, rapporti; ha
insomma una precisa, benché spesso effimera, destinazione
pratica. A cose più ampie, lavora saltuariamente, senza
curarsi di rifinire, e come d'improvvisazione; lascia in
tronco il commento a Dante e la versione del Paradiso
perduto. A Firenze, intorno a lui e al Redi, nel Filicaia,
nel Salvini, nel Dati, la letteratura militante è
accademica, pedantesca, oziosamente erudita, eloquente,
anche se di nobile eloquenza, in ispecie nel Filicaia; e in
lontananza, da Roma, si sente lo scroscio solenne e monotono
della prosa del Bartoli.
Su questo sfondo culturale, si forma e matura l'ingegno del
Magalotti, che nacque a Roma (1637), di famiglia patrizia
fiorentina, anticamente forse oriunda di Arezzo. Si sa
ch'egli ebbe alcuni fratelli; e quattro sorelle, tutte
monache. Il padre era prefetto dei corrieri pontifici, come
dire oggi, direttore generale delle poste; professione
profetica del gran viaggiare del figlio. Dopo il seminario
romano dei gesuiti, il Magalotti studia a Pisa, col Malpighi
anatomico, col Borelli matematico, soprattutto col Viviani,
ultimo discepolo di Galileo. Creato gentiluomo di camera del
principe e cardinale Leopoldo de' Medici, a ventitre anni è
segretario all'Accademia del Cimento; e ne stende la
relazione col titolo di Saggi di naturali esperienze.
Passato al servizio del granduca Ferdinando II, e scioltasi
l'Accademia del Cimento (1667), intraprende un primo
viaggio, in Austria, Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra,
Francia, stringendo dovunque amicizie letterarie e mondane.
Non appena tornato a Firenze, riparte per accompagnare il
principe ereditario Cosimo, in Spagna, Portogallo,
Inghilterra, Olanda e a Parigi. Va poi ambasciatore a
Mantova; e con altre missioni in Fiandra, a Colonia, di
nuovo a Londra ed in Svezia; complessivamente sette od otto
anni di peregrinazioni ininterrotte che gli valgono il
titolo di « postiglione d'Europa », altrimenti chiamato: l'
«Ulisse della Toscana» ; finché nel 1675 viene fatto conte,
e mandato come ambasciatore residente a Vienna; essendo
granduca il suo già compagno di viaggio, ora Cosimo III.
Sarà esagerato che, come pretendeva il Ranalli, e pur senza
dimenticare le benemerenze degli ambasciatori veneti,
sabaudi e genovesi, debba vedersi nel Magalotti il vero
fondatore dell'arte diplomatica moderna. E sembreranno da
accogliere le limitazioni espresse dal Guasti, da Stefano
Fermi ed oggi dal Praz e dal Falqui. Forse più che altro è
questione d'intendersi sulla reale consistenza della
cosiddetta arte diplomatica; ma un forte credito a quella
lode rimane tuttavia al Magalotti, ché una parte dei suoi
manoscritti essendo ancora inedita e poco esplorata, potrà
meglio attendersene una conferma o un aumento del credito
stesso, che la sua diminuzione.
Solo da un quarto di secolo, l'opera del Magalotti è
rientrata, se non voglia dirsi che vi è entrata per la prima
volta, nella viva corrente della nostra cultura letteraria.
Alla augurale, felice antologia del Montano, tennero dietro,
a cura del Falqui e del Praz, ristampe e selezioni dei Saggi
di naturali esperienze, delle Relazioni varie, delle Lettere
sopra le terre odorose, delle Lettere contro l'ateismo,
delle Lettere scientifiche ed erudite; più recentemente, dai
diversi epistolari e dagli scritti diplomatici. Non per
nulla il Giordani, il Leopardi, il Manzoni e il Carducci,
che alla prosa italiana variamente rinnovarono spiriti e
forme, erano stati del Magalotti lettori attenti ed
estimatori. E quando un nuovo gusto, succeduto a quello del
D'Annunzio, cercò di riconoscersi e rafforzarsi nella
tradizione, fra gli autori del cespite galileiano facilmente
il Magalotti venne a primeggiare, sullo stesso Redi e sul
Cestoni e l'Algarotti. Gli argomenti di tale preminenza,
erano soprattutto di ragione estetica; e su questi dovrà
insistersi e difatti insisterono gli studiosi da cui fu
mossa la presente rinascita magalottiana. Benché non sia da
trascurare altra, meno chiarita, ragione di problemi e
interessi; e trova particolare rilievo in quelli che, in una
scelta del Falqui, furono rubricati: Scritti di corte e di
mondo.
