IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

SEICENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL SEICENTO

LO STILE DEL SARPI

Il Sarpi pure scrivendo di materia umana e passionale, è molto più geometrico di Galileo. A spiegare il suo stile non bastano gli argomenti alieni dalle amplificazioni fantastiche, il proposito di tenersi stretto alle cose, l'appartenenza alla corrente scientifica del tempo. Non potremmo 'immaginare l'autore delle lettere o dell'Istoria intento a descrivere con una così poetica attenuazione le innumerevoli fonti del suono, come fa Galileo in alcune celebri pagine del Saggiatore.
Il Sarpi ha una mente più severa, uno spirito più difeso contro il sentimento: forse non soltanto i suoi studi di scienze esatte e di filosofia, ma anche quella sua dominata ma reale propensione verso il protestantesimo, quel suo spirito schivo di ogni mondanità spiegano l'aspetto della sua prosa, la più secca e la più guardinga di tutta la nostra letteratura. Per poco gusto che si abbia per l'abbandono sentimentale o drammatico o pittoresco, si è tentati di considerarla come esclusa dal dominio della critica letteraria. Machiavelli, asciutto nelle Istorie fiorentine, tagliente e sillogistico nel Principe, è però - in confronto - altamente drammatico e manifestamente poetico...

Sarpi, storico, ignora assolutamente il drammatico, il pittoresco, il sentenzioso. Papini ha messo insieme un libretto di suoi pensieri filosofici: e dall'Istoria, che occupa più di 1300 pagine, ha potuto ricavarne a stento cinque di riflessioni: sono sicuro che non gli è sfuggito quasi nulla. Chi poi vi cercasse qualche passo descrittivo, farebbe un lavoro inutile. L'Istoria va dal papato di Leon X alla chiusura del concilio: Più di cinquant'anni: adunanze solenni, incontri di principi, guerre, il sacco di Roma, assunzioni di pontefici, morti di grandi, luoghi e personaggi svariatissimi : niente seduce l'impassibile frate, niente lo induce ad abbandonare la sua lente di microscopista delle intenzioni e delle azioni per il pennello del pittore di uno dei più fastosi e conturbanti secoli della storia. Attraverso quelle centinaia e centinaia di pagine vi accompagna incessantemente la figura del Sarpi quale lo vedete nel ritratto della Marciana: testa ossuta, come assottigliata dall'indagine; occhi fermi; labbra strette come ad assecondare la tensione interna e silenziosa di quell'instancabile lavorio intorno al motivi dei personaggi.
Il quadro, il colorito, l'aneddotica, tutto quello che quasi ogni storico attrae e riposa, manca affatto. Un'immensa folla di persone si agita intorno al fatto capitale del secolo: papi, principi, parecchie nazioni di Europa; eppure non c'è un movimento esterno, un panorama, uno spettacolo. Non uomini, non corpi si accalcano nelle sue pagine, ma opinioni e tendenze; le stesse passioni, gli stessi sentimenti sono come sollevati in una sfera fredda, che non c'interesserebbe, se non vi sentissimo come il raccoglimento del gabinetto, dove lo scienziato studia la formazione dei fatti.

Perciò manca all'Istoria anche quello che comunemente intendiamo per drammatico. Tutto questo non deriva soltanto dall'impostazione dell'opera; deriva anche dal carattere del Sarpi. Qui le lettere ci aiutano. Non c'è un epistolario di scrittore italiano più denso di fatti, più prezioso per la storia dell'Europa contemporanea. Ma anche qui, in tanta varietà di avvenimenti, niente fa spettacolo o dramma. Tutto è accennato, o smontato, o giudicato con la rapidità di chi non ha tempo da perdere: sembra che anche il filosofare sulle cose del mondo sia - per questo concretissimo indagatore - tempo perso. Nelle lettere a Jéróme Groslot de l'isle ritorna spesso sulle insidie mortali da cui è circondato, ma quasi senza vibrazioni drammatiche: Una volta scrive: « È cosa grande che venghi tentato sino di penetrarmi in camera: stupisco la diligenza e l'accuratezza »: c'è un'oggettività che rasenta il sublime.
Se non si ha una precisa idea di quest'interesse tutto intellettuale per le vicende del mondo, non si capisce l'Istoria, e non si regge alla lettura. È inutile cercarvi svolte passionali, mutamenti di prospettive: la Istoria del Sarpi manca assolutamente di ogni attrattiva. È di una monotonia imperterrita, e perciò grandiosa. Perché in ogni pagina c'è sempre tutto l'uomo, quell'anatomista infaticabile degli infiniti e indistricabili moventi minimi che formano il movimento grandioso e unico di un avvenimento. Qui si ritrovano la solennità e la drammaticità che non s'erano trovate negli apparati, nelle pompe, nelle lotte, celle catastrofi.

