IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Critica letteraria

SEICENTO

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 CRITICA DELLA LETTERATURA: IL SEICENTO

SVOLGIMENTO DEL BAROCCO

Uno svolgimento del barocco c'è indubbiamente, ma è. spesso tutt'altro che rigoroso e consapevole: c'è in esso la livellatrice superficialità che è il limite di quella cultura seria e viva (e perciò in movimento) ma non profonda e come tale rivoluzionaria sempre a mezzo. Il barocco ha avuto due o tre momenti di maggiore vivacità polemica e di maggior consapevolezza della propria poetica, le iniziali battaglie contro il Petrarchismo o la speculazione del Tesauro; ma più spesso (e si pensi poi alla scarsezza di notizie su alcuni marinisti minori) è stato più grigio e incerto anche in certe sue autocritiche, quella per esempio di tipo moraleggiante, di aspirazione a poesia non solo piacevole che pure forma uno dei filoni centrali del gusto secentesco e in cui si legano quasi indistricabilmente seri impegni morali e di poetica, ipocrisie contro-riformistiche e luoghi comuni di divagazione accademica.

Va poi calcolata per il secondo barocco una perdita di mordente polemico (che magari convive con l'audacia di alcune ricerche concrete) e talvolta un ripiegarsi, di fronte al prevalere della nuova cultura prearcadica, verso interessi eruditi che con quella nuova cultura permettevano una più facile saldatura. Penso agli argomenti prevalenti nelle ultime lettere del carteggio Aprosio; non più, come per esempio all'epoca del suo soggiorno nel Veneto e dei rapporti con lo Zazzeroni, grandi scambi di versi e di giudizi di poesia, ma per lo più richieste di notizie bibliografiche e d'altre informazioni e un'egual atmosfera di reciproche lodi e cortesia (dove naturalmente va fatta la tara all'uso cerimoniosoiperbolico del secolo) siano i corrispondenti i tardo-barocchi napoletani (Meninni, Batista, ecc.) o i prearcadi fiorentini (Rodi, Marchetti, ecc.) che erano in atteggiamento ben critico verso quel gusto di cui all'epoca delle polemiche per l'Adone l'Aprosio era stato tra i più rabbiosi apologeti. V'è infine, a rendere più difficile l'indagine, il piacere di mimetizzarsi di molti di questi scrittori, quasi « arguto » gioco di alibi (vedi 9 diffuso protestare contro gli eccessi metaforici proprio da chi in pratica di quegli eccessi è amantissimo) ; e infine una tendenza, scettica e ben sulla linea di altre forme d'arida superficialità del secolo, a ridurre conflitti di poetica a dispute per ragioni private, personali. Proprio Federico Meninni, p. es., che pure nel suo Ritratto del Sonetto e della Canzone così lucidamente aveva disegnato la storia barocca della nostra lirica (tre tempi in continuo progresso, l'ultimo, il migliore, iniziatosi con il Marino) e insieme aveva anche indicato sia pure in forma un po' esterna (ancor in nuovo stile non si ha perfetta poesia moral-religiosa) l'aspirazione a una letteratura non solo piacevole propria dell'ultimo barocco, parlando con l'Aprosio del Pallavicino, spiegava l'avversione di questi per il Marino e la derivatane simpatia per lo Stigliani, l'antico nemico dell'Aprosio, non con una opposizione di poetica (come in realtà si trattava: e, nelle sue forme moderate, così importante), ma con inimicizie extraletterarie della Compagnia di Gesù, cui il Pallavicino apparteneva, per il Marino autore di sonetti berneschi contro un padre dell'Ordine. Per questa dispersività della cultura barocca, l'indagine sulle fasi del secentismo presenta due pericoli: che non si notino atteggiamenti che hanno invece una loro serietà e autonomia; e - pericolo non meno grave - che il ricercatore sia portato a prestare qualcosa di suo alle vicende sempre un po' eludenti dei marinisti e a creare stacchi, relazioni, passaggi in realtà inesistenti o esistenti solo nella particolare, minore, dimensione di tanta cultura barocca.

