IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

CRITICA LETTERARIA

IL NOVECENTO

 

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CRITICA: IL NOVECENTO

CARATTERI DI MORAVIA

 

 

L'invenzione narrativa, la virtù di costruire persone e vicende e trarre il lettore a seguirne il destino con animo attento, anche se non partecipe; la sicurezza delle scene e la perizia del loro quadro, la forza di un linguaggio senza ornamenti, simile a un'architettura tutta «funzionale»: son questi i doni dei romanzi e racconti di Alberto Moravia, e giustificano l'adesione dei critici ad un'opera tanto significativa. Le ragioni che hanno divulgato i suoi libri possono riferirsi prevalentemente alla materia morale o immoralistica di cui son fatti; ma il lettore avveduto sa che di questa egli deve discorrere soltanto nel rapporto con l'arte dello scrittore, indagando dove raggiunse una virtù poetica e dove fu saggio morale e dove una violenza d'istinto che non giunse veramente alla parola ma restò, essa medesima, null'altro che materia.

Conviene a noi riprendere alcune sintetiche osservazioni che già ci avvenne di fare su Moravia, e svolgerne i trapassi e approfondirne il significato. Il primo stimolo al racconto di Moravia - ci avvenne di scrivere - diresti sia di una irritazione verso la società che simula una morale e verso la morale stessa che la società si crede in obbligo di simulare o, se si vuole usare una metafora, alla sincerità naturale degli eventi cerca non una verità morale ma una lealtà di visione, come un occhio non accetta ostacoli: né la cerca per un bisogno religioso o sociale (motivi che potrà coltivare altrove, ma che nel racconto gli sono estranei), o per la religione stessa della verità contro il falso, o perché alla morale simulata che lo offende abbia una morale sua diversa da contrapporre; ma per puntiglioso gusto di svelare gli inganni, per il puro ritmo di una partita a carte scoperte, e per un'acerba sebbene tacita protesta contro i desolati confini del vivere. Accoglie il mondo come uno sguardo che è ferito dalla luce. Scoprire, sotto le ipocrisie del vivere e le illuse parvenze e le cantabili evasioni, il congegno delle menzogne non accettando che una cosa presuma darsi per un'altra: ecco un suo bisogno vitale. E rimescolare quella materia oscura che gli uomini velavano è un'attrazione del suo sentire: per diretto piacere e per dispetto, magari, talvolta, per una stizza vendicativa dei torti donde gli uomini sono offesi..

Di solito è materia del senso, e magari la più ambigua. L'ipocrisia di altre passioni con altri divieti non lo ha irritato all'arte, ma ha sommosso il suo lucido pensiero a vigorose considerazioni e massime.
Il pericolo di un'arte nata da occasioni acri e dissacranti è di rimaner vittima della materia e sporcarsene. Ma all'acredine che dapprima lo aizza al nucleo più disgustante, succede in Moravia l'attrazione dell'evento per se stesso, come di un fatto di natura che entra nelle sue pupille e sul quale la luce è caduta come cade sul giusto e sull'ingiusto. Può essere egli riposseduto dall'acredine, come avviene a Zola per certo suo sentire crudele: ma tornerà a schiarirsi per la naturale sua lealtà espressiva.
In un così desolato contatto col mondo, come e donde nasce questa lealtà espressiva? Questa fiducia nella parola, che non è già la falsa verbalità, ma senso d'arte, non potrebbe aver significato se non rispondesse ad una positiva fede, che è più profonda del disgusto e della nausea e, se volete, dell'angoscia donde prende avvio il suo bisogno di scrivere. Disgustato e deluso dalla società troppo presto, Moravia ha in sé, quasi confessato, un angelico volto di utopista che teme di costruire il suo sogno, in una società ove lo scetticismo e il facile riso, e il proprio stesso atteggiarsi a supreme certezze ciniche, bruciano i bruchi prima che diventino farfalle. L'abitudine del disgusto, una specie di precoce alcoolismo della visione, crea quella necessità di frugare in una materia maligna e velenosa. Ma una vita in cui la società fosse libera come è libero il desiderio è nell'angelo Moravia. Se così non fosse, come scoprireste in lui, improvvise quelle aperture di cordialità e un non so che di splendida fanciullezza? Così la parola gli è implicita fiducia nella vita contro il ripudio ch'è alla radice del suo disgustato racconto. Finirà egli col giungere ad una pietà per gli uomini e le cose che è nel segreto della sua parola come un sigillo troppo ritroso. Dopo tutte le esperienze dissacratrici, artisti come Moravia, che innanzi alla parola sono pii e perfino superstiziosi, ecco che passando dalla parola-sfogo alla parola-rappresentazione, salvano l'umano (il doloroso destino delle creature umane) dove appunto credevano di averlo dannato.