L'introduzione tradisce, in qualche giro di parole, la coscienza che il Sarpi ha di questa particolare epicità della sua Istoria: e non soltanto l'appellativo che egli dà al concilio di «Iliade del secol nostro», ma la proposizione dell'argomento e la poderosa sintesi della fisionomia e degli inopinati effetti del concilio hanno, pur senza una parola sonante o sovrabbondante, il respiro della protasi di un poema epico.
Sotto tanta intellettualità si nasconde un pensiero religioso. Anche il movente dell'Istoria del Sarpi si potrebbe riassumere con la frase del Bossuet: «L'homme s'agite, Dieu le mène». Sarpi mette senza posa in luce i disegni, i maneggi, le coperte vie degli uomini, e conclude che Dio se n'è servito per condurli ad un fine ben diverso da quello a cui essi miravano. Ma l'interesse e l'anima di questa storia non sono nel fine, bensì nei minuti procedimenti, in quel sottile e perenne affaccendarsi degli ingegni umani per eludere le mire degli avversari e raggiungere le proprie. La religione è nello sfondo: la scena è occupata dalle menti degli uomini, da questa schermaglia che rinnova continuamente gli stratagemmi.

Perciò l'Istoria è tutto un lucidissimo, fittissimo riassunto di discorsi, di lettere, di bolle, di controversie: è la storia d'un eterno argomentare e dissimulare. Una logica indefettibile collega e scarnifica il procedimento dei fatti, il loro significato, il pensiero, le intenzioni, le deficienze intellettuali degli uomini; un occhio straordinariamente fermo osserva le opinioni che sorgono, maturano, contrastano, mutano. Ritrarre questo solenne agitarsi del pensiero, che si svolge tutto nel silenzio del cervello eppure riempie di rumore il mondo, e lo solleva e lo trasforma: questo è il tema dell'Istoria, in apparenza così squallida e sorda. L'opera del Sarpi rappresenta l'interiorizza mento assoluto della storia: in essa non c'è, della storia, altro che il pensiero che la fa e la muove; Machiavelli e Guicciardini non erano andati tanto oltre. Sarpi si concentra e si sprofonda nel dramma intellettuale - diplomatico e teologico - che trascina con la sua forza silenziosa tanto dramma di guerre, stragi, scismi, rivoluzioni di coscienze e di costumi: nessuno storico dà come lui l'impressione che è la mente quella che informa il corso degli eventi umani.
Fermato questo carattere dell'Istoria, si comincia a vedere in cosa consista la sua animazione caratteristica. Guardate come sono seguite, attraverso il filo conduttore di quell'immensa controversia, le fila che complicano (il lavorio nella causa d'annullamento del matrimonio di Enrico VIII; il destreggiarsi di Paolo III per rendere impossibile il concilio mostrando di promuoverlo); come nel regesto trapelano dalla scelta delle parole il sentimento, la tensione, la volontà, lo stato di coscienza del personaggio (la risposta dei protestanti di Smalcalda alle condizioni messe innanzi da Clemente VII per il concilio; la risposta di Lutero al Vergerio); con che lampi d'ingegno sono sottolineate le insidie degli argomentanti.
Spesso siete sopraffatti da questo stile senza riposo, in cui il congegno si modella continuamente sopra una motivazione concentrica; ma sempre avete l'impressione d'una mente poderosa che non si stanca. La sintassi e il vocabolario sono d'una latinità quasi violenta: quelli che occorrevano per disegnare, incidere, stringere nel complesso e nei particolari un argomento così vasto e così grave, per imprimere nell'Istoria l'immagine d'un ingegno di ferro.

Attilio Momigliani

© 2009 - Luigi De Bellis