IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

CRITICA LETTERARIA

IL NOVECENTO

 

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CRITICA: IL NOVECENTO

L'ARTE NARRATIVA DI ALVARO

 

 

La complessità dell'arte di Alvaro è riconoscibile immediatamente dalla costante presenza nelle sue opere di una zona di imponderabile (quello, all'incirca, che è stato chiamato dal De Robertis «realismo magico») non facilmente raggiungibile, che per altro rientra facilmente fra i dati positivi della sua pagina, accanto a quel mondo che costituisce la sostanza più certa della sua ispirazione e della sua opera. La pagina dell'Alvaro risulta perciò venata dalla impressione del vero e del duro, ricavato dalla terra delle sue suggestioni, e insieme dal fantasmagorico e dall'irreale, che si protendono fino alle zone della sua riflessione sul tempo e sulla civiltà, accostamento di una realtà più vasta ma anche creatrice di interni contrasti che hanno effetto sulla singola pagina come sulle strutture delle sue opere narrative...

Gente in Aspromonte racconta la storia di Antonello Argirò che diventa bandito: il paese calabrese si muove intorno a lui, le sue scoperte sono il riconoscimento che lo scrittore offre del paesaggio naturale e umano allo stesso lettore, le sue umiliazioni sono quelle di tutta una umanità sofferente, la sua rivolta è assurda e generosa come tutte le cose primitive. Tutto vi è tagliato in una durezza che appare inumana il piccolo pastore riconosce la sventura, arrivata nella casa degli Argirò quando le mule del padre sono finite in un burrone, non nell'attimo della tragedia, ma nella casa del proprietario quando il padre va per richiedere un prestito. La dimensione della sciagura che il caso ha procurato cresce nell'opposizione degli uomini, nell'umiliazione della povertà: fino a che tutto esplode nel suo animo ed egli corre sulla montagna, uccide il gregge del padrone, ne offre la carne ai poveri, brucia i fienili, diventa bandito, per consegnarsi infine ingenuamente fiducioso nelle mani della giustizia. Brevemente è questo il tessuto del racconto che matura all'interno una situazione lirica fino ai limiti di un vero epos, in cui tutto si muove contemporaneamente, uomini e cose. Nel racconto c'è una netta linea strutturale, non arido sforzo di costruzione ma senso di disposizione, necessità di quella cosa in quel luogo, dettata dalla materia stessa e dallo scavo che l'Alvaro vi fa. Il nucleo poetico essenziale del racconto scaturisce da questa architettura, animato dall'immagine della terra, dall'elementare e faticoso volto dei personaggi, dalla natura che è parte viva della vicenda, dalla freschezza delle cose circostanti, amiche quando sono familiari, nemiche quando non si conoscono. Tutto vi è primitivo e gentile, non rozzo; i personaggi si ripiegano su se stessi, scoprono di nuovo cose antiche sempre esistite, buone e cattive, partecipano con ingenuità i propri sentimenti, mostrano una serietà profonda anche nel riso e nella gioia, soffrono la propria mortificazione eterna che è anche ciò che li rende umanità. L'urgere di tali motivi nella pagina sembra travolgere qualche volta la misura dell'arte. Questo mondo di una civiltà antica che sta per morire, che conserva tratti inalienabili di tradizioni e di sedimentazioni, tornato ingenuo nella vicenda stessa così umana e terrestre, sembra travolgere l'Alvaro stesso. Al clima delle prime pagine, con quelle aperture improvvise, tessute in un costante rapporto di immagini e di cose reali, succede un'atmosfera più sfocata quando i suoi personaggi cominciano a parlare: quasi che dall'immagine tutta nitida e forte si sia passati alla riflessione che aggiunge qualcosa di non strettamente necessario e intimo. Ma questo si riconosce facilmente come momento di passaggio, necessità di attingere un piano nuovo di movimento, appena torna dinanzi Antonello, con i cui occhi lo scrittore ci porta alla scoperta del mondo e col quale vive i motivi della sua ribellione, che è avidità di giustizia (poter parlare con la giustizia sarà l'aspirazione del giovane bandito), il senso del diritto dell'uomo a godere delle cose della terra.

