IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

SEICENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL SEICENTO

LA POESIA DEL MARINO

Il Marino è il poeta dei cinque sensi, cioè della fascinazione sensoria, dell'arte adonica esaltata come indiamento afrodisiaco, della natura in amore. Sebbene in molti luoghi si professi cristiano e nell'intelaiatura esteriore dell'Adone si dimostri ligio alla dottrina peripatetica e nella Galeria con iperboli scommisurate dica Aristotele « meta del mondo, termine del tutto, miracolo eterno di Stagira, interprete divino o emulo della Natura, secretario o censore del cielo, sovra tutti uno », in realtà, come poeta, egli ritiene anima del mondo una voluttà sensuale che permea tutta la vita, egli non ha occhi che per l'empirla sensoria, da lui raffigurata nelle gradazioni più squisite. Nell'esprimere liricamente la sensualità visiva, tattile, uditiva, olfattiva, papillare, nel dire la poesia della natura in amore, l'ebrezza della stagione in fiore, l'ardenza del sole estivo, l'oro dell'autunno, il sonno del verno, che, dispogliato, prepara altra primavera, egli ha spesso versi bellissimi, di così accesa immagine e di così vibrante modulazione, che si comprende come possa avere, per quasi un secolo, improntato molta parte della poesia italiana (era questa una considerazione del Bettinelli) e come oggi si avverta che alcuni accenti della favola di Adone e degli idilli favolosi e pastorali echeggiano ancora negli Epitalami e negli idilli mitologici del giovine Metastasio.
Udite come nel Marino canta la Lusinga, sirena del piacere:
 
  Voi che scherzando gite, anime liete,
per la stagion ridente e giovenile,
cogliete con man provvida, cogliete
fresca la rosa in su l'aprir d'Aprile,
pria che quel foco che ne gli occhi avete
freddo ghiaccio divenga e cener vile,
pria che caggian le perle al dolce riso,
e com'è crespo il crin sia crespo il viso...
(Adone, VII, 90)
 

«Ne la bella stagion, quand'entra in fiore la terra», a sentir lui, anche l'animo suo, fatto della luce e dell'alito di Partenope, sempre entrava in fiore, respirando nel risveglio della natura l'aura dell'amore, e prendeva il volto della primavera.
 
  Fuggon per l'erba liberi i ruscelli
poiché 'l sol torna a delivrare il gelo.
Van tra i folti querceti i vaghi augelli
disputando d'amor di stelo in stelo.
Treman l'ombre leggiere ai venticelli,
ch'empion d'odori il disvelato cielo,
e scotendo e 'ncrespando i rami e fonde
si trastulla con l'acque e con le fronde
(Adone, XV, 11)
 

È inutile fermarsi qui a osservare che immagini polizianesche passano in ottave marezzate di color secentesco: importa quell'anelito, per cui il Marino, figliuol della Sirena, dice alla stella di Venere, che sull'alba passa radiosa in cielo:
 
  Che ti giova il piacer, ch 'in ciel ti prendi
d'errar per lo notturno aere sereno
Lascia le vane tue fatiche e scendi
omai tra queste braccia, in questo seno.
Vedrai ch'al tuo venir quest'antri foschi
fieno orienti e paradisi i boschi.
 

Nel descrivere le lascivie della Natura innamorata forse nessun poeta nostro l'ha superato:
 
  Vibra nel gelo Amor, nel vento istesso,
la face ardente e la saetta acuta.
L'acque accese d'amor bacian le sponde,
e discorron d'Amor Paure e le fronde...
 

Il fuoco della vita è l'unica verità, in cui egli creda; e quel fuoco illumina dall'interno tutto l'edificio, da lui costruito delineando coi) mente barocca intorno ad Adone l'universo; lo trae come rapito dietro la bellezza corporea, che nell'attrattiva ha per lui qualche cosa di magico e irradia, come un'esca che mai non sazia, la sua poesia e si riverbera fin anche nella più tesa sua retorica, per cui appariva ai suoi tempi come il più virtuoso artefice di «pellegrino stile».

In quest'atmosfera afrodisiaca egli va alla ricerca della grotta erma e remota, in cui da tempo immemorabile abita la Natura, e trova la genitrice dell'universo in una chiusa valle, entro uno speco, circondato da un angelo custode, che attorce in flessuosa rota le sue parti estreme e se medesimo rode. La strofe in cui egli descrive la stanza arcana, in cui ella al tutto dà vita, possono offrire un'immagine diretta della fantasia secentizzata, in cui tenta di dare unità al suo naturalismo:
 
  Sacra a colei, che gli ordini fatali
ministra al mondo, è questa grotta annosa.
non solo impenetrabile a' risortali,
a gli occhi umani ed a le menti ascosa,
sì ch'alzarvi già mai la vista o l'ali
intelletto non può, sguardo non osa;
ma gl'interni recessi anco di lei
quasi apena spiar sanno gli dei.
Natura universal madre feconda
è la donna, ch'assisa ivi si mostra.
In quella cava ha sua magion profonda,
occulto albergo e solitaria chiostra
(Adone, x, 54-55)
 

Dal godimento dell'empiria sensoria, dal senso voluttuoso, coli cui il Marino coglie i colori, i suoni, i sapori, i profumi, le delizie tattili, prende anche vita il suo eloquio. Come in genere pel secentismo, così pel marinismo è un precludersi la via a penetrare nell'interno il considerare quel linguaggio soltanto artificio esterno, un arricciarsi con calamistri e pingersi con cinabri, un intreccio scaltro di iperboli e antitesi, uno scintillar di «equivochi», un ritmato giuoco fraseologico. In lui vi è, sì spessissimo, la bravura esterna, la retorica che vuol grandeggiare sulle sensazioni naturalistiche, le quali sono il fondamentale suo modo di essere. Ma per lo più, sia nelle immagini più elementari, sia nelle figurazioni complesse, in cui l'arte sua «implica e mesce labirinti» di metafore e antitesi, egli pronunzia le parole, che prendono vita dalle sue sensazioni, con una modulazione voluttuosa.

Carlo Calcaterra

© 2009 - Luigi De Bellis