Crediamo siano queste premesse una chiara introduzione all'opera del Moravia; ma occorre scendere nel cuore della sua arte, ove la prosa, come atteggiamento di fronte alla realtà, tende alla rappresentazione morale, quasi al saggio morale, pur se immoralistico, più che alla disinteressata rappresentazione poetica. Quando invece tende ad una irosa reazione di istinti, ci tocca constatare che il problema artistico non è più in causa, e le pagine non sono veramente parole ma antiparole, sfoghi, un modo quasi di disumanarsi e trovare non la verità che è iniziativa della vigile mente umana, ma lo stadio anteriore in cui la parola e per ciò la verità non sono neppure un'aspirazione. Ciò forma sempre la parte negativa degli scrittori, quella che nel nostro saggio sul D'Annunzio adombrammo nella formula della parola-senso contro la parolamusica.

Da quando nel 1929 il Moravia entrò fulmineamente e con tutti gli onori nel mondo delle lettere, la sua opera consta di tre ampi romanzi Gli Indifferenti che lo collocarono subito in primo piano, Le ambizioni sbagliate, La Romana; tre romanzi più brevi: La mascherata, Agostino, La disubbidienza; e poi raccolte varie di racconti e di novelle: La bella vita, L'imbroglio, I sogni del pigro, L'amante infelice, L'epidemia ecc. E accanto alla narrativa son da porre saggi vari, aforismi, moralità, e l'esercizio della critica cinematografica.
I titoli di alcuni libri di Moravia sembrano promettere un trattato di psicologia; sono definitorii e non esitano a stabilire una tesi: Gli indifferenti, Le ambizioni sbagliate, La disubbidienza. E mentre il primo, soltanto in qualche punto, enunzia la rappresentazione dell'indifferenza in questo o quell'atteggiamento dei personaggi e così la definisce piuttosto che farne oggettivamente sentire la presenza, La disubbidienza è condotto come un saggio di rara efficacia e illuminazione sulla psicologia di un adolescente.

Se la pura virtualità poetica non può mai mancare in uno scrittore e gli esperti la scoprono perfino tra le condensate formule scientifiche, per le parole e la storia contratta a cui accennano, agevole è riconoscerla anche nella composizione, nel ritmo scenico, nelle soluzioni, nel periodo verbale di Moravia; mala prosa nella sua arte prevale perfino quando egli si esprime per motivi del tutto irrealistici. Prevale per l'atteggiamento negativo che egli assume di fronte alla vita, senza quella pietà del canto, se così può dirsi, che salvò i grandi pessimisti romantici. Ma Moravia veniva su dopo la rivolta e, diciamo pure, il disfacimento del decadentismo che predicava il tempo degli assassini e variamente volle liberare l'uomo dal senso della colpa e dalla inibizione (insomma da ciò che lo fa uomo) ed ebbe il torto di confondere la giusta rivolta all'ipocrisia di ciò che nell'uomo è ancora bestiale (e vien chiamato a torto, civiltà, religione, morale, diritto, mentre è schiavitù verso la bestia naturale, il perenne stato di natura che resiste alla nostra sincerità di uomini e alla nostra vera civiltà) con l'innocenza male intesa degli istinti ferini. Dovette perciò vincere l'ostilità di questa nuova e aggrovigliata rete di principii immoralistici, e la nuova e più desolante ipocrisia dei nuovi predicatori della libertà sessuale, del superuomo ridotto alla pura funzione della bestialità senza l'innocenza necessaria della bestia: perché l'uomo, dotato di parola, non può agire come se non pensasse, e imbestiandosi non diventa bestia, ma la perversa scimmia della bestia. La fatica di uno scrittore come Moravia e come altri che vissero queste esperienze dissacratrici dell'estremo decadentismo consiste e consisterà sempre più, in modi più o meno consapevoli, nel dover cercare la propria umanità tra i pregiudizi dell'ipocrisia naturalistica instaurata dall'immoralismo post-romantico, diventato un'abitudine perfino accademica, e sia pure di un'accademia dell'avanguardia: un'abitudine non meno conformistica, ma forse più pesante e più difficile a vincere, di quella della vecchia consuetudine sociale e morale e religiosa a cui, con gli equivoci che abbiamo accennati, pretese di ribellarsi. E se nonostante questa giungla dei nuovi pregiudizi, questa soffocante sincerità sociale che vuol trovare un pretesto e una scusa scientifica e un falso nome di verità a certa sua sporcizia (come per esempio di parlare di cose sconce sotto pretesto di un'analisi dell'inconscio, e trovare questa o quella ragione per spiegare come un merito una propria viltà) il Moravia è giunto a costruire figure e caratteri e paesi di schietta verità, egli ha avuto bisogno, forse senza saperlo, di una forza generosa e sorgiva che gli va riconosciuta e per la quale gli è dovuta una franca e non avara simpatia.

Francesco Flora

© 2009 - Luigi De Bellis