Unità del
Furioso e la cavalleria
Qual è il filo che unisce tal moltitudine svariatissima
di miti, di fatti, di paesi, di tempi, di prodigi, di
uomini, di popoli, e d'instituzioni, e la riduce ad
armonia, nel divino poeta? Questo principio unificativo
è la cavalleria, intendendo per tal nome, non tanto la
milizia religiosa, che nacque nel medio evo dal genio
germanico e dal genio cattolico-pelasgico insieme
confederati, quanto universalmente quel tipo ideale di
vivere eroico che si verifica più o meno nei secoli
tramezzanti fra una barbarie efferata e una gentilezza
che incomincia, e costituenti l'adolescenza dei popoli
armigeri; del qual tipo generico gli ordini militanti
del medio evo erano una specie. La vita cavalleresca è
sommamente bella, sia perché in essa la libertà
individuale è sciolta da ogni legge positiva ed
estrinseca, e ha il perfetto dominio di sé medesima, e
perché l'individuo per coraggio e virtù d'animo, forza
di muscoli e maestria d'armi sul comune degli uomini si
leva e grandeggia. L'eroe tiene un luogo di mezzo fra l'avatara
e il semplice mortale, ed è un uomo divino, il quale si
distingue dai due altri, come l'epopea guerriera di
Omero e Firdusi si differenzia dall'epopea sacerdotale
di Valmichi, di Viasa, e dal romanzo moderno, che è
un'epopea dozzinale, popolare, borghigiana, a cui
mancano gli spiriti come l'abito della poesia. La
cavalleria, per questo rispetto, è l'ideale della
feudalità e della conquista, poiché l'aristocrazia
patrizia vi è legittimata da un'effettiva maggioranza di
natura, e da un'origine divina o altrimenti
privilegiata. D'altra parte l'eroe è per un certo
riguardo ancor più poetico dell'avatara, perché il
personaggio che lo rappresenta è più sciolto, più
libero, più padrone di sé medesimo, più indipendente
dalla signoria della natura e del Teocosmo; onde l'epica
eroica e guerresca della gentilità fiorì solo presso i
popoli in cui il panteismo era modificato dal dualismo,
e la casta dei preti controbilanciata da quella dei
militi; quali erano i Greci nell'età di Omero, e i Parsi
ai tempi del più illustre Gaznevide. Vero è che il
predominio del monoteismo panteistico innalza l'epopea
ieratica ad una idealità maggiore, e ne rende la poesia
più filosofica, più vasta e profonda; giacché la
profondità, e, direi quasi, la virtù dinamica della
poesia deriva dall'elemento ideale e generico, come la
beltà e la vivezza delle sue finzioni procedono
dall'individualità, in cui l'idea s'incarna e si colora.
Il Cristianesimo solo ha saputo stabilire ]'accordo e
l'euritmia fra quei due componenti, e riunire nel
fantasma estetico l'individuale e il generale con
acconcia misura, mediante il principio di creazione, che
concilia l'arbitrio e la personalità creata con
l'infinito ideale e con la libertà divina. E niuno
scrittore umano colse meglio quest'armonia difficile,
che il nostro Alighieri; il quale non sai se più valga
negli universali o nei particolari, nel ritrarre le idee
o nel dipingere gl'individui, o nell'ontologizzare
poetando o nel far del psicologo; e parve voler mostrare
disgiunto il suo valore in ambo i generi col Paradiso e
con l'Inferno, mentre insieme accozzolli nella mezzana
delle sue Cantiche. Laonde il suo poema è anche per ciò
perfettissimo, che l'epopea sacra vi è congiunta colla
civile, mediante la sintesi armonica e signoreggiante
della fede cristiana. L'Ariosto è assai meno ortodosso
per la ragione che toccherò fra poco, onde in lui
l'elemento sensato prevale di gran lunga all'ideale, e
il suo poema appartiene alla medesima specie dei Re di
Firdusi e dell'Iliade; se non che l'individualità libera
dell'uomo vi spicca forse ancor più risentitamente,
atteso gl'influssi evangelici da cui era informata la
cavalleria dei bassi tempi. In Omero, verbigrazia, gli
uomini sono padroneggiati dalle due molle potenti del
fato e della lega ellenica, esprimente lo scopo
prestabilito in comune, e avente forza di legge
estrinseca rispetto a ciascuno individuo. Laddove nel
Furioso il fato non è che mi semplice accessorio, come
si vede nelle Fate, che rappresentano assai meno la cosa
che il nome; ovvero s'incorpora con la valentìa e colle
forze personali dell'uomo, secondo si scorge nelle armi
fatate dell'Argalia e dei paladini, e nell'epidermide
invulnerabile di Orlando e di Ferraguto. Quanto al fine
