IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

CRITICA LETTERARIA

IL NOVECENTO

 

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CRITICA: IL NOVECENTO

LE RIVISTE DEL PRIMO NOVECENTO

 

 

Difficilmente si potrebbe negare alla presenza dell'opera crociana nel ventennio del novecento la sua validità rinnovatrice, il suo stimolo vivo e storicissimo, la sua proposta di problemi valevoli anche per chi sentisse con diversa urgenza e con diversa inclinazione spirituale ed ideale la situazione e la vocazione degli uomini nella società e nella cultura. Né, ovviamente, nell'azione sterilizzante di certo facile formulismo peggiorato naturalmente nei più zelanti scolari, ciò che doveva nascere è stato impedito, mentre una coscienza critica di primo ordine ha sorretto comunque alle spalle le ricerche di quanti non si sono chiusi nell'ortodossia crociana. Ma la Critica non fu certo la guida unica della cultura e della letteratura italiana di quegli anni anche se costituì il rempart più sicuro e la voce della filosofia più concreta e storica di quel periodo, la sistemazione più alta di esigenze altrimenti sparse e disordinate...

Nel Leonardo (1903-'7) convulso e giovanile, l'impeto ancora genuino di Giovanni Papini forniva scatto all'empirismo sistematore di Giuseppe Prezzolini e magismo e pragmatismo, nazionalismo e psicologia si fondevano in una ingenua volontà di salto in un dopo indistinto totalmente nuovo e diverso; una tensione al futuro che avvicinava i leonardiani a forme di libertarismo, ai primi indizi del futurismo ad un'ansia religiosa di trasformazione che stimolava nella loro forma più irrazionale e mistica Buonaiuti e i modernisti più resistenti. Accanto allo storicismo col suo concreto rinnovamento in campo metodologico, nel Leonardo si manifestava questo carattere di ansia rinunziatrice e di spiritualismo irrequieto, sollecitazione al futuro anche in forme di baldanza insopportabile che lega espressioni diverse dal costume all'arte, alla politica e alla cultura sotto la patina ancora forte dell'estetismo e nella protezione del crocianesimo, anche esso del resto animato da una fede concreta di rinnovamento perenne nella originalità creativa della storia. Ma il carattere del Leonardo era soprattutto, ripeto, il salto e nel suo inizio questo rivoluzionarismo assoluto aveva in sé un'esigenza religiosa insopprimibile ed una volontà di antistoricismo da calcolare nei fermenti del primo novecento. Velleità soprattutto papiniana nel confuso regno della «cultura dell'anima». Proprio questo termine rappresentava la tensione del tempo nella sua purezza e nella sua retorica: all'impeto illuministico prezzoliniano aperto sino alla curiosità e al nutrimento di mistici medioevali tedeschi, di Swedenborg ecc., si univa la rivolta antipositivistica mirante all'uomo nuovo, nato dalla crisi e vivo nellà sua necessità di essere totalmente dopo e creatore nei suoi atti e nella sua meditazione. Di anima e della sua cultura parlava Papini nella mescolanza dei suoi impeti freschi (i più giovanili) e dell'impura creazione dell'io con mezzi artistici di impressionismo vistoso e di scadentissima abilità linguistica; di anima parlava con attenzione ed impegno non smentito Giovanni Amendola; stile come espressione di anima chiedeva Eugenio Donadoni, appartato, ma così vicino nel suo forte spiritualismo al cóté vociano, e i versi di Michelstàdter o di Rebora sforzano il tono di verità e autenticità personale della poesia, «travata di umanità» come diceva Boine.

