IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

CRITICA LETTERARIA

IL NOVECENTO

 

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CRITICA: IL NOVECENTO

LO SVOLGIMENTO DI C.E.GADDA

 

 

Gadda oscilla fra il racconto e il saggio, e specialmente all'inizio, fra il racconto-bozzetto degli Scapigliati e il saggio che viene a trovarsi fra gli illustri esempi di Baldini, Cecchi ecc. E questa oscillazione non è una esitazione culturale, ma l'effetto di una ispirazione costruttiva a scatti, sussultoria, che obbiettiva il personaggio, ma non lo svolge che a tratti e sulla cadenza di una intima reazione alle vicende e alla realtà. Se, a parte il risultato che essa consegue, va notata inizialmente questa forza istintiva come elemento costante della sua personalità, il primo libro La Madonna dei filosofi (1931) ci indicò un tono complessivamente raggiunto, ma tenue, quasi più aggraziato o calligrafico che poteva ingannare sulla coraggiosa e ostinata durezza delle prove successive. La furia di sperimentare, di provarsi in tentativi anche tecnici, che può presentare l'opera complessiva di Gadda come la singolare espressione di un risentimento personale e insieme come opera di artista che sforza la sua materia, tenta in un infinito esperimento di raggiungere l'arte; è più velata, nella Madonna da una grazia di saggista e di umorista che si raggiunge e si adegua nel suo pezzo non senza bravura. Perfino la sua milanesità che colpiva come elemento vistoso è più episodica, pittoresca, bozzettistica.
Nella Madonna la sua pagina è veramente più facile, meno risentita e quindi anche esteriormente più fusa, più scorrevole, più amabile. Così il racconto, l'ultimo pezzo del volume, è discorsivo, divagato, incapace di dar una forte vita ai pupazzi che perciò somigliano a personaggi sbiaditi e un po' caricaturali di qualsiasi romanzo, intorno al personaggio chiave del sentimento gaddiano, la giovane donna incantata dalla morte del fidanzato, riscossa alla vita dal precipitoso finale. Tutto è come velato, e la vivacità dello stile, assai disuguale, è diluita in battute che sembrano quasi i primi scoppi di un motore non ancora acceso...

È nel secondo libro, Il Castello di Udine, che la fisionomia di Gadda si precisa con maggior vigore e che, mentre si accentua la sua originalità espressiva oltre i tentativi precedenti, il suo temperamento fa un'irruzione più decisa, travolgendo i pericoli calligrafici insiti in pezzi di divertimento che nel primo libro abbondavano, e comparendo in una esperienza essenziale della vita, al centro dunque della sua natura reattiva e risentita. L'esperienza della guerra che affiorava già qua e là nelle Manovre, perfino con astratta intensità («Oh madri! Sogni delle notti più tetre questo sole vi supera, ecc.») e che risulta l'incisione più profonda nella psiche di Gadda, quasi rivelazione maturata sotto le prime espressioni; esplode e forma poi la base più sicura dei successivi contatti col mondo. Il castello di Udine: e con questo nome intendiamo senz'altro proprio quella sessantina scarsa di pagine che trovano il loro centro nella evocazione lirica del sischiel, del motivo che accompagna visivo e musicale la guerra sul fronte giulio ad un uomo che vi ha dischiuso la sua vita più seria: la prova più riuscita e più fallita delle proprie forze, delle proprie idee. Unitarie al massimo grado, tanto da apparire come svolgimento di una rimembranza non episodica, non segnata da tappe pittoresche, queste pagine risuonano di un impeto convulso, di una polemica sanguigna non precedente ai fatti, ma necessaria e assoluta. L'urto di un temperamento serio, impegnativo con la realtà in un suo momento di eccezione, di approfondimento e di esaltazione insieme: la guerra per Gadda è una fuga violenta dalla mediocrità (donde il suo reagire all'antimilitarismo, alle rinunce con lo stato d'animo esasperato del reduce e dell'amante del concreto contro le formule vaghe) e insieme la realtà stessa che vi si presenta nella sua massima violenza di sofferenze, di passioni, di ottusa resistenza, fuori dei segni positivi o negativi di Dorgelès o Remarque, e più, sotto il segno di ciò che chiamerà poi «la cognizione del dolore». L'arte di Gadda si fa così più unita e i suoi elementi apparentemente eterogenei, rivelano la loro origine quasi spasmodica da una prima parola senza equivoci. Parola che anche nella pietà ed autopietà («la stanchezza mi vinse, il cuore non tirava più: e l'anima era un regolamento scaduto») dà un suono vibrato che permette anche all'humour, di mescolarsi, senza la minima stonatura, in rapida sintesi, a moti accorati o polemici. «Il guaio vero è stato che l' "Alt!" della sandalina (del barbiere di Caporetto) non fece nessuna impressione a von Below, il quale arrivò invece da S. Lucia». Anche l'unica parentesi idillica che precede la tetra Imagine di Calvi, non sfugge alla spinta originale che ravviva l'idillio di punte e di figurine più mordenti che carezzate. Qui lo stesso intervento, del resto assai sobrio, della cultura con la forza dell'immediatezza, risente della volontà di trasferire tutto su piani non mediocremente risolutivi e praticamente sentimentali, popolareschi. Come la ricchezza di attributi preposti è indice di una esaltazione, di un geniale nervosismo di fronte alle cose che non appaiono nella calma e pittoresca oggettivazione dei classici, sotto il loro sguardo lungo e pacato. Tutto scatta e non per risultare gustoso, funambolesco, ma tragico, aderente al motivo di esperienza sdegnata.

