LA POESIA DEL
MARINO
Il Marino è il poeta dei
cinque sensi, cioè della fascinazione sensoria, dell'arte
adonica esaltata come indiamento afrodisiaco, della natura
in amore. Sebbene in molti luoghi si professi cristiano e
nell'intelaiatura esteriore dell'Adone si dimostri ligio
alla dottrina peripatetica e nella Galeria con iperboli
scommisurate dica Aristotele « meta del mondo, termine del
tutto, miracolo eterno di Stagira, interprete divino o emulo
della Natura, secretario o censore del cielo, sovra tutti
uno », in realtà, come poeta, egli ritiene anima del mondo
una voluttà sensuale che permea tutta la vita, egli non ha
occhi che per l'empirla sensoria, da lui raffigurata nelle
gradazioni più squisite. Nell'esprimere liricamente la
sensualità visiva, tattile, uditiva, olfattiva, papillare,
nel dire la poesia della natura in amore, l'ebrezza della
stagione in fiore, l'ardenza del sole estivo, l'oro
dell'autunno, il sonno del verno, che, dispogliato, prepara
altra primavera, egli ha spesso versi bellissimi, di così
accesa immagine e di così vibrante modulazione, che si
comprende come possa avere, per quasi un secolo, improntato
molta parte della poesia italiana (era questa una
considerazione del Bettinelli) e come oggi si avverta che
alcuni accenti della favola di Adone e degli idilli favolosi
e pastorali echeggiano ancora negli Epitalami e negli idilli
mitologici del giovine Metastasio.
Udite come nel Marino canta la Lusinga, sirena del piacere:
|
Voi
che scherzando gite, anime liete,
per la stagion ridente e giovenile,
cogliete con man provvida, cogliete
fresca la rosa in su l'aprir d'Aprile,
pria che quel foco che ne gli occhi avete
freddo ghiaccio divenga e cener vile,
pria che caggian le perle al dolce riso,
e com'è crespo il crin sia crespo il viso...
(Adone, VII, 90) |
|
«Ne la bella stagion,
quand'entra in fiore la terra», a sentir lui, anche l'animo
suo, fatto della luce e dell'alito di Partenope, sempre
entrava in fiore, respirando nel risveglio della natura
l'aura dell'amore, e prendeva il volto della primavera.
|
Fuggon per l'erba liberi i ruscelli
poiché 'l sol torna a delivrare il gelo.
Van tra i folti querceti i vaghi augelli
disputando d'amor di stelo in stelo.
Treman l'ombre leggiere ai venticelli,
ch'empion d'odori il disvelato cielo,
e scotendo e 'ncrespando i rami e fonde
si trastulla con l'acque e con le fronde
(Adone, XV, 11) |
|
È inutile fermarsi qui a
osservare che immagini polizianesche passano in ottave
marezzate di color secentesco: importa quell'anelito, per
cui il Marino, figliuol della Sirena, dice alla stella di
Venere, che sull'alba passa radiosa in cielo:
|
Che
ti giova il piacer, ch 'in ciel ti prendi
d'errar per lo notturno aere sereno
Lascia le vane tue fatiche e scendi
omai tra queste braccia, in questo seno.
Vedrai ch'al tuo venir quest'antri foschi
fieno orienti e paradisi i boschi. |
|
Nel descrivere le lascivie
della Natura innamorata forse nessun poeta nostro l'ha
superato:
|
Vibra nel gelo Amor, nel vento istesso,
la face ardente e la saetta acuta.
L'acque accese d'amor bacian le sponde,
e discorron d'Amor Paure e le fronde... |
|
Il fuoco della vita è
l'unica verità, in cui egli creda; e quel fuoco illumina
dall'interno tutto l'edificio, da lui costruito delineando
coi) mente barocca intorno ad Adone l'universo; lo trae come
rapito dietro la bellezza corporea, che nell'attrattiva ha
per lui qualche cosa di magico e irradia, come un'esca che
mai non sazia, la sua poesia e si riverbera fin anche nella
più tesa sua retorica, per cui appariva ai suoi tempi come
il più virtuoso artefice di «pellegrino stile».
In quest'atmosfera afrodisiaca egli va alla ricerca della
grotta erma e remota, in cui da tempo immemorabile abita la
Natura, e trova la genitrice dell'universo in una chiusa
valle, entro uno speco, circondato da un angelo custode, che
attorce in flessuosa rota le sue parti estreme e se medesimo
rode. La strofe in cui egli descrive la stanza arcana, in
cui ella al tutto dà vita, possono offrire un'immagine
diretta della fantasia secentizzata, in cui tenta di dare
unità al suo naturalismo:
|
Sacra a colei, che gli ordini fatali
ministra al mondo, è questa grotta annosa.
non solo impenetrabile a' risortali,
a gli occhi umani ed a le menti ascosa,
sì ch'alzarvi già mai la vista o l'ali
intelletto non può, sguardo non osa;
ma gl'interni recessi anco di lei
quasi apena spiar sanno gli dei.
Natura universal madre feconda
è la donna, ch'assisa ivi si mostra.
In quella cava ha sua magion profonda,
occulto albergo e solitaria chiostra
(Adone, x, 54-55) |
|
Dal godimento dell'empiria
sensoria, dal senso voluttuoso, coli cui il Marino coglie i
colori, i suoni, i sapori, i profumi, le delizie tattili,
prende anche vita il suo eloquio. Come in genere pel
secentismo, così pel marinismo è un precludersi la via a
penetrare nell'interno il considerare quel linguaggio
soltanto artificio esterno, un arricciarsi con calamistri e
pingersi con cinabri, un intreccio scaltro di iperboli e
antitesi, uno scintillar di «equivochi», un ritmato giuoco
fraseologico. In lui vi è, sì spessissimo, la bravura
esterna, la retorica che vuol grandeggiare sulle sensazioni
naturalistiche, le quali sono il fondamentale suo modo di
essere. Ma per lo più, sia nelle immagini più elementari,
sia nelle figurazioni complesse, in cui l'arte sua «implica
e mesce labirinti» di metafore e antitesi, egli pronunzia le
parole, che prendono vita dalle sue sensazioni, con una
modulazione voluttuosa. |