Ciò che accomuna il Leonardo più papiniano e convulso e la Voce più prezzoliniana, problemistica e civile è, su toni diversi di concretezza e di misura, il bisogno di « rinnovamento » e la volontà di legare su di un principio centrale («anima» , «idealismo militante») cultura e letteratura che proprio nello spendersi attivo dei letterati in singoli problemi tecnici (la Crisi degli ulivi in Liguria di Boine, gli scritti sulle ferrovie di Jabier) nel loro farsi militanti e insieme accesamente personali e senza cifra di maniera, trovava la giustificazione più profonda per una tipica prosa poetica la cui storica importanza è stata spesso sacrificata in una condanna troppo rapida di moralismo e di epoca della cultura priva della religione delle lettere. In realtà il saggio vociano dal pezzo colorito di Soffici e di Papini alle pagine di Slataper, Boine, Jahier (quanto risuona il passo di Jahier nella letteratura anche postvociana), al giornalismo di Prezzolini (e lo stesso saggio di Cecchi nelle sue origini iniziali di acume critico e di posizione morale è schiettamente vociano prima che rondista), ha sostenuto nella sua varietà, nel suo alone di approssimatività e di baldanza, complessi problemi di letteratura e di linguaggio, come risolveva in sé le esigenze di cultura e di espressione di una società attiva e irrequieta, scontenta della magnificenza dannunziana, della costruzione ottocentesca carducciana e del tono di umiltà leziosa del pascolismo.

Sul «tutto da rifare» di origine leonardiana, sulla rivolta antipositivistica in cui ritorni romantici si fondono con spunti originali (si pensi al Borgese, alla sua opera di critico della «personalità» e dell'«unità contro la distinzione crociana), la Voce, soprattutto la prima Voce (1908-1913) tenne più chiaramente ad un'Italia europea (da cui l'opera di effettiva introduzione sulla cultura italiana di autori e movimenti europei fra Hebbel-Ibsen e Péguy e l'impressionismo francese, fra pragmatismo, bergsonismo e la, musica post-wagneriana) ad una formazione generale attraverso contributi particolari, ambizioni di tecnicismo (ma in realtà già nuclearmente bisognosi di raccordo), con ardite speranze di concretezza, di «star sul sodo» che denunciano il passaggio da un desiderio generico di rinnovamento dei primi anni del secolo a un riconoscimento di misura e di costruzione. I fumi variopinti dell'estetismo si andavano allontanando e l'insegnamento, anche quando lo si combatteva, della metodologia crociana, e della stessa realtà politica e sociale italiana (vicino alla Voce è Salvemini con la sua Unità e la Voce «non ignorava l'opera attiva del socialismo nel suo condurre masse di uomini a coscienza e in definitiva a cultura») limitavano e rinforzavano, anche nei suoi pericoli di praticismo e di soddisfazione letteraria del caso concreto, la ispirazione rinnovatrice vociana intorno al suo iniziale centro di problemi della coscienza di cultura dell'anima e la indirizzavano al problema del mezzogiorno, alle polemiche sulla scuola, alla ricerca di riforme. Ma il motivo di rinnovamento di origine fra estetica ed etico-religiosa resiste meglio proprio nei vociani più intimi meno praticisti e meno impressionisti non Prezzolini e non Papini e Soffici, ma Jahier, Slataper, Boine, in cui impegno umano ed artistico, volontà di creazione e di rinnovamento hanno un'unità originale e meno provvisoria, capace di un entusiasmo autenticamente giovanile («artista perché vuol essere più vicino alla vita e coglierla nel suo fetale umidore, quello sovverte gli ordini, quello trae più spesso fuori dal suo bagno di vita la disgregazione di ogni ordine ed è tutto trepido e inquieto di religiosità anche se ciò che dice ed esprime sia demoniacamente immorale»: Boine), capace di corrispondere alla lezione di Michelstàdter nella sua urgenza di fondazione assoluta (lezione non aneddotica nella corrente più viva di un'epoca troppo spesso rivista solo come placido regno dell'edera liberale, del sentimentalismo crepuscolare), mentre il fervore più praticistico e l'impressionismo chiassoso potevano sembrare anche una preparazione confusa di ogni esito e sbollire in conformismo al primo urto con esperienze più dure, al primo soffio rabbioso di un «big lad wolf».
Fu proprio il carattere di ampiezza e di disponibilità della Voce, la sua retorica praticistica e moralistica rispetto al suo fondo più intenso e alla sua validità storica (che la fa centrale in tentativi di rinnovamento e di applicazione fra la metodologia crociana, l'azione di socialisti e democratici come Salvemini ed Amendola, il pittoresco ed equivoco impeto di nazionalisti e futuristi, fra modernismo e posizioni protestantistiche come quella del Gangale di Conscientia), che portò all'esaurimento di quella esperienza, alla scissione del movimento, dopo un periodo di esclusivo dominio prezzoliniano (ma non si dimentichi che l'organizzazione e lo stimolo di attività di Prezzolini furono essenziali alla vita del movimento), nelle due Voci letteraria e politica. Quella scissione non avveniva tanto per il passaggio degli impressionisti a Lacerba (1913--'15) e ad un improvviso fronte futurista...