Qualche attenzione a relazioni di secentisti tra loro, a loro reazioni di fronte all'antimarinismo aveva prestato il Belloni; ed è questa senz'altro la parte più utile oggi del suo per altri rispetti così poco illuminante Seicento; ma lo studioso applicava criteri un po' esterni e meccanici, in prevalenza solo contenutistici, i meno adatti cioè per seguire nelle loro intricate pieghe queste sottili vicende. Si veda per esempio il caso del Preti, in cui il Belloni, sottovalutando (e secondo me a torto) la Salmace perché giovanile, rilevava soprattutto le preoccupazioni moralitiche per poi farle coincidere senz'altro pur nell'apparente adesione entusiastica al Marino, con un implicito antimarinismo. Ma in realtà il discorso che va fatto per questo marinista è più complesso e non può essere ridotto alla dialettica pudore - non pudore del Belloni. In esso credo bisogna tener conto proprio della Salmace, quella Salmace così popolare tra i contemporanei. C'è nel Preti indubbiamente un'interpretazione restrittiva del Marinismo, una scelta nell'esempio del Maestro dei toni più idillici, voluttuosi, quelli che invece sentiranno meno i marinisti più moderni, scelta non riducibile a predilezione per pudico contenuto, ma tutta animata da una richiesta di decorativismo voluttuoso (il bel corpo di Ermafrodito) ed eleganza proprio secondo l'immagine tradizionale del «delicato Preti» e secondo certe significative lodi dei contemporanei...
Entro questi limiti l'adesione al barocco è però completa con un'abbandono pieno al piacere delle belle immaginazioni (ancora la Salmace: il gran monte, sette giorni e notti di amore di Mercurio e Venere, il paesaggio con il fiume e il lago, la ninfa «vaga sol di se stessa», il bagno di Ermafrodito), con gusto di struggimenti e sospiri, ma senza gli echi profondi del Tasso, non solo per minor vena ma anche per diversa poetica di solo dolci suoni, raffinate e calme figurazioni, tutta più soddisfatta ed esterna; una tipica forma di primo barocco, con certe simpatie per l'antico (vedi la tesi della lettera al Lamberti) con lo stesso prevalere dei toni fastoso-idillici del Marino, ma con minori ricerche che nel Maestro d'audacia verbale e di figurazioni realistiche...

L'interpretazione edonistica della lezione mariniana (quella oltre tutto che permetteva un più completo apprezzamento dei valori letterari dell'opera sua) resta di moltissimi tra i marinisti, ma più spesso con interesse maggiore che nel Preti per le novità stilistiche del maestro, con più forte stacco dai miti idillici rinascimentali, l'idillio ampio e canoro tendendo a mutarsi in scenetta graziosa (in utilizzazione-travisazione anche di eleganze prebarocche, Tasso e Chiabrera) o in prezioso particolare.
Su questa linea sta uno dei migliori tra i Marinisti, quel Fontanella, la predilezione crocianaper il quale trova conferma nei giudizi dei due recenti antologisti...