Invece negli altri pezzi del volume (1934) ritorna più il Gadda attento ai risultati stilistici, ai suoi esperimenti di scrittore, di saggista che può arrivare in certi momenti al taglio di incisiva intelligenza di Cecchi .e perfino alla fluida bonarietà di Baldini. La polemica o resta ammorbidita o urge pratica come nel finale di S. Pietro in Montorio, ma non ha la vitalità organica e unificatrice del Castello.
Anche Le Meraviglie d'Italia (1939) sono saggi che non tendono ad unità di disegno narrativo e che in gran parte accentuano quel gusto tecnicistico di descrizioni i cui limiti fantastici vengono originalmente ridotti da un impegno alle cose nelle loro misure, nel loro significato più metallico e strutturale... Questo uso del tecnicismo significa un approfondimento nelle stesse qualità dello scrittore, una rinuncia agli effetti più facili di una eccitazione di superficie, di una resa umoristica e perfino di una immediata espressione dello sdegno della esperienza. E ci sono così nuovi apporti al linguaggio, nuove possibilità di articolazione del linguaggio, che si vuol fare sempre più concreto e magari legnoso, ma non pittoresco, che vuol assumere ogni esperienza senza faciloneria: come quella sudamericana che frutterà più poeticamente nella Cognizione. E alla Cognizione così carica di interiore conoscenza e di complessi nervosi nella figura di Gonzalo, sembra preludere per ricchezza di significati il pezzo più sottile e rivelatore delle Meraviglie: Una tigre nel parco, un pezzo in cui Gadda ha trovato un raccordo poetico con il se stesso più istintivo, con l'infanzia, un approfondimento dei moti dell'animo, del suo risentimento vitale già in una zona pre-psicologica, in un fondo fresco donde i suoi umori sembrano già nascere poetici e necessari: «I miei sensi, già avidi di cognizione, pativano, tra i fili alti dell'erba, l'arrembaggio notturno della paura» .