che l'autor si propone, esso nell'Iliade è reale, ed
anitra tutto il poema, che riguarda da capo a fondo la
presa di Troia; doveché nell'Orlando la liberazione
della Cristianità dagl'infedeli è uno scopo solo
secondario; e, propriamente parlando, il poema non ha un
oggetto a cui tenda, né quindi unità epica, salvo quella
che risulta dal concetto cavalleresco. Questo è l'unico
nesso di tutto il componimento; perché la smania eroica
si stende dal Cataio alla Britannia, e invasa Gradasso,
Sacripante e i prodi figli di Troiano, di Ulieno, di
Agricane, non altrimenti che Carlo e i suoi paladini;
tanto che la cavalleria è, per così dire, il giure
comune delle genti che domina in ogni parte di quel
mondo poetico. Vero è che la cavalleria degl'infedeli è
spesso unita alla slealtà ed alla prepotenza, ed è
sempre men pia e generosa, che duella dei guerrieri
cristiani; ma questo divario s'attiene manco al genio
dei popoli, che a quello degli individui; onde Rodomonte
non si può dire più empio od infido del traditor
Pinabello e di tutta la rea progenie dei Maganzesi. La
legge di onore e di religione imposta ai campioni di
Carlo non offende il lor volere spontaneo, perché libera
ed interna: per tutti gli altri rispetti, essi sono
sciolti da ogni freno; vanno e vengono a loro talento,
da un capo del mondo all'altro, per amore o per
conquistare un anello, un'arma, un cavallo: combattono
quando e come vogliono: ti piantano il loro capo, se
occorre, nel buono della battaglia, e se ne vanno alle
loro faccende, senza che questi trovi nulla a ridire nel
loro procedere. Questa vita spensierata, errabonda e
cosmopolitica, questa sete insaziabile di combattimenti
e di avventure, è l'essenza della cavalleria ariostana
ed esclude ogni scopo determinato; il che porge alla
tempra individuale degli uomini il modo di mostrarsi
liberamente, e crea quel tipo poetichissimo del
guerriero eslege e indipendente che nei personaggi di
Marfisa e di Mandricardo mi par condotto al più alto
grado di perfezione. Certo, gli eroi di Omero, benché
abbiano eziandio la loro dose di libertà e di capricci,
sono assai meno sciolti e più ragionevoli; perché la
ragionevolezza consiste appunto nell'indirizzare tutte
le azioni ad un fine importante e degno degli sforzi che
si fanno per ottenerlo. Tal è la presa di Troia e il
ritorno alla patria, che sono la causa finale
dell'Iliade e dell'Odissea, e la mira a cui intendono
tutti i loro personaggi; laddove il negozio che sta meno
a cuore dei paladini e dei guerrieri di Agramante, è la
liberazione e la conquista della Francia. Il broncio di
Achille, causato da una grave ingiuria, non ripugna
meglio alla teologia dell'Iliade, che non si opporrebbe
a quella del Furioso la pazzia di Orlando, cagionata da
un acerbo affanno di cuore, se da questo accidente
pendesse l'epitasi del poema italiano, come dall'ira del
Pelide nasce il nodo del poema greco. Ma il signor d'Anglante,
quando è savio, riesce poco men disutile a Carlo, che
quando è matto: i Mori, sono cacciati di Francia senza
il suo aiuto, e disfatti nell'Affrica piuttosto colle
fronde e coi sassi di Astolfo, che colla spada del
Paladino; il quale, per fare alfin qualche cosa, piglia
Biserta, e uccide i due guerrieri già vinti e profughi,
ma lascia al pugnal di Ruggero il capo di Rodomonte.
Parve al Ginguené che il vero protagonista sia esso
Ruggero, e che il fine del poema siano gli sponsali da
cui dee uscire la casa d'Este. Questo sembra veramente,
se posso così esprimermi, l'intento esoterico del gran
poeta; il quale, bello e mirabile anche ne' suoi
difetti, non riesce mai noioso, se non per avventura
nelle lunghe intramesse che fa ad onore di quella trista
famiglia, e in ispecie d'Ippolito mecenate. Tanto è vero
che l'adulazione medesima vendica la verità, sua nemica,
pregiudicando ai più grandi ingegni nell'atto stesso che
l'offendono! Ma se si discorre di un vero scopo istorico,
l'Orlando, lo ripeto, non ne ha alcuno; e questa
mancanza di teleologia, non che nuocere esteticamente al
poema, contrassegna il suo pregio speciale, e merita un
attenta considerazione, chi voglia penetrare appieno i
meriti dell'Ariosto, e l'indole della nuova poesia,
creata dal suo ingegno, e inspiratrice dell'opera più
stupenda che si trovi nello stesso genere dopo il
Furioso. |