Aperto a tutte le novità indicate dal Marino, e capace pertanto (come non è capace il Preti) della violenza stilistica dei sonetti per la siccità, abbondante, non sobrio da buon barocco (a certi intoppi però del suo stile non darei soverchia importanza e il facile ricorso segnalato dal Ferrero a certi aggettivi «bello» etc. riporterei a una maniera secentistica generale di cui ha già parlato il Calcaterra), il Fontanella sa però enunziare alle più grosse ambizioni, e mantenere la sua ispirazione in un inondo minore, gentile e «vivo», in cui ha modo di mostrare appieno le sue native qualità. Tutte le sue cose più riuscite (Alla Lucciola, A un Ruscello, Alle lagrime, Nenia cantata dalla sua donna, Amorosa vendemmia, I piaceri della Villa, Il fiore della Margherita, ecc.), hanno come ali loro respiro breve: «poesiole» vien voglia di chiamarle. Certi accenni meno piacevoli, di alcune poesie religiose moraleggianti ch'erano nella antologia del Croce e giustamente non sono state riprese dal Getto e dal Ferrero, o i versi finali che il Ferrero sente «frigidi e convenzionali» della bella Si detestano le delizie del secolo presente, riconfermano il suo imbarazzo di fronte a temi più alti. «Piacevole», ma con una raffinatezza con una levità galante e sensibile, nuova rispetto al turgore del «piacevole» mariniano, più moderna (vedi la garbata pointe finale di Al velo che copriva il petto di sua donna, più barocchetta che barocca); non poeta che molto poteva dare e non diede, ma riuscito «poeta minore». Sicché quell'aura giovanile che (a parte la immatura scomparsa dello scrittore) è indubbiamente nelle sue poesie, mi pare derivare non da immaturità di mezzi espressivi, ma proprio da questa qualità dolce e leggera della sua ispirazione, dalla sua particolare interpretazione del marinismo («un suo tono galante - dice il Flora - in cui il barocco si fa lieve e appena ridente»). Un elemento tra l'altro della sua poetica di cui sembra dare conferma la lettera di prefazione alle sue rime che opportunamente il Getto pubblica: «Le vergini di Parnaso come innamorate donzelle più volentieri gradiscono la vaghezza de' giovani che la severità degli attempati».
Ma esistono nel barocco anche forti spinte centrifughe che divengono più vive nella seconda metà del secolo, man mano che più lontana si fa l'atmosfera lussuosa post-rinascimentale in cui erano fioriti i miti mariniani, e su cui si riflette anche la presenza del filone della lirica chiabreresco-testiana e le discussioni con i teorici moderato-barrocchi.
C'è una linea che, in un certo stacco dal contenuto sentimentale del Marino, punta tutta la sua attenzione sulle novità artistiche di lui, adoperandole con intenti più autonomi, meno ornamentali. È una tendenza che si riflette anche sui concreti giudizi sull'opera del Marino, di cui di preferenza si sottolinea il magistero d' «arte», così come avevano fatto gli apologeti di lui nella polemica contro il Carli, nel 1614, quando ancor forti erano le resistenze della vecchia letteratura, e come non avevano fatto i difensori del 1630, all'epoca del massimo trionfo mariniano, che preferivano inebriarsi dei fiori dell'Adone, della sua straordinaria capacità di piacere. Insistenza sull' «arte» del Marino che contrasta poi fortemente con l'elogio fatto dal prebarocco Chiabrera che è tutto impostato invece sulla ricchezza «di natura» del poeta dell'Adone, tema che sarà in parte ripreso in Arcadia. Agli insegnamenti d' «arte» del Marino s'uniscono quelli, del barocco fortemente concettista, emblematico e meno scorrevolmente facondo, più rappreso dell'eloquenza secentista (e si pensa all'amore dell'espressioni sode e allusive, alle proteste contro l'asiatismo di quel F. F. Frugoni pur così prolisso), mentre più audace si fa la ricerca di temi rari e difficili: si giunge così al gusto del Lubrano, che ha indubbiamente una autonoma impronta e nel quale in questo senso è giusto vedere con il Getto «il culmine della esperienza barocca».