La Cognizione del dolore (mi riferisco ai 7 tratti pubblicati dal '38 al '4I in Letteratura) segna, dopo le prove delle Meraviglie, un tentativo di oggettivazione violenta della situazione umana nell'esperienza gaddiana, esplosione del nuovo epos (dopo quello del Castello), non immediatamente legato a ricordi e ad avvenimenti rivelatamente personali, ma in trascrizioni più profonde ed oggettive. Sì, le esperienze precedenti si continuano e le ricerche di nuovi toni si moltiplicano, il ritmo si accentua e il tecnicismo si innervosisce e serve come possibilità lessicale ad accelerare ed arricchire di nodi, di punte dure questa prosa torrenziale e sussultoria, e la battuta si inasprisce e si scioglie in dialoghi lunghi, quasi in un discorso continuo senza pause, senza dolcezze, ma tanto più ricco di tanta melliflua prosa pittoresca. Il ritmo prevale e il brio, l'humour lo servono sempre più senza soluzioni particolari da varietà, come sempre più l'esperienza (la cognizione del dolore) si trasporta in profondo; l'urto e la passione si fanno sempre più potenti e legati quanto più si distaccano dalla loro apparenza più autobiografica (anche la guerra riappare fondamentale, ma spaziata come ricordo, come tragico sfondo lontano, misteriosamente presente). Il risultato poetico, per quanto non concluso da un racconto nel senso più noto della parola, non vive isolato come nei saggi delle Meraviglie, ma entra in un'atmosfera, in un disegno. Gadda, si direbbe, qui lavora di affresco e i suoi «tratti» hanno una loro grandiosa continuità: un respiro che supera la pagina per quanto fitta, una voce di umanità, più convulsa nelle macchiette e nei personaggi secondari (Pedro, il commerciante ambulante, il medico, il peone, ecc.) che si agitano stimolati anche da eterogenei, elementi dialettali su bizzarri accenni di un fondo sudamericano, più tragica nell'ombra della madre e nella figura di Gonzalo che riassume con i suoi crucci, il suo misantropismo di maniaca e virile solitudine, i motivi di un personaggio ideale apparsi nelle opere precedenti.

Il ritmo prevale, abbiam detto, come d'altra parte la pagina si infittisce, si carica di notazioni essenziali pur prestandosi a quella specie di novelle più spianate come quella di Pedro, finto sordo, all'ospedale militare. L'elemento poetico è più serrato senza divagazioni, si fa più chiuso, più incapace di espandersi in effetti di facile nostalgia. «Ma che cosa era il sole? Che cosa portava? sopra i latrati del buio». La fantasia è diventata più ossessiva, più incupita, ma anche più capace di un disegno, di una costruzione vasta e dominata e il grottesco si spinge verso un epico in cui la lingua, al di sopra della rozza organicità del dialetto e della soluzione media italiana, vibra sempre più libera e controllata solamente dalla sensibilità eccitata, dolorosa e dal senso ritmico che presiedono a questa urgenza espressiva. Lo stimolo alla scrittura si fa sempre più lirico («E le cicale, popolo dell'immenso di fuori, padrone della luce») e pure in tanto fervore di immagini la qualifica di barocco si rivela del tutto esteriore perché qui l'esaltazione lirica nasce sempre da un urto, non da una semplice sensualità immaginosa: «inforcò la bicicletta e divallò verso Lukones, con gomme pizzicottate dai sassi, che gli sparavan via da sotto le ruote, come da tante fionde ridestate nella terra».

Ci sembra così che la prosa di Gadda con la Cognizione si sia avanzata con notevole forza oltre il gustoso, oltre il praticamente polemico, verso un'arte che sale da un risentimento sempre meno superficiale, e si svolge sotto la condotta sempre più imperiosa di un ritmo poetico.
Non cessano i pericoli della pesantezza, della fatica dell'immagine che si raggiunge dentro la sua stessa ganga e insomma di un cibo che spesso fa groppo; ma per l'essenziale, una volta capiti tali limiti originari, la presenza di una ispirazione più vasta e lirica ci pare indizio di uno svolgimento decisivo, di cui già abbiamo una prova nell'ultimo libro: che è uno dei documenti più interessanti della letteratura del nostro tempo.

Walter Binni

© 2009 - Luigi De Bellis