I pregi
dell'opera del Metastasio
A nessuno de' nostri italici seguaci d'Apollo fu dalla
capricciosa natura data una mente più lucida e più
sgombra di nuvoli, di quella che diede a Pietro
Metastasio. Dante dalla natura ebbe un pensar profondo,
Petrarca un pensar leggiadro, Boiardo e Ariosto ebbero
un pensare non men vasto che fantastico, e Tasso ebbe un
pensar dignitoso; ma nessuno d'essi ha avuto un pensare
così chiaro e così preciso come quello di Metastasio, e
nessuno d'essi ha toccato nel suo rispettivo genere quel
punto di perfezione che Metastasio ha toccato nel suo...
Non si creda però il leggitore che con questo mio
prolisso estendermi sulla chiarezza, sulla precisione e
sulla inarrivabile facilità di verseggiare di Metastasio,
io voglia far capire che il suo poetico merito consista
solamente in queste tre cose. No davvero che questa non
è l'intenzione mia. Metastasio ha anzi moltissimi altri
pregi, che lo costituiscono poeta per molt'altri capi, e
poeta de' più grandi che s'abbia il mondo. Metastasio è
tanto dolce, tanto soavissimo, e tanto galantissimo
nello esprimere passioni amorose, che in molti suoi
drammi ti va a toccare ogni più rimota fibra del cuore e
t'intenerisce sino alle lagrime; e chi non è vandalo o
turco bisogna che pianga da volere a non volere nel
leggere specialmente la sua Clemenza di Tito e il suo
Giuseppe riconosciuto. Metastasio è sublime sublimissimo
in moltissimi luoghi, e l'Italia non ha pezzo di elevata
poesia che superi alcune parlate di Cleonice, di
Demetrio, di Temistocle, di Tito, di Regolo e d'altri
suoi eroi ed eroine; e più sublimi ancora di quelle
parlate sono molte intere scene e molti cori ne' suoi
oratori e nelle sue cantate. E queste cantate, voglio
dirlo così di passaggio, più ancora de' suoi oratori e
de' suoi drammi, lo palesano per poeta di così fertile
immaginazione, che possiamo ben farne degli sforzi, ma
in questa parte, che vale a dire nello inventare, egli
non lascia ad alcuno la più leggiera ombra di speranza
d'avvicinarsegli e d'agguagliarlo, non che di
superarlo...
E un altro de' sommi pregi di questo gran poeta è quella
tanta pratica e profondissima conoscenza ch'egli ha
dell'uomo interno, o, come altri dicono, dell'uomo
metafisico. Un numero innumerabile di sentimenti e
d'affetti, che Locke e Addison potettero appena
esprimere in prosa, un mondo di moti quasi
impercettibili della mente nostra, e d'idee poco meno
che occulte a quegli stessi che le concepiscono, e di
pensieri e di voglie talora ombreggiate appena dal
nostro cuore, sono da lui state con un'estrema e
stupenda bravura e lucidezza messe in versi e in rima; e
chi è del mestiero sa di quanto ostacolo i versi e la
rima sieno alla libera e veemente uscita de' nostri
concetti vestiti di chiare e di precise parole.
Né la sola naturale difficoltà del dire in verso e in
rima fu da Metastasio sempre e sempre maestrevolmente
vinta e soggiogata. Egli ne vinse e ne soggiogò anche
dell'altre non minori, che sono peculiari al suo genere
di poesia. Il buon effetto d'un dramma si sa che dipende
in gran parte dalla musica, al servigio della quale
essendo principalmente ogni dramma destinato, è forza
che il poeta, desideroso d'ottenere quell'effetto, abbia
riguardo alla musica e alle ristrette facoltà di quella,
forse più che non conviene alla propria dignità.
Acciocché dunque le facoltà della musica si possano
dilatare quanto più permette la lor natura, è forza che
ogni dramma non oltrepassi un certo numero di versi, e
che sia diviso in tre soli atti, e non in cinque, come
le aristoteliche regole richiederebbono. È forza che
ogni scena sia terminata con un'aria. È forza che
un'aria non esca dietro un'altra dalla bocca dello
stesso personaggio. È forza che tutti i recitativi sieno
brevi, e rotti assai dall'alterno parlare di chi appare
in iscena. È forza che due arie dello stesso carattere
non si sieguano immediatamente, ancorché cantate da due
diverse voci, e che l'allegra, verbigrazia, non dia ne'
calcagni all'allegra, o la patetica alla patetica. È
forza che il primo e second'atto finiscano con un'aria
di maggior impegno che non l'altre sparse qua e là per
quegli atti. È forza che nel secondo e nel terzo atto si
trovino due belle nicchie, una per collocarvi un
recitativo romoroso seguito da un'aria di trambusto, e
l'altra per collocarvi un duetto o un terzetto, senza
scordarsi che il duetto dev'essere sempre cantato dai
due principali eroi, uno maschio e l'altro femmina.
Queste ed alcune altre leggi de' drammi appaiono
ridicole alla ragion comune d'ogni poesia; ma chi vuole
conformarsi alla privata ragione de' drammi destinati al
canto, è d'uopo si pieghi a tutte queste leggi non meno
dure che strane, e che badi ad esse anche più che non
alle stesse intrinseche bellezze della poesia.
Aggiungiamo a tutte queste leggi anche quell'altra
assolutissima delle decorazioni, per cui il poeta è
forza che somministri il modo al pittore di spiegare i
suoi più vasti talenti. Mi dicano ora i signori
petrarchisti, i signori bernieschi, e in somma tutta la
turba de' sonettisti, de' canzonisti e de' capitolisti
d'Italia, se le loro tanto vantate intellettuali fatiche
sono da paragonarsi a un millesimo con la fatica
intellettuale d'un poeta di drammi musicali; voglio dire
se e' possono in buona coscienza continuare a
paragonarsi, come molti d'essi sfacciatamente fanno, con
uno, che non solamente ha fatte tante quasi
perfettissime tragedie sottomettendosi a quelle tante
leggi; ma che fu anzi l'autore di quelle molteplici e
rigidissime leggi, essendosi per tempo avveduto che
senz'esse non vi sarebbe stato mai modo di rendere
universale il diletto d'un dramma musicale? Sì, il gran
Metastasio ha scritto con chiarezza, con precisione, con
facilità un tanto numero di tenere, di sublimi, di
filosofiche, d'interessantissime composizioni poetiche,
malgrado il volontario inceppamento di quelle tante e
tanto ardue leggi. |