Ma l'insoddisfazione verso il contenuto del Marino opera anche in un altro senso: stimola nuovi contatti con poesia precedente (con il Tasso grave), mescola ricerche marinistiche con altre di tipo moderato-barocco (Testi ricordato dal Ferrero per il Pers). Per sentire la differenza di questi due esiti delle spinte moraleggianti entro il barocco sono ben utili due passi accostati dal Getto come esempi di «aspetti squallidi e funesti» sottolineati da secentisti «nella considerazione di vicende storiche»; l'audacia allucinata del Lubrano («lungi da busti lor teschi infelici Fer diadema funesto a' tetti infami») ben si distingue dal tono più discorsivo e fermo (di «virile malinconia» parla il Getto) del Pers («Per le vie già frequenti e per le piazze Già strepitose alto silenzio intorno E strana solitudine s'ammira»).
Ciro di Pers che ha anche altri toni nel suo repertorio, ma in cui quello grave prevale senz'altro, è veramente la voce più sicura e misurata del barocco moraleggiante, ora, pur nell'uso di comuni strumenti stilistici, una originalità che in qualche modo doveva avvertire (anche se è difficile individuare nell'amor secentesco dell'elogio il giudizio meditato) il prefatore dell'edizione delle Poesie, Venezia, 1677, quando parlava di lui come di «Unico cigno di Pindo» e assicurava il lettore che egli avrebbe fatto con quel libro «acquisto della più nobil gioia, di cui possa pregiarsi il poetico mondo». Non farei nel suo caso la distinzione che fa il Ferrero tra liriche civili e moraleggianti, testiane - «decorose ed eloquenti» - e rime concettistiche, più schiette; in realtà il Pers sembra, variamente intrecciandole, adoperare le due maniere come strumenti prefabbricati al servizio di una realtà sua, non di rado nei componimenti marinistici sviluppando oltre il capriccio concettistico un suo più fondo discorso e adoperando positivamente le movenze eloquenti del moderato barocco per dilatare i suoi temi di meditazione (più seri forse di quelli testiani anche se poi non sempre articolati) fuor dalla tipica misura del sonetto morale, ponendosi in questo senso su posizioni in parte post-barocche, anche se alla sua eloquenza manca poi il preciso impegno di regolarità di uno scrittore della Prearcadia barocchetta, di lui men vario ma (non solo per gli argomenti civili ma per la grigia e aristocratica pensosità) a lui affine, il Filicaia, che quel preciso impegno ricavava da esperienze al Pers estranee: più vivo contatto con la grande tradizione toscana e apertura attraverso i suoi corrispondenti letterati-scienziati a gusto di chiarezza e ordine della nuova cultura.

Entro questi limiti il Pers è un tipico esempio del naturale sfociare (altrove occorreranno salti; di qui le famose « conversioni » degli arcadi) di certo barocco in forme prearcadiche barocchette, senza soluzione di continuità. Anche per il Pers, di cui è giusto apprezzare l'intensità di alcuni momenti lirici, i riferimenti del Ferrero a poesia di molto posteriore (ancora: preromantici e Alfieri) pur in parte stimolanti, appaiono cercati un po' troppo lontano: quel fermento di più moderna sensibilità che è nel migliore Pers potrà sboccare in direzione preromantica solo attraverso uno svolgimento più graduato e in primo luogo attraverso quell'Arcadia solenne, che nella tensione eroica dei suoi esponenti migliori (non il più spento Filicaia ma il Giudi e i letterati di primo settecento petrarchesco-guidiani) anche se spesso più velleitaria del più realizzato Pers, rappresenta tuttavia una fase di sensibilità di lui più moderna.

Infine, anche in una personalità più isolata dalle linee centrali della evoluzione del gusto barocco, nel Dotti..., l'attenzione individuizzante si rivela utile...
La lettura delle liriche del Dotti conferma senz'altro l'impressione che hanno avuto i due antologisti, di un'originale energia (e qualche cosa d'interessante dovrebbe venir fuori da un più minuto studio sulla vita, relazioni di questo scrittore): una interpretazione del concettismo robusta, sonante (si veda l' «arguzia grave» finale del sonetto Uomo povero e nemici prepotenti, utilizzazione nuova, meno sottilmente intellettualistica, d'un bisticcio: «Alla mia povertà che non s'atterra Se manca l'oro a procurar la pace Non manca il ferro a proseguir la guerra»: o il sonetto riportato solo dal Getto, Passando a nuoto il torrente Scrivia nel fuggire dal castello di Tortona, in cui il paragone concettistico tra Cesare che sfida il mare e il poeta che sfida il fiume, non raggela l'impeto del grido iniziale «V'ho pur infranti, o ceppi!» ma lo svolge fino alla gagliarda, e pur a suo modo «arguta», chiusa «Trofeo maggior del tuo trionfo spero Che se varchiam de l'acque il sen profondo, lo per la libertà tu per l'impero Val più la libertà che tutto il mondo»); un linguaggio più aperto pur nei bisticci in cui sentimenti più moderni (si pensi tra l'altro che il Dotti è vissuto tra secondo seicento e primo settecento, 1642-1713) facilmente s'inseriscono.

Franco Croce

© 2009 - Luigi De Bellis