IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

CRITICA LETTERARIA

IL NOVECENTO

 

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CRITICA: IL NOVECENTO

FORMULA PER CECCHI

 

 

L'attività poetica aveva in Cecchi qualcosa di febbrile, mancava di quelle possibilità di pieno impiego dell'intelligenza che urgeva nella sua personalità. Vi fu così il periodo di una predominante attività di critico letterario: fu addirittura un'orgia di intelligenza, una profusione di intuizioni geniali e di tentativi sistematici («a giudicare una nuova poesia ci vorrebbe una nuova filosofia» dice nel saggio sul Pascoli), in cui non mancavano però né uno svolgimento interiore più da artista che da critico né una particolare sensibilità per un certo mondo poetico che non è quello cristallino dei classici né quello di un romanticismo più enfatico. Kipling (l'amore delle cose, della natura), Chesterton, i francesi moderni, gli inglesi più allucinati e visionari, i prodotti di eccezione, ma tutti come avvolti in un velo familiare, in una trasposizione di sanità, di terra italiana. E qui si chiarisce un altro carattere tipico di Cecchi: egli esaspera dei motivi eccezionali, dei raffinati misteri, ma insieme li media, li rende vicini a noi con un'aria confidenziale, nostrana, che pare rispondere ad un bisogno di chiarezza, di classicità, di semplicità (e in verità non è m'ai oscuro, non è mai contorto), ma più serve ad insaporire quelle impressioni più acri o più profumate, in una pastosità casalinga...
Raggiunto il suo lavoro più energico e costruito nella Storia della letteratura inglese nel sec. XIX rimasta ferma al I volume (1915), Cecchi, che aveva fin allora scritto più che altro sulla Voce, divenne più propriamente giornalista di terza pagina, scrittore di saggi, che per la loro misura, il loro giro costruttivo, hanno di fronte indubbiamente gli esempi dei tipici saggi inglesi, in cui un critico non impianta subito un problema, non affronta lo scrittore direttamente per darne un giudizio di valore, secondo il tipo della critica desanctisiana e idealista, malo gusta e ngusta nel suo paesaggio, ne prende spunto per delle divagazioni, per delle trovate personali che stanno tra il puro pezzo di invenzione e il rigido articolo critico.
Critico-letterato si può dire, a questo punto, Cecchi (definizione sommaria che si può usare anche per altri scrittori del nostro tempo un Baldini, un Pancrazi, ad esempio), critico-letterato che andava verso il letterato puro, ma conservava a quest'ultimo certe caratteristiche del primo e soprattutto la spietata luce dell'intelligenza, la curiosità del conoscere.

Nel 1920, nell'immediato dopoguerra, mentre si precisava il rondismo accanto alla gazzarra di una letteratura commerciale che doveva aggravare l'equivoco esistente fra veri scrittori e pubblico e ridurre ancor più la letteratura a questioni di élite, Cecchi pubblicò il primo volume di Saggi, capricci e fantasie come poi ha chiamato il suo genere: Pesci rossi ai quali seguirono nel 1927 l'Osteria del cattivo tempo, nel 1931 Qualche cosa, poi nel '33 Messico, nel 1936 Et in Arcadia ego e Corse al trotto, nel 1939 America Amara, nel '41 Corse al trotto vecchie e nuove. La critica letteraria fu allora abbandonata per la critica figurativa, di cui Cecchi aveva già dato un saggio nel 1912 (Note d'arte a Valle Giulia) e in cui ci ha poi dato Pittura italiana dell'800 (1926), Trecentisti senesi (1928), Lorenzetti (1930), Giotto (1937). Un cambiamento anche questo interessante se si interpreta come una accentuazione, in quel periodo, del suo gusto visivo, una precisazione della sua sensibilità soprattutto diretta a vedere, a sentire in primo piano i valori pittorici, coloristici.