E d'altra parte non in un semplice passaggio dalla cultura alla letteratura (la tesi d'altronde così indicativa di Gargiulo), ma da un'esigenza più aperta e generica di rinnovamento ad una impostazione più guardinga, gruppi di vociami ed uomini della nuova generazione preparavano e sostenevano il movimento della Ronda (1919-'23). Intanto lo sviluppo crociano proseguiva la sua via di «metodologia perenne» e di avvertimento contro ogni forma di oscura unità, contro ogni misticismo nobile o turpe e con la teoria della circolarità dello spirito assicurava una respirazione maggiore alle sue energiche autonomie legate all'insistente senso della storia a parte subjecti; l'attualismo gentiliano così nutrito di fermenti romantici proponeva ancora, in maniera a suo modo esaltante, un rinnovamento dentro la storia nella posizione sempre nuova e sempre autocreatrice dell'atto, gli storicisti da Omodeo a De Ruggiero, a Lombardo-Radice costruivano nei particolari una cultura idealistica capace Ai sostituire, come interpretazione generale e nelle singole specialità, la cultura del positivismo ottocentesco...

Ma sulla linea speciale delle riviste del primo novecento nella loro unione di cultura e letteratura, il dopoguerra vide nella Ronda l'affermazione di una cultura paurosa di impegni pratici, e di prevalenza religiosa o morale, attenta viceversa all'uso di ogni stimolo (ed effettivamente se la sua curiosità fu molto minore e i suoi interessi di conoscenza meno freschi ed ansiosi, non mancò certo di contatti europei nell'ambito sicuro della letteratura, dell'espressione artistica e della serriana religione delle lettere). Già la Voce letteraria di De Robertis, di Bacchelli, dello Onofri di Orchestrine (e accanto riviste come la Riviera ligure e più tardi La Raccolta) aveva corrisposto alle indicazioni di Serra nel suo Testamento disperato e fedele, nel ricondurre nella civiltà della pagina sicura, dello stile come somma dell'esperienza e della moralità, ogni esigenza che i vociani potevano cercare anche fuori di un'organica radice letteraria. In verità anche nella prosa vociana la tensione alla risoluzione integrale della personalità nel segno dello scrittore era forte e uno studio spregiudicato di questo passaggio tra Voce e Ronda troverebbe in molti vociani puri anche indicazioni pienamente stilistiche per la prosa saggistica, ma certo con l'accentuazione di coscienza artistica nella Voce letteraria e poi ben più chiaramente cori il programma rondista, si inizia una nuova concezione dei rapporti fra cultura e letteratura, un nuovo mondo di civiltà letteraria in cui il mito della concretezza del rinnovamento viene sostituito dal mito della concretezza stilistica e da una pratica di pagina assai diversa dall'effusione impressionistica e dallo scatto vociano.

Walter Binni

© 2009 - Luigi De Bellis