Come
lavorava l'Ariosto
Correggere, per la discrezione ariostesca, era
prevedibile che significasse anzitutto arte del levare.
S'è veduto dianzi come l'innalzamento del tono
s'inscrivesse nel capitolo più generale dell'armonia; ma
questa si tradurrà con prevalenza statistica in
abbassamento di tono. E si comincia dal caso minimo,
cioè a dire l'abbassamento in quanto risulti da uno
spostamento di parola: in « Che tutte poi spargon per
l'aria i venti » il « poi » è trasportato dietro a «spargon»;
la iattanza di «Vedrete altrove il falso amor rivolto»
si spenge nella modestia quasi bruttina di «Vedrete il
falso amor altrove volto» (poi: «...tolto... e altrove
volto»). Le contraddizioni a codesta norma di
soffocazione sono infatti illusorie. Si tratterà, ad
esempio, di riformare questo passo (IX, 24):
|
Quei giorni che con noi contrario vento
A' Biscaglini, a me propicio, il tenne
(Che fur quaranta agli altri, a me un momento:
Così al fuggir hebbon veloci penne) |
|
nel senso di sottolineare, al secondo e al terzo verso,
l'antitesi retorica:
|
Contrario agli altri, a me propizio, il tenne
(Ch'agli altri fur quaranta... |
|
In effetti, l'accentuazione apparente dell'artificio è
aumento d'intimità, per l'innamorata Olimpia. Anzi
l'alessandrinismo è l'individuato nemico dell'Ariosto.
Se un particolare erudito, poniamo geografico, tende a
«localizzare» in senso ornante, viene senz'altro
soppresso. In una delle ottave sullo Scudo, l'Isola
Perduta, già «di là da Tile oltre il gran polo asisa»,
si fa «di là dal polo e il mar di gelo asisa». Altra
volta si sostituisce l'onesto nome («E tosto che
l'Aurora fece segno») a una vana perifrasi letteraria
(«Fin che l'amica di Titon fe' segno»). E fin qui il
procedimento è negativo, si limita a eliminare; ma
spesso l'eliminazione ha un «sottoprodotto» positivo:
elementi liricamente essenzialissimi, scoperti lungo la
strada, surrogano elementi alessandrini. Così nel
prologo del canto XII (dei prologhi sia detto, qui in
parentesi, che sulla scorta dei manoscritti il
Debenedetti ha potuto dimostrarne inoppugnabilmente la
posteriorità rispetto ai canti relativi):
|
Cerere, poi che da la madre Idea
Tornando in fretta alla sicania valle... ; |
|
questo neghittoso «epitheton» sostanzialmente «ornans» è
espunto e sostituito dal pateticissimo «solinga».
Stesso, stupendo, guadagno (anzi qui il guadagno è quasi
doppio) in un'altra apertura d'ottava (XLVI, 59):
|
Quale il nettunio Egèo rimase quando
Si fu alla mensa inhospitale accorto... ;
|
|
«nettunio» diventa «canuto», di più «inhospitale»
diventa «scelerata». Si viene trapassando dall'epillio
ovidiano all'oceanica ed argonautica mitologia del
Paradiso; ma questa qui è anche più spoglia di sontuoso
prestigio a priori.
E cogliamo finalmente il processo antialessandrino
dell'Ariosto in due specificazioni estreme. L'una è il
passaggio dal determinato all'indeterminato: intendiamo
il determinato di Myricae e dei Conviviali (onesto in
sede di poetica, ma insomma contemporaneo dell'Idioma
gentile), l'indeterminato dell'Infinito e di A Silvia.
Del paladino che naviga fuori della Schelda era detto (IX,
90):
|
E così, poi che dei guadosi stagni
Nel più profondo mar si vide uscito,
Si che non appariano li vivagni
Del destro più, né del sinistro lito...
|
|
Si noti che v'era già progresso: gli stagni erano stati
«salati», il mare aveva cominciato ad essere «
periglioso ». Ma al termine del procedimento elaborativo
sta la pura essenza marina:
|
E così, poi che fuor de la marea...
Sì che segno lontan non si vedea...
|
|
La seconda specificazione è lo smorzamento d'un fantasma
autonomo, antropomorfico, che è sottomesso all'unità
fondamentale dell'ottava. Troviamo, proprio sull'inizio
del primo frammento (IX, 8), un fiume mitologico,
|
Che facea gonfio e bianco andar di spume
La nieve sciolta e le montane piove:
ed è ridotto a descrittivo, elemento di natura
Ch'alhora gonfio e bianco iva di spume
Per nieve sciolta e per montane piove |
|
(l'«iva» diventerà poi «era», poi ancora «gia» nella
stampa). Trionfa altrove (XXXVII, 11o) un torrente
mitologico («Come torrente che superbo faccia Lunga
pioggia talvolta o nievi sciolte») ; ma quello resterà,
come allegoria di Marganorre; e l'aggiunta, dunque la
differenziazione, è dello stesso tempo: fase revisoria
dell'edizione del '21.
Ma come chiameremo, con precisione lessicale, i processi
antialessandrini che siamo venuti descrivendo?
Certamente, processi distruttivi; e ricordiamo:
«Palpabile è quest'opera di svalutazione e
distruzione... E questo tono è altresì la tante volte
notata e denominata, e non mai bene determinata ironia
ariostesca...» (Croce). Così più su s'era dovuto
definire con l'esatto nome il proprio contenuto del
Furioso: «Il primo cangiamento ch'essi sentimenti
particolari soffersero non appena vennero toccati
dall'Armonia..., si manifestò nella perdita della loro
autonomia, nella sottomissione a un unico signore, nella
discesa da tutto a parte...». È quanto dire: la
direzione costante che s'individua nel lavoro
correttorio dell'Ariosto si trova a coincidere
perfettamente con la miglior descrizione caratterizzante
che sia stata data fin qui della sua poesia. |