Pesci rossi sono contemporanei alla Ronda, la rivista in cui si sono ritrovati i letterati puri italiani tra il '19 e il '23, e che ha portato un gusto più strettamente letterario, classicheggiante, neoleopardiano dopo lo stile generico e moralistico della Voce. Il trionfo di Pesci rossi fu così il trionfo di quel gusto che in quel libro trova il suo capolavoro e qualcosa di più, di più vasto e di meno accademico. Da quel libro a Qualche cosa non vi è tanto svolgimento di nuovi atteggiamenti, di nuovi motivi, quanto affinamento della costruzione, precisazione della prosa ivi manifestata. Già nel primo pezzo che dà il titolo al libro, c'è il risultato, c'è la poetica, c'è la natura di Cecchi. Egli dopo la costrizione della critica ha come liberato il suo fondo più vero, e l'ha avviato ad esprimersi in una forma che della critica mantiene la capacità di lucida ricerca dopo essersi trovato una misura: il saggio, pienamente adatta alla sua natura.
Cecchi ha attuato in Pesci rossi un tipo di prosa nuova, in cui è protagonista una specie di sensibilità dell'intelligenza, un connubio perfetto di queste due qualità: l'intelligenza enuclea nella realtà (e la realtà è tutto, un libro, un pezzo di natura, un personaggio) un motivo originale e lo svolge con un discorso sensibile, di immagini, di riferimenti agli aspetti più segreti della realtà stessa. Quando questo mezzo di conoscenza sensibile è più stanco, le due qualità si sdoppiano ed operano isolatamente e si hanno pezzi sofistici, paradossali spesso, in cui è soprattutto ammirevole la bravura, la coerenza dell'intelligenza o invece, più raramente, pezzi di puro abbandono al colore, alla visibilità, alla descrittività. Quando lo scrittore è ispirato, la sua sensibilità, la sua capacità di vedere, è guidata intimamente da una intelligenza vigile, esperta, che la conduce in un regno di rapporti più misteriosi e profondi; e la sensibilità li rende chiari, morbidi, evidenti. E l'incanto maggiore nasce da questa collaborazione, nasce dall'aria vitrea, matematica, acre dell'intelligenza e dal calore, dalla concretezza della sensibilità, che si fondono nei momenti migliori in un unico tono. Se prendiamo il saggio iniziale di Pesci rossi, noi ci avviciniamo subito in questa operazione di alta letteratura, scopriamo il metodo di Cecchi : vi sono dei pesci rossi visti in un globo di vetro: ecco il dato primo della sensibilità. Ma non son visti superficialmente, così come sono; sono visti nel segreto dei loro movimenti: «nuotavano con uno slancio, un gusto di inflessioni del loro corpo sodo, una varietà di accostamenti a pinne tese, come se venissero liberi per un grande spazio. Erano prigionieri. Ma s'erano portati dietro in prigione l'infinito. Il più straordinario però era questo: soltanto visti di profilo eran pesci veri e propri». Ecco l'intervento dell'intelligenza che libera l'immagine dalla sua fissità. I pesci rossi sono l'immagine di altri rapporti più profondi: «di faccia eran vecchi mostri arcigni dell'epoca dei Han: draghi millenari imbronciati; una maschera rossa di malinconia impersonale o disumana. Di profilo evocavano canneti e graziose scogliere». E il gusto si accresce nel descrivere, si raffina, si allarga, si muove ormai in un'atmosfera irreale, magica in cui nasce spontanea un'altra immagine, un altro riferimento: i pesci rossi nella loro mostruosità indefinibile suggeriscono, evocano l'immagine dell'oriente, di un mistero grave di brividi, libero da precise determinazioni; ed ecco che la cultura dello scrittore entra, libera da ogni severità critica, e delle citazioni di poesie giapponesi vengono ad accrescere l'impressione del mostruoso che può essere sempre presente in un idillio orientale: «Tutte le volte che una poesia dell'antica Cina o del nuovo Giappone mi trasportava nell'atmosfera del più insospettabile idillio, sapevo che bastava guardarvi un po' meglio e fra l'erba del prato idillico avrei visto luccicare la coda di un drago, e fra i rami dell'arbusto il viso argenteo di uno spettro. Tutte le volte che nell'angolo di una pittura scorgevo il pellegrino o la volpe o il gallo cedrone stringersi, rannicchiarsi come impauriti sotto il dilagare del cielo, sapevo che essi avevano non una, ma mille ragioni di spavento perché quel cielo era davvero troppo bianco e troppo deserto per non essere un cielo serpeggiato di invisibili demoni». Oriente, un polo dell'umanità di fronte a cui è l'Occidente, amante del limite, dell'unità del mondo: «Per noi la fantasia e il sogno hanno da essere soprattutto credibili, organici, penetrabili, abitabili e si direbbe comuni. E per questi altri hanno da essere soprattutto remoti e strani».

Ecco la linea di un saggio cecchiano: uno sviluppo di immagini e di intuizioni dell'intelligenza che si fondono, si aiutano; ecco la linea del suo movimento snello e penetrante, magico e familiare.

Walter Binni

© 2009 - Luigi De Bellis