Ma i momenti in cui la parola stessa si fa più limpida, meno affaticata, sono quelli in cui gli occhi del ragazzo che guarda, più che cercare piani speciali segnano semplicemente in una linea unica i rilievi delle cose e li fermano decisamente: i momenti insomma in cui il racconto diviene documento essenziale della realtà, come quando descrive il paese o certi rapporti tra gli uomini, l'amore di Antonello per la madre, l'umiltà dell'Argirò davanti al padrone. È questo il piano più autentico di movimento, in cui le immagini trovano la loro propria dimensione e perfino le sottolineature ironiche acquistano un senso di tragedia. Il realismo di Alvaro si struttura dentro a certe immagini, dentro ad una generale suggestione del racconto, senza che questa però prenda il sopravvento quelle immagini, anzi, non hanno valore di per sé, ma solo dentro a quel clima che l'Alvaro ha creato fin da principio. Certi episodi, come quello di Lisca l'usuraio, prendono un loro posto solo dentro a quel clima, che è il filo su cui tutto il racconto si svolge fino alle scene intrise di meraviglioso con cui è narrata l'esplosione di rivolta di Antonello e la sua attesa della giustizia. Il centro del fatto espressivo si fonde con quel clima definito sull'inizio e l'armonia del racconto sta in questo, dove non ci siano cambiamenti improvvisi di tono che scoprano l'architettura. La validità della prosa di Alvaro sta in definitiva nel suo andare dal documento al senso di meraviglia che le cose segnano nell'animo del personaggio, che è alla fine lo scrittore stesso: sono gli occhi di questi che scoprono i contorni reali delle cose e se ne meravigliano e tornano poi come a un rifugio agli orizzonti conosciuti da bambino e resi familiari. Lo stile di Alvaro sta qui, in questa diretta rappresentazione della verità, nello sforzo di dipanare questa tela che ha la stessa verità della realtà e dell'immagine per quell'uomo primigenio che è il suo personaggio...

Il punto d'approdo della narrativa alvariana è l'Età breve (1946) anche questo romanzo storia di una scoperta del mondo fatta da un ragazzo, Rinaldo, nel paese dominato dalla figura del padre, Filippo Diacono, e nella scuola gesuitica della città lontana, deliberatamente scelta dal padre per creare intorno al figlio quasi un alone di mito e di rispetto agli occhi dei compaesani. Anche qui gli orizzonti, non sconfinati ma tutti impregnati della presenza dell'uomo, fanno da tessuto e quasi da legame al racconto, che è più vivo quando coglie il paese piuttosto che la città, più vero, per fare un esempio concreto, quando Rinaldo scopre la donna nella povera prostituta Antonia, che sarà uccisa per voler restar fedele, che non nella donna bella ed elegante della città. Insomma le figure del paese, la vecchia madre del seminarista, il nobiluccio impoverito che scopre con fiuto speciale la casa dove si sta preparando il caffè, sono le cose più vive del romanzo: e anche la pagina si fa più viva ed intensa quando queste sono le immagini tradotte dalla esperienza diretta dello scrittore, che non quando giungono a lui dalla mediazione di una riflessione sulla condizione della civiltà nuova verso cui l'uomo si muove. Il ricordo del passato anima tutta la verità di cui l'Alvaro è capace: si pensi alla partenza di Rinaldo dal paese dopo che le speranze del padre falliscono, e all'incontro nella notte col giovane che ha scoperto una statua antica, bellissima soprattutto di questa antichità, che è il solo tesoro vero che quell'umanità, piegata sotto il peso di una vita amara, conserva. A1 di là della sicura e più intensa prova poetica di Gente in Aspromonte, questo romanzo offre palesemente la trama intera del mondo poetico del narratore insieme alla problematica che il saggista coglie in sé e nel suo proprio tempo. La sua prosa, innervata in una sostanza verbale che è risultato di quel connubio o dualismo sul quale tutta la sua sensibilità era centrata, è ad un tempo turgida e limpida, costituendo insieme passione e documento, così come egli stesso la definiva nell'ultima pagina di Incontri d'amore, quasi una dichiarazione di poetica, in cui parlava di una parola che gli serviva a scoprire la realtà e che nell'esercizio gli si faceva essa stessa realtà.

Riccardo Scrivano

© 2009 - Luigi De Bellis