IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

SEICENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL SEICENTO

I pregi dell'opera del Metastasio

A nessuno de' nostri italici seguaci d'Apollo fu dalla capricciosa natura data una mente più lucida e più sgombra di nuvoli, di quella che diede a Pietro Metastasio. Dante dalla natura ebbe un pensar profondo, Petrarca un pensar leggiadro, Boiardo e Ariosto ebbero un pensare non men vasto che fantastico, e Tasso ebbe un pensar dignitoso; ma nessuno d'essi ha avuto un pensare così chiaro e così preciso come quello di Metastasio, e nessuno d'essi ha toccato nel suo rispettivo genere quel punto di perfezione che Metastasio ha toccato nel suo...

Non si creda però il leggitore che con questo mio prolisso estendermi sulla chiarezza, sulla precisione e sulla inarrivabile facilità di verseggiare di Metastasio, io voglia far capire che il suo poetico merito consista solamente in queste tre cose. No davvero che questa non è l'intenzione mia. Metastasio ha anzi moltissimi altri pregi, che lo costituiscono poeta per molt'altri capi, e poeta de' più grandi che s'abbia il mondo. Metastasio è tanto dolce, tanto soavissimo, e tanto galantissimo nello esprimere passioni amorose, che in molti suoi drammi ti va a toccare ogni più rimota fibra del cuore e t'intenerisce sino alle lagrime; e chi non è vandalo o turco bisogna che pianga da volere a non volere nel leggere specialmente la sua Clemenza di Tito e il suo Giuseppe riconosciuto. Metastasio è sublime sublimissimo in moltissimi luoghi, e l'Italia non ha pezzo di elevata poesia che superi alcune parlate di Cleonice, di Demetrio, di Temistocle, di Tito, di Regolo e d'altri suoi eroi ed eroine; e più sublimi ancora di quelle parlate sono molte intere scene e molti cori ne' suoi oratori e nelle sue cantate. E queste cantate, voglio dirlo così di passaggio, più ancora de' suoi oratori e de' suoi drammi, lo palesano per poeta di così fertile immaginazione, che possiamo ben farne degli sforzi, ma in questa parte, che vale a dire nello inventare, egli non lascia ad alcuno la più leggiera ombra di speranza d'avvicinarsegli e d'agguagliarlo, non che di superarlo...

E un altro de' sommi pregi di questo gran poeta è quella tanta pratica e profondissima conoscenza ch'egli ha dell'uomo interno, o, come altri dicono, dell'uomo metafisico. Un numero innumerabile di sentimenti e d'affetti, che Locke e Addison potettero appena esprimere in prosa, un mondo di moti quasi impercettibili della mente nostra, e d'idee poco meno che occulte a quegli stessi che le concepiscono, e di pensieri e di voglie talora ombreggiate appena dal nostro cuore, sono da lui state con un'estrema e stupenda bravura e lucidezza messe in versi e in rima; e chi è del mestiero sa di quanto ostacolo i versi e la rima sieno alla libera e veemente uscita de' nostri concetti vestiti di chiare e di precise parole.
Né la sola naturale difficoltà del dire in verso e in rima fu da Metastasio sempre e sempre maestrevolmente vinta e soggiogata. Egli ne vinse e ne soggiogò anche dell'altre non minori, che sono peculiari al suo genere di poesia. Il buon effetto d'un dramma si sa che dipende in gran parte dalla musica, al servigio della quale essendo principalmente ogni dramma destinato, è forza che il poeta, desideroso d'ottenere quell'effetto, abbia riguardo alla musica e alle ristrette facoltà di quella, forse più che non conviene alla propria dignità. Acciocché dunque le facoltà della musica si possano dilatare quanto più permette la lor natura, è forza che ogni dramma non oltrepassi un certo numero di versi, e che sia diviso in tre soli atti, e non in cinque, come le aristoteliche regole richiederebbono. È forza che ogni scena sia terminata con un'aria. È forza che un'aria non esca dietro un'altra dalla bocca dello stesso personaggio. È forza che tutti i recitativi sieno brevi, e rotti assai dall'alterno parlare di chi appare in iscena. È forza che due arie dello stesso carattere non si sieguano immediatamente, ancorché cantate da due diverse voci, e che l'allegra, verbigrazia, non dia ne' calcagni all'allegra, o la patetica alla patetica. È forza che il primo e second'atto finiscano con un'aria di maggior impegno che non l'altre sparse qua e là per quegli atti. È forza che nel secondo e nel terzo atto si trovino due belle nicchie, una per collocarvi un recitativo romoroso seguito da un'aria di trambusto, e l'altra per collocarvi un duetto o un terzetto, senza scordarsi che il duetto dev'essere sempre cantato dai due principali eroi, uno maschio e l'altro femmina. Queste ed alcune altre leggi de' drammi appaiono ridicole alla ragion comune d'ogni poesia; ma chi vuole conformarsi alla privata ragione de' drammi destinati al canto, è d'uopo si pieghi a tutte queste leggi non meno dure che strane, e che badi ad esse anche più che non alle stesse intrinseche bellezze della poesia. Aggiungiamo a tutte queste leggi anche quell'altra assolutissima delle decorazioni, per cui il poeta è forza che somministri il modo al pittore di spiegare i suoi più vasti talenti. Mi dicano ora i signori petrarchisti, i signori bernieschi, e in somma tutta la turba de' sonettisti, de' canzonisti e de' capitolisti d'Italia, se le loro tanto vantate intellettuali fatiche sono da paragonarsi a un millesimo con la fatica intellettuale d'un poeta di drammi musicali; voglio dire se e' possono in buona coscienza continuare a paragonarsi, come molti d'essi sfacciatamente fanno, con uno, che non solamente ha fatte tante quasi perfettissime tragedie sottomettendosi a quelle tante leggi; ma che fu anzi l'autore di quelle molteplici e rigidissime leggi, essendosi per tempo avveduto che senz'esse non vi sarebbe stato mai modo di rendere universale il diletto d'un dramma musicale? Sì, il gran Metastasio ha scritto con chiarezza, con precisione, con facilità un tanto numero di tenere, di sublimi, di filosofiche, d'interessantissime composizioni poetiche, malgrado il volontario inceppamento di quelle tante e tanto ardue leggi.

Giuseppe Baretti

© 2009 - Luigi De Bellis