Non si creda tuttavia che, in tali scritti diplomatici e
carteggi mondani e familiari, la materia d'arte possa mai
essere scarsa. Era ovvio che un ingegno come il Magalotti
sfiorasse della propria grazia anche le le pagine più
labili, o di carattere prevalentemente documentario. La sua
curiosità scientifica, il suo piacere della vita sociale, la
passione ed il gusto di esprimersi, si riflettono in
qualsiasi più trascurabile frammento. E da coteste filze di
rapporti d'udienza e di viaggio, da cotesti polverosi
epistolari, provengono «pezzi» ormai diventati famosi :
accanto ai quali, una minuta congerie d'appunti, spunti,
ritagli, aneddoti, confidenze; come sul banco d'un orefice o
lapidario, qualche ciotola colma di preziosi rottami: avanzi
della lavorazione, rarità spaiate e in apparenza inutili, ma
che poi facendoci ad ammirarle a una a una, non si vorrebbe
staccarsene più.
Corniole, agate, coralli grezzi e levigati, chicchi di
porfido, di malachite, di cristallo di rocca, schegge di
antichi cammei. È l'impressione che si prova, razzolando nei
registri e repertori di queste letterarie galanterie, di
questi capricciosi ricordi del secolo. Ma il naturalista e
lo scienziato non si distraggono e dimenticano, neppure tra
la folla e il brusìo dei salotti; sempre con l'attenzione
tesa ad un segno, a una traccia, al riferimento di qualche
strano fenomeno o miracolo naturale. Nelle fabbricazioni di
questa gioielleria, volentieri s'adopera sostanza
d'aeroliti, di madrepore e vulcani. La scienza pargoleggia
tra le supreme finezze dell'arte. E oggi non c'è che da
rimanere atterriti, a vedere quanto nel frattempo la scienza
ha camminato in avanti, e l'arte ha camminato
all'indietro...
Nei primi scritti del Magalotti, che sono i giovanili Saggi
di naturali esperienze, l'intento scientifico è preciso e
scoperto. Il loro carattere tecnico, e la loro destinazione
documentaria d'atti accademici, rattengono in qualche modo
la fantasia dell'autore, dato che già allora avesse messo
tutte le penne. Le Relazioni varie, ricavate di sulla
traduzione inglese d'un testo portoghese, sono ariosissime
soprattutto nelle pagine sul Palmizio e l'Unicorno. Ma in
confronto a scritti posteriori, vi s'avverte dentro,
s'intravede come in trasparenza, il disegno d'un modello
plasticamente e logicamente meglio organizzato di quanto per
solito, nel proprio cursus caratteristico, non sia la prosa
del Magalotti maturo. E sono tutti lavori del tempo di
maggiore assiduità cruscante; allorquando il Magalotti si
fece anche editore (benché sembri che di tale edizione non
sia stato mai rintracciato nessun esemplare) dei
Ragionamenti sulle Indie Occidentali ed Orientali di
Francesco Carletti, fino allora rimasti inediti; e sta fra
l'altro a mostrare la precocità del suo amore di terre
lontane, del suo dotto e fantasioso esotismo.
Il grande e veramente nuovo Magalotti è quello delle Lettere
sui buccheri o terre odorose e parte delle Lettere
scientifiche ed erudite. Era stata precoce anche la passione
degli odori, in lui quasi ossessiva, ma assai diffusa nel
secolo; e si vede da suoi appunti ed abbozzi che precedono
d'un trentennio le Lettere sulle terre odorose d'Europa e
d'America dette volgarmente buccheri, scritte alla signora
marchesa Ottavia Renzi Strozzi, ma apparse a stampa, per
insistenza del Giordani, solo nel 1825. I profumi e le
sostanze che li generano vi sono pretesto a infinite
esperienze fisiche e psicologiche, ch'egli descrive con
ispirata sottigliezza. La sua sensibilità si trasferisce
nella facoltà immaginativa, che ne trae innumerevoli
illazioni e associazioni. Ricordiamo, del resto, la lettera
da Vienna, con quelle orride sensazioni del sapore del
sangue, e dell'aura venerata: il fiato della morte.
Talvolta nella foga della scrittura, egli è pur costretto a
sorridere di certe concatenazioni che gli girano in
paradosso; come un filologo sorriderebbe di etimologie false
quanto pittoresche e suggestive, che traboccano dal pieno
della sua erudizione, e ch'egli porge ma con un ammicco,
come per burletta. Ne nasce una rara e graziosa qualità di
umorismo interno, dell'autore verso se medesimo; umorismo
tutto screziato di motti, di aneddoti e citazioni. Ma il
contrasto della gravità del metodo sperimentale con la
materia sensuosa e mondana cui è applicato (onde il
Magalotti s'ebbe l'appellativo di «filosofo morbido»),
l'amalgama della sua sensualità col suo intellettualismo,
non toglie alla poetica serietà del fondo. |